28 - La Minaccia della Serpe

Hogwarts. Giugno, 1976.

Un fascio di luce lattiginosa filtra attraverso le alte vetrate presenti in Infermeria, infiammando le poche briciole di polvere fluttuanti nell'aria.

Madame Pomfrey maneggia con accademica attenzione il polso storto di Marlene, la quale ogni tanto abbozza una smorfia di dolore.
Io, Mary e le due ragazze di Corvonero assistiamo alla scena in religioso silenzio, col fiato mozzo per la preoccupazione. Hestia ed Emily Taylor, invece, sono corse subito a cercare la professoressa McGonagall per informarla su ciò che è successo.

O, per meglio dire, su ciò che tutti credono che sia successo.

Come Marlene, anch'io arriccio per istinto le labbra in una smorfia contrariata, benché sia alle prese con ben altro tipo di tormenti, che nulla hanno a che vedere con il dolore fisico. Dentro di me imperversa una furiosa battaglia tra la mia severa coscienza e una viscida paura, una debolezza che mai, fino ad oggi, avrei pensato mi appartenesse.

Il ricordo di ciò che è avvenuto poco fa nel giardino della scuola è ancora bell'impresso vivido nella mia mente, rendendomi profondamente inquieta e, soprattutto, delusa da me stessa.
Rammento con immenso rimorso il momento in cui, seppur per sbaglio e senza alcuna volontà di agire in quel modo, ho inavvertitamente scagliato addosso a Marlene una fattura, la stessa che poi l'ha fatta capitombolare a terra, fratturandole il polso.

Ma ciò che più di ogni altra cosa mi tormenta e che mi fa vergognare di me stessa sono gli eventi che sono avvenuti dopo l'incidente.

Ricordo lo sguardo di Sirius fisso sul braccio di Marlene, vibrante di rabbia. Un brivido percorre rapido la mia schiena, al pensiero di quelle iridi glaciali, di colpo animate da una furia che mai gli avevo visto addosso.

«Per la barba di Merlino, ragazza mia, ma come hai fatto a torcerti il polso in questo modo?» domanda brusca Madame Pomfrey, osservando il braccio di Marlene come se stesse studiando una strana scultura di dubbio gusto.

«Sono caduta...» risponde Marlene con tono lugubre.

«Da una scopa?» la rimbecca l'infermiera, ipotizzando, a quanto pare, un allenamento di Quidditch improvvisato.

Marlene scuote la testa con vigore, in segno di dissenso. Apre la bocca per parlare, ma Priscilla Montgomery la anticipa, intervenendo al suo posto.

«Nessuna scopa. McKinnon è stata affatturata!» dichiara con fermezza.

Lo stomaco mi si stringe in una morsa dolorosa, la bocca si serra, la mandibola diventa di granito. Dentro di me, il rimorso esplode, infuria come una tempesta.

«Da chi?» domanda Madame Pomfrey con disapprovazione.

Stringo forte i pugni appoggiati sull'orlo della gonna della mia divisa. Le mie labbra scattano, si aprono come le porte di una nera prigione, pronte a sputare fuori la mia colpevolezza.

«Dalla Black. È stata Alya Merope Black!»

Ancora una volta la voce di Priscilla Montgomery interviene veloce e sicura, sovrastando il mio timido intento di confessione.
Articola, decisa come un boia, il nome del colpevole. Peccato che sia lontana anni luce dalla verità. Peccato che il vero colpevole non abbia il coraggioso istinto di metterla a tacere e spiegare come sono andati realmente i fatti.

Richiudo la bocca e deglutisco, ingoiando in silenzio l'amaro boccone della mia codardia. Il momento è passato, l'impeto di ammettere la realtà della vicenda svanisce. Taccio, scaricando il fardello della colpa sulle spalle di una ragazza innocente, benché né io né nessun altro presente in questa stanza la sopporti.

Forse è stato a causa del fatto di essere una Serpeverde, oppure una perfetta snob purosangue con la perenne attitudine a trattare con sdegno chiunque non faccia parte della sua scarna cerchia di amici e famigliari; sta di fatto che tutte le mie amiche sembrano condividere l'idea che sia stata Alya Merope Black ad affatturare Marlene, anche solo per fare un semplice dispetto a Sirius.

Alya Merope Black si trovava a pochi metri di distanza quando Marlene è caduta rovinosamente a terra, tra le radici sporgenti del faggio. Aveva la bacchetta sguainata, probabilmente ad eseguire incantesimi come la sottoscritta. Un gesto normale, privo di secondi intenti, che, tuttavia, è stato erroneamente interpretato come subdolo attacco ai danni della mia compagna.

«Dov'è Sirius?» domanda Marlene, riscuotendomi dai miei pensieri.

Sul suo volto noto una sfumatura accigliata, delusa. Probabilmente, sperava di vedere il suo ragazzo insieme a noi in Infermeria, pronto in prima linea a confortarla. Eppure, di Sirius non c'è traccia.

«È corso dietro a sua sorella... Credo voglia darle una lezione per ciò che ti ha fatto.» si affretta a spiegare Mary, tranquillizzando subito la nostra amica.

Il viso di Marlene si rilassa, abbozzando un vago sorriso compiaciuto. L'idea di Sirius determinato a renderle giustizia deve averla lusingata.

Un'immagine che, al contrario, suscita in me una nuova ondata di disagio. Alya Merope Black, dopotutto, non c'entra niente con la fattura che ha colpito Marlene...

«Ecco fatto, McKinnon! Il tuo braccio, adesso, è come nuovo.» annuncia soddisfatta Madame Pomfrey.

Ancora una volta mi ritrovo a deglutire, soffocando nel silenzio quel timido impeto di confessare ai presenti le mie terribili azioni. Osservo Marlene roteare il polso con movimenti fluidi, privi di dolore. La frattura si è completamente rimarginata, senza lasciare alcun danno.

Sospiro rinfrancata, mentre sulle labbra mi compare un sorriso pieno di sincero e profondo sollievo. Un sollievo il quale, però, non è in grado di lenire il latente rimorso che ancora sento gorgogliare dentro di me.

***

Hogwarts. Giugno, primo giorno dei G.U.F.O., 1976

Un silenzio tombale permea la Sala Grande del castello, interrotto soltanto dal fruscio concitato di piume intrise d'inchiostro che scivolano veloci sulle pergamene.

Oggi è il primo giorno dei G.U.F.O.: radunati nell'immensa stanza solitamente adibita per il banchetto, tutti noi studenti del quinto anno stiamo affrontando la prova scritta di Storia della Magia.

In cuor mio, ringrazio il cielo per la facilità delle domande proposte dalla Commissione in questo primo tema; ho trascorso l'intera notte in bianco e, adesso, comincio inevitabilmente a percepire la mia testa intorpidita. Non tanto per l'agitazione per i G.U.F.O., quanto più per quello spietato rimorso che ancora mi attanaglia.

Mantenere salda la concentrazione sull'esame si rivela presto un'impresa tutt'altro che semplice, i miei pensieri continuano a vorticare attorno al ricordo di ciò che è accaduto a Marlene sulle sponde del Lago Nero, ai piedi del faggio.

Per istinto, i miei occhi si staccano per un momento dalla pergamena, per poi saettare rapido sulla schiena della mia compagna, seduta pochi banchi più in là rispetto a dove mi trovo. Marlene è china sul suo compito, concentrata, totalmente ignara di ciò che mi tormenta. La fisso per qualche istante, osservandole il braccio con cui impugna la sua lunga piuma di fagiano, nonché lo stesso arto che, accidentalmente, le ho fratturato.

Marlene scrive in fretta, i suoi movimenti sono fluidi e sicuri. Nessun residuo di dolore pare esserle rimasto dalla ferita sapientemente curata da Madame Pomfrey.
Un poco sollevata, riabbasso velocemente lo sguardo sul mio figlio, prima che qualche docente della Commissione possa sospettare un mio eventuale tentativo di copiare.

Per la frazione di un istante, con la coda dell'occhio, catturo l'immagine algida e scura della Black, anche lei seduta a pochi metri di distanza da me.
Il senso di colpa, che così faticosamente sto cercando di tenere a bada, si ridesta con violenza, smorzato solo in parte da quella viscerale antipatia che da sempre nutro nei confronti della Serpeverde.

Da alcune voci di corridoio ho scoperto che persino la professoressa McGonagall e il professor Lumacorno l'hanno ritenuta responsabile per ciò che è successo a Marlene, arrivando a metterla in castigo per una settimana.

Conoscendo l'indole estremamente orgogliosa della Black - di tutti i Black in generale - immagino abbia dato di matto nel vedersi punita per qualcosa che in realtà non ha commesso.

Colta da un'improvvisa e controversa curiosità, getto un'occhiata fugace ad Alya Merope Black, cercando di carpire dal suo sguardo glaciale, dal suo atteggiamento perennemente imperioso, un qualche cenno di rabbia, di frustrazione.

Eppure, nonostante l'ingiustizia subita, dal volto della Serpeverde non traspare nulla, la sua espressione appare rilassata, serafica persino. Con le dita avvolte attorno alla sottile impugnatura, la Black trascina con rapida eleganza la piuma da un lato all'altro della pergamena, con la medesima aria disinvolta di quando si scrive una lettera a un amico o una pagina allegra del proprio diario segreto.

Ma, d'altronde, i membri della famiglia Black sono noti per la loro bravura a dissimulare le emozioni.

Il rimorso ancora mi pungola le viscere, tuttavia distolgo gli occhi dalla Serpeverde e cerco di concentrarmi esclusivamente sulla mia prova d'esame.

Il tempo lentamente si esaurisce e, dopo aver riempito il mio rotolo di pergamena con frasi fitte di parole, consegno il compito alla Commissione, avviandomi poi verso l'uscita.

Subito dopo aver oltrepassato il portone della Sala Grande vengo raggiunta da Marlene, soddisfatta e raggiante per come ha portato a termine la prova. Chiacchieriamo qualche minuto in piedi, vicino alla soglia, confrontandoci sulle risposte che abbiamo dato nel compito di Storia della Magia.

Per tutta la conversazione, cerco di mostrare un atteggiamento disinvolto, sereno, completamente opposto al rimorso che, in realtà, mi sta squassando l'animo. Fortunatamente, Marlene non si accorge di nulla, continuando a chiacchierare allegramente del più e del meno.
Ad un certo punto, mi propone di accompagnarla fuori, nel cortile della scuola, per unirci a Sirius e ai suoi amici, in modo da trascorrere qualche momento insieme, in relax. Hestia e Mary sono già là, mi informa.

Non appena sento nominare Sirius, mi irrigidisco come un fuso. Tergiverso, setacciando veloce i pensieri, alla ricerca di una scusa valida che mi esima dall'accettare l'invito di Marlene.

«Scusami, Marls, ma devo correre in biblioteca a riconsegnare un libro. Magari, vi raggiungo più tardi.» dico, cercando di apparire convincente.

Marlene arriccia le labbra in un broncio deluso, prima di farmi promettere di non metterci troppo. Dopodiché, mi saluta e s'incammina verso la Sala d'Ingresso del castello.
Io, invece, imbocco il percorso opposto, puntando alle scale che conducono ai piani alti della scuola.

Ma non andrò in biblioteca. Non ho nessun libro da restituire o da prendere in prestito.

Il senso di colpa, che non mi ha fatto chiudere occhio durante la notte e che ho tentato di reprimere per l'intera durata dell'esame di Storia della Magia, si è ridestato tutt'a un tratto, in modo assai violento e inesorabile.

Non ho nessuna voglia di stare in compagnia di Sirius e di Marlene, né di tutti gli altri, fingendo di stare bene, comportarmi come se nulla fosse. Come potrei guardare le mie amiche in faccia, ridere e scherzare insieme a loro, dopo ciò che ho commesso?

Senza contare l'insopportabile quanto inevitabile presenza di Potter. Allo stato attuale delle cose, non sarei proprio in grado di sostenere i suoi fastidiosi tentativi di approccio nei miei confronti. E, considerando le vicende più recenti, credo sia meglio evitare ogni possibile occasione di rabbia.

Tuttavia, ciò che più di ogni altra cosa temo di affrontare è la compagnia di Sirius. Vederlo insieme a Marlene è una tortura... Vorrei evitare ulteriori incidenti.

Cammino spedita per i corridoi della scuola, totalmente assorta nei miei pensieri. Supero sensa indugio il terzo piano, imboccando la rampa di scale che conduce al quarto. Qui si trova il bagno riservato ai prefetti, nonché la meta segreta dove ho intenzione di rifugiarmi.

Considerando il fatto che oggi tutti gli studenti del quinto anno sono impegnati negli esami dei G.U.F.O. o a prepararsi per le prove, sono certa di trovare il bagno dei prefetti deserto; il luogo ideale dove restare sola con i miei tormenti.

Giungo di fronte all'ingresso, opportunamente sigillato da un incantesimo di protezione. Pronuncio ad alta voce la parole d'ordine, il meccanismo della serratura scatta e la porta si apre. Scivolo veloce oltre la soglia, immergendomi subito nel candido splendore offerto dal bagno dei prefetti. Si tratta di una stanza ampia, dalla pianta rettangolare; il soffitto, le pareti e il pavimento sono rivestite di marmo immacolato, donando all'ambiente una luminosità di gran lunga maggiore e più sontuosa rispetto a qualsiasi altro gabinetto presente nel castello.

Tuttavia, oggi non sono in vena di meraviglie e, per la prima volta da quando sono stata nominata prefetto, l'eleganza di questo luogo mi lascia completamente indifferente.

Procedo dritta, costeggiando una grande vasca bianca, anch'essa in marmo sul quale spiccano numerosi rubinetti dorati, con tanto di pietre preziose incastonate nel metallo.

Ignorando bellamente lo sfarzo della vasca, punto invece alla schiera ordinata di lavabi che costeggiano il muro a me di fronte. Senza nemmeno togliermi la borsa di scuola di dosso, mi aggrappo al bordo del lavandino, con una stretta quasi disperata.

Sento il senso di colpa, che ho così faticosamente cercato di respingere durante la prova d'esame, tornare improvvisamente a galla, più spietato e dirompente che mai. Per istinto, apro il rubinetto, permettendo all'acqua di sgorgare libera. Ne raccolgo una copiosa manciata con i palmi delle mani e mi sciacquo il volto. Un gesto che ripeto più volte, quasi come se volessi ripulirmi non soltanto la pelle del viso, ma anche - e soprattutto - la coscienza.

Eppure, il rimorso resta lì, del tutto inattaccabile, ormai irrimediabilmente sedimentato in ogni angolo del mio essere.
Arresa, metto a tacere il gorgoglio del getto d'acqua che scorre dalla bocca dorata e scintillante del rubinetto. Osservo con sguardo assente le ultime gocce scomparire nelle nere profondità dello scolo, mentre mi concedo un lungo sospiro saturo di sconforto.

All'improvviso, sento un brivido scorrere lungo la mia schiena. Un brivido raggelante, in grado di farmi accapponare la pelle.

«Il senso di colpa ti divora, Evans?»

Sussulto, colta di sorpresa dal suono tagliente di una voce femminile che mi suona spaventosamente famigliare.

Mi volto di scatto e trasalisco nel momento in cui i miei occhi riconoscono la figura altera di Alya Merope Black, in piedi in mezzo al bagno dei prefetti, che mi ricambia con sguardo gelido, attraversato da una vaga sfumatura di trionfo.

«Che cosa ci fai tu qui?» sibilo con tono severo, cercando di non lasciar trapelare il mio reale sbigottimento.

La Serpeverde non risponde, continuando a scrutarmi dall'alto al basso, con espressione imperscrutabile.

«Questo bagno è riservato ai prefetti. Non ti è permesso entrare qui!» rimarco rigorosa.

«Questa volta temo dovrai soprassedere alle tue care e insulse regole, miss prefettina.» replica la Black con voce leziosa e un sorrisetto sghembo, tutt'altro che amichevole. «Rilassati, ho solo voglia di fare una chiacchierata con te.» aggiunge amabile.

«Per quanto mi riguarda, non ho proprio nessuna intenzione di parlare con te, Black. Non so cosa tu abbia in mente, né cosa ti abbia spinto a intrufolarti qui oggi, ma sappi che non ti concesso! Perciò vattene o sarò costretta ad avvertire un insegnante.» ribatto categorica.

Nel frattempo, tiro fuori la mia bacchetta, pronta a segnalare con la magia l'infrazione commessa dalla Serpeverde. Ma Alya Merope Black mi anticipa e, con una rapidità felina, estrae a sua volta la bacchetta e mi disarma in un battito di ciglio.

«Non sta a te dire a me che cosa mi è concesso e cosa no, Evans!» tuona, con la faccia contorta in una smorfia furiosa e puntandomi la bacchetta contro.

Il suo sguardo grigio e gelido mi raggela.

«Che cosa vuoi?» domando a denti stretti.

«Come ti ho detto, vorrei discutere con te riguardo un paio di cosette. Immagino tu sappia a cosa mi riferisco.» risponde lei, tornando al suo tono lezioso.

Taccio e trattengo il fiato, mentre un brivido mi scivola di nuovo lungo la colonna vertebrale.

«Per esempio...» continua la Black con finta dolcezza, «... ci sarebbe quella spiacevole questione della tua amichetta bionda... Come si chiama? Ah, sì! McKinnon. Poverina, affatturata e con un polso rotto. Ma, fortunatamente, pare che Madame Pomfrey l'abbia rimessa in sesto.»

La Serpeverde resta un momento in silenzio. La sua maschera di falsa cortesia svanisce all'istante, cedendo il posto a un'espressione dura, granitica.

«Sai, è buffo...» riprende, la voce di colpo glaciale. I suoi occhi sono inchiodati su di me, gelidi e scintillanti come ghiaccio. «... Chi ha assistito all'incidente di McKinnon si è, non so come, convinto che fossi io la responsabile dell'accaduto. E, nonostante non ci fosse nessuna prova in grado di confermarlo, mi sono comunque beccata una punizione. Una gran seccatura, oltre che ingiusta.»

Nel mentre che parla - o, per meglio dire, mentre sussurra piano le parole come un sibilo di serpente - Alya Merope Black avanza lentamente, avvicinandosi di un paio di passi. Da parte mia, rimango immobile, a testa alta, cercando di mantenere un atteggiamento calmo, imperturbabile.

«Dopotutto, sappiamo bene chi è la vera responsabile, non è vero Evans? Lo so io. E lo sai tu.» sentenzia, infine, ponendo particolare enfasi sull'ultima parola, con in volto un sorriso sghembo, vagamente inquietante.

Un fremito carico di agitazione mi attraversa da capo a piedi. Altri secondi di denso silenzio si dilatano nei pochi centimetri che separano il volto duro e affilato della Serpeverde dal mio.

«Ascolta... mi dispiace. Davvero. È stato un incidente.» mormoro, infine, arresa. «Non avevo nessuna intenzione di lanciare una fattura. Mi è scappato, non sono riuscita a controllarmi... E non volevo che ci andasse di mezzo qualcun altro.»

Io stessa mi stupisco della facilità con cui le parole mi scivolano fuori di bocca. Sta di fatto che, all'improvviso mi sento più leggera, libera da quell'ingombrante macigno che fino a pochi minuti fa mi gravava sul petto. Anche se, fra tutte le persone con cui hoo immaginato di confessare la mia colpa, Alya Merope Black è senz'altro la più improbabile. Ma, alla fin fine, poco mi importa; il mio rammarico nei suoi confronti è sincero, sono realmente desolata che si sia presa la colpa al posto mio.

Tuttavia, la Serpeverde pare apprezzare ben poco le mie scuse. I suoi occhi dardeggiano ancora di un rancore raggelante, insoddisfatti.

«Dici che ti dispiace, eppure ti sei ben guardata dal confessare. Mi chiedo come mai...» osserva gelida, scrutandomi con sguardo intenso e indagatore.

Il respiro mi si blocca in gola, impaurita dall'idea che la Black possa anche solo sospettare il motivo che mi ha involontariamente spinta ad affatturare la mia amica. O, peggio ancora, che possa intuire quei sentimenti che da mesi - e forse più - tengo celati nel mio cuore.

«Mi dispiace. Davvero.» mi limito a ripetere, con voce simile a una supplica.

Alya Merope Black scrolla le spalle, gli angoli della bocca si arcuano in un vago sorriso e, per la prima volta durante questa "conversazione", sembra privo di minaccia. Resto comunque in guardia. Non c'è mai da fidarsi quando si ha che fare con una serpe del suo genere.

«Be', non posso certo biasimarti se hai preferito tacere sulla tua colpevolezza. Lo capisco sai... Dopotutto, sei Lily Evans, la studentessa modello, amata e stimata da tutti i professori. La tua reputazione qui a Hogwarts è impeccabile e chi meglio di me potrebbe sapere quanto sia difficile difendere la propria immagine davanti agli occhi degli altri. D'altronde, come dici tu, si è trattato di uno sbaglio, un gesto involontario... sarebbe a dir poco un peccato rovinare una condotta così esemplare come la tua solo per un errore così insignificante, non è vero?» dice la Serpeverde con tono comprensivo. Un tono che non mi convince per niente.

« Senti, a me non importa nulla di intaccare o meno la mia reputazione. ciò che ho fatto è sbagliato e non è giusto che ci sia andata di mezzo tu. Questa è una mia responsabilità. Parlerò sia con la professoressa McGonagall che con il professor Lumacorno. Spiegherò loro la situazione e che tu non c'entri nulla.» la interrompo risoluta.

«Molto nobile da parte tua, ma non è la giustizia che mi interessa.» replica la Black asciutta. Ma io non demordo.

«Sul serio! Voglio davvero aiutarti a risolv...»

«IO NON HO BISOGNO DEL TUO PIETOSO AIUTO!» tuona lei, d'un tratto infuriata, senza lasciarmi terminare la frase.

Io la guardo spaventata e confusa al tempo stesso.

«Non ho bisogno del tuo aiuto...» riprende la Black, riacquistando all'istante un contegno più calmo, controllato. «Vedi, Evans, non è la punizione che mi interessa. Né tantomeno il fatto di essermi presa la colpa al posto tuo. La vera ragione che mi ha mi ha condotta qui oggi, in effetti, riguarda il motivo che sta dietro al tuo involontario gesto.»

Un fremito di inquietudine mi investe. Le parole della Serpeverde mi colano addosso come acqua galata, facendomi presagire il peggio.

«Lo stesso motivo, presumo, che ti ha impedito di ammettere la tua colpa. Qualcosa che non vuoi assolutamente che venga allo scoperto.» continua la Black, impietosa, con la voce ridotta a un sussurro maligno. Avanza ancora verso di me, lenta, ma inesorabile, con gli stessi occhi scintillanti di trionfo di una bestia cacciatrice sicura di aver braccato la propria preda.

Ed è esattamente così che mi io sento. Braccata. Intrappolata, senza via di fuga, dallo sguardo crudele e indagatore della mia rivale.
Alya Merope Black si erge imperiosa di fronte a me; la distanza fra di noi è stata quasi completamente annullata, a separarci adesso non vi è che un'esigua manciata di centimetri. Trattengo il respiro nel notare le sue labbra piegarsi in un ghigno perfido, sgradevole.

«Sirius» pronuncia, infine, come una sentenza.

Raggelo, come se ogni goccia del mio sangue si sia trasformata improvvisamente in ghiaccio.

«È per mio fratello che hai scagliato l'incantesimo su Marlene McKinnon. Dimmi, Evans, che cosa hai provato vedendo la tua amichetta bionda tra le braccia di Sirius? Rabbia? Invidia?» mi stuzzica la Serpeverde, visibilmente divertita.

Io non replico, non voglio cedere alle sue subdole provocazioni. Tuttavia, non posso fare a mano di abbassare lo sguardo, mio malgrado.

«Oh, ma è inutile che cerchi di nascondere il tuo segreto a me. Ho capito tutto, sai. Ho visto come guardi di nascosto mio fratello. Come lo desideri. come spesso ti acconci i capelli in una bella coda di cavallo... hai preso ispirazione dalle sudicie ragazze babbane ritratte nei suoi poster, immagino. Forse, così speravi che Sirius ti notasse, che ti guardasse...» sogghigna Alya Merope Black vittoriosa, mentre allunga una mano per sfiorarmi con scherno una ciocca di capelli. Disgustata, tento di ritrarmi, ma invano dal momento che il lavabo dietro la mia schiena me lo impedisce.

«Ma sappiamo entrambe che questo non accadrà. Non finché quel Potter continua a ronzarti intorno. Mio fratello gli è troppo leale, non metterebbe mai a rischio la sua importante amicizia per...» la Black tace per un istante, squadrandomi da capo a piedi, come per soppesare il mio valore, «...per te

«Che cosa vuoi, Black?» ringhio, incapace di reprimere un moto di collera per l'insulto appena subito.

«Ricordarti quanto sarebbe un peccato per te, se Sirius - e tutta la scuola - venisse a sapere di questo tuo piccolo segreto.» sorride la Serpeverde, con malignità.

«E suppongo che tu non veda l'ora di spifferare tutto per ripicca!» sbotto con rabbia. Alya Merope Black scrolla di nuovo le spalle.

«A meno che tu non sia disposta a concedermi un piccolo favore...»

«E sarebbe?» domando, curiosa di scoprire dove vuole arrivare.

«Niente di che. Solo un piccolo aiuto. L'esame di Pozioni è alle porte e - grazie a te e al castigo che mi sono beccata per colpa tua - non mi è rimasto molto tempo per prepararmi a dovere...»

«Non ti basterebbe un decennio. Lo sanno tutti che sei negata in Pozioni.» la interrompo con sfida, guadagnandomi un'immediata occhiataccia, satura di minaccia.

«Dicevo... non mi è rimasto molto tempo per essere pronta. Tuttavia, se solo potessi conoscere in anticipo gli argomenti che la Commissione ha disposto per la prova, mi sarebbe di immenso aiuto. Mi toglierebbe dai pasticci.» articola la Black con voce mielata, ma, al contempo, terribilmente velenosa.

Io non emetto un fiato, limitandomi a fissarla con vago disprezzo.

«Non fare la gnorri, Evans. So che Lumacorno ti ha spifferato tutto. Cosa non farebbe quel pomposo per mettersi in mostra, attraverso i suoi alunni prediletti!» esclama lei acida.

Purtroppo, la Serpeverde è venuta a conoscenza anche di questo particolare dettaglio. Come ha giustamente intuito, il professor Lumacorno ha l'opinabile abitudine di assicurarsi che i suoi studenti preferiti spicchino più degli altri, per bravura e per talento, durante i G.U.F.O. (e anche i M.A.G.O.) della sua materia e, per far sì che questo accada, spesso ricorre ad alcuni utili suggerimenti, come è solito definirli lui stesso, i quali fortuitamente si rivelano essere uguali, ogni anno, agli argomenti chiesti all'esame di Pozioni.

Naturalmente, il professor Lumacorno ha consegnato i suoi suggerimenti per Pozioni, sia a me che ad altri pochi dei miei compagni, proprio un paio di giorni fa. Un atteggiamento che, per quanto utile, mi ha lasciato molto delusa.

Non mi stupisce che la Black brami di mettere le zampe sulle risposte d'esame. Vista la sua scarsa preparazione in Pozioni, conoscere in anticipo gli argomenti le risolverebbe un bel po' di problemi. Ma mi disgusta l'idea di tutti questi inganni e sotterfugi. E non ho nessuna intenzione di dargliela vinta così facilmente.

«So a cosa ti riferisci...» ribatto con tutta la calma risoluta di cui dispongo «Tuttavia, Black, non ho nessuna intenzione di rivelarti ciò che mi hai chiesto!»

«Non sei nella condizione di poter rifiutare... o vuoi che il tuo segretuccio salti fuori?» rintuzza rapida la Black, con maligna minaccia. Ma io la ignoro.

«Sai, all'inizio ero realmente dispiaciuta per quanto è successo. Desideravo davvero aiutarti. Ma adesso... Tu non sei altro che un'arrogante, subdola e maligna. È vero, ad affatturare Marlene sono stata io, per i motivi che tu hai intuito. Sto malissimo per quello che è accaduto, ma almeno so di non averlo fatto apposta. È stato uno sbaglio. Un terribile sbaglio, ma involontario. Per quanto ti riguarda, invece, sembra che ti diverta un mondo ad essere spregevole! Non sarai tu la diretta responsabile, ma credo che una bella punizione ti stia proprio bene!»

«Non ti permettere...» sibila la Serpeverde, stringendo gli occhi in due fessure sature di sdegno.

«Non mi fanno paura le tue minacce, Black! Va' e di' pure a tutti quello che hai scoperto! È la tua parola contro la mia. E, credimi, nessuno crederà a niente di ciò che uscirà da quella tua boccaccia velenosa!» dico a testa alta, guardandola con sufficienza.

Tuttavia, Alya Merope Black non si scompone. Per un attimo, intravedo un bagliore di trionfo attraversarle le pupille scintillanti, nere come inchiostro.

«Oh, Evans...dalla mia bocca non uscirà proprio nulla, temo. Sarai tu, ahimè, a cantare come un uccellino.» la voce della Serpeverde torna ad essere fastidiosamente affettata. La osservo perplessa, mentre sfila dalla tasca esterna della sua borsa la piccola fiala trasparente.

La esibisce vittoriosa, gustandosi il velo di terrore che, inevitabilmente, mi cala sul volto.

«Veritaserum?» mormoro con voce flebile, riconoscendo all'istante la boccetta. La stessa che il professor Lumacorno ci ha mostrato l'ultimo giorno di lezione. Per istinti, lancio alla Black un'occhiata impaurita.

«Da dove l'hai presa?»

«Sgraffignata dalla segreta.» replica lei, con semplicità, «Hai ragione, sai, alla fine è stato un bene per me aver ricevuto quel castigo da Lumacorno. Senz'altro, sono riuscita a ricavarne qualcosa di utile." ghigna trionfante.

«Ora, permettimi di riformulare la mia richiesta. Dimmi gli argomenti previsti per l'esame di Pozioni o, ti giuro, che verserò l'intero contenuto di questa fiala nel tuo succo a colazione. O nel tuo calice a pranzo. Oppure a cena. Nella mia mente c'è già l'immagine di te che confessi ogni tuo intimo pensiero su Sirius, i tuoi sciocchi sentimenti per lui, davanti ai tuoi compagni, ai professori che tanto ti venerano. All'intera scuola. Una scena umiliante, per te, ma estremamente piacevole per me!» proclama, infine, la Serpeverde esultante.

In un lampo, sento scivolare via dal mio corpo sia la sicurezza che la determinazione che ero appena riuscita a raccogliere. Vacillo, anche se faccio di tutto per non darlo a vedere.

«Non oseresti» sibilo a denti stretti, cercando di apparire molto meno spaventata di quanto io sia in realtà.

«Dici? Tu stessa hai appena affermato che sono un essere spregevole. E le persone spregevoli non hanno la tendenza a farsi degli scrupoli. A te la scelta, Evans. O mi aiuti o canti. A meno che tu non voglia darti al digiuno.» sentenzia compiaciuta la Black, sventolandomi sotto al naso la boccetta di vetro.

Ammutolisco, incapace di decifrare la scintilla che alberga nelle iridi grigie della Serpeverde. La paura che i miei sentimenti per Sirius vengano scoperti non mi permette di ragionare come si deve. Una vocina dentro di me mi suggerisce che le parole della Black non sono altro che menzogne, subdole minacce con il solo scopo di farmela pagare per ciò che è successo. Ma subito interviene una seconda vocina, molto più insistente e martellante, la quale, terrorizzata, continua a ripetermi che il rischio è troppo alto e che da una serpe come Alya Merope Black c'è da aspettarsi di tutto.

Così, dopo un tempo che mi pare infinito, sospiro sconfitta, infilo una mano nella borsa e ne estraggo un frammento di pergamena e la mia piuma per scrivere.

«Hai vinto. Ecco gli argomenti.» annuncio spiccia, porgendole mio malgrado il biglietto. La Black lo agguanta vittoriosa.

«Ora sì che ragioniamo! Ti ringrazio, Evans. Sei stata molto generosa!» mi schernisce con voce stucchevole.

«Mi dai la nausea!» replico io, disgustata.

La Serpeverde mi rivolge in risposta il suo sorrise più ammaliante e per poi voltarsi verso l'uscita del Bagno dei Prefetti.

Prima di andarsene, però, si blocca, come se avesse appena ricordato un qualcosa di importante. Trattengo il fiato, mentre immerge una mano nella sua sacca di scuola, rovistando energica al suo interno. Dopodiché, si gira un'ultima volta verso di me, con in mano due mele dalla buccia verde sgargiante, e un'espressione enigmatica dipinta in volto.

«Ah, dimenticavo, un regalo per te! Per suggellare il nostro patto.» dice con falsa complicità, mentre lancia al mio indirizzo una delle due mele, la quale rotola rovinosamente a terra. Il mio sguardo rimbalza dalla Black al frutto con sospetto, come se si trattasse di una bomba pronta a esplodere da un momento all'altro.

«Tranquilla, non è mica avvelenata!» esclama la Serpeverde, fingendosi offesa. Poi, con movimenti agili di bacchetta, inizia tracciare nell'aria alcuni segni incomprensibili. Nel medesimo istante, sulla lucida superficie della mela compaiono dei graffi, che presto si rivelano essere delle lettere che, con infida crudeltà, compongono un unico ed inequivocabile nome:

Sirius

«Stai lontana da mio fratello, Evans. Per te, Sirius è un frutto proibito.» dichiara Alya Merope Black, con un sorrisetto perfido dipinto in volto e la nota di una chiara minaccia a macchiarle la voce melliflua.

Dopodiché, si avvia soddisfatta verso la porta e svanisce oltre la soglia, lasciandomi finalmente sola.

A lungo fisso disgustata la mela riversa sul pavimento candido e immacolato. I miei occhi ripercorrono le lettere crudelmente incise nella buccia e nella polpa, guardandole con lo stesso raccapriccio di quando si esamina una ferita.

Serro le labbra in una linea sottile, intrisa di sconforto, mentre nella testa mi rimbombano assordanti le ultime parole meschine pronunciate dalla Black.

Per te, Sirius è un frutto proibito.

Nota Autrice:

Anno nuovo, capitolo nuovo! E, tra l'altro, anche parecchio lungo rispetto gli ultimi. Spero non risulti troppo pesante.
Come già annunciato, questo capitolo ripercorre in parallelo una scena già narrata in "L'Albero dei Black". Qui, naturalmente, la si legge attraverso il Pov di Lily. Mentre, nell'altra storia la si vede attraverso gli occhi di Alya.

Per chi ancora non ha letto "L'Albero di Black", dove la protagonista è appunto Alya Merope Black, in questo capitolo ha potuto comunque fare la sua simpatica conoscenza. Come sempre, sono curiosa di sapere le vostre impressioni. Per chi, invece, ha già letto e conosciuto l'altra storia, spero abbia trovato interessante vedere anche il punto di vista di Lily.

Per me, è stato divertente rivivere e riscrivere questa scena (sono un po' sadica), anche se un po' faticoso.

Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate di questo capitolo.

Un abbraccio,
Valentina♡





Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top