40 - Dispersi

Raghel strisciava il palmo sinistro sulla roccia assicurandosi di procedere regolarmente, maledicendo quei sassolini ruvidi che si piantavano nel palmo come piccole spine. Al suo fianco il fiato pesante di Lya accompagnava il pestare dei suoi passi stanchi. Però non l’aveva mai sentita lamentarsi, ammirevole.

La corda si tese improvvisamente, con uno scatto violento. Raghel cercò di opporsi a quello strattone e nel farlo i suoi piedi scivolarono, perdendo il contatto col terreno. Cadde nel grigiore della nebbia, mentre uno schiocco sonoro si allargava nell’aria.

Snap

Un brivido freddo gli percorse la schiena, ma non era dovuto ai sassi che nella caduta gli tagliavano la carne. Il brivido era provocato dal risuonare di quello schiocco, fin troppo facile da decifrare: la corda si era spezzata.

Maledizione!

“Fermi!”

Urlò il comando più volte, cercando disperatamente di farsi sentire, ma la sua voce si perse nel muro nebbioso senza ricevere risposte.

Dannazione!

Allungò un braccio al suo fianco, arrivando a sfiorare il corpo di Lya.

È caduta assieme a me e non ha levato un solo grido di dolore... sempre più ammirevole.

“Apprendista, come stai?”

“Bene, tutto bene.”

La voce era rotta dal dolore, ma il mercenario finse di non accorgersene e la aiutò ad alzarsi prima di mettersi a strattonare la corda.

“Quanti siamo?” chiese quasi urlando mentre le sagome dei compagni apparivano tra le volute della nebbia.

“Solo io e Raxel. La corda si è spezzata nel nodo tra me e Baber.”

Raghel riconobbe il suono profondo e tranquillo di Rorar, il possente nano dalla voce che sembrava uscire da un’immensa caverna. Solo lui dei mercenari, oltre ai due stregoni.

Se proprio dovevo rimanere disperso nelle nebbie del Talar Obalis, avrei preferito rimanerci con compagni della squadra. Non coi due apprendisti che, in quanto a sopravvivenza, sono esperti quanto un orso polare nel Grande Deserto.

“Va bene, continuiamo a proseguire. Io e Lya avanti, Rorar e Raxel dietro. Avanziamo finché non ritroviamo gli altri.”

Lya e Rorar risposero affermativamente. L’ultimo a parlare fu Raxel.

“Scusatemi tanto… la corda si è spezzata perché io sono inciampato e l’ho messa in tiro facendovi cadere tutti… mi dispiace…”

“Tranquillo, non è colpa tua ma di questo infido sentiero. Procediamo.”

Ripresero la marcia in mezzo alla coltre di nebbia. Se non fosse stata così fitta, avrebbero potuto vedere che, appena ripreso il cammino, prima di appoggiare nuovamente le mani sulle pareti, avevano imboccato un sentiero diverso, lo stesso che prima Daer aveva scelto di non prendere. Baber, quando gli avevano urlato di non seguire quella deviazione, lo aveva a sua volta urlato alle sue spalle, ma non aveva fatto caso se dietro di lui gli avessero risposto o no, convinto che tanto i compagni avrebbero seguito la sua corda, spezzata senza che lui se ne accorgesse.

Fecero pochi passi prima di trovarsi schiacciati l’uno contro l’altro. Il sentiero si era fatto improvvisamente più stretto e dovettero procedere in fila indiana, Raghel davanti e Rorar per ultimo. La neve sulle rocce penetrava tra le loro dita, bagnandole e gelandole allo stesso tempo.

Perché non abbiamo controllato meglio i nodi?

Raghel se lo chiese mentre il fiatone gli sconquassava il volto e fitte di dolore gli colpivano la milza e i muscoli delle gambe. Procedevano per un sentiero talmente ripido che non si sarebbe stupito se quella nebbia fosse in realtà una nuvola del cielo.

Dopo un tempo che parve infinito, la nebbiolina iniziò a diradarsi, allargandosi lentamente in una sottile oscurità. Arpionò un’aguzza pietra innevata e si issò ancora più in alto, apparendo in un punto pianeggiante in cui la nebbia non era più presente.

Fece lo sforzo di tirarsi in piedi e avanzò di qualche passo sfondando la neve prima di voltarsi a osservare i compagni che sbucavano pian piano. Il viso arrossato dalla fatica di Lya apparve poco dopo, seguita dall’ansimante Raxel e dall’affaticato Rorar.

Si costrinse a non lasciarsi cadere nella neve, che sembrava tanto bianca e morbida, e si mise a studiare ciò che vedeva mentre prendeva grosse boccate di aria gelida. Sopra di lui si stagliava un cielo grigio quanto la nebbia che avevano superato, circondante le cime più alte delle scoscese rocce ai loro lati. Dappertutto neve, neve pulita e liscia. Senza orme visibili, senza fumi di bivacchi o lampi di fuochi da campo.

Rorar lo affiancò, il mantello ricoperto di bianca neve.

“Dove sono?”

In nessun punto visibile di questo posto maledetto!

“Accidenti!”

Tirò un cazzotto violento a un sasso sporgente, troncandolo dalla pietra cui era saldato e facendolo rotolare per diversi metri nella neve immacolata. Un dolore tagliente gli fulminò le nocche, acuito dal gelo che gli ricopriva gli arti.

Questo lo sentirò per un po’.

“Abbiamo sbagliato strada.” Disse sospirando. Una nuvoletta gli uscì dalla bocca.

“Cosa facciamo?”

“Tornare indietro è impensabile, in quella nebbia non ritroveremmo un qualsiasi segno dei nostri compagni. Non possiamo fare altro che andare avanti e sperare di avvistarli.”

Il nano strinse l’elsa del randello legato al fianco.

“Vi siete ripresi?”

I due apprendisti annuirono alzandosi. Vedendoli stretti nei loro vestiti si accorse del freddo che aveva, un freddo pungente che i muscoli caldi gli avevano permesso di ignorare fino a quel momento.

“Bene, perché avremo bisogno di tutta la vostra maledetta magia. Potete identificare dove si trovano i nostri compagni?”

“Possiamo utilizzare il vento affinché trasmetta un messaggio, però è una magia imprecisa. Le parole potrebbero disperdersi se non troveranno fonti magiche grazie a cui sussistere. Se il vento spira in direzione contraria o il flusso di magia si interrompe prima di arrivare a destinazione, il Maestro non ci sentirà.”

Detta in parole semplici: non funzionerà.

“Provateci. Mentre lo fate ci muoveremo sperando di trovarli.”

I due apprendisti chiusero gli occhi e pronunciarono strane parole mentre una luce blu irradiava dai loro corpi, mescolandosi con l’aria e scomparendo.

“Ecco, ora un flusso magico esce da noi in un rigagnolo ininterrotto, capace di guidare il Maestro se riceverà il messaggio attraverso il vento. Cercheremo di mantenerla attiva mentre avanziamo.”

Raghel annuì e si avviò. Fece una decina di passi in avanti, sfondando la neve profonda, poi il suo piede destro toccò un punto molle.

Troppo molle.

Merda!

Non fece in tempo a ritrarlo che il terreno nevoso cedette, piombando nel vuoto sottostante.

Tentò di rimanere in equilibrio con la sola parte sinistra del corpo ma non ce la fece. La gamba destra cadde nel vuoto prima di trascinarsi dietro il possente guerriero e tutti i compagni legati a lui.

Volò per alcuni metri prima che un forte strattone alla vita lo bloccasse, svuotandogli l’aria nei polmoni. Iniziò a ondeggiare, penzolante nel vuoto.

Strinse gli occhi un paio di volte mentre cercava di riprendere fiato, la testa che gli girava e le orecchie che gli ronzavano. Un senso di nausea gli salì dallo stomaco fino alla bocca.

Si costrinse a ignorarlo e alzò la testa. I due apprendisti ciondolavano sopra di lui, le bocche aperte in grida d’aiuto che divenivano sempre più acute man mano che le orecchie del mercenario riacquistavano l’udito. Presso il costone di roccia ceduto sotto i piedi di Raghel, le gambe di Rorar penzolavano nel vuoto, la mano sinistra che graffiava ansiosa la roccia soprastante cercando un appiglio, il volto stretto in una smorfia di dolore e concentrazione mentre la mano destra rimaneva appigliata a una roccia sporgente, tenendo in bilico tutti i compagni. I nervi del braccio risaltavano pulsanti nello sforzo che stava compiendo, uno sforzo immenso che Raghel non sapeva come il nano facesse a sopportare.

Non può durare a lungo, non col peso di tutti e tre.

Sfilò un coltello dalla cintura, pronto a tagliare la corda sopra di lui in modo da alleggerire Rorar di almeno un corpo, ma fu troppo lento e il nano, ormai esausto, fu costretto a lasciare la presa.

I quattro compagni caddero urlando nel vuoto.


La rocciosa mano di Sats strinse la spalla del comandante.

“Sono passate diverse ore...”

Gli occhi di Daer si chiusero per un secondo prima di andare a incrociare il volto incappucciato del roccioso. Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione, lo sapeva, e la cosa gli provocava un dolore straziante allo stomaco.

Si alzò e guardò i compagni con gli occhi persi nel vuoto.

“Proseguiamo.”

I guerrieri si alzarono lenti dai cumuli di neve in cui si erano stretti nell’aspettare i compagni. Recuperarono con gesti malinconici zaini e bisacce e si strinsero silenziosi nei mantelli cercando calore.

“Proseguiamo?! – la voce gracchiante del vecchio, fino a quel momento immobile in un angolo a lanciare un continuo flusso di una strana magia di individuazione, ruppe il silenzio che alleggiava sui soldati – E i miei apprendisti? E i tuoi mercenari?!”

Una fitta tagliò il cuore di Daer prima di rispondere. Mentre le corde vocali davano voce alle sue parole tristi, l’immagine di Lya sulla riva del fiume nel Bäret Flaam attraversò a tradimento la sua mente.

“Dispersi.”

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