03 - ... e bacchette magiche
Diagon Alley, Londra, Gran Bretagna. Agosto 1971
Io e la mia famiglia abbiamo appena oltrepassato il varco che funge da confine tra il mondo magico e il nostro, ed ora ci apprestiamo a tuffarci in mezzo alla folla variopinta di Diagon Alley.
Il famoso quartiere magico di Londra pullula di personaggi eccentrici, dall'aspetto e dai modi decisamente bislacchi.
La maggior parte di coloro che affollano le viuzze di quest'area nascosta della città indossa un abbigliamento stravagante, assai simile a quello sfoggiato da Albus Silente nel giorno in cui è venuto a casa nostra.
È tutta una sfilata di cappelli a punta e di lunghe tuniche dai colori sgargianti.
I miei genitori, Petunia ed io avanziamo uniti, guardandoci attorno spaesati. Tutti e quattro esibiamo la medesima espressione smarrita, ma allo stesso tempo stillante di pura meraviglia.
Ogni tentativo di amalgamarci con disinvoltura al resto dei viandanti si rivela inutile; si nota subito che siamo dei pesci fuor d'acqua, in questo luogo straordinario.
I raggi splendenti del sole riverberano giocosi sulle vetrine dei negozi che costeggiano la strada. Mentre cammino, non posso fare a meno di girare la testa di qua e di là, cercando di abbracciare con lo sguardo tutto ciò che mi circonda. Quasi non sbatto le palpebre, pur di non perdermi nemmeno un dettaglio.
I negozi e le botteghe che compongono Diagon Alley esibiscono con orgoglio gli articoli più mirabolanti che io abbia mai visto: calderoni di ogni forma e dimensione bivaccano sul ciglio della strada, seguiti da barili traboccanti di frattaglie viscide, di cui non sono sicura di voler conoscere la provenienza; e ancora, ammiro incuriosita il susseguirsi di vetrine stipate di pile traballanti di libri d'incantesimi, rotoli di pergamena e piume d'oca, boccette d'inchiostro in grado di cambiare colore, telescopi e altri strumenti di cui non riesco nemmeno a immaginarmi il nome, sfere tonde di cristallo, scope volanti...
«Lily, tesoro... Mi leggeresti l'elenco delle cose che ti servono per la scuola? Così possiamo farci un'idea da dove cominciare...» mi domanda mia madre, riscuotendomi all'improvviso dalla contemplazione dei negozi. Come me, si guarda attorno disorientata, ma con gli occhi che stillano pura curiosità.
«Certo» pigolo in risposta, e mi affretto a tirare fuori da una delle tasche dei miei jeans la busta in pergamena che Silente mi ha dato.
Insieme alla lettera d'ammissione è allegato un secondo foglio, con la lista di tutto il necessario da acquistare. Lo dispiego delicatamente e leggo ad alta voce il contenuto.
SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Uniforme
Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre divise da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)
Un mantello invernale (nero con alamari in argento)
N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome.
Libri di testo
Tutti gli studenti dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Manuale degli Incantesimi, Volume Primo, di Miranda Goshawk
Storia della Magia, di Bathilda Bagshot
Teoria della Magia, di Alalbert Waffling
Guida pratica alla Trasfigurazione per Principianti, di Emeric Switch
Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Jigger
Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander
Le Forze Oscure: guida all'autodifesa, di Quentin Trimble
Altri accessori
1 bacchetta
1 calderone (in peltro, misura standard 2)
1 set di provette di vetro o cristallo
1 telescopio
1 bilancia d'ottone
Gli allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.
SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON È CONSENTITO L'USO DI SCOPE PERSONALI
«È davvero tanta roba! Siamo certi che qui riusciremo a trovare tutto?» commenta mio padre, dubbioso.
«Stando alle indicazioni che ci ha lasciato il professor Silente, sì.» replica mia madre, piena di fiducia.
Entrambi rimangono in silenzio per alcuni secondi, soppesando intanto i vari empori che ci accerchiano.
Un profondo sospiro contrariato giunge, d'un tratto, alle mie orecchie. A un paio di metri di distanza, Petunia non fa altro che sbuffare, a braccia conserte, battendo febbrile il piede contro i ciottoli della strada, in modo da palesare tutta la sua insofferenza.
È da quando siamo usciti di casa che a malapena mi rivolge la parola; inoltre, sin dal momento in cui abbiamo varcato l'ingresso di Diagon Alley, le si è appiccicata addosso un'espressione disgustata, come se considerasse rivoltante tutto ciò che viene offerto dal quartiere.
Eppure, non mi è sfuggito il malcelato desiderio che trapela dai suoi occhi azzurri e un po' sbiaditi, ogni volta che catturano qualcosa d'insolito, di magico sbucare da un angolo della strada, o da dietro la vetrina di un negozio.
Ma Petunia è troppo orgogliosa e testarda per mostrarsi attratta da qualcosa che mi riguarda, perciò resta ancorata al suo mutismo, cercando di ostentare il più possibile la sua avversione per questo posto.
Alla fine, dopo aver setacciato con sguardo attento le numerose insegne che costellano la strada, la mamma indica vittoriosa la bottega di 'Madame Malkin: abiti per tutte le occasioni', eleggendola come nostra prima tappa.
«Sono sicura che lì troveremo tutto l'occorrente per l'uniforme.» dichiara con voce squillante.
«Dài, Lily, entriamo a dare un'occhiata!»
E con un largo sorriso incoraggiante stampato in volto, mi prende sottobraccio e mi trascina energica verso l'entrata del negozio. Mio padre e Petunia ci seguono a ruota, anche se mia sorella sembra avere più l'aria di chi sta per essere condotto al patibolo piuttosto che a far shopping.
Ma l'entusiasmo di mia madre è talmente contagioso che riesce a distrarmi dai malumori di Petunia.
Non appena varchiamo la soglia dell'ingresso, veniamo accolti da una signora tarchiata, tutta vestita di color prugna.
«Hogwarts?» chiede Madame Malkin, dopo che mia madre ha finito di spiegarle la nostra esigenza. «Sei nel posto giusto, cara. Qui ho tutto l'occorrente richiesto dalla tua lista... Seguimi, ti faccio provare la divisa.» mi dice, accennando con la testa al retro del negozio.
Senza farmelo ripetere due volte, trotterello dietro Madame Malkin, mentre avverto un improvviso brivido d'eccitazione inerpicarsi lungo la mia schiena. Il solo pensiero d'indossare un vestito di questo mondo mi manda in fibrillazione.
Madame Malkin mi fa segno di salire ritta in piedi sull'unico sgabello presente nella stanza e, in un batter d'occhio, mi infila dalla testa una lunga tunica nera. Con movimenti rapidi ed esperti, comincia ad appuntare spilli nei punti in cui la lunghezza dell'abito non si confà alla mia corporatura.
«Ecco fatto, mia cara.» annuncia soddisfatta la strega, dopo meno di un minuto, «Puoi tornare di là, dai tuoi genitori. Tra un attimo sarò da voi, per farvi saldare il conto.»
Terminato con Madame Malkin, io e la mia famiglia decidiamo di comprare i libri di testo suggeriti dalla lista. Mia madre adocchia, con la stessa rapidità di un falco a caccia, una libreria, chiamata 'Il Ghirigoro di Flourish & Blott', la quale diventa all'istante il mio negozio preferito, non appena i miei occhi scorrono lungo gli alti scaffali ingombri di libri intrisi di incantesimi e simboli indecifrabili.
Purtroppo, la nostra permanenza nel negozio non dura quanto vorrei. Una volta comperati tutti i manuali scolastici, sono costretta ad abbandonare il Ghirigoro e la sua pazzesca collezione di volumi magici. Altri acquisti mi attendono, così, insieme ai miei genitori e a mia sorella - che diventa sempre più insofferente ogni minuto che passa - mi immergo nuovamente nel flusso di persone che affollano Diagon Alley.
Dopo all'incirca una movimentata mezz'ora, in cui rimbalzo come una pallina da flipper da un emporio di spezie ad una bottega di calderoni, telescopi e altri strumenti (di cui ignoravo l'esistenza), ci ritroviamo accampati in un angolo della strada, con le braccia appesantite da sporte piene dei bizzarri articoli magici appena acquistati, e i portafogli di gran lunga più vuoti e leggeri di quando siamo arrivati nel quartiere.
Esausti e accaldati, ci concediamo un paio di minuti di riposo, contemplando nel frattempo il mare di persone, agghindate di cappelli a punta e lunghi mantelli, che sfila indifferente davanti ai nostri occhi.
La mamma prende il foglio con l'elenco delle cose da acquistare e lo studia con perizia.
«Credo manchi solo la bacchetta...» commenta dopo poco, pensierosa.
A quelle parole, una nuova scarica d'eccitazione mi attraversa dalla testa ai piedi.
«Chissà dove si potrà acquistarne una? Ehm, mi scusi...» esordisce incerta mia madre, attirando l'attenzione di un passante.
Quello arresta di colpo il passo, scoccandole un'occhiata interrogativa.
«Sì?»
«Sa dirmi dove sia possibile comprare una... bacchetta magica?» domanda la mamma, pronunciando le ultime due parole con una disinvoltura piuttosto posticcia.
Il viandante - un giovane uomo avvolto da un lungo mantello celeste e con la testa cinta da un copricapo del medesimo colore - pare scrutare il nostro quartetto con vaga perplessità, prima di rivolgerci un ampio sorriso comprensivo.
Credo abbia intuito che non siamo molto avvezzi del suo mondo.
«Oh, babbani immagino...» commenta, con un'accondiscendenza che un po' mi indispettisce, «Per quanto riguarda la bacchetta, è da Ollivander che dovete andare, senza dubbio. Il suo negozio si trova laggiù, sul lato destro della strada. Non è distante, vi basta proseguire dritto per qualche minuto.» ci spiega con educata cortesia, indicando con il dito un punto indefinito davanti a noi.
Dopo aver ringraziato a dovere il giovane mago per le indicazioni che ci ha fornito, ci rimettiamo tutti e quattro in marcia.
Petunia non sa più come rendere manifesto il fastidio che prova a camminare ancora per le vie di Diagon Alley. Le sue labbra sono così strette in una smorfia di disprezzo che quasi paiono inesistenti.
Per quanto mi riguarda, mi obbligo a ignorarla spudoratamente.
Dopotutto, si tratta di un giorno molto speciale per me e non ho nessuna intenzione di permettere alle sue paturnie infantili di rovinarmelo.
Raggiungiamo un negozio angusto, dalla facciata maggiormente scalcinata rispetto a quelle degli altri negozi. In alto, un'insegna a lettere d'oro, un po' scrostate, recita: 'Ollivander: fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.'
I miei occhi si incollano incantati sulla vetrina polverosa, dove è esposta una bacchetta magica, finemente intagliata e levigata, adagiata su un cuscino di velluto cremisi.
Con la coda dell'occhio, mi accorgo che anche Petunia la sta osservando con la stessa meraviglia dipinta in volto. A quanto pare, si è dimenticata dei suoi propositi di apparire distaccata e sprezzante.
Quando varchiamo la soglia, i campanelli appesi sopra la porta tintinnano annunciando il nostro ingresso. Ci ritroviamo in una stanza molto piccola e quasi completamente sgombra, fatta eccezione per una seggiola in legno, vecchia e trasandata; le pareti sono coperte da innumerevoli scaffali che pullulano di scatoline impilate ordinatamente l'una sull'altra.
Una strana atmosfera aleggia palpabile nel negozio; all'improvviso, un misterioso senso di solletico mi investe e la mia pelle si riempie di brividi. Persino l'aria che mi avvolge pare vibrare di un'intensa magia arcana.
«Buon giorno» ci accoglie una voce rauca e sommessa, levatasi dalla penombra della bottega.
I miei genitori e Petunia sobbalzano sul posto, e per poco non reagisco anch'io nello stesso modo, quando vediamo sbucare da dietro una delle alte pile di scatole lunghe e sottili, quello che intuisco essere il signor Ollivander, nonché il proprietario del negozio. Si tratta di un uomo anziano con occhi grandi e argentati, che ci scrutano con intensità.
«B-Buon giorno» balbettiamo all'unisono, unendoci in un saluto incerto.
«Primo anno a Hogwarts» commenta Ollivander, con un tono che non pare per niente una domanda. Il suo sguardo penetrante indugia a lungo su di me, come se avesse capito all'istante che sono io la destinataria della bacchetta che siamo in procinto di acquistare.
Comincio a sentirmi un po' a disagio; i suoi occhi velati e imperscrutabili mi fanno venire la pelle d'oca.
«Come ti chiami?» mi chiede Ollivander, continuando a fissarmi impassibile, senza nemmeno sbattere le palpebre.
«Lily... Lily Evans.»
«Allora, signorina Evans» esordisce, tirando fuori dalla tasca un metro a nastro con tacche in argento. «Qual è il braccio con cui scrive o che usa principalmente per maneggiare le cose?»
«Il braccio destro, signore» rispondo prontamente.
Ollivander mi afferra il braccio, lo solleva e lo distende, mentre con il metro ne misura ogni centimetro. Nel frattempo, mugugna fra sé e sé commenti incomprensibili.
Dietro le mie spalle, avverto gli sguardi insistenti e curiosi sia dei miei genitori che di Petunia la quale, da quando ha messo piede nel negozio, pare abbia definitivamente perso ogni parvenza di disprezzo dalla faccia.
Tutt'a un tratto, mi accorgo che il metro a nastro si sta muovendo da solo; il vecchio Ollivander è intento a trafficare tra gli scaffali. Dopo qualche istante, torna verso di me, con in mano un paio di scatole.
«Basta così» ordina pacato al metro, il quale smette di colpo di misurarmi in lungo e in largo il corpo e, con un guizzo, si rituffa dentro al taschino del suo proprietario.
«Dunque, signorina Evans, provi questa.» mi esorta, porgendomi una delle bacchette estratte dalle sue scatoline, «Legno di abete e corde di cuore di drago. Dieci pollici. Tendenzialmente rigida. Su, coraggio... La prenda e la agiti.»
Senza farmelo ripetere una seconda volta, impugno veloce la bacchetta e la agito in aria come mi è stato suggerito, benché mi senta un po' impacciata.
Tuttavia, Ollivander me la strappa quasi subito di mano, scuotendo la testa in modo evidente.
«No, questa non va bene. Provi quest'altra. Frassino e piume di fenice. Otto pollici e mezzo. Bella flessibile.»
Afferro la seconda bacchetta e ripeto il gesto di prima. Ma, ancora una volta, Ollivander non mi concede nemmeno il tempo di terminare il movimento del braccio che già me la toglie dalla mano.
Altri tentativi si susseguono per minuti e altre bacchette vengono scartate, ammucchiate sulla sedia malconcia che campeggia in mezzo alla stanza. Il polso comincia dolermi, tutto indolenzito a furia di agitarlo e ruotarlo per aria.
«Una scelta difficile, eh? Ma non si deve preoccupare, signorina Evans. Troveremo quella giusta.» cinguetta l'anziano bottegante, volteggiando allegro tra gli scaffali colmi di scatole.
Ne sfila una da una pila molto alta e me la allunga, con un'espressione fiduciosa stampata sul viso rugoso.
«Ecco, proviamo con questa... Legno di salice e crini di unicorno. Dieci pollici e un quarto, sibilante. Flessibile ed elastica. Forza, la provi.»
Come ho fatto con tutte le bacchette precedenti, avvolgo le dita attorno all'impugnatura e, inaspettatamente, qualcosa accade. Percepisco un intenso calore solleticarmi la punta delle dita, per poi propagarsi, come una scarica di energia, in tutto resto del corpo.
Sollevo quindi la bacchetta fin sopra la testa e la abbasso rapidamente, lacerando l'aria polverosa che mi circonda. Per poco non strillo per lo stupore, quando dalla punta della bacchetta si sprigiona una scia luminosa di scintille colorate, le quali scoppiettano come minuscoli fuochi d'artificio davanti ai miei occhi increduli.
Un sorriso trionfante si allarga tra le rughe del volto di Ollivander; dietro di me, mamma e papà battono le mani estasiati. Per un momento, ho come l'impressione che persino Petunia si sia lasciata sfuggire un sospiro di pura meraviglia.
«Brava Lily!» si congratula mia madre, con la voce incrinata per la commozione. Si avventa su di me e mi abbraccia forte. Penso proprio che l'idea di avere una strega come figlia non le dispiaccia affatto.
Paghiamo il prezzo richiesto per la bacchetta e salutiamo contenti il vecchio Ollivander il quale, mentre oltrepassiamo l'ingresso del negozio per rimetterci in strada, ci ricambia con un inchino.
***
Quando facciamo ritorno a casa, a Cokeworth, è già pomeriggio avanzato. Qualche vicino ci lancia occhiate sbalordite, soprattutto rivolte al gran carico di roba stravagante che ci portiamo appresso. Petunia ostenta di nuovo la sua espressione più ingrugnita, come se si vergognasse di essere parte del nostro gruppetto.
Esattamente come per il viaggio di andata, durante il tragitto non ha pronunciato la benché minima parola, barricandosi dietro un mutismo serrato. Qualcosa nel suo sguardo, però, pare essere cambiato; da quando abbiamo messo piede dentro l'angusta e polverosa bottega di Ollivander, il disgusto che albergava negli occhi acquosi di mia sorella sembra aver ceduto il posto ad una più feroce scintilla di desiderio.
In più di un'occasione, ho scoperto Petunia fissare con sguardo ardente la scatola che contiene la mia bacchetta magica. Non c'è certo bisogno di essere un genio o un investigatore per intuire quanto anche lei desideri possederne una.
Rientrati in casa, corro subito in camera mia a sistemare tutte le cose meravigliose acquistate a Diagon Alley. Ogni fibra del mio corpo freme per l'emozione ed io mi sento leggera e piena di gioia, come se fosse la notte di Natale.
Tra i vari articoli che ora ingombrano la mia stanza, vi è anche un maestoso baule, dentro al quale comincio a disporre con maniacale delicatezza i libri di testo comprati al 'Ghirigoro', assaporando prima il gradevole profumo di carta nuova emanato dalle pagine.
A ruota, aggiungo le boccette d'inchiostro, i rotoli di pergamena e le piume d'oca che mi serviranno per scrivere e prendere appunti durante le lezioni. Seguono poi le divise, che ripiego con estrema cura, di modo che nemmeno un lembo si sgualcisca durante il viaggio che mi condurrà a Hogwarts.
Finito di mettere in ordine la mastodontica valigia, agguanto l'unico libro di magia che non ho disposto nel baule - intitolato Storia di Hogwarts - e mi srotolo sul mio letto per leggere. Una curiosità incontrollabile mi assale, così divoro i capitoli che narrano le antiche vicende dell'istituto magico che presto diverrà la mia scuola con una voracità di cui io stessa mi stupisco.
Per più di un'ora resto immersa nella lettura, finché dal piano di sotto non odo la voce trillante della mamma che annuncia sia a me che a mia sorella che la cena è pronta. A malincuore riemergo dalle pagine, richiudo la spessa copertina di Storia di Hogwarts e mi appresto a uscire dalla stanza.
Trotterello allegra giù per le scale, raggiungendo la mamma e il papà in cucina. Oltrepassata la soglia, però, noto che Petunia non c'è.
«Lily, tesoro... va' ad avvertire tua sorella. Temo non mi abbia sentita.» mi suggerisce mia madre, senza concedermi il tempo di mettermi a sedere.
Mal celando un sospiro contrariato, ritorno di sopra, dirigendomi verso la stanza di mia sorella.
«Tuney... la cena è pronta! Mamma e papà ci aspettano di sotto, in cucina.» la avverto, accostandomi alla porta socchiusa. Ma non ricevo nessuna risposta.
Incuriosita e anche un po' preoccupata, mi avvicinò quindi al lungo e sottile spiraglio che si allunga verticalmente tra l'anta di legno e lo stipite, sbirciando con lo sguardo all'interno della camera. Intravedo il profilo ossuto di Petunia, seduta alla sua scrivania, intenta a scrivere qualcosa su un foglio. Mi accorgo che il suo corpo sta tremendo, come scosso da singhiozzi silenziosi. Comprendo all'istante che sta piangendo di nascosto.
Senza nemmeno accorgermene, la mia mano agisce di sua spontanea volontà, spingendo la porta per aprirla.
«Tuney! Cos'è successo?» la chiamo allarmata, irrompendo dentro la stanza.
Petunia sussulta sulla sedia e si volta verso di me, terrorizzata. Con una mano, afferra rapida la prima cosa che trova sulla scrivania e la piazza sopra al foglio, per nasconderlo. Nel frattempo, la paura che vibra potente nei suoi occhi azzurri un po' sbiaditi si tramuta in rabbia, fissandomi con una ferocia tale da farmi trasalire.
«T- Tu! Piccola ficcanaso!» balbetta imbestialita al mio indirizzo, «Non puoi entrare nella mia stanza senza permesso!»
«È la mamma che mi ha chiesto di chiamarti! La cena è pronta, ma tu non hai sentito.» tento di giustificarmi mortificata, benché non riesca a capire che cosa io abbia fatto di sbagliato per meritarmi una simile reazione.
Ma Petunia non pare per nulla incline ad ascoltare le mie ragioni; balza giù dalla sedia e si avventa su di me. Con uno spintone decisamente aggressivo mi caccia fuori dalla camera e mi chiude la porta in faccia, con violenza.
Io rimango in piedi, impietrita per qualche lungo istante a fissare sconcertata l'anta, ora accuratamente serrata, domandandomi che cosa abbia potuto far scattare mia sorella in quel modo. La mia mente lavora veloce e uno stormo di dubbi e di sospetti mi invade prepotente i pensieri.
Di una cosa, però, sono certa: qualsiasi sia il messaggio che Petunia stava scrivendo su quel foglio, è evidente che non vuole assolutamente che io scopra di che si tratta.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top