42 - il Deserto


Ergaf

Grotta Zoeva

Nel silenzio della grotta, gli occhi gialli di Vuoto Primordiale sembrarono quasi fare rumore mentre si aprivano. I tre figli gli furono immediatamente vicini, mentre gli altri rizzavano le orecchie per osservare la scena.

Sono arrivati. Andate. Vegliate sui guerrieri dai neri mantelli. Accompagnateli qui.

I tre balzarono fuori dalla grotta, correndo veloci lungo le Lande Ghiacciate. Al fianco di Vuoto Primordiale, Thanatos li osservò mentre i suoi neri volatili gracchiavano con versi acuti.

Ergaf

Lande Ghiacciate


Lo scontro arrivò violento, un tonfo sordo che percosse la colonna vertebrale di Daer.

Rimbalzò un paio di volte, ogni urto una nuova lancia di dolore che si propagava lungo tutto il corpo, prima di iniziare a scivolare. Stordito, cercò automaticamente di aggrapparsi a qualcosa per fermarsi, ma le mani grattarono una superficie troppo liscia e i piedi non riuscirono a impuntarsi su nulla.

La superficie sotto di lui divenne sempre scoscesa, rallentando la sua caduta fino a farlo urtare placidamente contro un grosso cumulo di neve fresca. Sbatté gli occhi, sentendo la neve infiltrarsi tra le palpebre e le pieghe del mantello, e nel naso, dove però assumeva uno strano calore umidiccio.

Credette di avere la vista annebbiata, prima di accorgersi che stava semplicemente fissando il cielo, talmente grigio da sembrare una coltre di nebbia. Frastornato, con bruciature sulle braccia e punti doloranti del corpo che sicuramente si sarebbero trasformati presto in grossi ematomi purpurei, puntellò le mani per alzarsi. Sprofondò e dovette appoggiare braccia e ginocchia per riuscire a tirarsi in piedi, tremante. Alcune gocce gli bagnavano la punta del naso, facendolo gocciolare infreddolito.

Eppure, non era morto. Nemmeno questa volta…

Attorno a lui, altri guerrieri frastornati tentavano di alzarsi o si tenevano la testa fra le mani. Ognuno era caduto in un enorme cumulo di neve fresca, al termine di lunghi canali ghiacciati il cui inizio si perdeva in alto.

“Quanti feriti?”

Voleva chiederlo con voce autorevole, ma la frase gli uscì con un pigolio acuto. Era ancora frastornato da quel lungo volo.

Li vide scuotere la testa. Li guardò, uno a uno.

C’erano tutti.

Un miracolo, considerando il modo in cui erano precipitati.

Si passò una mano tra i capelli, tentando di liberarsi della neve che si scioglieva sulla nuca e penetrava nelle ossa, e si guardò attorno.

Il paesaggio era troppo perfetto. La neve fresca formava cumuli soffici, come se fossero posizionati con cura. Il ghiaccio che ricopriva i pendii era liscio, privo di sporgenze che avrebbero potuto ferirli.

Sembrava quasi... intenzionale.

Si avvicinò al cumulo su cui era caduto e raccolse una manciata di neve, modellandola con le mani. Era talmente friabile che una parte scivolò tra le dita, ricadendo sotto forma di cristalli brillanti che brillavano nonostante il grigiore del cielo.

“Stai cercando risposte?”

La voce dello Stregone delle Ombre lo fece sussultare. Si voltò bruscamente, trovandosi di fronte la figura magra del vecchio.

“Cosa significa?”

Lo stregone indicò il pendio ghiacciato.

“Non vedi che il ghiaccio e la neve sono disposti in modo troppo perfetto per essere naturali? Possiamo pensare davvero che la caduta sia casuale?”

Il comandante strinse i pugni, sentendo la neve compattarsi tra le sue falangi.

“Smettila di parlare per enigmi.”

“Penso che i guardiani ci abbiano permesso di passare.”

Lanciò un’occhiataccia all’ossuta figura dello stregone, che si stagliava tra i fiocchi turbinanti come una canna sbattuta dal vento. Sul volto aveva un sorrisino che il comandante gli avrebbe volentieri strappato a forza.

“Permesso di passare? Ma se stavano cercando di ucciderci!”

Il vecchio scosse la testa lentamente.

“Siamo tutti qui, vivi. Non trovi strano che siamo caduti su perfetti scivoli ghiacciati, terminanti in soffici cumuli di neve?”

Daer digrignò i denti, il naso nascosto dal cappuccio, che lo avvolgeva in un tempore misto all'odore del tessuto. Distolse lo sguardo dallo stregone e lo puntò sulla cima delle D Ilpakës.

Qualunque fosse la risposta, ora erano prigionieri oltre quelle lisce vette. Se anche avessero eventualmente imboccato la via del ritorno, non aveva idea di come potevano nuovamente superare quelle pareti innevate.

Quante parole può avere un silenzio?

Un pensiero che nacque quasi per caso, ma ondeggiò a lungo nella sua mente, sospeso tra le folate gelide del vento e il tepore del fuoco acceso fuori dalla gola.

Scosse la testa, come se quel gesto potesse liberarlo, ma la domanda continuava a ronzargli nella mente.

Caret lo osservò dal lato opposto del fuoco, sollevando un sopracciglio, ma non disse nulla. Avevano il turno di guardia insieme, ma nessuno dei due aveva ancora spiccicato parola. Come se il gelo avesse congelato loro le labbra.

Sospirò, sentendo l’alito caldo, trattenuto dal cappuccio, risalire lungo il naso fino alla base degli occhi, e tornò a fissare dinnanzi a sé.

Alle spalle avevano un’alta parete, tanto liscia da sembrare vetro, che in quel punto si incurvava in una gola in cui avevano trovato riparo. I nani, unici possibili conoscitori di zone tanto fredde, avevano già spiegato che nelle notti successive, se non avessero trovato ripari come quelli, avrebbero dovuto scavare profonde buche nella neve, creandosi il riparo per la notte. Ma ora era bastato quell’anfratto, schiacciati a cercare calore tra le viscere della montagna.

Appena fuori dalla gola erano riusciti ad accendere un fuoco per chi stava di guardia. E ora Daer poteva rimirare il fianco della montagna lanciarsi ripido sotto di loro, in picchiata verso un deserto innevato che si disperdeva finché occhio potesse guardare.

Nonostante fosse notte profonda, come testimoniavano le stelle che puntellavano gli spazi lasciati liberi dalle spesse nuvole grigie, non c’erano problemi ad allungare l’occhio fino ai limiti dell’orizzonte. Il deserto era cosparso di un innaturale chiarore rosa, che dipingeva la neve e si rifletteva ovunque, in contrasto col cielo cinereo. Ciò permetteva di vedere bene tutto il deserto ai loro piedi: una distesa infinita, solcata da lunghe lastre di ghiaccio che luccicavano violacee.

Più volte il comandante aveva rimirato il Grande Deserto, e quello poteva essergli accumunato: un’ampia distesa di nulla, composto da dune, montagne e irregolari promontori, la cui punta arrotondata si innalzava verso il cielo in strane lingue lavorate del vento.

Uno spettacolo che sarebbe certamente piaciuto a Reyk…

“Come stai?”

Daer rabbrividì, rapito dai suoi pensieri dalla voce di Caret.

Sapeva cosa intendeva; lo stregone voleva chiedergli come stesse affrontando la perdita dei compagni.

Scrollò le spalle, passando con gli occhi dal deserto rosa, e dalle sue lastre di ghiaccio violacee, alle fiamme che ciondolavano pigre.

“Passerà. Sono solo altri quattro corpi lasciati lungo la strada.”

Caret rise. Un suono strozzato, amaro.

“Giusto. Sono morti il tuo braccio destro e la ragazza che hai amato. Passerà sicuramente in un lampo. Ora che ho detto anch'io una cazzata, che ne dici di rispondere in modo più intelligente?”

Daer rimase in silenzio, un groppo duro in gola che sembrava tanto un rozzo di parole che non riusciva a deglutire.

Lo stregone non insistette, lasciando che l'unico rumore fra loro fosse il vento gelido che spirava tra le rocce.

E non disse più nulla.

Contò i secondi, sperando che Caret dicesse qualcos’altro, che aggiungesse qualcosa, ma continuava a stare zitto, zitto, zitto!

Quando una nuova folata gli smosse il cappuccio, graffiando gli occhi, capì che non sarebbe riuscito a ingoiare tutte le parole che voleva vomitare, e si decise a interrompere quel silenzio che divideva lui e lo stregone. Le parole gli uscirono di getto, come un fiume in piena.

“Sto talmente male, che ci sono momenti in cui mi salgono conati di vomito. Sento lo stomaco attraversato da un blocco gelido, talmente spigoloso che mi riempie di un dolore congelante. A volte spero di vomitare veramente, così magari riesco a buttarlo fuori.”

Stava tremando. E non per il freddo.

“E ci sono momenti – continuò, la voce più bassa – in cui sento le loro voci. Lya, Raghel… Mi sembra di vederli tra le ombre, di sentirli chiamarmi. Ma non c'è mai nessuno…”

“E più volte hai pensato di passarti l'ascia lungo la gola, così da far tacere quelle voci.”

Caret aveva parlato con una voce metallica. Non l'aveva guardato nel dire quella frase, stava fissando il nulla.

“Ogni volta penso che il vuoto che ho dentro sia talmente abissale, che nulla potrà più amplificarlo. Invece, scopro sempre che può diventare una voragine ancora più profonda.”

Daer non sapeva se quella frase l'avesse detta lui, o Caret. In quel momento, era come se i pensieri dell’uno fossero quelli dell’altro, come se il dolore di uno fosse il dolore dell’altro.

Non aveva mai provato nulla di simile, non da quando non c’era più suo fratello.


“E ora? Come procediamo?”

Wors gli fece un cenno brusco di abbassare la voce.

“Idiota! Vuoi farti sentire da tutti?!”

Lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla gola. Daer aveva svegliato tutti per la partenza, ma prima di muoversi il vecchio stregone e Caret avevano iniziato ad applicare a tutti strane magie, per proteggere gli occhi dai bagliori del sole, che si rifletteva accecante sul ghiaccio, e stringere il tessuto dei mantelli per fare sentire meno il freddo.

“Cos’hai da gracchiare?” gli chiese brusco, arrivati a distanza di sicurezza dall’imbocco della gola.

Il mercenario strattonò il braccio, liberandosi dalla presa con un ringhio.

“Non capiamo cosa aspetti! Siamo sul fianco di montagne scoscese e piene di neve. L’unico che poteva avere più possibilità di te, come secondo, era Raghel, e ce ne siamo liberati. Dobbiamo agire, ora!”

“Già, bel lavoro avete fatto. Assieme a Raghel avete eliminato anche i due apprendisti dello stregone, e, soprattutto, un compagno. Riprendete un’iniziativa del genere senza interpellarmi, e vi passerò tutti a fil di spada!”

Il mercenario stava per rispondere, ma le sue labbra si congelarono in un pigolio quando incrociò i suoi occhi. Aveva uno sguardo talmente colmo d’ira, che sentì un brivido attraversargli il corpo.

“Almeno aveste risolto qualcosa. Fatto fuori Daer, perché Caret non dovrebbe mettersi di traverso e reclamare il comando? Appoggiato magari dal vecchio stregone. Quante speranze avremmo?!”

Avanzò di un passo e prese di scatto il mercenario al collo. La forza di Wors era sempre stata inumana, e il compagno ebbe il suo daffare a graffiarlo per tentare di allargargli le dita. Lui non mollò la presa, e lo alzò da terra, portandolo a pochi centimetri dal suo volto.

“Adesso ascoltami bene, e non perdere nemmeno una sillaba di quello che sto per dirti. Spargere sangue in questo deserto congelato sarebbe persino più dannoso del vostro gesto inconcludente. Se avessimo dei feriti, non sapremmo con cosa, e dove, curarli. Quindi, attendiamo. Se questo viaggio si rivela inutile, sarà facile addossare a Daer la colpa e prenderne il posto. Se, invece, dovessimo tornare, alla prima occasione faremo capitare al comandante un… incidente.”

Lo spinse via con forza, facendolo cadere nella neve, su cui si agitò per alcuni secondi portandosi le mani alla gola e respirando con grassi rantoli rumorosi.

“E la prossima volta che farete una mossa senza il mio consenso, sarai il primo che strozzerò.”

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