CAPITOLO 2 - JULIA

  "Nella solitudine, il solitario è divorato da se stesso.
Nella moltitudine, il solitario è divorato dagli altri."
( NIETZSCHE )


Mi piace osservare.
Mi piace sapere cosa mi circonda, mi piace sapere che chi ho accanto non mi farà del male e mi piace sapere che se qualcosa mi sembra storto, allora posso sistemarlo. Basta osservare.
Osservare, soprattutto le persone, sembra tenerle alla larga da me. Ed è quello che voglio.
Non fraintendetemi, non sono una povera disperata arrabbiata con la vita, no. Ma ho odiato una parte di questa. Una parte che mi ha distrutto.
Vivere con i rimpianti è peggio che vivere con gli errori. Gli errori ti ricordando che ci hai provato. Che hai fallito, che non è andata come volevi, ma che ci hai provato.
I rimpianti ti ricordano che non sei stata abbastanza forte per combattere per fare ciò che volevi, per rischiare.
I rimpianti che mi accompagnano mi ricordano che sono sopravvissuta, ma che avrei potuto vivere davvero.
I rimpianti mi ricordano che sono così adesso, perché non ho saputo essere diversamente in passato.

Non so quando ho deciso che non avrei più parlato, semplicemente un giorno mi sono svegliata e non ne sentivo più il bisogno. Non ho sentito più il bisogno di esprimermi, non l'ho fatto quando avrei dovuto, perché farlo dopo?

"Buon primo giorno" leggo il messaggio di mia madre e sorrido. Non ha smesso di volermi bene anche quando ho deciso che vivere in quel posto non faceva più per me e sono andata via, senza dire nulla, e sono corsa in Polonia, da una zia. Neanche quando sono tornata a casa dopo mesi e solo qualche telefonata. Neanche quando ho smesso di parlare e raccontarle tutto di me, almeno non più con la mia voce.
Non ho deciso di smettere per ribellione o per attirare attenzione, ma solo perché per me parlare non è più importante.
Neanche papà ha smesso di volermi bene. Ha sofferto tanto per me ed io non smetterò mai di sentirmi in colpa per questo. Per questo e per il fatto che mia sorella maggiore, Kamila, da quando è accaduto ciò che è accaduto, non ha smesso per un attimo di preoccuparsi per me. Anche quando va tutto bene.

"Grazie. Vi voglio bene." Digito in fretta. Ovviamente sono ancora disorientata e quindi, per evitare di attirare attenzioni indesiderate, sono uscita qualche minuto prima ma è stato del tutto inutile perché giro a vuoto per un bel po' ma arrivando comunque in orario per letteratura inglese.

L'ambiente è esattamente come me l'aspettavo, pieno di vitalità e di festività. Anche se ieri me ne sono stata in camera da sola dato che la mia "coinquilina" è arrivata giusto per cambiarsi e uscire, senza ritornare, ho comunque notato il chiasso assordante delle altre camere e le voci riguardanti la mega festa di una delle confraternite.

Prendo posizione quasi all'ultimo banco, per evitare domande o possibili occhiatacce. Preferisco starmene tranquilla da sola e non perché sia una tipa solitaria ma così mi sento più al sicuro, più protetta. Non mi piace sentirmi osservata, non mi piace che qualcuno mi stia troppo vicino. Ho bisogno del mio spazio, ho bisogno di sapere che posso scappare quando ne sento il bisogno, ho bisogno di non sentirmi in trappola o i ricordi mi soffocheranno. Se solo esistesse un modo per uccidere i ricordi, se solo ne avessi la forza...

"Lei in fondo, con la maglia verde" un uomo non tanto giovane mi ricorda che siamo in aula e che io, per l'ennesima volta, mi sono fatta trascinare dai miei pensieri.
Ho il cuore al mille e in me ripeto "Rispondi, è semplice. Puoi farcela" e invece niente, non ce la faccio.

"Sì, professore" risponde una ragazza alle mie spalle ed io tiro un sospiro di sollievo perché, perlomeno, non sarà la prima lezione quella più imbarazzante.
A dire il vero i miei genitori hanno informato il preside e i professori di questo mio "problema" - è così che loro lo chiamano – quindi non dovrei aver "problemi". Il punto è che c'è sempre a chi piace fare il furbo e testare con i proprio occhi e le proprie orecchie che dalla mia bocca non uscirà parola.

"Può prestare attenzione al discorso? La ringrazio" il professore ritorna al centro dell'aula mentre la ragazza alle mie spalle impreca sottovoce. Io me la ridacchio, attenta a non farmi scoprire da nessuno, ringraziando chiunque in questo momento mi stia proteggendo e chiedendo a me stessa un minimo di attenzione al discorso del mio nuovo professore.
Studiare medicina è sempre stato il mio sogno. Ho sempre pensato che fosse adatto a me e alle mie potenzialità ma soprattutto mi ha sempre appassionato l'idea di poter aiutare chi mi sta accanto, mi ha sempre appassionato l'idea di poter fare la differenza e salvare delle vite.
Come hanno fatto con me un anni fa.
So che il mio mutismo selettivo non è ideale ma in quel caso farei delle eccezioni. Mi auguro.
Allontano i miei pensieri e mi concentro unicamente sulle noiose parole del professore che, pazientemente, spiega come funzionano le cose qui al college.

***
"Pranziamo insieme?" due ragazze accanto a me alla lezione di biologia ed ora all'ingresso della mensa, non hanno fatto altro che chiacchierare. Non fanno altro che questo e, giuro, quel mormorio continuo è snervante. Che pranzino pure insieme, ma lontane da me.

Riempio il mio vassoio di cose a caso come fagioli, pane e purea di patate. Accostamento pessimo ma sentirmi chiedere cosa voglio e non rispondere mi mette ansia, così annuisco, indipendentemente da cosa ci sia nel mestolo sembrando, come in questo caso, estremamente pazza. Ma pazienza, me li farò piacere.

Sedermi sola non è il massimo, lo ammetto, ma dubito che farò presto amicizia. Avrei potuto scegliere di andare con la mia migliore amica che frequenterà l'università della California, ma io avevo bisogno di cambiare aria, di cambiare vita. Mi mancherà averla attorno e ridere di nulla assieme, ma ho bisogno di fare questo da sola, ho bisogno di crescere e soprattutto sbloccarmi.

"Hey ciao" la ragazza tutto seno e sicuramente niente testa che la scorsa volta affiancava il ragazzo che voleva aiutarmi e che, furtivamente ieri sera spiavo, mi si siede davanti.
Non volevo davvero spiarli ma non riuscivo a dormire così, nell'indecisione ho deciso di fare una passeggiata e, giuro, per caso, mi sono ritrovata lì. Ed è per questo motivo che ora mi sento estremamente in imbarazzo, le sembrerò una stupida persino per lei che lo sarà per davvero.
Sorrido incerta, come a dirle "Sì, lo so, scusami."

"Ti andrebbe di pranzare con noi?" chiede, seguo la direzione del suo dito laccato di rosso e alle sue spalle, con sguardo curioso, c'è proprio lo stesso ragazzo di ieri. Questi due sono una persecuzione.
Il ragazzo, di cui non conosco il nome, guarda nella mia direzione per poi distogliere lo sguardo.
Guardo negli occhi neri come la pece di questa ragazza e spero con tutto il cuore che ci rinunci in fretta.

"Piacere, Isabel" mi porge la mano ed io, gentilmente, la stringo... ma senza rispondere. La sua espressione è tra le mie preferite: incredula. Ha gli occhi spalancati, come la bocca. Di solito c'è chi si incazza o chi sbuffa credendomi snob e piena di me. Lei, invece, è semplicemente sconvolta dalla mia stupidità. Ottimo.

"Beh... noi siamo lì, se ti va. Ciao." con la stessa espressione sconvolta, si allontana in fretta, probabilmente chiedendosi che tipo di problema io abbia.
So che avrei potuto rispondere, so che avrei potuto farmi degli amici... ma come posso assicurarmi di star bene se prima non controllo tutto? Non posso abbattere le barriere subito, mi servirà del tempo.

Finisco la mia zuppa di fagioli ignorando il contrasto fastidioso con le patate e, nel frattempo, penso a come dovrò cavarmela con la lezione di chimica.

***
Chimica è una delle lezioni che più mi spaventa perché, quasi sempre, si finisce per interagire con il compagno di lavoro che quasi sempre viene affidato. Ed io, ormai è chiaro, non sono così brava a socializzare.
Una volta in aula, così come per letteratura inglese, prendo posizione in fondo, in modo da non destare attenzioni indesiderate.
Solitamente agli ultimi banchi sono occupati da chi non ha voglia di far nulla, dai ritardatari, da chi cerca di recuperare il sonno perduto e avvantaggiarsi per far tardi la sera, insomma, tutta gente a cui non va di parlare e quindi non corro nessun rischio.

Una figura alta, vestita di nero e con i capelli scuri varca la porta e tutte sono immediatamente ai suoi piedi.
Non faccio fatica a riconoscere che è il ragazzo che ieri mi ha offerto il suo aiuto. Non faccio fatica perché è un figo assurdo e poi perché uno che entra con la sigaretta, spenta, tra le labbra e al suo solo respiro tre o quattro ragazze a momenti devono essere soccorse, è difficile da non notare.
Questo però è un enorme problema. Non posso rischiare che mi riconosca ma, soprattutto, non posso rischiare che mi inviti a parlare.
Non so come proseguirò qui al college, ma non voglio essere lo zimbello fin dal primo giorno.
Cerco allora di mimetizzarmi col banco accasciandomi il più possibile e sembra funzionare poiché si dirige verso un baco sulla destra nella fila centrale.
Mi concedo un sospiro di sollievo perché so che da lì non potrà vedermi ma qualcuno, qualcuno troppo stupido alle sue spalle lo chiama ed è ormai troppo tardi. Si volta ed i suoi occhi blu magnetici incontrano i miei, terrorizzati al solo pensiero di dover parlare. Di sentirmi costretta, ancora.
Il suo corpo subisce un cambio di rotta e la nuova destinazione sono io.
Il suo sguardo si incupisce man mano che la distanza tra noi diventa più piccola, sembra quasi odiarmi ancor prima di conoscermi. E solo quando si siede nella mia stessa fila, ma a qualche banco di distanza e volta il capo, che caccio un respiro di sollievo che non sapevo di star trattenendo.
Perfetto. Sono nella merda.
Picchietto nervosamente la matita sul banco sperando che queste due ore volino, ma quando il Professor Jackson inizia a parlare a rallentatore, capisco che non sarà così ma che, se è possibile, ne sembreranno tre, o forse anche quattro.

**

Tra una risatina e l'altra -sì, risatina perché il professore sembra essersi rivelato un gran giocherellone- ho beccato più volte lo sguardo di quel ragazzo su di me. Più che sguardo, direi il suo fissarmi insistentemente. Anche io l'ho fissato, a dire il vero. Me ne sono resa conto quando, per la terza volta, ho constatato tutti che scrivevano appunti ed io che ero rimasta ancora una volta indietro. E questo non è un bene quando non parli e non puoi chiedere un aiuto a qualcuno.
Ad ogni modo ho potuto notare che fa il figo anche in aula. E' bastato che gli cadesse la matita affinché la ragazza accanto immediatamente, e generosamente, cedesse la sua. Pur consapevole, spero, che così facendo non avrebbe scritto per la restante mezz'ora.
Gli è bastato voltarsi e parlare con un amico per essere invitato ad un'altra festa. E, indovina indovina? E' un giocatore di football, ed è bastato che ridesse un po' più ad alta voce affinché il professore lo notasse e gli chiedesse come vanno gli allenamenti, nonostante oggi sia il primo giorno per tutti. E quindi mi sono data le risposte alle domande che non mi ero ancora espressamente posta: no, non possono essere miei amici quei due tizi.

L'ora finisce ed io pazientemente aspetto che tutti vadano via, per poter essere sicura di non dover parlare con nessuno. Di non inciampare in qualche zaino e andar via senza poter chiedere scusa, se non con lo sguardo che molto spesso sembra non bastare.

Anche lui, quel ragazzo, resta lì fermo. Non so per quale motivo ma guarda nervosamente la porta, come se stesse pensando a qualcosa, come se quest'aula gli ricordasse qualcosa. E qualsiasi sia il ricordo che in questo momento gli sfiora la mente, spero faccia in fretta perché devo andare al bagno e se non va via lui, non posso andar via io.
In realtà potrei uscire dall'altro lato, ma temo che possa chiedermi qualcosa e non voglio sembrare ancora stupida, per l'ennesima volta. Ma il tempo passa e la pipì scappa e per quanto ci tenga alla mia mezza reputazione, sarebbe ancora peggio farmela sotto.

Mi alzo velocemente, pur sapendo che questo desterà ancora più attenzione dato l'eccessivo rumore ma me ne frego e scendo in fretta le scale. Fin qui, tutto bene, penso, fino a quando, prima della porta, quella voce profonda e fastidiosa mi blocca.

"Hey, biondina" mi immobilizzo proprio ad un passo dalla porta. Un piede nell'aula e l'altro fuori. So che dovrei andar via e far finta di non aver sentito ma una parte di me freme per sapere cos'ha da dire. Così, lentamente, mi volto.

"Allora ci senti" ridacchia "Come ti è sembrata la lezione?" chiede spavaldo, raggiungendomi alla velocità della luce. Non appena mi rendo conto di avere la bocca spalancata la richiudo velocemente e questo lo fa sorridere. Bene, ora gli sembrerò anche stupida oltre che ridicola e probabilmente pazza.
Alzo le spalle in risposta alla sua domanda, giusto per farmi credere pazza davvero.

"Hai finito con le lezioni per oggi?" chiede, io annuisco perché non saprei cos altro fare e mi chiedo per l'ennesima volta cosa cavolo ci stia facendo ancora qui quando potrei perfettamente andarmene.
Una cosa però la so: i suoi occhi da vicino sono ancora più blu. Di un blu... immenso.

"Non ci siamo ancora presentati, dato che la scorsa volta sei fuggita via" si passa una mano sul mento e ridacchia scuotendo il capo "Ad ogni modo, io sono Liam" mi porge la mano ed io la stringo.
Resto muta, come mi presento se non parlo? Non mi presento, semplice.

Liam ridacchia, anche se sembra abbastanza turbato "sai che è male educazione non rispondere?" chiede serio nonostante il sorrisetto sulle labbra.
Ancora una volta non so cosa rispondere e quindi mi ritrovo a compiere lo stesso gesto di prima, alzo le spalle e con il viso, con gli occhi, cerco di trasmettergli davvero il mio dispiacere. Vado via senza salutarlo, senza poter rispondere e maledicendo me stessa per essermi fermata quando potevo fingere di non aver sentito.

Maledicendo me stessa per non voler parlare, maledicendo me stessa per aver scelto ancora una volta il silenzio, quando sarebbe bastato urlare a squarciagola la prima volta senza rischiare di perdere la vita.

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