[uno: scontrini]

La bellissima copertina me l'ha fatta alicehorrorpanic -

«Mamma non ne ho voglia» berciai acida ancora incollata al sedile della Mercedes nera di mia madre.
Tacco dodici, tailler nero e un inebriante profumo di Chanel, questa era lei, anche quando usciva durante il fine settimana; una vera donna d'affari, nel lavoro e nella vita, come si sul dire.
«Carlotta scendi» mi intimó strattonandomi per un braccio in attesa che mi decidessi ad alzare il culo da quel sedile.
Arroganza, acidità, parolacce ed eye-liner colato: questa ero io, nel tempo libero e nella vita.
Fissai l'enorme edificio davanti a me che portava una scritta nuova di zecca incorniciata sul davanti 'Max's Hairstylist'.
Deglutii rumorosamente rigirandomi una ciocca bionda fra le dita, come se questo gesto potesse in qualche modo immunizzarmi da ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Mia madre mi guardó truce battendo le sue delcolteè jimmy choo sul marciapiede malandato del parcheggio «muoviti.» mi obbligó severa alzando un sopracciglio «sai quanto possa odiare essere in ritardo per colpa tua» aggiunse puntandomi un dito contro.
Mi alzai stufa dal sedile roteando gli occhi al cielo e passandole davanti senza degnarla di un minimo sguardo
«Non puoi tenerli così lunghi in eterno, sembri una barbona» gracchió sistemandosi la giaccia e raggiungendo il mio posto.
Camminava eretta e composta, senza un capello in disordine, una macchia sul vestito, nè un goccio di trucco sbafato.
Attraversava il corridoio in tutta la sua perfezione, quasi maniacale, affiancata da un cumulo di disordine, un uragano di pensieri sfatti, che si rivoltavano su quello che era il mio essere, imperfettamente disastroso.
Mi incamminai verso la porta a vetri che mi avrebbe aperto la strada dell'inferno, presi un profondo respiro prima di chiudere gli occhi e poggiare la mia mano sul pomello di plexiglas
«Vedi di non farmi fare brutte figure» disse gelida oltrepassandomi ed entrando nella stanza.
Era piena di specchi, di acconciature perfette, di ragazzi eleganti, ogni piccola cosa che mi voleva sbattere in faccia il mio sentirmi così a disagio. Perché in fondo non ero molto differente da loro, mia madre quando voleva sapeva trattarmi da principessa, abiti all'ultima moda e look all'avanguardia, eppure in me c'era qualcosa che stonava, che non mi rappresentava in questo posto.
«Buongiorno signora Ferrari» un uomo piuttosto in carne, di mezza età, si avvicinò per salutare cordialmente mia madre «Carlotta puoi accomodarti al lavaggio» mi indirizzó un posto dove sedermi e senza tanti giri di parole annuii avviandomi dove mi era stato indicato.
Mia madre si accomodò in un altro punto, piuttosto distante dal mio e cominció a chiacchierare con una miriade di persone che non avevo mai visto prima, ma che lei sicuramente conosceva.
Tutti mi guardavano, tutti mi indicavano, 'ecco, quella è sua figlia' dicevano.
Non si sarebbero mai aspettati che fossi così diversa da lei, glielo leggevo negli occhi.
E invece ero li, in carne ed ossa, o meglio, 'la figlia di Margherita Ferrari' era lì, poiché quando ero accanto a lei non avevo un nome e nemmeno un'identità.
«Un po più indietro con la testa» una voce roca e profonda si diffuse nelle mie orecchie facendomi sobbalzare.
Mi girai di scatto incontrando due enormi occhi azzurri, ricoperti da una massa di capelli mori.
Annuii lentamente stregata dalla bellezza del ragazzo che avevo davanti.
Penso di aver schiuso la bocca, in un espressione a dir poco imbarazzante, incredula per ciò che avevo appena visto.
Un sogno ad occhi aperti.
Scossi la testa per cercare di riprendermi e mi sistemai titubante con la testa sul lavello.
Sentii l'acqua scorrere e subito dopo di nuovo quel suono «va bene la temperatura?» voce piatta, nessuna espressione.
«Si grazie» risposi intimorita alzando gli occhi verso di lui.
'Grazie.' Questa gentilezza non era da me.
«James» lo sentii dire schiarendosi la gola «mi chiamo James» continuò.
'James' pensai tra me e me, mi piace.
«Car.. Carlotta» risposi forse un po' troppo in ritardo prima di avvampare di imbarazzo per la figuraccia immane che avevo appena fatto.
Potrei giurare di averlo sentito ridere e ripetere 'Carlotta' con un fil di voce.
Mi era sempre piaciuto il mio nome, ma la sensualità di quella voce così profonda gli conferiva un pizzico di sapore in più.
Mi risvegliai poco dopo dai miei pensieri quando il rumore dell'acqua cessó lasciando spazio a due mani piuttosto grandi, e molto morbide che vagavano fra i miei capelli, massaggiandoli e tirandoli leggermente.
Respirai profondamente abbandonandomi completamente a quel tocco così delicato e lasciandomi sprofondare nella poltrona nera di cuoio.
Il mio corpo si contraeva ogni volta che mi sfiorava il collo, procurandomi un leggero solletico, per prendere qualche ciocca che era sfuggita dal lavello, e rilasciarmi una sensazione di calore che si irradiava per tutta la spina dorsale.
«Sciacqua e poi pettinali» sentii ordinare da qualcuno poco prima che l'acqua calda mi distendesse i nervi.
Sentii il rumore della spazzola sui miei capelli e le sue mani fare righe immaginare sulla mia testa per dividere le ciocche da spazzolare.
Non so esattamente quanto tempo fosse passato prima che qualcuno mi informó che erano abbastanza pettinati adesso, e che potevo alzarmi per andare nella zona del taglio.
La cosa che più mi preoccupava, quando andavo dal parrucchiere, era il rumore delle forbici, e le punte che cadevano a terra circondandomi come ad incolparmi di cioè che li stava succedendo.
Quando venivano spazzate via, tutto tornava alla normalità.
Mi accomodai su un altra poltrona e fissai il mio riflesso nello specchio, avevo il mascara colato sulla parte inferiore della palpebra, i capelli erano un groviglio di ricci ribelli umidi e bagnati, e la maglia era stata tutta schizzata dall'acqua.
Sarei voluta sprofondare sotto terra così che James non potesse vedermi in tutto l'orrore che emanavo.
Mi massaggió il cuoio capelluto ancora per qualche minuto, mentre fissavo insistentemente attraverso specchio, e mi muovevo agiatamente sulla sedia, tesa come una corda pronta a spezzarsi.
«Li asciughi lisci?» mi risvegliai dallo stato di trance e mimai un 'si' con le labbra, decisamente a scoppio ritardato.
Il rumore del phon sovrastava quello dei miei pensieri mentre mi guardavo in giro in cerca di qualcosa che potesse distrarmi momentaneamente impedendomi di fissare quella massa di capelli neri dietro di me.
Avevo gli occhi puntati sullo specchio, in attesa che potesse tirare su la testa, lasciandomi scontrare con il suoi occhi: verde contro azzurro. Una gara persa in partenza.
Ogni tanto biascicava un 'bellissimi' prima di dare il colpo di forbice che faceva precipitare le miei punte bionde a terra con un rumore impercettibile che si rovesciava nelle mie orecchie con un tonfo assordante che mi costringeva a chiudere gli occhi per non vedere.
Un'espressione da puro sadico, eppure anche questa mi intrigava come non mai.
«James cosa stai facendo? Dovevo scalarli!» lo rimproverò l'uomo che ci aveva accolte appena entrate e che solo ora ricordavo come il proprietario del salone «lascia fare a me diamine» sbottó scostandolo per un braccio e avvicinandosi a me.
«Scusalo, è nuovo» si giustificò inutilmente ricevendo in risposta un sorriso forzato.
I miei occhi ancora fissi sullo specchio che riproducevano la sua sagoma ormai lontana indaffarata a lavare la testa di un'altra donna, piuttosto giovane.
Gonfiai le guance invidiosa di quella che chiacchierava animatamente con lui, al quale non avevo rivolto la parola sennò per rispondere a quelle due sillabe che pronunciava ogni tanto.
«Ecco» l'uomo mi risveglió dai miei pensieri «perfetti come sempre» si complimentó scorrendo le dita sui miei capelli piastrati.
Non sapevo esattamente se prenderlo come un complimento verso di me, o verso se stesso e il lavoro che aveva compiuto.
Mi alzai dalla poltroncina dirigendomi verso il guardaroba dove avevo lasciato la giacca appena entrata
«Tesoro sei favolosa» esultó mia madre entusiasta accarezzandomi il contorno della guancia destra con le unghie laccate di rosso.
'Tesoro' che nomignolo inutile.
Annuii rispondendole con un cortese 'grazie' prima di aprire le porte del gaurdaroba
«La giacca?» mi domandó con quella voce inconfondibile che mi fece sorridere istintivamente
«Si» sussurrai prima di afferrarla e dirigermi verso la porta dalla quale mia madre era già uscita
«Credo ci sia qualcosa nella tasca» mi liquidó poi indicando un punto sul mio capospalla e sparendo nuovamente dietro ai lavandini.
Alzai un sopracciglio interrogativa prima di varcare la soglia e dirigermi verso l'auto dove mi aspettava mia madre.
Mi sedetti sprofondando scomposta come al
solito sul sedile posteriore, e cominciai a rufolare nelle tasche del giacchetto quando un bigliettino accartocciato attiró la mia attenzione.
In un millesimo di secondo un'idea impensabile e altrettanto impossibile mi balenó in testa: mi aveva lasciato il suo numero.
Mi rigirai il bigliettino fra le mani ancora qualche secondo preoccupata di mandare a rotoli le mie fantasie da adolescente in preda agli ormoni.
Presi un respiro profondo e aprii velocemente il biglietto: uno scontrino del McDonald's vecchio di almeno due mesi.
Boom, cuore spezzato, sogni infranti.

Sì, il figone James alla fine non mi ha lasciato il suo numero, è la triste realtà

N.B/ non aggiorno finché la mia vita non mi ispira

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