38 - Il Lumaclub
Hogwarts, gennaio 1976.
Soffoco uno sbadiglio, mentre la mia piuma di fagiano scorre pigra sulla porosa superficie della pergamena, imbrattandola di parole e frasi sparpagliate qua e là, prive di coerenza e precisione, volte ad essere nient'altro che semplici appigli a cui ancorare i concetti essenziali della lunga e tediosa spiegazione del professor Binns.
Ammetto che Storia della Magia non si annovera certo tra le materie che preferisco. E non è che non la consideri interessante. Ma la voce monotona del docente (nonché l'unico fantasma a ricoprire tale ruolo in tutta Hogwarts) possiede quell'immancabile potere di annichilire ogni mio buon proposito di concentrazione.
I miei occhi vagolano distratti per l'aula, immersa in un torpore profondo. La maggior parte dei miei compagni mostra un'espressione vacua, con sguardi assenti, i pensieri persi chissà dove. A quanto pare, non sono l'unica a subire gli effetti devastanti del tono piatto del professor Binns.
Quando finalmente la campanella annuncia la fine dell'ora, come per magia la classe si risveglia, animando l'aula con un fuggi fuggi generale.
Insieme alle mie amiche, scivolo rapida in corridoio, puntando dritta alla Sala Grande. È ora di pranzo e la mia pancia non la smette di brontolare sonoramente, emettendo suoni che potrebbero far credere che io abbia un grosso rospo affamato al posto dello stomaco.
Non appena oltrepassata la soglia della Sala Grande, un delizioso profumino di roast beef e patate al forno mi solletica le narici, infliggendomi un'immediata fitta di fame.
Impaziente di metter qualcosa sotto i denti, mi avvio verso il tavolo di Grifondoro, ma non ho il tempo di compiere un passo che, d'un tratto, sbuca la sagoma panciuta del professor Lumacorno, il quale mi si piazza davanti, bloccandomi il cammino.
«Lily Evans, proprio te speravo d'incontrare!» tuona con voce gioviale, «Desideravo intercettarti prima di stasera. Ho organizzato una festicciola nelle mie stanze. È un evento privato, solo per gli studenti e le studentesse più promettenti. Naturalmente, spero che ci onorerai della tua presenza. Vengono anche la signorina Montgomery e la signorina Taylor, so che siete amiche...» propone affabile, torcendo con le dita le punte dei suoi baffoni da tricheco.
Colta alla sprovvista, esito un momento. Non è la prima volta che il professor Lumacorno tenta di invitarmi ad uno dei suoi famosi eventi esclusivi, riservati a un esclusivo circolo di studenti che lui stesso reputa "le stelle nascenti di Hogwarts", noto anche con il nome di Lumaclub. Finora sono sempre riuscita a scamparla, ma al momento ho davvero troppa fame per escogitare una scusa vagamente convincente. Perciò, seppur riluttante, mi trovo costretta ad accettare la proposta:
«Ma certo, professore. Ne sarei molto lieta» dico, cercando di suonare sincera.
Il volto del professor Lumacorno si illumina all'istante in un largo sorriso.
«Meraviglioso! Allora ti aspetto questa sera nel mio ufficio, alle otto in punto.» esclama tutto compiaciuto. E dopo avermi rivolto un piccolo inchino col capo a mo' di saluto, si avvia per lasciare la sala, probabilmente con l'intento di trovare altre "stelle nascenti" da adescare.
«Non dirmi che il vecchio Luma è riuscito ad abbindolarti, Lily!» mi rimprovera Marlene, non appena mi siedo a tavola, accanto a lei.
«Non ho potuto evitarlo, mi ha colto di sospresa,» ribatto spiccia, mentre mi riempio il piatto di roast beef e di patate. «Comunque, ci saranno anche Emilia e Priscilla. Non sarà così terribile»
«Più la combriccola arrivista e snob dei Serpeverde... Cerca di stare attenta, Lily! Non c'è da fidarsi di quelli lì» insiste Marlene, con un tono un po' troppo apprensivo per i miei gusti.
In parte comprendo il perché delle sue parole. Nessuna di noi ha dimenticato cosa è successo alla nostra amica Mary l'anno scorso, per colpa dei Serpeverde. Ma non mi piace che Marlene si rivolga a me come se fossi una bambinetta di cinque anni, sono perfettamente capace di badare a me stessa.
«Starò attenta» concedo, sforzandomi di non apparire accigliata. «Ad ogni modo, non credo ci sarà da preoccuparsi, fintanto che ci sarà Lumacorno nei paraggi. I Serpeverde non sono certo così stupidi da lanciar fatture anti-Nati Babbani di fronte a un insegnante!»
E concludo così il discorso, avventandomi vorace su un bel boccone di carne.
Il resto della giornata scorre via senza intoppi, scivolando placidamente nel buio invernale della sera. Allo scoccare delle otto, scendo in sala comune, pronta per andare alla festicciola di Lumacorno. Hestia e Mary, sedute sulle loro poltrone rosse preferite a finire i compiti, mi salutano allegre, augurandomi di trascorrere una buona serata. Marlene, invece, si limita a bofonchiare un «A più tardi» appena comprensibile, condito di un'eloquente occhiata tagliente di rimprovero. Comincio a sospettare che, forse, anche Marlene avrebbe voluto partecipare alla noiosa festicciola di Lumacorno e, a quanto pare, non deve aver gradito il fatto di non essere stata invitata.
Un poco indispettita dall'atteggiamento perennemente competitivo della mia compagna, scrollo le spalle come per liberarmi di un peso inutile, e mi avvio oltre il ritratto della Signora Grassa.
Giusto un attimo prima di voltare le spalle alla sala comune di Grifondoro, intercetto la figura di Alice, appollaiata su una poltroncina in velluto rosso, con l'immancabile tazza di tè fumante tra le mani. È insieme alle sue compagne di stanza, ma questo non le impedisce di dedicarmi un occhiolino. Io ricambio con un sorriso d'intesa, conscia di trovarla ancora qui, a fine serata, in attesa che io le racconti ogni singolo dettaglio dell'evento organizzato dal vecchio Luma.
Oltrepasso il passaggio nascosto dal ritratto della Signora Grassa e m'incammino giù per la scale e per i corridoi della scuola. Giungo in fretta davanti alla porta dell'ufficio di Lumacorno, da cui proviene un brusio soave, un miscuglio di voci e musica di sottofondo. Esalo un lieve sospiro rassegnato prima di bussare.
«Evans, benevenuta! Prego, su, entra.» mi accoglie entusiasta il professor Lumacorno sulla soglia, sventolando una mano verso l'interno della sala.
L'ufficio di Lumacorno è molto più ampio e raffinato di quanto immaginassi, un vivido riflesso dell'animo pomposo del suo proprietario. Davanti ai miei occhi si manifesta un tripudio di sontuosità ed eleganza ricercata, corredato di mobili pregiati, che ci si aspetterebbe di vedere più in un importante evento di gala piuttosto che ad una semplice cenetta con uno scarso numero d'invitati.
L'ambiente è inondato dalla luce calda di un elaborato lampadario d'oro appeso al soffitto; una tenue melodia d'arpa aleggia leggera, scaturita da un punto imprecisato della stanza che non sono in grado di identificare, come se le note sgorgassero direttamente dall'aria che respiro. Ogni oggetto che adorna la sala trasuda un senso di ricchezza e sfarzo, ed io comincio a sentirmi un po' a disagio di fronte a tutto questo lusso chiaramente ostentato. Sono presenti persino un paio di elfi domestici, probabilmente prelevati dalle cucine della scuola in vista dell'occasione, i quali zampettano tra le gambe degli ospiti, offrendo calici di idromele su larghi vassoi d'argento.
Con una veloce occhiata registro l'immagine generale della stanza: gli invitati sono sparpagliati qua e là, divisi per appartenenza di Casa o per conoscenze in scarni capannelli di studenti. In un angolo, stanzia il solitario gruppo dei Serpeverde che si tiene a calcolata distanza rispetto agli altri. Per fortuna, non c'è traccia di Alya Merope Black ed io non posso fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. In compenso, però, scorgo il profilo scuro e altero di suo fratello minore, Regulus Black. È incredibile quanto siano simili, non soltanto nell'aspetto, ma anche nell'atteggiamento. Come sua sorella, Regulus Black sfoggia il medesimo cipiglio freddo e superbo, tipico di chi, solo per diritto di nascita, si considera migliore di chiunque altro gli graviti intorno.
A qualche metro di distanza, c'è un gruppo assai più folto e assortito di studenti, composto principalmente da Grifondoro, Corvonero e un paio di ragazzi di Tassorosso.
Riconosco subito le sagome sia di Emilia che di Priscilla, perciò, dopo essermi congedata da Lumacorno, mi affretto a raggiungerle e unirmi al loro gruppo.
Mentre penetro la stanza, con la coda dell'occhio mi accorgo che alcuni Serpeverde, compreso Regulus Black, si sono voltati a guardarmi con occhi iniettati di gelido disprezzo. Non ho bisogno di essere una Legilimens (un mago o una strega capace di leggere la mente delle persone) per intuire quale insulto malevolo si sia insinuato nei loro pensieri nel momento in cui mi hanno vista varcare la soglia.
Tuttavia, non me ne curo e procedo dritta a testa alta, indifferente al loro sdegno. Saluto le mie compagne di Tassorosso e Covornero e mi unisco alle chiacchiere del gruppo.
Dopo qualche minuto, il professor Lumacorno ci richiama all'ordine, invitandoci ad accomodarci a un ampio tavolo rotondo, in pregiato legno di mogano, accuratamente apparecchiato con raffinata argenteria. I due elfi, appostati come minuscule guardie grinzose attorno alla tavola, schioccano le dita e, all'istante, nei piatti di ciascuno di noi compare una grossa porzione di pasticcio di rognone, mentre le caraffe in cristallo poste al centro del tavolo si riempiono di acqua e altro idromele ambrato.
Nel mentre che iniziamo a mangiare, il professor Lumacorno intavola quello che a me pare un vero e proprio interrogatorio, seppur mascherato da piacevole conversazione da sala, durante il quale domanda a ciascun ospite come sta il famigliare illustre con cui è fortuitamente imparentato, che sia il padre, lo zio o persino il lontano cugino di tredicesimo in grado. Ai pochi che non possiedono elementi abbastanza celebri fra i rami del proprio albero genealogico, invece, il professore dedica appassionati complimenti sugli ottimi risultati scolastici o nel Quidditch ottenuti negli anni.
Più di una volta mi ritrovo a dissimulare una risatina di scherno con un colpo di tosse, impegnandomi più che posso a mantenere un'espressione d'impassibile cortesia. Più che una cena, quest'evento mi pare piuttosto una sfilata canina, in cui Lumacorno si diletta a saggiare il valore di ogni singolo esemplare della sua preziosa collezione di "stelle nascenti". Arriccio le labbra in una smorfia, maledicendomi in silenzio per aver accettato l'invito.
D'un tratto, il pomposo flusso di domande e lodi di Lumacorno viene bruscamente interrotto da ripetuti colpi battuti alla porta dell'ufficio. Uno degli elfi scatta immediatamente al cenno di capo di Lumacorno e corre ad aprire.
Sento il mio stomaco contorcersi e arrotolarsi in una capriola quando sulla soglia compare Sirius Black.
«Perdoni il ritardo, professore. Avevo un compito urgente da terminare» dice Sirius, ma è chiaro che non si sta scusando veramente. L'espressione neutra che gli campeggia in volto tradisce il suo evidente desiderio di trovarsi altrove, ovunque purché non qui.
Ma Lumacorno pare non accorgersene e lo accoglie estasiato, guardandolo come se si trattasse di un pezzo d'argenteria particolarmente pregiato.
«Sirius Black, che piacere straordinario!Non hai bisogno di scusarti. Come dico sempre 'prima il dovere, poi il piacere'. Ma non startene lì impalato! Siediti pure, abbiamo appena cominciato a mangiare.»
Sirius rivolge al professore il suo sorriso più affabile, per poi incamminarsi baldanzoso verso il nostro tavolo. Tuttavia, non appena il suo sguardo incrocia quello di suo fratello Regulus, un'ombra improvvisa gli cala sul volto. L'espressione, dapprima distesa e un poco sorniona, gli diventa di granito, la bocca si trasforma in una linea sottile, annunciatrice di minaccia. Dall'altra parte del tavolo, Regulus Black non batte ciglio, ricambiando Sirius con uno sguardo impenetrabile, velato di una glacialità così intensa da mettere i brividi. Per la frazione di un istante, l'aria si carica di una cupa tensione, gravida di rabbia e di disprezzo.
Ma poi Sirius distoglie rapidamente lo sguardo, quasi a voler far intendere di quanto poco gli importi della presenza del fratello, tornando alla sua usuale tracotanza. Con i suoi occhi scintillanti setaccia attentamente il resto della tavolata, alla ricerca di un posto libero dove sedersi.
Avverto una seconda stretta allo stomaco e un poco mi irrigidisco, quando realizzo che il posto da lui scelto è proprio quello accanto al mio. Mi piace pensare che non sia un caso, che Sirius lo abbia scelto apposta. Sospiro, dandomi tacitamente della stupida per aver creduto, anche solo per un momento, a una simile fantasia.
Intanto, il professor Lumacorno riprende la sua fastosa conversazione con gli studenti; in un attimo, il tavolo si immerge in un sommesso groviglio di complimenti, adulazioni, finte risate e il cristallino tintinnio delle posate.
«Devo ammettere che sono sorpreso di trovarti qui, Evans» esordisce piano Sirius, sussurrandomi all'orecchio. Il suono caldo della sua voce mi solletica la pelle in un modo tutt'altro che spiacevole. Ancora una volta mi sento come paralizzata. «Fra tutti quelli che il vecchio tricheco ha invitato stasera, tu sei di certo la persona che meno mi aspettavo di incontrare. Non ti facevo quel tipo di ragazza attratta da certi generi di sfarzi...»
«Infatti non lo sono!» ribatto indignata, cercando di mantenere un certo contegno, «È solo che Lumacorno mi ha propinato l'invito di punto in bianco e non sono riuscita a inventarmi una scusa abbastanza convincente per evitare questa cena!»
Agguanto il mio calice di idromele e butto giù un sorso, per calmarmi. Sirius mi osserva sottecchi, la bocca increspata in un ghigno ironico, indecifrabile.
«Ad ogni modo, lo stesso discorso vale anche per te! Cosa ci fai tu qui?» rintuzzo veloce, scoccando a Sirius un'occhiata inquisitoria.
In risposta, lui sghignazza sotto i baffi, come se vedermi stizzita lo divertisse.
«Diciamo che mi è stato caldamente raccomandato di venire.» si limita a rispondere, con un velo di sarcasmo. E senza aggiungere altro, si arma di forchetta e di coltello e incomincia a mangiare.
La cena procede con ipocrita lentezza, che propone come portata principale gli insipidi aneddoti raccontati dalla bocca ormai impastata dal troppo idromele (e forse non solo quello) del professore, risate finte e accomodanti come contorno e un'acidula insofferenza come dessert, guarnita da una spessa glassa d'apparenza. Il tutto non dura che poco più di un'ora, benché personalmente mi appaia una tortura verbale lunga come secoli. Ancora mi chiedo cosa mi abbia spinto ad accettare l'invito a questa festa.
L'unico elemento che mi tiene ancorata alla mia sedia, impedendomi di sciorinare una scusa qualsiasi e di andarmene, è la consapevolezza di avere Sirius Black seduto accanto a me, benché non abbia spiccicato una parola per tutta la durata della cena; assiste alle conversazioni che rimbalzano da un lato all'altro della tavola immerso in un solido mutismo, frammisto a un'esplicita indifferenza.
Mai una volta, nemmeno per sbaglio, il suo sguardo si sofferma su suo fratello Regulus, il quale, a differenza sua (e mia) pare sappia destreggiarsi con mirabile eleganza in questa danza di lodi e patetiche modestie.
Una parte di me freme di chiedergli come si sente. Ma le parole mi si impigliano in gola, restano lì ferme, conscie di non possedere alcun potere in grado di scalfire quella corazza impenetrabile che avvolge Sirius come un'armatura.
Taccio e aspetto il lento esaurirsi dei minuti. Forse, se ci si presentasse l'occasione di sfuggire a questa folla, di rimanere soli, io e Sirius riusciremmo finalmente a parlare per davvero, senza muri e impedimenti.
Ma, a quanto pare, Sirius non la pensa come me. Per quanto immobile sulla sedia, percepisco chiaramente la sua impazienza allungarsi nell'aria che lo circonda e, quando finalmente Lumacorno annuncia dispiaciuto lo scoccare del coprifuoco e la conseguente fine della festa, Sirius scatta in piedi, bofonchia un ringraziamento risicato all'indirizzo del docente e se ne va, dileguandosi veloce, così com'è apparso, oltre la soglia della porta.
Trattengo a stento l'impulso di seguirlo e approfittare così del tragitto che si allarga tra l'ufficio di Lumacorno e la Torre di Grifondoro per restare sola con lui, senza altri inutili presenti a fare da contorno. Eppure, non mi muovo di un passo, perfettamente consapevole di quanto sospetto risulterebbe un tale comportamento, limitandomi a scoccare uno sguardo triste e rassegnato alla porta.
Esco dalla stanza in compagnia di Emilia Taylor (Priscilla, invece, si è attardata a chiacchierare con un ragazzo), solo una manciata di minuti dopo. Io ed Emilia condividiamo pochi metri di cammino, poi lei prende un'altra strada, verso le cucine, dove è nascosta l'area riservata ai Tassorosso.
Ci salutiamo con affetto, promettendoci di incontrarci più spesso, anche solo per studiare insieme, come eravamo solite fare l'anno scorso. Dopodiché resto di nuovo sola, immersa nel cupo silenzio che permea i sotterranei.
Colta da un'inquietudine infantile, affretto il passo, decisa ad abbandonare il prima possibile questa tetra zona del castello.
«Evans»
Una voce leggermente roca emerge, tutt'a un tratto, da un angolo buio del corridoio. Colta alla sprovvista arresto il passo, scossa da un brivido che nulla ha che vedere con le mie paure di bambina verso l'oscurità che mi circonda.
Mi volto e due occhi grigi, scintillanti come stelle nella notte, mi si incollano addosso, squadrandomi da capo a piedi con la loro indecifrabile intensità.
«Black» pronuncio incerta, mentre avverto il battito del mio cuore accelerare.
Non appena articolo il suo nome, Sirius Black stacca il corpo dalla parete in pietra che cinge i sotterranei, annullando con passi decisi la poca distanza che ci separa.
«Credevo fossi già tornato alla Torre.»
«Ci stavo giusto andando...» ribatte Sirius, lasciando però in sospeso la fine della frase. Il suo sguardo si assottiglia, saggiando lo spazio dietro le mie spalle con rimprovero.
«Sei sola» osserva con strano cipiglio, «Dove sono le tue amiche? Taylor e quell'altra Corvonero... come si chiama? Montgomery... Perché non state tornando insieme?»
Un poco interdetta da questo inaspettato interrogatorio, scocco a Sirius un'occhiata confusa.
«Emilia è già arrivata alle cucine, nell'area di Tassorosso. E Priscilla... Be', credo si sia appartata da qualche parte a sbaciucchiarsi con un ragazzo.» rispondo spiccia, scrollando le spalle.
Sirius sbuffa infastidito, aggrottando la fronte e affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Be' non è prudente girovagare in questa zona del castello da sola.» borbotta cupo.
«Temi forse che uno dei fantasmi di Hogwarts possa tendermi un agguato?» rintuzzo ironica, fulminandolo con sfida.
Ma la serietà di Sirius non si scompone, resta intatta, luccicando ardente nelle sue iridi d'argento.
«È di ciò che striscia nell'ombra che ho paura. E, qui, in quest'area del castello di essere viscidi ce ne sono fin troppi.» sentenzia, con voce cupa, gli occhi persi a contemplare l'oscurità dietro di noi.
Poi, con un sospiro si ricompone, tornando alla sua solita aria da spaccone, condita da quel sorriso storto e malandrino che da sempre lo contraddistingue.
«Be', dal momento che siamo entrambi qui, Evans, tanto vale procedere insieme. Così da guardarci le spalle a vicenda» dice, ammiccando al mio indirizzo.
Il mio cuore salta un battito e mi sento subito avvampare.
«Come vuoi, Black. Mi assicurerò che nessun fantasma ti rapisca» mi affretto a replicare, tentando di suonare naturale.
Sirius sghignazza ed io sorrido di rimando. La cupa tensione di cui era vestito Sirius un attimo fa, silenziosamente si sgretola, dissolvendosi nell'aria che ora percepisco di gran lunga più leggera.
L'uno accanto all'altra, avanziamo lungo il corridoio, accompagnati dalla luce fioca delle torce, che timidamente tremolano appese in alto alle pareti.
«Che ne pensi della cena di stasera?» domando, con il solo tentativo di rompere il silenzio che ci avvolge.
«Assolutamente deliziosa» esclama con ironia tagliente, storcendo le labbra in una smorfia.
«Per questo te la sei data a gambe poco fa?»
«Avevo bisogno d'aria. Tutto quel parlare e straparlare del tricheco cominciava sembrarmi un po' indigesto» proclama Sirius dissimulando - male - un autentico disprezzo.
«Ancora non mi hai spiegato come mai sei venuto...»
«Sono stato obbligato» risponde con semplicità. «Dalla McGonagall. E da Silente.» aggiunge poi, anticipando la curiosità che mi si è incastrata tra le ciglia.
«Silente ti ha obbligato a venire alla cena di Lumacorno questa sera?» ripeto sorpresa, come a chiedere conferma che non mi stia prendendo in giro.
Ma lui abbassa e alza il capo, in segno di assenso, mentre un angolo della bocca si curva all'insù, disegnandogli una virgola amara sul volto.
«Questa sera, sì... più tutte quelle a venire. Al vecchio Luma piace la costanza, organizza cene come questa almeno una volta a settimana. Ed io sono costretto a parteciparvi.»
«Fino a quando?» chiedo allibita.
«Fino alla fine della mia permanenza a Hogwarts» replica Sirius categorico. Ride, nel vedermi strabuzzare gli occhi. Ma è una risata priva di allegria.
«Eh già, fino a nuovo ordine questa sarà la mia punizione, fintanto che sarò a scuola. Secondo Silente, stare lontano da James e gli altri e frequentare altre compagnie, seppur solo una volta a settimana, dovrebbe aiutarmi a farmi riconsiderare le mie priorità, qui a Hogwarts» spiega con voce amara.
«Punizione?»
«Sì, be'... per la faccenda di Piton...» dice in sussurro, quasi come se pronunciare queste poche parole gli costasse una gran fatica.
Ancora una volta, lascia in sospeso la frase. Vorrei porgli altre domande, per comprendere cosa sia successo fra lui e Piton in quella fredda notte di dicembre, ma l'ombra cupa che è colata improvvisamente sul volto di Sirius annulla ogni mia intenzione di approfondire la questione.
Sirius tace a lungo, assorto nei suoi pensieri. Un silenzio pesante cala su di noi, mentre ci allontaniamo dai sotterranei, avanzando lungo lo scalone che conduce alla Torre di Grifondoro. Soltanto l'eco dei nostri passi rimbomba grave sulla pietra dei gradini.
Restiamo così, senza dire nulla, per tutto il resto del tragitto. Nel frattempo, la mia mente lavora veloce; mi arrovello, domandandomi se sia opportuno dire qualcosa, qualsiasi cosa pur di rompere questo denso silenzio tra di noi. Ma Sirius si è ormai barricato dietro un muro spesso, invalicabile e la paura di pronunciare anche solo una parola sbagliata mi impedisce di aprire bocca.
Insieme, ancorati ognuno al proprio mutismo, superiamo il ritratto della Signora Grassa e rientramo nella sala comune di Grifondoro, totalmente deserta, soltanto il vivace scoppiettio del fuoco ci accoglie.
Nel momento in cui mi volto verso Sirius, per augurargli impacciata una sbrigativa "buonanotte", lo sento emettere un flebile sospiro. La sua espressione muta ancora, distendendosi in un sorriso che mi appare imbarazzato.
«Tornerai la settimana prossima? Al Lumaclub?» domanda esitante, passandosi veloce una mano tra i capelli corvini.
La richiesta mi piove addosso così inaspettata che tentenno, tardando la risposta.
«Capisco se non vuoi... questa cena è stata così noiosa! Pure io farei di tutto per evitarla, se non fossi obbligato...Ma, ecco... se ci andassimo insieme mi sembrerebbe molto più sopportabile»
E nel pronunciare quell'insieme, il mio cuore capitombola, mentre la mia bocca si allarga in un sorriso radioso.
«Tornerò.» proclamo senza esitazione, cedendo così a Sirius il turno di sorridere, a mo' di ringraziamento.
«Bene. Allora buona notte, Evans» dice, infine, prima di svanire oltre la scala a chiocciola del dormitorio maschile.
E, con il cuore gonfio di una pazza gioia e di speranza, mi avvio anch'io verso la mia stanza.
Nota Autrice:
Scusate la lunga attesa, ci ho messo un sacco di tempo a scrivere questo capitolo. Non ero particolarmente ispirata, lo ammetto. Infatti, non mi convince molto, non ne sono per niente soddisfatta.
Ma ho bisogno di andare avanti, perciò lo pubblico lo stesso così com'è venuto.
Ditemi comunque cosa ne pensate, ogni feedback è sempre bene accetto ❤️
Grazie come sempre per il vostro supporto ♡
~Vale
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