22 - L'Incidente di Mary

Hogwarts. Aprile, 1976.

È il primo giorno delle vacanze di Pasqua. Manca poco meno di due mesi ai temibili G.U.F.O. (come i nostri professori ci rammentano praticamente ad ogni lezione), perciò io, Hestia, Mary e Marlene decidiamo di dedicare gran parte del nostro tempo libero alla stesura di un programma di ripasso efficace, in modo da arrivare sicure e preparate al fatidico giorno degli esami.

Non che la cosa ci colmi entusiasmo, ovviamente.

È già primavera inoltrata qui ad Hogwarts, e le giornate si sono fatte più tiepide, luminose; è il periodo ideale per trascorrere qualche momento fuori, all'aperto, nel vasto parco della scuola, ora meravigliosamente trapunto di fiori colorati.

Tuttavia, io e le mie amiche, come gli altri studenti del quinto e del settimo anno, restiamo spesso e volentieri chiusi nel castello a studiare, trascinandoci avanti e indietro dalla biblioteca.

Seduta a uno dei tavoli della sala comune di Grifondoro, sospiro sconsolata, con una mano a sorreggermi il volto sopra una marea di libri aperti, sparpagliati per tutta la lignea superficie, e gli occhi rivolti alla finestra, ammirando il cielo terso che si intravede oltre lo scampolo di vetro.

«Lily, forza, concentrati!» mi comanda Marlene, picchiettandomi la spalla con un dito.

Stacco il palmo dalla guancia e sollevo la testa, tentando di focalizzarmi sul grosso tomo di Storia della Magia, che bivacca sotto il mio sguardo assonnato.

«Mi si incrociano gli occhi a leggere tutte queste date... Non potremmo cambiare materia?» brontolo, ormai incapace di sbrogliare il groviglio di frasi impresse sulle pagine ingiallite, che ora mi appaiono incomprensibili.

«O prenderci una pausa, magari» propone Hestia speranzosa.

Ma Marlene scuote energicamente la testa, facendo danzare i suoi folti boccoli biondi.

«Né l'una né l'altra, ragazze! Non finché non si esaurisce la sabbia nella clessidra» dichiara perentoria, indicando con la sua penna di fagiano una clessidra panciuta al centro del tavolo.

Getto un'occhiata avvilita verso l'oggetto. I granelli dorati scivolano attraverso lo stretto pertugio fra i due bulbi di cristallo con una lentezza spietata.

«Ehi, ma... Mary è ancora in biblioteca?» domanda improvvisamente Hestia, accennando al posto vuoto accanto a lei.

Marlene scrolla le spalle, alzando gli occhi al cielo, esasperata.

«Immagino si sia persa tra gli scaffali»

«Oppure è scappata per sfuggire dal tuo sistema didattoriale di studio» la punzecchio caustica, guadagnandomi un'immediata occhiataccia. Hestia soffoca una risata.

«D'accordo,» grugnisce Marlene spazientita, «Finiamo di studiare questo capitolo e, se nel frattempo quella pigrona di Mary non è ancora tornata, organizzeremo una squadra di ricerca per recuperarla, contente?»

«Sì, capitano» rispondiamo in coro Hestia ed io, prima di scoppiare a ridere di gusto. Una risata che si rivela contagiosa, visto che anche Marlene abbozza un sorriso divertito.

Benché mi diverta a prenderla in giro e a stuzzicarla, una parte di me riesce a comprendere l'apprensione di Marlene riguardo lo studio. E, soprattutto, riguardo i G.U.F.O. Si tratta di esami estremamente importanti, una tappa fondamentale nel percorso scolastico di un mago, in grado di determinare irrimediabilmente la sua futura carriera lavorativa.

Marlene, la quale proviene da una famiglia di maghi piuttosto importante, avverte su di sé il grave peso della responsabilità di mostrarsi all'altezza delle aspettative dei genitori, entrambi con ottimi impieghi all'interno della società magica.

Per questo motivo, più ci avviciniamo alla data di inizio delle prove d'esame più Marlene si innervosisce, diventa apprensiva, intensificando giorno dopo giorno il già alquanto fitto programma di ripasso che abbiamo preparato.

Io, Hestia e Marlene trascorriamo una lunga mezz'ora con la testa china sui libri. A furia di mantenere questa scomoda posizione sono certa che mi verrà la gobba.
Allungo le braccia verso l'alto e mi stiracchio, cercando di concedere alla mia povera schiena un po' di sollievo. Nel frattempo, getto un'occhiata alla sedia vuota vicino a Hestia.

Mary non si è ancora fatta vedere. Comincio a preoccuparmi.

«Non ci sta mettendo un po' troppo, secondo voi?» chiedo, con malcelata apprensione.

«In effetti è fuori da parecchio...» conviene Marlene, per la prima interessata a qualcosa che non siano gli appunti attorno a lei.

«Forse sarebbe meglio se andassimo a cercarla» dichiara Hestia, impensierita.

Ci alziamo all'unisono, abbandonando così come sono i numerosi libri aperti sopra al tavolo.

Compatte come uno squadrone d'assalto, caracolliamo per la scale, marciando al ritmo di un'ansia condivisa che nessuna di noi, però, ha il coraggio di affermare apertamente. Non è da Mary attardarsi così tanto. Il sospetto che qualcosa non vada serpeggia nelle nostre menti come un unico filo che ci unisce.

«Magari si è solo fermata a chiacchierare con un ragazzo...» ipotizza Hestia a voce alta, nel tentativo di stemperare la tensione che ci accompagna. Io e Marlene annuiamo, seppur poco convinte. Lo stesso brutto presentimento ci investe, facendoci aumentare il ritmo incalzante dei nostri passi.

Arrivate al terzo piano, ci fiondiamo dritte in biblioteca e, senza dare peso all'occhiata severa con cui ci accoglie Madame Pince, ci dividiamo, insinuandoci tra i numerosi scaffali colmi di libri. Dopo una decina di minuti di ricerca nel denso silenzio polveroso che impera nella stanza, Hestia, Marlene ed io ci ritroviamo sulla soglia dell'ingresso, tutte e tre con l'aria miserabilmente sconfitta.

«A quanto pare qui non c'è» bisbiglia affranta Marlene.

Una seconda occhiata gelida da parte dell'arcigna bibliotecaria, appollaiata sulla sua postazione dietro al banco come un avvoltoio rinsecchito, ci induce a uscire e a ritornare meste sui nostri passi.

«Dove si sarà cacciata?» sospiro desolata, cercando di far mente locale sui i possibili posti, all'interno del castello, dove Mary potrebbe recarsi.

Ma per quanto mi lambicchi, non mi viene in mente nulla di plausibile. Anche Hestia e Marlene provano a spremere le meningi, ma invano. Questa situazione ci pare a dir poco assurda. Mary non era mai scomparsa in questo modo fino ad ora.

Alla fine, decidiamo di comune accordo di scendere fino al pianterreno a controllare. Una base qualsiasi da cui iniziare. Tuttavia, le nostre ricerche vengono interrote sul nascere.

Abbiamo appena calpestato il pavimento del primo piano quando la professoressa McGonagall ci blocca il passo.

«Evans! McKinnon! Jones! Stavo giusto cercando voi» esordisce un poco trafelata, «Si tratta della vostra amica, Mcdonald...»

«Mary? Dov'è? Come sta?»

«Era andata in biblioteca a prendere un libro... la stavamo aspettando in sala comune, ma non è tornata... ci siamo preccupate»

Con un risoluto cenno di mano, la professoressa McGonagall pone subito fine al nostro groviglio confuso di domande e spiegazioni. Tuttavia, nel suo sguardo non c'è ombra di rimprovero, bensì di rammarico.

Tutte e tre tratteniamo il fiato preoccupate, in attesa di capire cosa sia successo alla nostra amica.

«La signorina Mcdonald al momento si trova in infermeria. Sta bene, non c'è bisogno di angustiarsi...» si affretta a rassicurarci nel vedere le nostre espressioni allarmate, «... È soltanto un po' scossa, perciò credo che le sarebbe d'aiuto e di conforto avere la vostra compagnia» conclude con tono comprensivo.

Dopodiché ci fa segno di seguirla, incamminandosi verso l'infermeria del castello, che fortunatamente si trova proprio nel piano in cui ci troviamo.

Con un groppo in gola, procedo svelta insieme alle mie compagne, seguendo l'andatura decisa della McGonagall. Nel frattempo, una ridda di domande mi esplode nella testa.

Che cosa è capitato a Mary? Perché è stata portata in infermeria?

La mia preoccupazione si acuisce quando giungiamo di fronte al portone dell'infermeria. L'impazienza di sapere come sta Mary si mescola alla paura riguardo ciò che le è successo. Sento lo stomaco torcersi per l'ansia.

La professoressa McGonagall spalanca la porta ed io, Hestia e Marlene entriamo quasi correndo.

Vediamo Madame Pomfrey china su un letto, intenta a spalmare qualcosa sul braccio di una ragazza dai capelli scuri e ricciuti.

«Mary!» gridiamo in coro, in un miscuglio di preoccupazione e di sollievo. Ad una prima occhiata, pare stare bene tutto sommato. Conserva un'aria vigile, seppure un poco scossa.

Accerchiamo il suo letto nel momento esatto in cui Madame Pomfrey finisce i suoi medicamenti.

«Mi raccomando, tieni il braccio scoperto. L'unguento che ti ho applicato sui tagli è più efficace se resta a contatto con l'ossigeno» spiega l'infermiera nel suo consueto modo brusco.

«Resterà la cicatrice?» chiede Mary con voce tremante, l'espressione spaventata.

Madame Pomfrey scuote energicamente il capo, abbozzando un sorriso gentile, comprensivo.

«No, nessuna cicatrice. Fra mezz'ora la ferita svanirà del tutto».

Mary sospira, rincuorata. Nel frattempo, Madame Pomfrey si allontana, eclissandosi insieme alla professoressa McGonagall dietro al banco della sua postazione, in fondo alla stanza.

«Per la barba di Merlino, Mary, cos'è successo?» chiedo, incapace di contenere la mia preoccupazione.

Mary si stringe nelle spalle, abbassando gli occhi. Resta qualche secondo in silenzio, lo sguardo assente e cupo, perso nella trama semplice del copriletto sul quale è seduta.

«Ero appena uscita dalla biblioteca, dopo aver preso il libro che ci serviva...» esordisce con un filo di voce. Il solo mettere insieme le parole sembra costarle un incredibile sforzo.

Né io né le altre osiamo interromperla, ascoltandola attente, col fiato sospeso per l'apprensione.

«Stavo attraversando il corridoio del terzo piano, quando all'improvviso è sbucato fuori Mulciber» al suono di tale nome, la voce di Mary si incrina, le sue labbra si contraggono in una smorfia contrita.

Un brivido mi corre lungo la schiena. Conosco bene il nome di Mulciber. È uno dei ragazzi di Serpeverde con cui Severus ha stretto una particolare amicizia, di recente. Un senso di rabbia e ansia mi investe, ho paura di ciò che dovrò scoprire.

Mary, intanto, prende un bel respiro, come per farsi coraggio, e ricomincia a raccontare:

«Mulciber ha cominciato ad insultarmi. Continuava a ripetere che la mia presenza a scuola lo ripugna, che non sono degna di respirare la sua stessa aria... Io ho provato ad ignorarlo, a proseguire dritto e superarlo, ma lui mi ha sbarrato la strada. Il corridoio era vuoto, non c'era nessun altro oltre a noi due...»

Ancora una volta, la voce le si spezza. Con una mano si stringe il braccio destro, lo stesso che Madame Pomfrey le ha medicato.

«Mary...» mormoro cauta, cercando di rassicurarla con lo sguardo.

La mia amica, afflitta e ferita - più nell'animo che nel corpo - inspira profondamente, soffocando un singhiozzo. Gli occhi sono velati da un'ombra umida di lacrime, le parole le scivolano fuori di bocca incerte e tremolanti.

«Mulciber mi ha scagliato addosso una fattura... Non me lo aspettavo, non mi sono nemmeno resa conto che aveva in mano la bacchetta. L'ha mossa veloce nell'aria, come se stesse scrivendo qualcosa. La formula che ha pronunciato... quei suoni, erano spaventosi... Poi, il braccio ha cominciato a farmi male in modo tremendo. Bruciava, come se avessi avuto la pelle in fiamme. Ho urlato, il dolore era troppo forte. Mulciber rideva. Si divertiva nel vedermi soffrire... continuava a ripetermi che era ciò che meritavo... Per fortuna, in quel momento è arrivata la McGonagall. Mulciber ha tentato di scappare, ma la professoressa l'ha visto... Adesso è con Lumacorno...»

Mi irrigidisco, travolta da un'ondata di rabbia mista a sbigottimento, di fronte alla crudeltà gratuita narrata da Mary. Ho sempre sospettato che Mulciber fosse un tipo poco raccomandabile, ma non fino a questo punto. Ancora una volta, il mio pensiero ritorna a Severus; come può essere diventato amico di una persona tanto meschina?

D'un tratto, la voce preoccupata di Marlene mi riscuote dal mio groviglio di domande.

«Mary... e il tuo braccio? Cosa ti fatto Mulciber?» azzarda con cautela.

Mary è colta da un fremito, la sua mano si stringe intorno all'avambraccio con più forza. Una parte di lei pare rifiutarsi di rivelare la misteriosa ferita che Mulciber le ha inflitto, come se ne avesse vergogna. Tuttavia, dopo un paio di istanti - che appaiono eterni - la mia amica cede di fronte alla tacita insistenza celata nei nostri occhi allarmati, e lentamente libera il braccio dalla stretta ferrea delle dita.

Gemiti indignati fuoriescono dalle nostre labbra non appena vediamo la lesione. Hestia si porta le mani a coprirsi la bocca.

Tagli netti e scuri come inchiostro si diramano sulla pelle altrimenti candida dell'avambraccio di Mary. Sottili e spietate lacerazioni tratteggiano un'inequivocabile parola, tracciata alla stregua di un marchio spregevole: Mud, ovvero fango. Il termine preferito dai maghi di sangue puro più fanatici e accaniti per definire coloro che posseggono origini non magiche, origini babbane. In poche parole, sporche.

Persone come Mary. Persone come me.
Fisso l'abietta scritta incisa sulla pelle di Mary disgustata, con occhi iniettati di rabbia. A fatica mi costringo a restare dove sono, reprimendo il bruciante impulso di alzarmi, abbandonare di punto in bianco l'infermeria e mettermi a cercare per l'intero castello quell'ignobile di Mulciber. Voglio fargliela pagare. Voglio farlo soffrire esattamente come lui ha fatto soffrire la mia amica. Fortunatamente, il mio buon senso si intromette, insinuandosi nei mie pensieri intrisi del cieco desiderio di vendetta, e rammentandomi che ora Mulciber è dal professor Lumacorno, il quale sicuramente starà predisponendo il castigo più adatto con cui punirlo.

Stringo le labbra in una linea sottile, cercando di convincermi che non sarebbe saggio farmi giustizia da sola.

Una cosa però è certa. Devo assolutamente parlare con Severus, e al più presto.

Nota autrice:

In questo capitolo ho voluto approfondire un evento che nella saga originale è stata appena accennata, ovvero lo scherzo crudele che Mulciber ha compiuto sulla povera Mary Mcdonald (se ne parla nel settimo libro, tra i vari ricordi di Piton su Lily).

In alcune fanfiction che ho letto spesso questo evento si traduce in una Maledizione Cruciatus, ma personalmente la trovo una scelta fin troppo esagerata.

Perciò eccovi la mia versione. Spero risulti plausibile :)

Grazie come sempre per il vostro sostegno e per tutte le letture ❤!
Valentina


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