9 - Serpente
Ergaf
Pressi di Gazar
11 anni fa
Si svegliò tossendo così forte che gli sembrò di buttare fuori anche la gola. Gli bruciava tutto il corpo, eppure era allo stesso tempo infradiciato e infreddolito. Le narici gli pizzicavano e ogni odore gli arrivava al cervello pungendolo come spine acuminate.
Cos'era successo?
"...si è svegliato..."
Attorno a lui si muovevano ombre scure illuminate da una luce rossa. Una si stava avvicinando. Si sentì spaventato e cercò di raggomitolarsi su sé stesso, ignorando il dolore che gli provocava fare il più piccolo movimento.
"...calma... voluto ucciderti... già fatto..."
La voce giungeva confusa e ovattata alle sue orecchie ma ne riconobbe comunque una nota aspra. La mano che gli toccò la spalla aveva una presa violenta. Cercò di metterlo a fuoco ma gli occhi gli bruciavano e dovette chiuderli per cercare di lenire il dolore.
"...non ti preoccupare... ripescato dal fiume..."
Un lampo illuminò la mente di Daer. La fuga, il fiume, lui e suo fratello che venivano investiti dalle acque...
Il pensiero scattò tutt'attorno cercando quello di Reyk. Lo sentiva, era lì dietro da qualche parte, silenzioso e freddo.
Molto freddo.
"Come ti chiami, ragazzino?"
Era una domanda semplice, eppure ebbe il dono di calmare il muoversi vorticoso dei suoi pensieri. Anche il suono di quella voce gli giunse più chiaro, meno ovattato, come se quella semplice domanda avesse stappato le sue orecchie. C'era qualcuno davanti a lui, un'ombra che non riusciva a distinguere e che si muoveva ondulante, eppure quell'ombra gli chiedeva qualcosa e poteva concentrarsi solo su di lei.
Si sciolse dalla sua posizione raggomitolata e prese un grosso respiro. Fu un errore, tutti gli odori che lo circondavano si lanciarono nel suo cervello pungendolo e costringendolo a battere più volte gli occhi prima di riuscire a emettere un rantolo appena capibile.
"Daer... figlio di Zenor... Gazar."
"Bene Daer, bravissimo. Ora, che ne dici di tornare a riposarti? Avete passato un brutto momento, meglio provare a recuperare forze."
Sì, sembrava logico. E poi aveva tanta voglia di chiudere gli occhi che continuavano a bruciargli... Eppure si mise a sedere, ignorando la sensazione che dormire fosse la cosa più giusta da fare.
"Chi sei?"
"Daer, facciamo un patto. Tu adesso ti stendi e chiudi gli occhi. Intanto io ti dico chi sono finché non ti addormenti."
Annuì e si stese. Non desiderava altro che dormire.
"Io sono Serpente. - Iniziò con voce lenta e cullante, che stonava col suo tono aspro - È un soprannome che mi hanno dato i miei soldati per un tatuaggio sul polso. Sono il comandante di un plotone di mercenari. Siamo venuti a Gazar per trattare un ingaggio col reggente ma, non avendo trovato un accordo, ce ne siamo andati e per qualche giorno abbiamo posto il campo sulle rive del fiume. Le feste come quella nella vostra città sono fonte di buoni affari e di persone che chiedono di arruolarsi.
"È stata la vostra fortuna, i miei guerrieri di guardia hanno visto il fiume ingrossarsi e portare i vostri corpi esanimi. Sono riusciti a trascinarvi a riva..."
Quella voce era stranamente ipnotizzante. Pian piano Daer ne fu avvolto e si addormentò, perdendo le ultime parole del comandante che gli spiegava come i suoi soldati lo avevano salvato.
"Che ne facciamo, comandante?"
Fissò il ragazzino addormentato con sguardo pensoso. Ne era sicuro, era quello che aveva salvato dalla furia di Sdang a Gazar. Che palle trovarselo nuovamente tra i piedi.
"Lo portiamo con noi finché non si sarà ripreso. A quel punto potrà andarsene dove vuole. Ha una buona dose di fortuna, poteva finire in mano a chiunque ed è finito dagli unici che non hanno interesse a riportarlo alle guardie della città."
"E quando partiamo, comandante?"
Ci mise un attimo a rispondere. Quando avevano pescato i due ragazzini si stavano preparando a smontare il campo. Era disposto a ritardare la partenza per quei due?
"Diamo ancora un po' di tempo a Caret."
Il soldato annuì e andò a diffondere i nuovi ordini. Era un rischio ritardare la partenza, si sarebbero dovuti muovere con le luci del giorno e a Gazar avrebbero potuto vederli. E le città non amavano i plotoni di mercenari alle proprie porte.
Dedicò alcuni secondi a maledirsi mentalmente prima di avviarsi verso Caret.
"Come sta?"
Lo stregone tolse le mani dal corpo del ragazzino e fissò Serpente. Aveva il volto sudato e gli occhi dilatati.
"Non è stato fortunato come l'altro. Deve aver sbattuto su qualche roccia appuntita e ha un taglio profondo che gli attraversa tutta la coscia. Non è in pericolo di vita ma non so se riuscirò a fargli usare ancora la gamba."
Serpente annuì e si allontanò. Quei due gli avrebbero procurato un sacco di grattacapi, ne era certo.
Ergaf
Cittadella
Oggi
Daer spalancò gli occhi non appena i compagni gli sfiorarono una spalla per svegliarlo. Si alzò per seguirli verso la mensa e lanciò un'imprecazione al Sole che allungava i suoi raggi rossi sul deserto. Ora che l'aveva ricordata nel sonno il pensiero di quella notte, del pensiero freddo di Reyk che aveva percepito in mezzo allo stordimento, lo avrebbe tormentato.
Reyk...
Sulla porta della mensa li aspettavano Jash, Postermin e, a qualche passo di distanza, Ghimesh. Il comandante aveva deciso con Ari che se avesse voluto far parte dei Trenta Mercenari, allora avrebbe dovuto lasciare la cella e partecipare all'iniziazione come tutti gli altri.
La cena iniziò con le tre sedie del tavolo dei Trenta Mercenari ora occupate dai tre giovani. Indossavano i vestiti abituali dei mercenari della Cittadella, giubba e braghe nere. Si sarebbero vestiti come i Trenta Mercenari solo la prima sera della missione.
I volti di Jash e Postermin ostentavano sicurezza. Avevano imparato che ogni momento all'interno della Cittadella era un addestramento e non volevano mostrarsi insicuri a un passo dall'arruolamento nei Trenta Mercenari.
Ghimesh invece continuava a massaggiarsi i polsi, su cui c'era il segno delle catene, o a strattonarsi la giubba, non abituato a tenere il petto coperto. Non aveva toccato cibo, poche volte aveva sfiorato il bicchiere e le sue mani tremavano così tanto che il comandante si era stupito di non vedere l'acqua spargersi per tutto il tavolo. Aveva sempre tenuto lo sguardo basso, non incrociando nessuno degli sguardi stupiti che continuavano a fissarlo da tutta la sala.
Agitò nervosamente il vino cercando di non pensare a quei tre nuovi cuccioli dagli occhi puliti, così diversi dagli occhi sporchi di orrore dei veterani.
Il comandante disprezzava ogni nuovo soldato e non lo nascondeva. In passato si era chiesto perché provasse quell'odio viscerale verso i novizi e pian piano aveva trovato la risposta; quel sentimento velenoso era un'autodifesa. I veterani conoscevano già l'orrore della battaglia, avevano già affinato le loro capacità di sopravvivenza.
I nuovi venivano invece da anni di allenamenti, non sapevano cos'era la battaglia vera e normalmente morivano nella prima che affrontavano, sopraffatti dalla realtà del conflitto. Odiare e disprezzare le nuove reclute era un metodo che gli permetteva di non legarsi troppo a guerrieri che, probabilmente, sarebbero morti nella prima battaglia.
Era uno dei trucchi che il suo cervello aveva sviluppato per non impazzire di fronte alla morte e al sangue che lo circondavano.
Ringraziò mentalmente Ari quando pose fine a quell'interminabile cena. Lasciò i compagni a bere nella mensa, fece un cenno a Ghimesh e si diresse assieme a lui verso l'abitazione assegnatagli.
"Ti ho promesso che ti terremo d'occhio e inizierò già da stasera. Entra a dormire, io mi stenderò qua fuori. Domattina starai con me e Ari per tutto il giorno."
L'esseride fece per dire qualcosa ma l'occhiata glaciale del comandante bastò a farlo schizzare dentro, con un guizzo delle gambe squamose che stupì il comandante per la loro velocità.
Sbuffò mentre si stendeva a terra. Anche la balia doveva fare ora.
Pericoloso come un esseride, così diceva suo padre ogni volta che c'era qualcosa che non andava. E ora ne aveva arruolato uno e lo faceva dormire nel suo letto.
Osservò i puntini luminosi sopra di lui. Avrebbe voluto guardarli fino al mattino ma essersi già addormentato una volta lo faceva sentire assonnato. Ma voleva resistere, i suoi ricordi erano pericolosi.
Quando prima si era addormentato, il passato lo aveva raggiunto sotto la luce del sole del Grande Deserto e in compagnia della sua squadra. I ricordi si erano mostrati come immagini sfocate, nebulose. La notte, i contorni si definivano, i corpi senza vita diventavano nitidi e gli occhi di coloro che aveva ucciso sembravano talmente reali che spesso si svegliava con un silenzioso urlo strozzato in gola.
Oppure...
Oppure sognava di un fiume dai riflessi scintillanti, su cui si stagliava un volto dai lisci capelli castani, e due occhi verde giada che lo fissavano. In quei casi era anche peggio.
Quando già le palpebre spingevano per chiudersi, l'immagine di Ghimesh che lo fissava mentre gli proponeva di unirsi ai Trenta Mercenari gli sfiorò la mente.
Sorrise. Forse anche lui aveva fatto la stessa faccia quando gli avevano proposto di arruolarsi prima del tempo. Di certo, ricordava la paura quando gli avevano detto di presentarsi alla Guardia, la più alta carica dei mercenari.
Entrare in quell'ufficio...
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