IF WE EVER MEET AGAIN
Conobbi Enrico il primo giorno del quinto anno di liceo. Lui si era appena trasferito da un'altra scuola, dalla parte opposta della città, e per puro caso fu assegnato alla mia classe. Non era una bella classe, piena di fighetti ricchi e annoiati, il cui più grande problema era scegliere tra il tennis o un weekend a Ostia. Uscivano insieme, frequentavano i locali alla moda e bevevano cocktail dai nomi esotici, strisciando le carte di credito come se fossero giocattoli.
Io ero diversa, lo ero sempre stata, nonostante la mia famiglia fosse molto simile alle loro. Iniziai presto a disinteressarmi di tutte quelle dinamiche di classe, preferendo la compagnia degli altri outsiders della scuola, quelli che come me vestivano perennemente di nero, amavano le borchie e la musica rock. Non mi è mai importato granché del giudizio degli altri, sono sempre andata avanti per la mia strada.
Enrico era ancora diverso, con le sue magliette degli Slayer, le catene che spuntavano da ogni tasca di pantaloni e giacche, e la musica metal che usciva ad alto volume dalle cuffiette dell'i-pod. Anche lui non si curava dei pensieri altrui, in questo eravamo molto simili.
Fu il piercing al labbro ad attirare per primo la mia attenzione, mi chiesi come sarebbe stato baciarlo, se a lui desse fastidio e se a me avrebbe fatto male.
Lo scoprii un mese più tardi, avvinghiata a lui su una panchina di un parco in centro: non mi fece male, non gli diede fastidio.
La nostra fu una storia intensa, come solo quelle dei diciottenni innamorati sanno essere. Finí nella gloria del suo trionfo, quando lui decise di trasferirsi a Milano per proseguire gli studi, mentre io rimasi nella mia Roma. Ci salutammo urlandoci contro parole orribili, come solo due cuori spezzati sanno fare.
Non lo rividi più dopo quel giorno di ormai dieci anni fa, ma i miei pensieri indugiavano spesso su quel ragazzo alto e magro, dai capelli neri lunghi e ribelli, e quegli occhi azzurri come un cielo d'estate. C'erano stati altri ragazzi, altri amori, ma nessuno era riuscito a scalfire in me il ricordo di quella relazione così totalizzante e intensa, né l'amore che continuavo a provare per lui nei meandri del mio essere.
Sono cambiate tante cose dal liceo, sono cambiata soprattutto io. Ho smesso di essere arrabbiata con il mondo e con gli atteggiamenti delle persone nate con il portafoglio pieno. Ho compreso, forse mettendoci un po’ più di tempo del necessario, che la mia vita privilegiata avrebbe potuto darmi la spinta per migliorare questo piccolo angolo di vita in cui ero nata. Dismessi gli abiti con le borchie, mi ero dedicata anima e corpo agli studi per diventare assistente sociale, con enorme disappunto dei miei genitori, che mi volevano avvocato. Il primo lavoro era stato nei pressi di Corviale, dove il disagio sociale la faceva da padrone.
Adesso, dopo cinque anni, sono ancora lì, con il progetto di aprire un centro per i ragazzi che sembrano non avere opportunità, utilizzando i fondi dei miei genitori, che hanno visto la possibilità di pubblicità per la loro azienda grazie alla beneficenza. A diciott'anni non avrei mai accettato una cosa del genere, ma la maturità mi ha fatto capire che a volte i compromessi possono aiutare a rendere le cose migliori.
Non ho comunque dimenticato la ragazzina che ero, quella nascosta sotto la coltre di trucco pesante e vestiti neri, innamorata dei libri e delle storie romantiche, anche se nascondevo questa mia passione dietro a libri horror e dark. È per questo che sono qui oggi, al Festival del Romance a Milano. Da sempre prendo qualche giorno di ferie per questo evento, per potermi immergere nelle mie pagine preferite.
Quest'anno però sono in trepidazione per un motivo molto specifico: il mio autore preferito, Allan Howard, rivelerà la sua identità durante la manifestazione e io ho prenotato un biglietto in prima fila per assistere a questo evento. Sin dalla prima lettura ho sentito una connessione con questo scrittore, come se parlasse direttamente a me. So che è una cosa stupida, ma i suoi libri mi coinvolgono più di tutti gli altri, e io leggo parecchio.
Cammino tra gli stand tenendo tra le mani il suo ultimo volume “Emo love”, il mio preferito. La storia è così simile a quella che ho vissuto io con Enrico, che mi è sembrato quasi uno scherzo. In realtà credo che ci siano stati tanti amori come il nostro, anche se per me era unico e irripetibile.
Sono così assorta dai miei pensieri che non mi accorgo della persona davanti a me e sbatto violentemente contro la sua schiena, per poi finire rovinosamente a terra. Mi massaggio il naso dolorante e ci metto un po’ ad accorgermi della grande mano che vuole aiutarmi. La afferro, pronta a scusarmi per la mia distrazione, ma quando recupero la stazione eretta la parola si blocca, la bocca diventa secca e il mondo attorno a me scompare.
Il mio campo visivo è pieno di una figura familiare, alta e slanciata, con spalle definite avvolte da un pullover blu notte. I capelli neri sono corti e ordinati, il naso è più storto di quanto ricordassi e sulle labbra non c'è più il piercing. Quegli occhi azzuro cielo, però, li riconoscerei ovunque, anche tra cent'anni, anche in mezzo ad altri mille occhi dello stesso colore. Il cuore accelera quando capisco che anche lui mi ha riconosciuto, nonostante i miei capelli lunghi siano ora castano chiaro, il mio colore naturale, e non più neri e il trucco sia leggero, così diverso da quello che indossavo dieci anni fa.
La vita è strana. Non avevo più avuto sue notizie, avevo cancellato il suo numero e non lo avevo mai cercato sui social, nonostante la tentazione forte. Eppure lo incontro oggi, nella più bizzarra delle circostanze, almeno per due come noi. Abbiamo passato l'adolescenza tra il nero e le catene e ora ci ritroviamo qui, in mezzo al rosa e ai cuori.
«Veronica?» Il suo tono è un misto di incredulità ed aspettativa.
«En…» mi schiarisco la voce «Enrico?»
Il suo viso si apre in un sorriso sincero, uno di quelli che riservava solo a me, e io reagisco nello stesso modo, perché resistere è impossibile.
«Non ci posso credere, sei a Milano!»
«Già…» solo ora mi rendo conto che è curioso averlo incontrato oggi, nonostante venga a questo festival da cinque anni.
Io non so cosa dire, mentre lui continua a far scorrere il suo sguardo su di me, che con il vestito a maniche lunghe leggero mi sento un po’ in imbarazzo.
«Allan Howard?» chiede, osservando il libro che stringo al petto «Che fine hanno fatto Poe e Lovecraft?»
Una risatina nervosa esce dalla mia bocca «Sono sempre nella mia libreria, diciamo che ho un po’ ampliato i miei orizzonti letterari.»
Ripiombiamo di nuovo nel silenzio, circondati da gente che ci passa attorno senza curarsi della tempesta di emozioni che si è scatenata all'interno del padiglione.
«Posso…» si schiarisce la voce «Posso accompagnarti?»
Annuisco e arrossisco «Sto andando all'incontro con Howard, oggi rivelerà la sua identità. Ho un biglietto prenotato. Tu?»
«Anche io.»
Ci avviamo in silenzio, è così strano camminare di nuovo accanto a lui, ma al tempo stesso così naturale, come se il tempo non fosse trascorso.
«Ti piacciono i suoi libri?»
«Moltissimo. Soprattutto questo. Ogni tanto ho l'impressione che scriva solo per me.» Se mi crede matta non lo dà a vedere, probabilmente ricorda ancora le mie stranezze e fissazioni di adolescente.
«E a te? Non avevo intuito il tuo amore per il romance…»
«L'ho scoperto da qualche anno e… mi piace.»
In poco arriviamo davanti alla sala dell'incontro ed entrambi facciamo vedere il pass sul cellulare. Mi accompagna alla prima fila, dove mi attende la poltroncina con il mio numero. È un po’ laterale, ma le altre erano tutte occupate.
«Posso invitarti a prendere un caffè quando sarà finito?»
Il cuore accelera di nuovo e annuisco. Enrico mi dice che verrà lui a cercarmi, di restare al mio posto, poi si avvia verso la sua poltroncina e io cerco di quietare il mio cuore, che da quindici minuti sembra aver perso ogni ragione.
Quando il presentatore compare sul palco mi impongo di non divagare, dopotutto sono venuta qui soprattutto per questo momento, ma concentrarmi sulle sue parole è difficile, perché la mia mente è piena solo di Enrico e dell'amore che ancora provo per lui.
È solo quando Allan Howard fa il suo ingresso sul palco che la mia attenzione si focalizza su quell'uomo che mi parla attraverso i libri, che ho immaginato tante volte. Ma nessuna elucubrazione della mia mente sarebbe mai potuta arrivare alla verità.
Sulla poltrona rossa, al posto d'onore, si è appena seduto Enrico e il mio cervello va completamente in tilt. Non riesco a pensare, né a capire le parole che dice. Percepisco solo la risposta quando gli viene chiesto come mai la scelta di questo nome.
«Da Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. Sono i due autori preferiti di una persona per me molto importante. Non ha mai saputo che sono diventato uno scrittore, ma… Una parte di me ha sempre sperato che questi due nomi l'avrebbero riportata da me.»
Il cuore ormai è andato, impazzito completamente. Il respiro è corto e in tutto il corpo sento un formicolio strano. Non mi ero immaginata nulla: Allan Howard scriveva per me, nel vero senso della parola. Smetto di ascoltare, sono troppo sconvolta. Riesco a sentire solo una domanda dal pubblico, che chiede come arrivano le idee per i suoi libri.
«Non c'è una regola, mi lascio ispirare da quello che succede attorno a me. Oggi, per esempio, ho incontrato una persona per me molto importante, colei che ha ispirato il personaggio di Angelica di “Emo Love”, e vorrei scrivere di questo. Di quello che potrebbe essere, del futuro che immagino. Dell'amore che non si è mai spento.»
Non guarda nella mia direzione, ma quelle parole arrivano dritte al mio cuore, danno fuoco ad una speranza che non pensavo di avere, ma che, me ne rendo conto solo ora, è sempre stata dentro di me.
Sono solo in parte consapevole di quello che accade nella sala, dell'incontro che finisce e quando alzo lo sguardo trovo Enrico in piedi accanto alla mia poltrona. Non ho mai esitato nella mia vita e non lo faccio neanche ora. Mi alzo con le gambe molli, con tutto il corpo scosso da un tremito carico di aspettativa.
«Non voglio essere la protagonista di un libro.»
Rimane spiazzato dalle mie parole, non sa come interpretarle.
«Voglio che sia reale. Voglio che noi siamo reali.»
Il fiato che aveva trattenuto lascia le sue labbra con un rumore secco, le sue spalle si rilassano e in un battito di ciglia mi ritrovo contro il suo corpo, chiusa nella stretta delle sue mani, dolce e potente allo stesso tempo, esattamente come la ricordavo.
«Noi siamo reali. Aspettavo solo che tu mi ritrovassi.»
Non ho tempo di replicare. La sua bocca trova la mia e questi dieci anni di lontananza e silenzio vengono cancellati in un secondo. Avvolgo le mie braccia attorno al suo collo e un piccolo sorriso affiora sulle mie labbra mentre riprendo confidenza con i suoi baci. Per un attimo siamo di nuovo la ragazza emo che ama il suo ragazzo metal, che si sono rincontrati nella più bizzarra delle situazioni, almeno per due come noi.
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