43 - Attacchi a sorpresa

“È da ammirare.”

Daer annuì mentre masticava lento un boccone di pane, talmente duro da stridere sui denti. Ari si riferiva al vecchio stregone, e il comandante non poteva che dirsi d'accordo. Nonostante avessero impiegato l’intera giornata a discendere le pendici delle D Ilpakës, lungo un sentiero ripido sulla cui neve tutti erano scivolati almeno una volta, collezionando botte secche che ben presto si sarebbero trasformate in altri lividi, il vecchio non si era mai lamentato.

Nemmeno una volta.

E ora, accampati per la notte, assieme a Caret si era messo a girare tra i mercenari, pronunciando strane magie con cui asciugava i cappucci infradiciati, i mantelli gelati e i piedi infreddoliti. Non c’erano segni di stanchezza su quel volto rugoso.

“Come mai non lo sopporti?”

“Non riesco a nasconderlo?”

“Per niente.”

Daer strappò un altro pezzo di pane, rischiando seriamente di scheggiarsi un dente, ma almeno poteva fingersi occupato a masticare mentre pensava alla risposta.

“Non lo so. Ci ha salvati dopo la Battaglia della Grotta Insanguinata, dovrei essergli grato. Eppure, mi pare che non sia mai chiaro, che nasconda sempre qualcosa. Ogni sua parola ne può significare altre venti.”

Il vento penetrò nei mantelli, facendolo rabbrividire mentre risaliva gelido lungo la schiena.

“Non so se riesco a crederti.”

Daer lanciò un’occhiata storta all’elfo.

“Che vuoi dire?”

Alzò le spalle, stringendole poi sul collo per cercare un minimo di calore.

“Il vecchio sembra sempre sicuro di sé. Certo, magari non dice tutto, ma agisce in modo semplice. Ha da fare una cosa e muove i suoi passi in quella direzione. E penso che sia questo avanzare in modo lineare, con la barra dritta, che ti irrita.”

Daer digrignò i denti, anche se non si era alzata nessuna gelida folata di vento. Sentì sulla punta della lingua una risposta brusca da dare all’elfo, eppure si fermò. Si prese un attimo, e volse lo sguardo a guardare il vecchio stregone, che continuava a muoversi tra i mercenari mormorando incantesimi. Sembrava inarrestabile, come se gli anni non pesassero su quelle spalle fragili.

"Forse hai ragione. – ammise abbassando lo sguardo, la voce roca, perché pronunciare quelle parole gli stava procurando uno strano raschio alla gola – Lui sa sempre cosa fare, non ha mai un dubbio. Io invece..."

Si interruppe, incerto se continuare. Ari rimase in silenzio, aspettando.

"Io invece non faccio altro che dubitare, o prendere decisioni sbagliate. Ho guidato debolmente l’attacco al demone, e Postermin è morto. Mi sono buttato nella nebbia del Talar Obalis, e abbiamo perso quattro compagni. Sono sempre un passo indietro, un comandante non all’altezza."

Si voltò verso Ari, un velo di amarezza negli occhi. "Lo stregone infonde coraggio, si muove sicuro. Io sono solo un uomo che si aggrappa al comando per non affogare nei suoi incubi."

Per alcuni secondi, le parole furono sostituite da un ululato profondo del vento, talmente forte da sovrastare le parole e i pensieri. Quando si interruppe, fu Ari a parlare per primo.

"Forse non ti rendi conto che ti seguiamo proprio perché dubiti. Perché metti ogni fibra del tuo essere nelle decisioni, e le ponderi fino in fondo proprio perché sai che potresti sbagliare. La certezza assoluta non rende un leader migliore, spesso lo rende cieco."

Daer abbassò lo sguardo, lasciando che le parole di Ari si insinuassero tra i suoi pensieri.

"Forse hai ragione. – mormorò, quasi impaurito di farsi sentire – Ma ciò non toglie che il peso di quelli che ho perso continui a gravare sulle mie spalle."


“Che luogo di merda!”

Daer non poté fare altro che essere d’accordo con Baber. Da quando si erano svegliati, li aveva accolti una violenta bufera, che sbuffava e graffiava mentre i fiocchi turbinavano come impazziti fra le sue spire. Rassegnati, i mercenari avevano innalzato il loro nero vessillo e avevano iniziato la marcia in mezzo a quel gelido inferno.

Presto avevano scoperto che la tormenta non era la cosa più terribile. Ancora peggio era la nebbia, che si innalzava rendendo invisibile quel che li circondava e la direzione che stavano prendendo. Per non perdersi, avevano dovuto nuovamente ricorrere alla corda legata fra loro. Persino il loro stemma aveva smesso di agitarsi nel vento, congelato dal freddo e anche lui stanco di quella marcia sfibrante.

Spesso qualcuno inciampava e cadeva, trascinando i compagni più vicini. Il solo Daer era incespicato una decina di volte. E in alcuni momenti la tempesta fu tanto violenta da obbligarli a fermarsi, attendendo che si calmasse per poter riprendere la marcia.

Dovevano fermarsi e perdere altro tempo anche quando cambiavano il mercenario in testa alla cordata, visto che il primo del gruppo doveva sfondare la neve, obbligandolo a uno sforzo molto faticoso e non sopportabile per troppo tempo, a cui si aggiungeva il compito di dover proseguire sperando di non girare inutilmente in tondo, cosa che avevano già fatto almeno due volte.

Alla sera si rintanarono come animali in profonde buche, scavate con furia e usando anche il piatto delle armi per fare più in fretta. Ma la mattina, sempre che fosse davvero la mattina, avevano trovato ad aspettarli la stessa bufera, e così quella dopo ancora.

“Daer, dobbiamo fermarci!”

L'urlo di Wors arrivò attutito alle orecchie del comandante, perso tra la neve e l'aria burrascosa. Un fremito di orgoglio gli fece pensare che no, potevano farcela, ma lo ingoiò immediatamente.

Aveva ragione.

Erano ore che procedevano. Daer non sentiva più gli occhi tanto erano congelati. Il cappuccio, i vestiti e il mantello ormai non trattenevano più il freddo e ogni folata sembrava colpirli con spade ghiacciate. Muovere un solo passo sembrava un ostacolo invincibile e si procedeva con il corpo quasi strisciante a terra e le spalle abbassate, come a voler forzare una muraglia di scudi.

“Accampiamoci!”

L'ordine fu passato di bocca in bocca e i guerrieri esausti si lasciarono cadere a terra.

Avrebbero dovuto scavare le buche, ma non riuscivano più a opporsi alla forza della tormenta.

Daer avrebbe dovuto dare gli ordini, farli alzare…

…ma gli occhi gli si chiudevano...

…e la stanchezza lo avvolgeva…

…due mani lo scuotevano...

“ ...comandante...”

...era Ary?...

Sì, era l'elfo. Lo stava smuovendo per le spalle, tentando di svegliarlo.

Aprì gli occhi di scatto, venendo accolto da vortici di neve che lo colpivano come migliaia di spilli voraci. Non poteva lasciarsi andare così, non ora, non alla testa dei suoi mercenari.

Si rialzò in piedi. Si scrollò di dosso quella stanchezza che fino all'attimo prima lo aveva avvolto nelle sue spire, e prese ad abbaiare ordini tra le folate voraci della tempesta.

Dovevano resistere!

“Comandante. – la voce di Wors, spezzata dal vento, lo chiamava da un punto alle sue spalle. – Il vento… il vento sta cambiando?”

Si voltò, tentando di capire cosa intendesse con quelle parole incerte, ma in effetti c'era qualcosa di diverso nel vento che ancora ululava. Una pausa, quasi impercettibile, nel ritmo incessante della tormenta.

Un velo di incerto silenzio ricoprì improvvisamente i guerrieri. Daer sentiva il respiro affannato che si mescolava al gelo dell’aria. Sollevò lo sguardo verso il cielo, coperto da un grigiore opaco che sembrava fatto di metallo. Ma c’era un punto, lontano, dove il grigio sembrava più chiaro, come se un raggio di luce stesse cercando di farsi strada.

La neve prese a cadere più lentamente. I fiocchi iniziarono a scivolare verso terra, sempre più leggeri. Il vento, da furioso, divenne un sussurro, un respiro affannato che andava lentamente a spegnersi.

“Guardate.” mormorò Ari, indicando il cielo. Daer seguì il suo dito e vide il cambiamento. Lentamente, quasi con riluttanza, le nubi si stavano aprendo, lasciando intravedere uno spiraglio di luce. Non era un sole caldo, ma un pallido disco bianco che spuntava tra le nuvole, il suo bagliore riflesso sulla neve come una carezza di ghiaccio.

Lentamente, il silenzio calò su di loro come una coperta. La bufera era scomparsa, lasciando un paesaggio immacolato, avvolto in una quiete surreale.

Daer inspirò profondamente, lasciando che l’aria fredda gli riempisse i polmoni. Sembrava che il mondo intero si fosse fermato, ghiacciato in una stasi ovattata.

“Cosa sono quelli?”

La voce di Wors ruppe il silenzio. Non stava indicando verso alcuna direzione, ma ai mercenari bastò volgere lo sguardo attorno per vedere le macchie nere all’orizzonte. Tre puntini, che si muovevano rapidi contro il bianco accecante del deserto innevato.

Daer sentì i muscoli tendersi, le dita che cercavano automaticamente l’elsa dell’ascia. Parlò con voce bassa, l'abitudine di dare ordini che riprendeva il controllo delle sue parole e lo liberava dalla paralisi che lo aveva attanagliato nel silenzio delle Lande Ghiacciate.

“Preparatevi. Qualunque cosa siano, vengono verso di noi.”

I puntini divennero tre grosse macchie di colore dissimile, poi scomparvero dietro la massiccia mole di un’alta duna.

Daer osservava l’orizzonte immobile, incurante del pressante freddo umido che linciava i suoi piedi. Sentiva già i muscoli tirarsi, pronti all’utilizzo, e l’adrenalina iniziare a circolare. Un solo pensiero gli attraversò la mente: avrebbe desiderato avere Raghel al suo fianco.

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