31 - Un Perdono Negato...
Hogwarts, Torre di Grifondoro. Giugno, 1976.
Lily
Immersa nel denso silenzio che impera nella mia stanza in dormitorio, mi accingo a sfilarmi di dosso l'uniforme e a indossare il pigiama. Mentre mi preparo per la notte, getto un'occhiata veloce alla sveglia babbana sul mio comodino. Le lancette segnano a malapena le dieci di sera. È ancora presto per andare a dormire, soprattutto ora che i G.U.F.O. sono finalmente terminati.
Dovrei essere di sotto, in sala comune, insieme alle mie compagne, le quali staranno certo festeggiando la fine degli esami. Tuttavia, stasera non ho nessuna voglia di stare in mezzo ad altra gente, men che meno di far festa. Sono esausta, sento il peso di quest'assurda giornata gravarmi addosso come un macigno. Tutto ciò che desidero, adesso, è infilarmi sotto le coperte e annullare totalmente il flusso concitato di immagini e parole che mi affollano la mente.
Un'impresa che so già essere impossibile, visto che l'infido ricordo di ciò che è successo oggi in riva al Lago Nero, ancora mi perseguita, riempiendomi il cuore di rabbia e di tristezza.
Esalo un lungo sospiro, saturo di sconforto, mentre tento in ogni modo di mettere a tacere quell'unico pensiero che torna puntualmente a lambirmi l'umore. Invano.
L'immagine di Severus, riverso a terra vicino alla sponda del lago, e del suo sguardo nero e liquido come inchiostro, stillante di collera e umiliazione continua a baluginare sleale nella mia memoria. Ma ciò che più di tutto mi tormenta è il ricordo delle sue parole, sibilate a denti stretti, impregnate di un disprezzo così velenoso da far accapponare la pelle.
Sanguemarcio.
L'insulto che Severus mi ha rivolto continua ad assillarmi, a ribombarmi nella testa come un disco rotto. Al ricordo di quell'unica, imperdonabile parola sento lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa. La rabbia, che per l'intera giornata ho cercato di domare, di reprimere in modo da superare con dignità il mio ultimo esame di Trasfigurazione, tutt'a un tratto si riaccende, insieme a una sottile mestizia, nata dall'amara consapevolezza che qualcosa di assai prezioso ed importante della mia vita è finito miseramente in pezzi. E in modo irreparabile.
Il termine con cui Severus mi ha apostrofata poche ore fa è meschino, oltre che ignobile; senza contare che l'odio con cui l'ha pronunciato è stato fin troppo intenso perché io possa ignorarlo. Il fatto è che Severus, colui che da sempre consideravo il mio migliore amico, non ha avuto alcuna remora a ferirmi, a trattarmi come se per lui non valessi nulla.
Da anni, una guerra incombe sul nostro mondo. Fuori le sicure ed imponenti mura di Hogwarts, Tu-sai-chi sta guadagnando sempre più potere, accerchiandosi di creature e maghi altrettanto malvagi, con l'unico scopo di eliminare coloro che egli considera inferiori e, pertanto, non degni di esistere, se non come schiavi od oggetto di scherno. Babbani, maghinò, Nati-Babbani... I Mangiamorte - ovvero i seguaci di Tu-sai-chi - sono persone perfide, assassini senza scrupoli. Si dilettano a torturare e ad uccidere chi, per loro, non risulta degno di appartenere al mondo magico.
Per questo motivo, mi è impossibile perdonare il gesto di Severus. La parola Sanguemarcio, che mi ha sputato addosso oggi, non rappresenta soltanto un semplice insulto, un'offesa sulla quale sorvolare. Il disprezzo che essa cela è assai più pericoloso, oltre che suggerire il tipo di mago che Severus aspira a diventare.
Un brivido gelido corre lungo la mia schiena, mentre paura e rabbia mi attanagliano le viscere. Per un fugace istante, avverto un bruciore sleale salire agli angoli degli occhi. Vorrei piangere, buttare fuori in qualche modo il senso di angoscia che mi affligge. Ma nessuna lacrima mi scivola sulla pelle del viso. Le ho già sprecate tutte stamattina. Ed ora non mi rimane altro che una collera dilaniante.
Scuoto energica la testa, nel vano tentativo di scacciare via le ombre e i lugubri pensieri che mi vorticano nella mente. Mi concentro su nient'altro che la rassicurante meccanicità delle azioni quotidiane. Dopo essermi infilata la vestaglia, come un automa ripiego con cura maniacale gli indumenti utilizzati durante il giorno e li ripongo nel mio cassetto della cassapanca presente in camera.
È giunto il momento di mettermi a dormire e, soprattutto, di spegnere i pensieri. Il mio unico desiderio è quello di fuggire dal dolore che mi tormenta, anche solo per poche ore. E, magari, di scoprire l'indomani che tutto ciò che ho vissuto stamane altro non si è trattato che di un incubo.
Tuttavia, non faccio nemmeno in tempo a scostare le tende rosse del mio letto a baldacchino che, all'improvviso, la porta della stanza si apre, emettendo un timido cigolio. Sulla soglia compare Mary, la quale mi scocca un'occhiata vagamente allarmata.
«Ehm... c'è Piton di sotto...» mi avverte, con tono incerto.
«Mandatelo via. Non voglio vederlo» dichiaro categorica.
«Ci abbiamo provato, sul serio Lily! Gli abbiamo ripetuto più volte di sparire, di lasciarti in pace... Marlene per poco non gli ha scagliato addosso una fattura... Ma Piton non ci dà ascolto! Ha detto che aspetterà fuori dall'ingresso della Torre finché non uscirai a parlargli, che dormirà persino sul pianerottolo delle scale se necessario» spiega la mia amica tutto d'un fiato, guardandomi con espressione desolata.
«E va bene...» sospiro arresa, «Vediamo di mettere fine a quest'inutile sceneggiata».
E, con il cuore che mi batte all'impazzata per la rabbia, in vestaglia esco fuori dalla camera. Attraverso a gran falcate la sala comune che, con mio grande sollievo, scopro essere semi deserta. Ci sono soltanto un paio di ragazze del sesto anno, oltre a Hestia e Marlene, le quali mi gettano occhiate preoccupate non appena faccio il mio battagliero ingresso nella stanza. In segreto, ringrazio il cielo che non vi sia traccia dei quattro Malandrini. Sono troppo fragile in questo momento per riuscire a sopportare la presenza sia di Potter che di Sirius (benché per motivazioni totalmente differenti). Senza contare il rischio dell'ennesimo scontro di incantesimi. Sono certa che i Malandrini darebbero di matto se scoprissero che un Serpeverde ha osato metter piede in un'area riservata a Grifondoro.
Tuttavia, questa situazione non ha nulla a che vedere con quel gruppetto di bulli arroganti e scapestrati. Riguarda soltanto me e Severus, e nessun altro.
Attraverso a passi decisi il tunnel d'ingresso della Torre e, una volta fuori dal buco celato dal ritratto della Signora Grassa, mi ritrovo davanti la figura smilza e scura di Severus, con il volto contratto in un'espressione ansiosa, pallido come un cencio.
Non appena mi vede uscire fuori dal pertugio dietro al quadro, un bagliore di speranza gli attraversa le pupille.
«Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui.» mi affretto a specificare, con tono freddo e risoluto, le braccia incrociate davanti al petto.
«L'avrei fatto!» dichiara Severus con disperato ardore. «Lily, ti prego, credimi. Io non volevo chiamarti Sanguemarcio, mi è...»
«... scappato?» lo interrompo io gelida, senza lasciargli il tempo di terminare la frase. I miei occhi lo fissano con sdegno, privi di quel perdono che Severus disperatamente sta cercando. «Troppo tardi. Ti ho giustificato per anni. Troppo a lungo ho fatto finta di non vedere che tipo persona sei in realtà... Nessuno dei miei amici riesce a capire come mai ti rivolgo la parola. Tu e i tuoi cari compagni di Serpeverde... i futuri Mangiamorte! Vedi, non lo neghi nemmeno. Non neghi nemmeno quello che volete diventare! Tu non vedi l'ora di unirti a Tu-sai-chi, vero?».
Taccio un secondo per riprendere fiato, per riacquistare il controllo di me stessa e delle mie emozioni. Una rabbia bruciante mi ribolle nel sangue, basta poco perché prenda il sopravvento.
Nel frattempo, continuo a scrutare Severus con sguardo impassibile ed impietoso. Lo vedo aprir bocca, ma la richiude subito, senza proferire parola. Nessuna scusa, nessun tentativo di confutare ciò che ho appena affermato su di lui e sulle sue intenzioni. Un sospiro saturo di delusione mi scivola fuori dalle labbra.
«Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia» dichiaro con fredda decisione.
«No... senti, io non volevo...» insiste Severus, debolmente.
«... chiamarmi Sanguemarcio?» lo rimbecco io, con un sorriso amaro, privo di allegria, stampato in volto. «Ma è così che consideri tutti quelli come me, Severus. Perché io dovrei essere diversa?»
Ancora una volta, lo vedo aprir bocca, per poi tentennare, farfugliare frasi incoerenti, incomprensibili. Intuisco che sta cercando le aprole più adatte per giustificare ciò che ha fatto, ma senza successo. E come potrebbe? Non c'è nulla ormai che possa rimediare la situazione.
Incapace di ascoltare oltre le sue inutili giustificazioni, rivolgo a Severus un ultima occhiata sprezzante, prima di voltarmi e varcare il buco del ritratto della Signora Grassa. Il quadro, come l'anta di una porta pesantemente si richiude dietro le mie spalle, lasciando Severus fuori dalla Torre di Grifondoro. E, al contempo, anche dalla mia vita.
Come ho ribadito io stessa poco fa, Severus, oramai, ha fatto la sua scelta. Ha imboccato la via delle Arti Oscure, addentrandosi in luoghi in cui non ho nessuna intenzione di seguirlo.
Quando rientro in sala comune, c'è solo Marlene ad accogliermi. Hestia e le altre ragazze del sesto anno devono essersi ritirate in dormitorio.
«Ehi, Lily...» esordisce Marlene, con cautela. «Cos'è successo lì fuori, con Piton?»
«Non ho voglia di parlarne» ribatto secca, senza nemmeno guardarla, gli occhi fissi al pavimento.
«Sicura? Guarda che...» prova a insistere la mia amica, ma io la zittisco prima ancora che possa terminare la frase.
«Ho detto che non voglio parlarne» ripeto, con un tono assai più brusco di quanto avrei voluto in realtà.
Sollevo lo sguardo da terra e lo punto su Marlene, supplicandola in silenzio di non insistere oltre.
«Ho solo bisogno di stare da sola adesso. Torna pure in camera dalle altre, non preoccuparti per me. Tra non molto vi raggiungo...» aggiungo, con voce più calma, ma allo stesso tempo definitiva.
Marlene annuisce, seppur riluttante. So che è in ansia per il mio attuale stato d'animo e che vorrebbe aiutarmi a stare meglio. Apprezzo che si preoccupi per me, ma al momento qualsiasi tentativo di conforto risulterebbe inutile.
«D'accordo, però cerca di non attardarti troppo a... rimuginare» si raccomanda Marlene, lanciandomi un'occhiata un po' troppo comprensiva per i miei gusti.
«Ti aspetto di sopra» dice, infine, prima di avviarsi verso la scala che conduce al dormitorio femminile di Grifondoro.
Rimasta sola, mi affloscio sulla mia poltrona preferita, vicino al camino. Sollevo le gambe e poggio i piedi sul morbido velluto color cremisi. Stringo forte le ginocchia al petto e resto ferma, con lo sguardo incollato sulle fiamme che vorticano sinuose sulle braci.
Guardo a lungo il fuoco dentro alle fauci in pietra del camino, senza però vederlo veramente. I miei pensieri sono altrove.
L'impeto di rabbia che mi ha investito pochi minuti fa è ormai scemato, cedendo il posto a un altro tipo di sentimento, assai più logorante. Una densa tristezza si è improvvisamente impossessata del mio cuore, del mio animo, insinuandosi in profondità.
Gli occhi ricominciano a bruciare, la vista di colpo mi si appanna. D'un tratto, percepisco qualcosa di caldo e umido scivolarmi sulle guance. Le lacrime, alla fine, sono tornate. Copiose mi solcano la pelle del viso, impregnandola di tutta la loro disperata amarezza.
Nota Autrice:
Ormai i miei interventi a pie' di pagina sono diventati un vizio :P!
Questo capitolo è un po' più corto rispetto agli altri, ma spero possiate apprezzarlo lo stesso.
È stato difficile da buttare giù, ammetto di averlo iniziato, cancellato e riscritto un paio di volte.
Come nei capitoli precedenti, parte del dialogo tra Lily e Severus è stato preso dalla saga originale di Harry Potter (I Doni della Morte, per essere precisi).
Stavolta, non mi dilungo oltre ;D
Vi auguro una buona lettura!!
E dedico un grazie speciale, come sempre, a tutti coloro che continuano a leggere e a sostenere questa ff ❤.
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