capitolo 13

Words are very unnecessary, they can only do harm

Quella sera...

Eile
Dolce e simpatico Sherlock Holmes, molto pacato anche quando è arrabbiato.
Spero non ci crediate davvero.
Infatti in questo preciso momento il nostro caro consulente detective è su tutte le furie: non auguro a nessuno di essere al mio posto.

"TU NON PUOI ANDARE SU UNA SCENA DEL CRIMINE IN PIENA NOTTE E SENZA AUTORIZZAZIONE!!! HAI PERSO LA TESTA?!" mi sta urlando contro il mio simpatico coinquilino.

"Prima di tutto erano le otto e mezza di sera, quindi non era esattamente notte fonda. Secondo, amore della zia, non sei la persona adatta per farmi la predica su queste cose."

"Ok hai forse ragione sul secondo punto ma ciò non ti permette di violare la legge. Non è perché lo faccio io che devi farlo anche tu: non sono un buon esempio da seguire. Adesso vai in camera tua!"

"Si mamma..." rispondo mentre salgo le scale.

La mattina dopo...

La sveglia squilla alle sette precise ed in pochi minuti mi ritrovo vestita da capo a piedi nel salotto del 221B mentre tutti dormono, compreso Mr Simpatia Sherlock Holmes in persona.
Dovrò incontrare Alex al bar in fondo a Baker Street per un mese per via della promessa che ho fatto, quindi cerchiamo di farcelo piacere. Questa notte è nevicato come per magia e ora Londra è coperta da un sottile velo di neve. Apro la porta del bar e vengo sommersa da un profumo di caffè e di cioccolato.
Alex è seduto ad un tavolo nell'angolo di fianco alla vetrata e sta guardando qualcosa sul cellulare con molto interesse.

"Ciao scassinatore!" lo saluto mentre mi siedo davanti a lui e tolgo il cappotto.

"Ciao Occhi Di Gatto, ti aspettavo per pagare: ho voglia di un caffè macchiato e di un cookie al cioccolato." risponde lui ridendo sotto i baffi.

"Si lo so, devo tenere la mia promessa. Vado e torno subito!"

Qualche minuto dopo torno con il caffè e il cookie di Alex e una cioccolata e un cinnamon roll per me, pronta ad addentarlo.

"Allora, ehm... Ieri siamo entrati di nascosto in una casa e abbiamo rubato dei dati personali ma non sappiamo granchè uno dell'altra."

Fisso Alex per qualche secondo poi lui scoppia a ridere vedendo la mia faccia.

No Alex non è divertente.

"Va bene dai inizio io. Mi chiamo Alexander, sono cresciuto con i miei nonni a Londra perché non ho mai conosciuto i miei genitori. Fin da piccolo ho sviluppato una passione morbosa per tutto ciò che è anatomia, no non sono un pervertito oddio. Quando per esempio il gatto dei nonni ritornava la sera con dei topolini mi piaceva stare lì ad osservarli..." il ragazzo si dilunga raccontandomi della sua adolescenza, di come si rinchiudeva in camera ad ascoltare Smells Like Teen Spirit di giorno e Enjoy The Silence la notte, quando non riusciva ad addormentarsi. In seguito mi racconta di come abbia deciso di studiare medicina legale all'università e di come si sia ritrovato al St Barths. È solo quando tace e mi guarda come per esortarmi a raccontare che capisco che ora tocca a me raccontare quei pensieri un po... Scomodi diciamo...

"Avverto che quando devo parlare della mia vita divento alquanto emozionalmente instabile..."

Devo appoggiare la tazza di cioccolata fumante, da quanto le mie mani tremano e sudano.
A fatica prendo un respiro e mi butto. Inizio spiegando della mia famiglia. Papà che mi insegnava a ballare il twist e a giocare a golf, Mamma che mi intrecciava i capelli in mille modi diversi mentre le raccontavo delle mie peripezie alla scuola materna e che con cui giocavo a nascondino. Poi racconto della Zia Hellen che mi faceva suonare con il suo violino le ballate irlandesi, Zio Michael che mi portava al Luna Park con i miei cugini...
Arriva il momento di raccontare quella fatidica sera di dicembre in cui avvenne la tragedia. Quando finalmente ho finito mi rendo conto che stavo stringendo i pugni così forte da affondarmi le unghie nella carne.

"Dopo questo non è successo granchè nella mia vita. Mi hanno rinchiusa in un ospedale per un po' di tempo e ne ho subito le conseguenze. È questo che intendevo ieri sera quando ho detto che te lo avrei spiegato più tardi. Poi io..."

Non riesco più a controllare il mio corpo da quanto stia tremando da capo a piedi.
Devo andarmene via subito.

"Arrivo subito..." riesco a dire tra una scossa e l'altra.

Corro in bagno e chiudo la porta a chiave, quindi mi siedo sul pavimento, nonostante sia tutto bagnato e sporco. Dal mio zainetto tiro fuori una compressa di Bromazepam e la mando giù con un po' di acqua dalla bottiglietta che mi ero portata.
Forse dovrei stare più attenta con questa medicina eppure non ho potuto fare a meno di chiedere a John se ne aveva una scatola appena sono arrivata a Londra. Ho dovuto spiegargli dei miei attacchi di ansia o non me l'avrebbe data.
Appena sento che inizio a sentirmi un po' meglio esco dal bagno e torno al tavolo.

Alex è impallidito, non riesco a capire se è per l'orrore o per la vergogna.
"Io... Non pensavo... Scusa, non volevo metterti in quello stato chiedendoti di parlarmi di te."

"Non è colpa tua tranquillo..."

Per una buona decina di minuti regna il silenzio tra di noi, avvolto dalla confusione del bar intorno a noi.

"Forse dovrei andare al lavoro, devo analizzare quel campione di sangue. Chiamerò Sherlock quando avrò finito."

Alex si alza e mi saluta prima di uscire dal bar.
Brava Eile, sei riuscita a distruggere un'altra relazione di amicizia.

Sono tornata al 221B dopo l'incontro fallito con Alex e ora mi ritrovo coricata a testa in giù sul letto, con i piedi in aria e il sangue che mi va alla testa.
Direi che secondo me è la migliore posizione per riflettere, visto anche che sono in questa posizione da tre ore.

"Eile stai iniziando a preoccuparmi." Junie fa irruzione nella nostra stanza.

"Sto solo pensando, non mi voglio mica suicidare."

Improvvisamente il telefono fisso squilla e prima di rendermene conto sono in piedi e sto sfrecciando giù dalle scale.

"Sherlock Holmes consulente detective." risponde il mio coinquilino portandosi il telefono all'orecchio.
Segue un breve silenzio e Sherlock dice a chi è dall'altro capo del telefono che sta arrivando. Detto ciò, mette giù la cornetta e si infila il cappotto guardandomi dall'alto al basso.

"Allora Winchester sei interessata ai fatti miei?"

"Altroché."

"Alex ha analizzato il sangue sulla pentola, se vuoi seguirmi io vado al St Barths."

Non me lo faccio dire due volte, infilo il mio cappotto bordeaux e seguo Holmes fuori dalla porta.

"L'ho trovato!!!"
Alex sta saltellando in giro per il laboratorio come un bimbo sotto l'albero di Natale.

"Quindi?" Sherlock Holmes chiede al medico legale, mentre me ne sto in disparte. Forse è meglio che non dica altro per non peggiorare la situazione con Alex.

"Non ci credo! Per una volta so qualcosa che il grande Sherlock Holmes non sa!" esclama Alex buttandosi sulla sedia girevole di fronte al suo computer.

"Ehmmm... Ricomponiamoci."-aggiunge alla vista dello sguardo assassino del detective.-"L'uomo che ha ucciso Meredith Cabot si chiama Anders Lutherson. Ho fatto qualche ricerca su di lui anche se è già abbastanza conosciuto da Scotland Yard e dall'FBI." Alex si sistema gli occhiali e ci fa segno di avvicinarsi al computer. Sullo schermo compaiono delle innumerevoli foto segnaletiche raffiguranti un uomo dall'aspetto minaccioso, con una zazzera informe di capelli biondo topo e il viso pieno di cicatrici.

"È stato arrestato sei volte e altrettante volte è evaso da prigioni un po' ovunque nel mondo. Si erano perse le tracce di Lutherson o almeno si pensava, finché ricomparve ieri per uccidere una banale giornalista. Fa inoltre parte di un'associazione criminale conosciuta sotto il nome di Betathron che ha commesso una tonnellata di crimini che vanno da attentati terroristici a rapimenti. In confronto a loro, quelli della mafia giapponese sono amiconi."

Il mio sguardo si posa su Sherlock: è appoggiato con i gomiti sullo schienale della sedia di Alex, gli occhi colore del ghiaccio intenti a scrutare ogni dettaglio della foto di Lutherson.

"Ho un'osservazione, sempre se posso permettermi. Se questo Lutherson è evaso sei volte di prigione, non può essere tanto scemo da commettere un omicidio e lasciare delle prove evidenti sulla scena del crimine." faccio notare ai miei colleghi.
Sentendo la mia osservazione, vedo una scintilla brillare tra gli occhi di Sherlock Holmes.

"Arrivo subito, devo fare una chiamata." sussurra quest'ultimo prima di uscire dalla porta.

Cosa.

Sta.

Combinando.

Non so cosa gli stia passando per la testa ma temo il peggio, mi immagino già dover indossare di nuovo quella parrucca bionda e fingermi una gattamorta. Tanto lo so che verrà fuori con una delle sue tipiche idee alla Sherlock Holmes.

"Eile?"

Trasalisco e realizzo che Alex mi sta parlando.
"Scusami, ero persa nei miei pensieri."

"Volevo scusarmi ancora per stamattina. Non è da me scappare così all'improvviso ma il tuo racconto ha fatto tornare a galla dei ricordi... Mia nonna raccontava spesso di una bimba del quartiere scomparsa in un incendio. Ho ripensato a quella storia e il mio cervello è andato in tilt."

Allora faccio qualcosa che normalmente non mi sarebbe mai saltato in testa: abbraccio quel ragazzo (che in realtà è un uomo ma sorvoliamo) un po' timido e goffo che si trova davanti a me.

"Di solito non sono così impulsiva ma è meglio lasciar perdere. Che sia chiaro Alexander, non farti strane idee, voglio solo essere tua amica anche se ti conosco da un giorno."

Mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia sconcertata ma Sherlock Holmes irrompe nella stanza ed esclama tutto eccitato:

"Ho chiamato mio fratello e ho delle buone notizie: so dove trovare Anders Lutherson!"

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