39 - Il Talar Obalis
"Speravo che, in mia assenza, aveste imparato a creare strategie che avessero un senso."
"Caret, non avremmo mai osato! Altrimenti, come avresti fatto a lamentarti?"
Daer ottenne solo un grugnito in risposta dallo stregone, però sapeva che aveva ragione. Era un piano che faceva acqua da tutte le parti, ma si erano arrovellati il cervello per una giornata intera senza riuscire a trovare soluzioni migliori.
"Io la penso come Caret. Potevamo ragionarci di più."
"Un po' troppo tardi, elfo. - rispose Raghel, impegnato a pulire nel terreno la lama sporca di sangue - Ormai, questi quattro li abbiamo fatti fuori."
Daer fissò i quattro cadaveri elfici, impegnati a imbrattare di sangue l'erba di quella porzione di Terra. Uccidere i guardiani del portale lì, sulla Terra, era la prima fase del piano, l'unica semplice.
Alzò lo sguardo. Solo una leggera increspatura nell'aria faceva intendere come lì, a pochi passi, ci fosse un portale, il più vicino al Talar Obalis, nella parte nord delle terre elfiche.
Il controllo sul versante della Terra era abbastanza blando. Gli elfi erano più interessati a controllare chi tentava di uscire dalle loro terre, impauriti di farsi scappare qualche Disarmonico o ricercato. Difficilmente chi entrava poteva essere causa di guai. Secoli addietro, all'inizio della guerra tra le tre razze elfiche, i portali erano stati usati per invadere direttamente il territorio nemico, ma dopo le prime invasioni si era capito che il portale permetteva il passaggio di un solo essere alla volta, e il problema era stato risolto posizionando un accampamento militare nei pressi di ogni portale, in modo da stroncare sul nascere qualunque invasione.
Quell'accampamento militare era il loro problema. Loro dovevano entrare in armi, per fronteggiare qualunque cosa avessero trovato nel Talar Obalis, ma gli elfi non lo avrebbero mai accettato.
Un conto era attraversare un portale umano, dove una buona dose di monete d'oro aiutava. O il portale che avevano usato vicino alla casa delle Stregone, dove il vecchio conosceva la guarnigione. Qui, non potevano fare niente di tutto questo.
Ma non potevano affrontare un intero accampamento elfico, organizzato e addestrato. Dovevano entrare e fuggire subito, prima di essere infilzati come spiedini.
Sospirò. Caret aveva ragione, era un piano idiota, che poteva essere riassunto in poche parole: sarebbero entrati e avrebbero sperato di fuggire senza perdite.
Certo, qualche elemento dalla loro parte ce l'avevano.
Primo, era talmente stupido, che almeno avrebbero colto di sorpresa anche gli elfi, soprattutto poiché erano secoli che nessuno tentava di usare i portali per entrare in armi in territorio elfico.
Secondo, l'accampamento era pensato per affrontare grandi eserciti. Loro, solo trentaquattro, speravano di riuscire a fuggire prima che l'accampamento si mobilitasse.
Non due grandi rassicurazioni, in effetti.
"Pronti?"
I cappucci si mossero all'unisono, in un cenno di assenso. Ognuno era nella sua posizione, pronto a entrare non appena fosse il suo turno. Erano alternati, un mercenario con lo scudo e uno senza, in modo da proteggersi a vicenda. In fondo, lo Stregone delle Ombre e i due apprendisti, in modo che potessero fuggire per primi in caso di problemi. E, per ultimo, Wors, col vessillo dei Trenta Mercenari arrotolato sotto il mantello.
Se fosse finita male, il suo compito era quello di fuggire e salvare almeno il vessillo.
Primo, davanti a tutti, Daer. Perché quello era il posto del comandante.
Magari mi trapasseranno appena mi affaccio, concedendomi finalmente di andarmene dai miei incubi.
Daer alitò, sentendo il calore riempire il cappuccio e scaldargli il viso.
"Andiamo!"
Si lanciò con uno scatto, l'ascia stretta talmente forte che le nocche gli scricchiolavano.
Come sfiorò il portale, il paesaggio tutt'attorno cambiò. Gli alberi alti e frondosi che riempivano l'orizzonte lasciarono spazio alla libera visuale di un immenso prato luminoso, che si lanciava verso il Sole in un leggero pendio, interrompendosi d'improvviso e lasciando spazio al cielo limpido, interrotto all'orizzonte solo dalla gobba di altre colline verdi.
Daer volse il capo in tutte le direzioni, registrando le immagini attorno mentre l'adrenalina gli attraversava i muscoli e lo percorreva di un'energia formicolante che gli dava alla testa.
Davanti: paesaggio.
Destra: due guardie.
Sinistra: una guardia e, alle sue spalle, a pochi metri, l'alta palizzata in legno dell'accampamento.
Dietro: non poteva guardare, ma oltre il portale c'era probabilmente una quarta guardia.
"Fermo! Lascia l'arma! Chi sei?!"
Si lanciò verso le due guardie alla sua destra, seguito a pochi passi dal primo compagno apparso oltre il portale. Una sola aveva tirato fuori l'arma, l'altra era ancora bloccata dallo stupore, e Daer puntò alla prima. Strinse l'ascia con entrambe le mani e sfruttò una giuntura della luccicante armatura nemica per impattare con le ossa dello sterno.
Alle loro spalle, dove Daer aveva intuito ci fosse la quarta guardia, un corno iniziò a suonare l'allarme.
Con un verso animalesco estrasse l'ascia, che si era leggermente incastrata, mentre il compagno atterrava la seconda guardia. La terza era già a terra con Bimbo che le saltellava attorno.
"In difesa!"
Si posizionarono rapidamente, mettendo gli scudi davanti a sé e ai compagni e proteggendo l'entrata del portale. Appena in tempo, perché uno schiocco riempì l'aria e uno sciame di frecce si alzò dall'accampamento mentre il portone veniva aperto in tutta fretta. Arrivarono sugli scudi con una frustata violenta, ma al comandante non parve ci fossero feriti.
"Quanti mancano?!"
"Una dozzina!"
Un urlo di Caret si alzò di tutta fretta, creando una barriera che bloccò alcune frecce. Nel mentre una fila di armature lucenti era apparsa oltre il portone e iniziò ad avantare verso di loro, le lance spianate dinnanzi a sé.
"Lo Stregone delle Ombre è arrivato!"
Bene, qualche frazione di secondo e sarebbe apparso anche Wors, era il momento.
"Andiamo! Rapidi!"
Scattarono in direzione opposta all'accampamento. Non sapevano se fosse la direzione giusta, ora l'importante era solo fuggire.
Nonostante la fretta, si misero tutti nelle loro posizioni. Gli stregoni in un piccolo nucleo centrale, i mercenari con scudo a sinistra, quelli senza a destra, dove, in caso di lanci di frecce nemiche, sarebbero stati difesi dagli scudi dei compagni e dalle magie degli stregoni. Sperando che mantello e cappuccio avrebbero difeso le altre parti del corpo rimaste scoperte.
Corsero a perdifiato, riuscendo a rimanere compatti nonostante i numerosi lanci di frecce che li inseguivano, e si fermarono solo quando iniziarono a sentirsi strozzati dalla mancanza di fiato.
"Presto... avremo... tutto... l'esercito... elfico... alla... nostra... ricerca..."
Daer annuì alle parole boccheggiate da Caret mentre tentava di riprendere fiato. Cercò di rivolgersi allo Stregone delle Ombre, ma gli mancava talmente tanta aria che dovette piegarsi sulle ginocchia e iniziare a tossire.
"Vecchio - riuscì a sputare preso fiato - in che direzione dobbiamo procedere?"
Non ottenendo risposta, si girò vero lo stregone, trovandolo steso a terra, ansimante. Era riuscito, non sapeva nemmeno il comandante come, a tenere il loro passo nella corsa e ora stava tentando di riprendere fiato. Dovette ammirare la sua forza e si sentì in colpa per averlo costretto a quello sforzo.
Attesero con pazienza, finché il petto smise di alzarsi e abbassarsi e il fiato riprese regolarmente. Allora lo stregone si alzò e pronunciò strane parole. Una specie di freccia luminosa apparve tra le sue dita.
"In quella direzione, per circa due giorni di cammino."
"Abbiamo l'esercito elfico alle calcagna, dovremo farcela in uno solo."
La carne elfica schifava Due, preferiva quella gustosa degli uomini, ma erano giorni che non metteva qualcosa sotto i denti e si accontentò dei quattro riluttanti cadaveri elfici lasciati dai mercenari. Aveva anche provato a catturare uno dei folletti, che nelle notti scorse avevano saltellato intorno al suo nascondiglio, non li aveva mai assaggiati, ma erano veloci ed erano riusciti a sfuggirgli.
Spolpato l'ultimo osso, guardò il portale. I Trenta Mercenari erano entrati da poco nel Paese dei Due Fiumi, i quattro cadaveri che si trovavano sulla Terra erano ancora caldi. Sicuramente erano diretti al maledetto Talar Obalis. Doveva inseguirli? Sapeva bene cosa si nascondesse nelle orride Lande Ghiacciate, non poteva rischiare di affrontarli.
Lanciò un ringhio di rabbia, facendo tremare le foglie degli alberi come se si fosse alzato un vento impetuoso.
Avrebbe dovuto chiedere istruzioni al suo re.
Il vento frustava i mantelli dei guerrieri, oltrepassando il tessuto del cappuccio col suo alito freddo, graffiando gli occhi e schiaffeggiando i volti.
"Il Talar Obalis."
La voce del vecchio sembrò quasi ondeggiare nell'aria appuntita mentre esprimeva ciò che tutti avevano già capito. In mezzo a quel perfetto susseguirsi di lisce vette aguzze che erano le D Ilpakës, si apriva un enorme valico, largo quanto cinque uomini affiancati. Sembrava quasi che un gigante avesse pestato con un piede le montagne, appiattendole e creando quella voragine che deturpava la perfezione delle cime innevate. Il passaggio era disseminato di un sottile strato di sassolini per una decina di metri, prima che ogni cosa venisse inghiottita da una spessa nebbia, tanto fitta da sembrare un insormontabile muro grigio.
"Consigli su come comportarci?"
Lo Stregone delle Ombre scosse la testa negativo.
"Possiamo solo provare ad attraversarlo e sperare."
"Lo immaginavo."
Prese un'estremità della corda che avevano preparato e se la legò alla vita. Ugualmente fecero i compagni. Non ne avevano una abbastanza lunga per tutti e avevano dovuto annodare più di una fune insieme. Era l'unico modo che gli era venuto in mente per non perdersi in quella coltre nebbiosa.
Alle spalle del comandante, il vecchio strinse la corda attorno alla vita. Aveva insistito per posizionarsi fra i primi, sostenendo che in caso di pericolo la sua magia poteva essere utile. Aveva persino chiesto di guidare in testa la cordata, ma il comandante gliel'aveva impedito. Quello era il punto destinato a lui.
Seguivano Wors, Caret e il resto dei guerrieri, con Ari alle spalle di Ghimesh per tenerlo controllato.
"Pronto Raghel?"
Il guerriero che chiudeva la cordata, proprio dietro ai due apprendisti, annuì.
Daer osservò la nebbia che si muoveva in leggere volute, soppesandola per alcuni secondi, poi entrò nel valico.
La nebbia sembrò quasi accogliere il suo arrivo, cingendolo nel suo umido grigiore. Stupidamente, Daer alzò una mano, come per prenderne una manciata. Le dita passarono attraverso mentre tutto il suo corpo scompariva alla vista dei compagni.
Non aveva mai visto una coltre tanto fitta. Più volte aveva incontrato quella caligine nei suoi viaggi sui due mondi, molte volte aveva pensato di avere dinnanzi una nebbiosità tanto spessa da poterci sbattere il naso contro. Ora doveva ricredersi: nessuna delle sue esperienze lo aveva mai preparato a un tale manto. Come ne era stato accerchiato, immediatamente non aveva più visto nulla di ciò che lo circondava. Né dietro, né dinnanzi, né ai fianchi.
Dappertutto, un confuso mare ondulante composto da grigie spire.
Per vedere almeno il cammino che stava intraprendendo, fu costretto a piegarsi e avanzare carponi sul terreno ciottoloso, riuscendo così a intravedere un pezzetto del terreno dinnanzi ai suoi occhi. Ogni tanto sentiva alle sue spalle l'eco di qualche voce amica che si perdeva nell'aria pesante. Capitava che la corda andasse in tiro, obbligando il comandante a fermarsi finché non tornava a permettergli il cammino.
Avanzarono per qualche metro prima che Daer si accorgesse di trovarsi in una ripida salita. Non era affatto facile capirlo, la nebbia era tale che persino la percezione di ripidità, destra, sinistra, avanti e indietro erano confuse. Doveva affidarsi solamente al suo istinto, sperando di avanzare in linea retta.
A un certo punto gli parve di procedere in discesa. Poi un'ombra iniziò a rendersi visibile. Fece un altro passo e i pesanti scarponi dell'essere entrarono nella sua visuale. Li aveva già visti.
"Wors?"
La figura si girò di scatto e Daer poté vedere la mano scattare sull'arma prima di rilassarsi.
"Comandante?"
Si maledisse silenziosamente. Ingannato dalla nebbia doveva essere tornato indietro. Ma non era facile, i sensi non capivano in che direzione si proseguiva e tutto sembrava dannatamente uguale in quel grigiore. Anche i sassi sul terreno sembravano identici l'uno all'altro.
Provò a girarsi e a riprendere il cammino, la corda che si tirava e rilassava a casaccio. Un debole chiarore si profilò dinnanzi a sé. Lo seguì e si ritrovò improvvisamente all'aperto, il muro di nebbia e la Grande Catena alle sue spalle, il Paese degli Elfi Bianchi nuovamente dinnanzi a sé.
Sbuffò. Era tornato indietro.
Alle sue spalle apparve prima lo stregone, poi tutti gli altri compagni, attirati dallo strattonare della corda di Daer.
"Cambiamo modalità. - Disse quando tutti furono presenti - Proseguiamo in file da cinque, uno al fianco dell'altro. I due alle estremità dovranno tenere una mano sui lati della montagna, permettendoci di avanzare in linea retta."
Si posizionarono e ripresero la marcia, sempre legati uno all'altro. Daer apriva la fila, stretto con lo stregone, la mano destra che sfiorava le pareti che si innalzavano a strapiombo. All'altra estremità stava Jash, pronto a seguire il percorso della parete.
"Andiamo!"
Entrarono nuovamente in quello spesso muro, Daer che lisciava la parete. Man mano la nebbia si faceva, se possibile, più fitta, rendendo quasi cieco il comandante, il cui unico contatto con la realtà era la stretta dell'ossuto stregone, il passo degli scarponi sul terreno sassoso e la mano che strisciava sull'irregolare parete, graffiandosi con piccoli sassolini taglienti che si infilzavano nel palmo come spini.
Improvvisamente, si ritrovò a toccare il terreno con le ginocchia. Sorpreso, si fermò, prima di comprendere che la nebbia era tanto fitta che aveva sbilanciato innanzi il corpo, fino a toccare terra, senza nemmeno accorgersene.
Arrendendosi al fatto che non poteva più nemmeno sapere se avanzasse in piedi o no, iniziò a procedere, strisciando spesso le ginocchia sui sassolini a terra.
Dopo un tempo indefinibile, qualcosa di bagnato iniziò a inumidirgli le ginocchia. Si permise di lasciare per un secondo il contatto con la parete montuosa per accarezzare il terreno e strofinare un sottile strato friabile fra le dita graffiate.
Neve!
Quanto doveva essere ripido il sentiero per averli portati fino a un punto in cui ristagnava la neve nonostante il periodo estivo? Quanto in alto dovevano già essere?
Quel pensiero gli fece rendere conto che aveva il fiatone e i muscoli delle gambe tirati. Da quanto stavano procedendo? La nebbia rendeva tutto fumoso, anche il tempo. E quanto doveva essere ripido quel sentiero?
Una spalla ossuta sfiorò la sua.
"Stai attento stregone, siamo già abbastanza stretti."
"Scusami comandante, ma il sentiero si stringe."
Ben presto iniziarono a muoversi a contatto l'uno con l'altro.
"Jash, mi senti?!"
L'urlo si perse nell'aria pesante. Daer attese diversi secondi prima di sentire una flebile risposta che non riusciva a cogliere.
"Vecchio, dì a Wors, al tuo fianco, di passare parola fino a Jash, dicendogli di lasciare la formazione e retrocedere. Ben presto non passeremo più in cinque. Dobbiamo procedere in quattro. Jash deve unirsi alla fila dietro e ripetere lo stesso ordine, staccando i mercenari per formare file da quattro."
Forse lo stregone aveva annuito, non lo sapeva dato che era solo un'ombra indistinta. Ebbe la certezza che il suo ordine fosse arrivato a destinazione solo quando l'angustia in cui erano costretti si allargò leggermente. Ben presto, però, erano nuovamente uno appiccicato all'altro. Il sentiero si stringeva ancora.
La fila fu ridotta a tre unità, poi nuovamente tagliata, restando solo Daer e il vecchio che procedevano stretti. La mano destra del comandante che accarezzava le pareti raccoglieva tutto il freddo della montagna rendendo le dita quasi insensibili. A un certo punto alla sua destra si aprì un'apertura, forse una biforcazione del sentiero. Il vecchio gli disse che lui continuava a sentire il susseguirsi della parete, quindi procedettero dritti finché anche Daer non sentì nuovamente la fredda montagna sotto le sue dita. Urlò dietro l'ordine di non imboccare la deviazione del sentiero e attese immobile finché non udì la risposta affermativa di Wors. Solo a quel punto riprese a procedere.
Avanzarono per diversi minuti in quello stretto passaggio, spalla contro spalla, ma Daer non se la sentiva di ordinare di procedere in fila indiana.
Poi, finalmente, la nebbia iniziò a diradarsi. Se ne accorse quando riuscì ad intravedere le sue braccia.
La fitta trama si allargò sempre più, permettendogli di vedere il bianco terreno nevoso, poi intravide il sentiero davanti a lui per qualche metro e il vecchio al suo fianco. Infine, improvvisamente come aveva avuto inizio, la nebbia scomparve.
Sorpreso, Daer si volse, osservando lo spesso muro fumoso alleggiare alle sue spalle. Tirò un sospiro di sollievo prima di guardarsi attorno, le orecchie che coglievano il rumore dei passi che procedevano ancora nel valico. Al suo fianco lo stregone si strofinò le mani per scaldarsi e Daer pensò che non fosse mai stato così felice di vederlo.
Attese i compagni stringendosi nel calore del mantello. Anche lo stregone era arrotolato in un mantello blu notte, forse creato nella stessa maniera di quello dei mercenari.
Quando riuscì a riacquistare un po' di calore si mise a guardare il piccolo sentiero che si innalzava ripido davanti a loro. Dove erano loro, la neve era alta al massimo mezzo metro, ma si potevano già vedere cumuli abbondanti lungo quella rida strada.
Eppure, il sentiero era chiaramente individuabile per le immense pareti, perfette nel loro infinito candore, che si innalzavano ai lati, come se qualcuno avesse lavorato alacremente per tenerlo pulito e individuabile.
"Comandante..."
Si accorse che qualcosa non andava nel momento stesso in cui voltò la testa in direzione della voce di Baber. C'era qualcosa di strano nelle sue corde vocali. Non erano irose, o divertite da qualcosa che solo lui aveva in mente.
Per la prima volta, la sua voce era preoccupata.
Lo guardò in faccia e si chiese cosa potesse creare angoscia in quel volto sempre privo di problemi. Solo in un secondo momento i suoi occhi scivolarono su ciò che la sua mano stringeva, e anche i suoi lineamenti furono attraversati dallo sgomento.
Nella mano del guerriero penzolava inerme un capo sfilacciato della corda, assicurato alla vita del nano.
Egli era il quint'ultimo della cordata.
Dov'erano gli ultimi quattro?!
Mappa delle terre elfiche, chiamate anche Terre dei Due Fiumi, in elfico Ñisha Māl
In rosso, la zona del Talar Obalis, zoomata nell'immagine precedente
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top