Preludio - il ritorno della Bestia
«Non lasciarti ingannare dall'apparenza,la vera bellezza si trova nel cuore»
Aveva imparato così bene a fingere, che non si trattava più di mentire. Per questo nessuno se ne rendeva conto.
Diventare l'emissario del branco di Scott, poi, aveva aiutato molto. Capiva molto di più della personalità enigmatica di Deaton da rendersi conto che invidiarlo, tanti tanti anni prima, era stato veramente un eufemismo rispetto al sentimento che ora riconosceva in profondità.
Ritornare a Beacon Hills era stata una scelta piuttosto consequenziale. Aveva studiato duramente per laurearsi e, nei ritagli di tempo libero in cui non aveva corsi da seguire o esami da preparare, aveva studiato ogni arte sovrannaturale messa a disposizione dal dottore, prima della sua decisione di sparire letteralmente dalla circolazione. Se frequentare il corso di Criminologia era stata una scelta basata su un piccolo desiderio adolescenziale, farlo per tentare di diventare un buon druido e, quindi, un buon emissario era stato qualcosa di inevitabile. Deaton lo aveva messo di fronte a una realtà che lui, in breve, non si era sentito di rifiutare. L'invidia, come già scritto.
Avere la consapevolezza di poter essere ciò che tanto aveva invidiato da ragazzino, lo aveva condotto ad accettare quella possibilità. Nonostante, alla fine, non avesse più la stessa smania, né la stessa ambizione di un tempo. E lo stesso valeva per la laurea.
Aveva imparato che la vita andava in questo modo. Aveva capito che tutto continuava a correre nonostante qualcuno decidesse di fermarsi. E lui si era fermato, mentre tutto aveva continuato a ruotare velocemente attorno a sé. Per questo, fingeva di camminare ancora.
Ma era rimasto indietro. Molto indietro.
Era fermo all'insonnia. All'iperattività. E a nuove fobie che gli erano state indotte subdolamente dai traumi che, dopo che Scott fu morso, aveva dovuto affrontare. L'ultima, prima di mettersi tutto alle spalle per entrare all'Università, era stata la paura di essere stato dimenticato.
Aveva anche un nome, la sua nuova compagna: Athazagorafobia.
E se tutti credevano di essere andati oltre, di averla superata, lui era ancora lì a conviverci. Passivamente, certo, ma era ancora lì.
Imparare a fingere, però, seguendo una routine incapace di impattare contro le sue vere emozioni, come il dolore e la rabbia, aveva fatto svanire gli attacchi di panico. Non ne aveva più uno, da anni.
Così fingeva di star bene, di essere quello di un tempo. Fingeva perfino di essere felice. Non aveva più fobie, non aveva più demoni. Tutto era passato, si viveva il presente. Fingeva di dormire, la notte, invece che restare in piedi a guardare la sua città addormentata.
E, come premesso, fingeva piuttosto bene.
Ritornare a Beacon Hills era stato come un tuffo nel passato, per quanto riguarda il tempo e lo spazio. Nulla sembrava immutato e la cittadina aveva lo stesso vecchiume addosso, come una fotografia ingiallita a cui si possono aggiungere didascalie e che la si può modificare nei dettagli, senza mai nulla di veramente radicale a renderla diversa.
Le didascalie e le modifiche che Stiles notava erano i cambiamenti subiti negli anni al college in cui le persone che conosceva erano andati avanti con la propria vita, così come aveva fatto lui. I dettagli erano le assenze.
Il padre non abitava più nella loro casa, ma si era trasferito con Melissa, con cui conviveva da un po'. Nella casa vuota, Stiles si era stabilizzato come fosse una cosa ovvia, nonostante Melissa gli avesse offerto di andare a vivere con loro. Stiles aveva rifiutato, per diversi motivi ma soprattutto perché sentiva che la propria casa era il luogo più giusto dove stare. Melissa non aveva insistito, così neppure il suo padre. Ma loro semplicemente perché credevano che il rifiuto dipendesse da Scott.
Scott era rimasto lì, come Alpha glielo doveva alla città. Ma si era trasferito con la compagna in una nuova casa. Aveva avuto un figlio. E lavorava al centro veterinario, dopo la laurea presa facendo avanti e indietro da Beacon Hills e Palo Alto. I loro rapporti non erano più tornati gli stessi, ma fingevano lo fossero benché l'unico legame che avessero, ormai, fosse quello di Emissario e Alpha. Non potevano sentirsi più sconosciuti di così, ma nessuno si prendeva la briga di mettere le cose al proprio posto. Come una volta. Perché nulla era più come una volta.
Liam era al college, ma di tanto in tanto tornava in città.
Lydia invece non era più tornata. Era partita, dopo che la loro relazione non aveva funzionato e non la sentiva dal giorno della rottura; ogni tanto si rendeva conto di non essersi comportato bene con lei. Ma Lydia non era il tipo di persona da aspettarsi delle scuse, e quindi lui non lo aveva fatto. Semplicemente.
Malia era rimasta a Beacon Hills e lavorava alla centrale; di conseguenza, ora che anche lui era entrato a lavorare lì, collaboravano come partner. Le cose con lei non erano poi cambiate così tanto. E forse Stiles la vedeva come l'unica in grado di vedere oltre la facciata che mostrava. Il loro rapporto, però, si basava unicamente su quella facciata. Perché andava bene così.
D'altronde quella fobia, con la quale conviveva quotidianamente, gli aveva insegnato una cosa importante: non poteva soffrire pensando di essere stato dimenticato, se nessuno lo conosceva veramente.
Gli altri del branco spesso e volentieri spuntavano fuori per qualche settimana e poi sparivano di nuovo. Ma se c'era bisogno di aiuto, se erano in pericolo, il branco si dimostrava essere unito come sempre. Perfino Lydia, lo sapeva con certezza anche Stiles.
Un solo componente non aveva fatto mai più ritorno. Ma a lui, Stiles, pensava rare volte e per pura forza di costrizione.
***
Come abitudine, per contrastare la sua insonnia, aveva iniziato con delle lunghe passeggiate notturne. Al college era risultato più semplice e più sicuro, passeggiare per i cortili, nonostante l'ora tarda e le strade deserte. Il silenzio era il mostro più grande al quale dover tenere testa, ma Stiles ne aveva passate tante da non provare più alcun tipo di paura materiale. Così nemmeno Beacon Hills, la città attira guai, ci riusciva più. Vivendo in quella che una volta era la casa dello Sceriffo e che ora semplicemente era la sua, non doveva neppure uscire dalla finestra per non far preoccupare suo padre per le sue uscite al chiar di Luna. Ora che ci viveva da solo, usciva dalla porta con il cappuccio della felpa sopra la testa e le cuffiette nelle orecchie.
Camminava a passo veloce, una semi-corsa, che accelerava i suoi battiti sterminando tutte le tensioni che lo assalivano durante il giorno. Correva pensando al suo respiro e alla musica che ascoltava e che di tanto in tanto canticchiava fievolmente. Durante la notte, non pensava più a nulla.
Senza pensare, si ritrovava sempre ai margini della foresta. E senza paura, visto che i suoi occhi ne avevano viste di tutti i colori, ci si addentrava senza indugi, ritrovandosi, dopo ore di cammino, sempre nello stesso posto.
Villa Hale era sempre tetramente mastodontica e le travi bruciate di gran parte dell'edificio gli davano l'aria di un fantasma, se in qualche strano modo una casa in rovina lo potesse essere.
Stiles non si chiedeva mai perché i suoi viaggi lo conducessero sempre lì. Non lo riteneva importante. Però sapeva, lo aveva accettato, che i piedi lo portavano davanti a quella casa perché ne sentiva il bisogno. Come se aspettasse qualcosa. Come se da un momento all'altro, dovesse succedere qualcosa.
Ma in sei mesi che era tornato e nelle volte in cui aveva fatto ritorno dal college per le vacanze, non era mai accaduto nulla.
O per lo meno, nulla di ciò che si aspettava.
All'inizio era stato confuso da quelle sensazioni e si arrabbiava, frustrato con se stesso, additandole come una stupida speranza di rivedere chissà che cosa o di assistere a chissà quale ritorno. Poi, impratichendosi con l'arte soprannaturale e come druido giovane, aveva compreso che quelle sensazioni non fossero affatto speranza, ma pure sensazioni.
Dopo sei mesi dal suo ritorno a Beacon Hills, Stiles aveva il sentore che stesse per accadere qualcosa ma non aveva idea di quando ciò sarebbe effettivamente successo. Nemmeno cosa. Sapeva solo il luogo. Dove. Perché ne era attratto nelle sue passeggiate senza pensieri. Perché ci giungeva nel momento in cui metteva da parte la ragione e lasciava fare all'istinto.
Quando tornava a ragionare, solitamente con le prime luci del mattino, pensava a cosa potesse realmente succedere.
Villa Hale poteva attrarre di tutto, soprattutto pericoli. E pensò a Peter, perché era colui da dover temere di più.
Controllava spesso, quindi, il suo soggiorno alla Eichen House. E si sentiva sempre meglio quando scopriva che fosse ancora rinchiuso lì dentro.
Pensò a qualche fantasma del passato, perché suvvia poteva davvero essere di tutto – soprattutto roba soprannaturale. Pensò a Laura, che aveva dei validi motivi per avercela con Beacon Hills e, soprattutto, con lui.
Perché di una cosa era certo, benché fosse l'Emissario del branco di Scott e fosse certo che nessun'altro all'infuori di lui potesse percepire quel sentore, era anche assolutamente convinto che se lo sentiva, se era attirato lì tutte le notti, il motivo lo riguardava direttamente.
In sei mesi, non pensò nemmeno una volta che la sensazione potesse coinvolgere direttamente Derek Hale.
Perché Stiles poteva essere certo di tante cose e riuscire a dubitarne di tutte, in solo un battito di ciglia, ma mai avrebbe esitato sulla certezza che quell'uomo avrebbe un giorno rimesso piede a Beacon Hills.
Se ne era andato, una volta accettato tutto il suo passato. E un'anima in pace con se stesso, non torna mai indietro sui suoi passi.
Non poteva biasimarlo, se avesse potuto farlo anche lui, non avrebbe esitato nemmeno un attimo.
Quella notte seppe immediatamente che poteva essere una svolta.
Fu una luce ad attrarlo. Rossa. All'interno della tetra villa. Stiles non fu incerto, benché quel mastodontico maniero gl'avesse sempre messo i brividi. Entrò nella Villa degli Hale forse per la prima volta dopo anni e salì di un piano, perché dall'esterno a quell'altezza aveva individuato la luce rifulgente che tornò a intravedere lungo il corridoio pericolante.
Rischiò di finire al pianterreno inciampando in un enorme buco troppo preso a fissare il richiamo della luce alla fine del corridoio, ma si salvò per il rotto della cuffia, appiattendosi contro la parete e strisciando lentamente per oltrepassarlo.
Quando fece cigolare la porta accostata, lesse sul legno bruciato l'insenatura che, un tempo, doveva segnalare il nome del proprietario di quella stanza e rabbrividì.
Peter
Una rosa sospesa apparentemente nel vuoto, con il gambo verso il basso e i petali rigogliosi a far risplendere le pareti della camera come una lampada, lo attendeva rigirandosi in se stessa.
Stiles si avvicinò, spinto ancora da quell'attrazione istintiva, con un cruccio in viso e una mano leggermente esposta in avanti, pronta a toccarla.
Non aveva spine, ma le vide crescere quando eliminò tutta la distanza e gli fu di fronte. Non la toccò immediatamente, studiandone ogni sfaccettatura.
Era una questione soprannaturale, considerato che non era da tutti i giorni essere in grado di vedere una rosa fluttuante, luminosa e appariscente come lo era quella.
Stiles stava per toccarla, quando la vide vibrare e... sussurrare. Si ridestò, saltellando nervoso su se stesso. Ma non le tolse gli occhi di dosso, mentre allungava un orecchio per ascoltarla.
I've got two faces, blurry's the one I'm not, I need your help to take him out*
Stiles guardò la rosa, confuso. Cosa... cosa voleva che facesse? E, soprattutto, sussurrava a lui?
Though I'm weak and beaten down, I'll slip away into this sound*
Doveva pensare e velocemente. Ma ebbe solo il tempo di elaborare ciò che stava ascoltando, ringraziando il cielo di avere ancora un'ottima memoria per ricordare. La rosa gli sussurrò ancora:
The ghost of you is close to me, I'm inside-out, you're underneath*.
Non aveva senso, ma quando mai ne aveva avuto prima di allora? Se fosse stata una cosa semplice, sicuramente Stiles non avrebbe dovuto attendere sei mesi prima di vedere realizzarsi la sua prima sensazione strana da druido.
La rosa stava sussurrando ripetutamente l'espressione «don't let me be gone, don't let me be gone, don't let me be gone, don't let me be gone*» quando un latrato spezzò l'armonia di quella voce echeggiante.
Questa volta, il ragazzo saltò sul posto guardando fuori dalla finestra, alla sua destra. La luna crescente inondava tiepidamente il panorama e Stiles si avvicinò per intravedere cosa stesse accadendo fuori e chi, soprattutto, avesse ululato con così tanta angoscia nel petto.
Vide un lupo di dimensioni più grandi del normale avanzare verso la villa e Stiles seppe immediatamente che si trattasse di un licantropo. Sgranò gli occhi e corse fuori dalla stanza e rifece la stessa strada per uscire. Era in preda al panico alla consapevolezza che potesse tutto ciò trattarsi di Peter.
In non si sa quale modo non solo quell'essere insano era sfuggito dal manicomio delle creature soprannaturali ma aveva anche ritrovato le capacità di trasformarsi completamente in un lupo mannaro dalla pelliccia nera come la pece.
L'unica cosa sensata da fare di fronte a un licantropo completamente trasformato era correre il più lontano possibile augurandosi che quello non fosse interessato a inseguirti e poco propenso a sbranarti. Ma Stiles sapeva che ora era tutto inutile scappare e che, alla fine dei fatti, dovessero andare proprio così le cose, anche con la consapevolezza di poter morire.
Era da un po' che quella donna fatale non gli faceva più paura. Era pronto, forse perché da tempo gli sembrava già di non vivere più.
Però non era rassegnato, avrebbe combattuto solo per tentare di capire cosa stesse succedendo.
Il lupo avanzò piano, come fosse affaticato. Stiles rimase immobile sul porticato, respirando piano nonostante il petto gli si alzasse e abbassasse velocemente.
Guardarlo avvicinarsi fu affascinante, credendo soprattutto fossero le ultime cose che avrebbe visto in quella vita. Alzò gli occhi per vedere il cielo, le stelle e la luna perdendosi il momento in cui una prima zampa del lupo toccò il legno usurato della piccola scalinata.
Quando abbassò i suoi occhi d'ambra, vide una mano con gli artigli ancora da lupo e tre zampe del lupo che ancora avanzava trascinante.
Stiles lo capì subito, senza essere più in grado di guardare altrove, che più si avvicinava a lui e più il lupo tornava ad essere umano. Gli crollò esausto di fronte ai piedi, nudo e apparentemente privo di sensi.
Stiles si irrigidì, stringendo i pugni e incapace per qualche secondo di respirare. Lo riconobbe dalle spalle larghe e tornite, dalla nuca scura e dalla barba nera lunga e incolta di soli un paio di giorni. Ma non ebbe dubbi su chi fosse dal tatuaggio a tripla spirale. Triskell.
Non era Peter.
Si piegò quando tentò di muoversi con la mascella serrata. Lo afferrò per le spalle, girandoselo tra le mani e abbandonandoselo sulle gambe.
Era invecchiato di qualche anno, come lui d'altronde. Sembrava stanco, come se avesse viaggiato per giorni, se non settimane. Respirava. E Stiles pensò di risentire la rabbia cocente rimontargli dentro, mentre lo osservava, proprio a quella constatazione: Derek Hale era vivo ed era tornato a Beacon Hills.
*Goner, Twenty One Pilots
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"Derek?" lo chiamò rendendosi conto di avere la gola secca.
Era uno strano scherzo del destino, quello lì, perché non era decisamente la prima volta che si ritrovava a dover competere con un Derek Hale privo di sensi; e se l'ultima volta aveva desistito da risvegliarlo con un pugno, ora di certo non vedeva l'ora di sfogarsi un po'. Ciò nonostante aveva preferito chiamarlo, solo per avere la certezza che non avesse nessun altri mezzi se non la sua mano stretta a pugno.
Sapeva di non dover incanalare alcun tipo di emozione in quel gesto, ma Stiles non si era ancora riconciliato con la propria ragione, considerato l'ora notturna in cui erano avvolti, e perciò agì d'istinto. E il pugno che gli sferrò fu secco e decisamente vigoroso.
Gemendo per il dolore, seppe che nonostante tutto il dolore ne era valsa la pena.
Derek Hale ansimò bruscamente, sgranando gli occhi e tornando a respirare ritmicamente. Stiles lo vide mettere a fuoco davanti a sé per individuare il viso dell'altro.
"Stiles?" rispose lui.
Sentirlo parlare non fu piacevole e le spalle del ragazzo tornano ad irrigidirsi. Il desiderio di colpirlo ancora arrivò probabilmente all'olfatto del licantropo che, percependo le sue emozioni, fece una smorfia nel cipiglio che a Stiles non era mancato affatto.
"Che diavolo ci fai qui?" domandò Stiles, evitando di toccarlo ancora con le proprie mani e ringraziando il cielo quando Derek decise di mettersi a sedere, dandogli poco carinamente le spalle. In quella posizione, evitò anche di guardarlo, o avrebbe finito per indugiare in quella schiena scolpita che negli anni non era cambiata di una virgola: ancora considerevolmente possente come quella di un adone; l'oscurità, poi, fungeva essenziale per uno strano gioco di luci ed ombre, un chiaroscuro peccaminoso che rendeva agli occhi di chiunque quella visuale allettante come un quadro di Caravaggio. Stiles si impuntò sul legno bruciacchiato di una colonna del porticato. Decisamente più interessante, anche se non durò, ritrovandosi fin troppo presto a volgere lo sguardo nuovamente sul licantropo.
Gli sembrò neutrale fissargli impunemente la nuca, senza lasciarsi sfuggire la muscolatura muoversi malleabile ai suoi gesti compiti. Lo vide con le mani sul volto per togliersi di dosso probabilmente la confusione e la stanchezza. E fu certo di non ricevere una risposta, perché se non era cambiato in tutti quegli anni, Derek spesso non riteneva necessario rispondergli.
Però si voltò mostrandogli il profilo del proprio volto. A Stiles sembrò spaesato, ma solo inizialmente. Perché, andiamo, non si vedevano da secoli e non poteva accadere da un momento all'altro che sapesse decifrare le differenze nei suoi corrugamenti accigliati.
Non era nemmeno una capacità del druido.
Tuttavia Derek sembrava veramente disarmato. Stiles si mise in piedi, velocemente sulla difensiva. Perché non doveva ammorbidirsi.
"Questa-" disse Derek, provando ad alzarsi anche lui. Stiles indietreggiò, dinnanzi alla quella prova certa: se Derek riusciva a mantenersi in piedi, non aveva motivo di essere delicato con lui. "È casa mia" gli rispose, fronteggiandolo.
La smorfia di Stiles fu piena di rammarico. Perché, sì, Derek spesso si prendeva la briga di non rispondere ai suoi quesiti, ma quando invece lo faceva la risposta non era mai quel che ci si dovesse aspettare, cioè quella che doveva essere. Sbuffò seccato, ne aveva già abbastanza di lui. E quello sì che era strano, perché in passato era sempre stato il contrario – se non si considera gli inizi in cui neppure lui sopportava la presenza misteriosa di quello scorbutico.
Rialzò lo sguardo quando il lupo gli parlò ancora: "Tu, piuttosto, che ci fai qui?"
Gli sembrò un dejà-vù, perché nella sua mente riecheggiò il seguito di quella domanda: questa è proprietà privata.
Dio, quanto tempo era trascorso...
Stiles reputò quella domanda non importante e, certo, non molto tempo addietro avrebbe perfino potuto rispondere incespicando in trilioni di pensieri sconclusionati, ma quella notte rimase in silenzio. Si guardò attorno, assottigliando lo sguardo per cercare qualcosa di interessante oltre alla sagoma di Derek Hale che, nonostante, appunto, la nudità non sembrava affatto in imbarazzo.
Stiles schiaffeggiò le mani fra loro in un sonoro scocco e si liberò di ogni nervosismo inutile.
"Ottimo, considerato che nessuno dei due vuole rispondere alle domande dell'altro. Io me ne andrei. Ho imparato a capire quando la mia presenza è, per così dire, indesiderata" affermò, iniziando a scendere la scalinata di fronte a lui.
Derek rimase immobile vicino al punto in cui aveva perso i sensi. E Stiles non si voltò nemmeno quando lo salutò freddamente con un "Bentornato".
Si ritrovò nella foresta senza l'illusione che il lupo trovasse un pretesto per fermarlo. Perché non lo avrebbe fatto. Stiles lo sapeva che se Derek non aveva motivi per fare una cosa, semplicemente non la faceva.
Come il fatto che per tutto quel tempo non aveva avuto un motivo per tornare a Beacon Hills. Di fatto, non era mai tornato. Neppure per un saluto. Neppure per accertarsi che andasse tutto bene.
Dopo altre due ore di cammino, tornò a casa. Si fece una doccia e poi si preparò un caffè, pronto con le prime luci del mattino, di andare a lavoro.
In macchina, si disse a se stesso che se quel lupo era tornato, ora, un motivo doveva pur esserci. Soltanto che non aveva più voglia di conoscere quale fosse.
Ne avrebbe parlato a Scott. D'altronde era lui l'Alpha e lui avrebbe dovuto preoccuparsene.
Forse avrebbe perfino preferito si trattasse del ritorno di Peter...
***
A Beacon Hills accadevano fatti straordinari, di tipo soprannaturale. Ma il livello di criminalità era veramente scarso. Stiles non si lamentava, ma non poteva negare di annoiarsi molto a lavoro. Per questo, il più delle volte, si ritrovava a girovagare nella propria auto di pattuglia per le strade della cittadina. Aveva un sacco di tempo libero e molto spazio in testa in cui elaborare pensieri tipici di un mente iperattiva.
Si ritrovò di fronte alla clinica veterinaria dove lavorava Scott con l'idea di doversi liberare la coscienza e, di conseguenza, lavarsi le mani di quella situazione che, considerato il fatto che non avesse ricevuto alcuna chiamata, conosceva soltanto lui.
Salutò pigramente l'amico, consegnandogli il caffè che era solito portargli. E fu vago.
"Non hai saputo nulla?"
Scott, ovviamente, si accigliò, mentre visitava il gatto della signora Gatiss. "Di che parli?"
Stiles fece spallucce camminando per l'ampia sala veterinaria, sotto lo sguardo dell'Alpha che subito aveva iniziato a usare il proprio olfatto per studiare l'amico.
Stiles glielo vide espresso in faccia, tutta l'elaborazione mentale che Scott stava compiendo mentre lo annusava.
Stiles sapeva di frustrazione, indecisione ma, soprattutto, aveva su di sé un odore che non gli apparteneva.
L'odore di un licantropo. Nonostante la doccia, non doveva essere scomparso via del tutto.
Fece una smorfia e Stiles capì che forse l'Alpha doveva aver dimenticato a chi appartenesse o forse Scott era troppo svogliato per mettersi a ricordare. Oppure... troppo incredulo che potesse trattarsi di...
"È tornato?" tombola! Ci era arrivato.
Stiles annuì impercettibilmente, senza guardarlo in volto. "Ti evito i dettagli inutili, ma è arrivato alla villa... ed è stato trovato privo di sensi" evitò di dire chiaramente la verità, perché non aveva voglia di far sapere a Scott che lui si trovasse proprio lì al suo ritorno.
"Nulla di nuovo, no?" fece dell'ironia, ma Scott era troppo in allerta per poterlo trovare divertente.
Stiles lo studiò e fece spallucce per mostrarsi disinvolto.
"In ogni caso, mi sembrava giusto fartelo sapere, anche se non significa nulla di concreto, il suo ritorno".
Aveva imparato a controllare i propri battiti cardiaci. Era una delle prime lezioni per un buon druido, nonché per un buon emissario in un branco di infallibili licantropi. Ma quella mattina, semplicemente, non trovò utile farlo. Perché Scott doveva aver un motivo per interessarsi alla cosa, in modo tale che Stiles avrebbe potuto liberarsene definitivamente.
"Se è tornato, deve esserci per forza un motivo... Dopo tutto questo tempo in cui non lo ha fatto- non può aver deliberatamente deciso di ritornare"
Tombola, di nuovo! E anche se era triste dovergli dare ragione, Stiles provò solo frustrazione a quella cruda verità.
E poi invece nascose subito un sorriso soddisfatto, per essere riuscito nel suo intento, ma doveva puzzare tantissimo di quel sentimento perché Scott fece una smorfia e lo guardò pensoso.
"Ti ha detto perché è tornato?" gli domandò.
Stiles ridacchiò sardonico. "Secondo te?"
Scott negò dopo qualche secondo di esitazione.
"Se ha qualche ragione, lo dirà senz'altro a te, Scott" concluse, pronto ad andarsene. Scott annuì silenziosamente, mentre Stiles esitò sulla porta prima di salutarlo.
Le cose erano così diverse, da così tanti anni. Era triste, ma ormai Stiles ci aveva fatto l'abitudine e non aveva motivo di sentire una mancanza che nemmeno l'altro doveva star provando da anni.
"Solo... fa attenzione. Con Derek Hale in città, c'è sempre la probabilità certa di finire nei guai" esclamò, per poi ritornare verso la propria autovettura.
Era da diverso tempo che non gli dimostrava di sapersi preoccupare di lui. E a causa di Derek Hale, lo aveva fatto quasi naturalmente. Come se fosse sempre stato così. Come se non fosse mai cambiato nulla.
***
Non aveva smesso con le passeggiate notturne. Semplicemente, non giungeva più fino a Villa Hale. Per motivi ben ovvi.
Passarono due giorni prima di ricevere una chiamata da Scott che gli chiedeva di vedersi proprio nei pressi della villa.
E Stiles seppe immediatamente che il motivo era Derek e che Scott aveva appena deciso di doverlo per forza coinvolgere.
Mentre guidava verso la radura, nel tratto di strada che turbinosamente giungeva fino alla villa, Stiles prese atto che il ritorno del licantropo aveva senz'altro un motivo.
Pensò alla rosa che aveva trovato nella stanza probabilmente appartenuta a Peter Hale e si sentì confuso, mentre le parole che ella gli aveva sussurrato riecheggiavano nella sua testa.
Si domandò, quando fu ad un paio di chilometri di distanza dall'arrivo, se fosse ancora lì a disposizione di Derek e Scott e se, soprattutto, uno dei due nel frattempo avesse scoperto cosa significasse.
Scese dalla sua auto sbattendo lo sportello e sfogandosi inutilmente i nervi che lo turbavano. Perché ci pensava, involontariamente, anche se aveva chiara e forte la volontà di non volersi affatto interessare a quella situazione. C'era solo un motivo che poteva condurlo a cambiare idea: la minaccia che la sua città fosse in pericolo. Ma dal momento in cui c'entrava soltanto Derek Hale, lui non voleva averci nulla a che fare.
Percependo probabilmente la sua presenza, Scott lo raggiunse sul porticato. Si salutarono con una stretta di mano e una pacca sulla spalla, ma Stiles non chiese che cosa stesse succedendo, né il motivo di quella chiamata.
Era inutile.
La prima cosa che gli venne detta, fu tutto ciò che Scott doveva sapere: "Non può abbandonare questa villa, altrimenti è indotto a trasformarsi in lupo".
Scott non ebbe bisogno di rendere chiaro a Stiles che ciò era pericoloso, perché un lupo senza raziocinio, viveva di istinto. E per quanto Derek potesse aver col tempo controllato la sua natura, in quella forma lupesca, doveva esserci un motivo ora che glielo rendeva impraticabile. Stiles annuì, aspettandosi che Scott continuasse a parlare. Non lo fece.
Alzò un sopracciglio e "Quindi non ti ha detto nient'altro?"
Scott lo guardò di sfuggita, come se fosse incerto se continuare a parlare.
"No, non ricorda ciò che gli è successo. Sa solo che per mesi si è sentito sempre più incontrollabile, nervoso. Durante il plenilunio doveva incatenarsi perché sentiva di non poter prevalere sul lupo. E poi, qualche settimana fa, si è trasformato e non è stato capace di tornare umano. E il lupo ha iniziato a correre, tornando qui. Non ricorda molto, non sa nemmeno se ha fatto del male a qualcuno. Sa solo che è stato spinto a tornare a Beacon Hills, come se... sapesse che finalmente a casa avrebbe potuto tornare umano".
Stiles elaborò tutto ciò che Scott gli aveva detto, elucubrando sull'idea che molto di ciò che aveva ascoltato dovevano essere deduzioni dell'uomo che aveva davanti, piuttosto che di Derek. Annuì, mentre gli sorgeva un dubbio apparentemente innocente: "Ti ha detto precisamente quanti mesi fa ha iniziato a sentirsi così?"
Scott annuì. "Sei mesi fa".
Stiles fece finta di non fare alcun collegamento. Perché sei mesi fa lui non era tornato a Beacon Hills.
Scott esitò ancora, come se non volesse dirgli qualcosa per paura di innervosirlo... perché ovviamente l'Alpha doveva percepire ogni sua emozione.
"Scott, parla"
Dopo un sospiro, Scott lo guardò dritto in volto e "Mi ha detto di averti trovato qui, al suo arrivo. Quando sei venuto da me, credevo che sapessi di Derek perché lavori alla centrale e, beh, è ovvio sapere chi entra nella città che tenti di tutelare; ma non avevo capito che eri sul posto al suo arrivo. Hai anche detto che è stato ritrovato privo di sensi e non che ti fosse svenuto ai piedi dopo essere tornato umano... perché, insomma, non me lo hai detto?" domandò, probabilmente ferito.
Stiles non aveva tempo di preoccuparsi dei sentimenti di Scott, o non ne aveva voglia perché chiaramente nella posizione in cui doveva continuare ad essere il più vago possibile.
Fece spallucce e si stropicciò il ciuffo di capelli sulla fronte. "Non l'ho ritenuto importante. Dovevo- sì, insomma, farti sapere solo che era tornato in modo tale che tu ti accertassi dei suoi motivi, se ci fossero stati. Non era di mio interesse, avere a che fare con lui e il suo ritorno"
Scott era confuso e così lo guardò senza tentare di non sembrarlo. Stiles sbuffò senza aggiungere nulla.
"Si tratta di Derek, Stiles. Come può non essere di tuo interesse? E poi, non lo hai ritenuto interessante? Cazzo, eri qui, di notte, a miglia di distanza da casa tua, senza un valido motivo e non lo hai ritenuto interessante farmelo sapere?"
Stiles camminò attorno a lui, con aria seccata.
"Senti, Scott. Sono io che lavoro per lo sceriffo della città e so io cosa è rilevante e cosa no, in questi casi. E la mia presenza e i miei motivi per cui ero in giro a tarda notte, non c'entrano nulla con Derek Hale, di cui, sì, non è mio interesse sapere perché è tornato" rispose crudamente.
Scott lo ascoltò, annusandogli la puzza di frustrazione e non indagò ulteriormente perché benché i rapporti fossero cambiati da diverso tempo, Stiles era ancora la stessa persona con cui era cresciuto e doveva conoscerlo bene, nei suoi modi di reagire alle delusioni.
E perciò, benché fosse piuttosto tonto e duro di comprendonio il più delle volte, capì che Stiles dovesse avercela molto con Derek e che, quindi, si comportasse di conseguenza a quel sentimento.
D'altronde, anche lui ce l'aveva avuta per diverso tempo e per – forse – gli stessi motivi. Ma quando era andato avanti con la propria vita, si era fatto una famiglia e aveva capito che la vita, spesso, svoltava in quella maniera drastica, aveva smesso di prendersela con il fantasma di un uomo che aveva abbandonato perseguendo la stessa svolta. Aveva smesso, semplicemente.
Stiles non l'aveva fatto, forse.
"Se mi hai fatto arrivare fin qui per chiedermi questo, avresti potuto farlo direttamente al telefono, lo sai?"
Scott annuì in un sospiro. "Non ti ho fatto venire qui solo per questo. Ma ora che hai reso palese il tuo disinteresse, non so nemmeno se parlarti delle condizioni di Derek".
Stiles si irrigidì. Strinse forte i denti, serrando la mascella e, involontariamente, guardò verso una finestra, come aspettandosi di vedere dall'altra parte un moribondo osservarli tristemente. Vide solo il suo riflesso, che dava l'idea nitida di uno che non riusciva propriamente a disinteressarti della cosa.
"Se mi hai fatto venire qui, lo hai fatto anche sapendo che volente o no, avresti richiesto il mio aiuto. Sono il tuo Emissario..." spiegò Stiles, pensando ad alta voce, sentendosi in gabbia. Respirò cercando di non abbandonarsi all'ira.
"Non voglio costringerti e a questo punto se solo sapessi dov'è finito Deaton, chiederei a lui ma tu sei la mia unica risorsa, Stiles. Derek ci ha aiutati molte volte e, sì, l'aiuto è stato reciproco e sicuramente tu non gli devi nulla, ma... non voglio che sia l'Alpha a ricordare all'Emissario il suo compito. Vorrei che fossimo Scott e Stiles, quelli-"
Stiles lo interruppe in tempo per non ascoltare l'unica cosa in grado di ferirlo veramente. "D'accordo" disse, stringendo i pugni.
E sicuramente tu non gli devi nulla...
Non glielo doveva, infatti. Ma sapeva di mentirsi un po', dentro, alla consapevolezza che quel pensiero stonasse con i suoi sensi di colpa.
Perché c'era stato un tempo in cui aveva preso coscienza di poterlo vedere morire e non aiutarlo, pur di salvare l'uomo che aveva di fronte in quel momento. Perché c'era stato un tempo in cui Derek gli aveva permesso di lasciarlo morire e lui lo aveva fatto, volgendogli le spalle e correndo in aiuto di Scott.
E sicuramente quello era qualcosa di bello grosso che gli doveva. Ma non lo avrebbe mai accettato.
Perché alla fine Derek era uscito vincente alla morte, divenendo il lupo che aveva accettato finalmente il peso del suo passato.
Non lo avrebbe mai accettato, perché Stiles gli aveva dato le spalle accettando la sua morte, ma poi Derek aveva fatto lo stesso, sparendo da Beacon Hills fino a quel momento, con l'evidente dimostrazione di aver messo tutti loro, compreso lui, nel pacchetto del passato che aveva accettato e che mai avrebbe più rimesso in discussione.
Non lo avrebbe mai accettato, perché entrambi si erano dati le spalle, abbandonandosi. I sensi di colpa erano solo debolezze con cui si può imparare a condividere.
Scott doveva sentirgli addosso tutta la sua ostinazione e si concesse un sospiro di sollievo. A quel punto, entrarono nella villa.
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Considerazioni importanti da fare e che voi lettori dovreste conoscere se continuerete a leggere questa storia:
Ho smesso di seguire Teen Wolf, nonostante lo amassi alla follia, alla fine della quarta stagione. I motivi sono tanti ma non sono importanti ai fini di questa storia. Ovviamente sono rimasta sempre leggermente interessata agli sviluppi quindi molto sommariamente conosco alcune cose delle stagioni successive. Non nel dettaglio, ma questo lo capirete con la lettura. Questo per dirvi che ho mantenuto canon il fatto che Derek se ne fosse andato da Beacon Hills, ma non solo; per i fini della trama, ho voluto inserire anche l'avvenimento accaduto in quest'ultima stagione (sesta), ovvero i Ghost Rider che hanno "preso" Stiles, portando tutto il branco a /dimenticarsi/ di lui. Ovviamente, non avendo seguito questa stagione in particolare ho tratto da me le conclusioni più basilari che magari stoneranno con ciò che è effettivamente successo nella serie. La mia idea, probabilmente non in linea con quella "ufficiale" è questa: quando Stiles è stato catturato, tutti lo hanno dimenticato e secondo la mia logica, lo ha fatto anche Derek, ovunque egli fosse. Non sarà importante come il branco sia riuscito a salvarlo, ma ho scelto che Stiles e Lydia siano usciti da questa situazione "insieme", capendo di amarsi ma che tendenzialmente il loro rapporto a lungo andare non ha funzionato. Il motivo è Stiles, che è cambiato radicalmente, indotto dall'ulteriore trauma subito. In questa storia, il rapporto tra Stiles e Scott è cambiato, i motivi non sono dovuti a qualche motivo accaduto nella serie (anche perché in questo caso non lo saprei) ma sempre a causa di Stiles che ha voluto tenersi a debita distanza anche dal proprio migliore amico. Poi leggendo, spero, capirete cosa intendo.
Inoltre, ho usato l'idea che soprattutto nella seconda stagione era spuntata fuori nel fandom, ovvero che Stiles potesse avere lo stesso dono del Dottor Deaton (solo successivamente si scopre che questo personaggio è un druido, emissario della madre di Derek) e quindi ai fini di questa storia, ora Stiles è l'Emissario di Scott ed è l'unico legame che li tiene ancora uniti. Tutto ciò che fa un Emissario/druido in questa storia, però, è frutto della mia fantasia.
Spero che questa mia decisione non offenderà nessuno e lo so che sembrerà assurda la mia idea di scrivere una cosa del genere senza un fondo di concretezza. Ma credetemi se vi dico che non ho la forza di mettermi in pari con una serie che, a lungo andare, mi ha deluso tanto. Nonostante questo, ritengo le prime serie di una bellezza rara ed essendo affezionata morbosamente a Derek e Stiles, mi sono lasciata guidare dall'ispirazione e ho scritto questa storia.
In linea generale, posso dire che questa storia risulterà canon fino alla quarta stagione. Se qualcosa non dovesse tornare e avete delle critiche da porgermi, fate pure perché sono aperta a qualsiasi consiglio/miglioramento.
Ultima parentesi: se noterete delle similitudini con La Bella e la Bestia, non state dando i numeri. Ci sono tutte le intenzioni di rievocare per una bellissima coppia come gli Sterek, un'altra bellissima coppia della mia favola preferita.
Spero che l'idea vi piaccia.
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