31 - La Grotta Insanguinata
Reyk affondò la spada nel petto di un elfo, poi si fermò, ansimante. Attorno a lui decine e decine di cadaveri ricoprivano il terreno, sia compagni che nemici.
Alzò il volto verso il cielo, cercando refrigerio nelle gocce di pioggia. Le gambe gli dolevano e le braccia gemevano.
Da quanto stavano combattendo? Troppo. E ogni minuto che passava erano stretti sempre più. Gli era quasi venuto da piangere per la disperazione quando aveva saputo che erano stati circondati e che ormai li attendeva solo la morte. Ma non aveva pensato neppure per un attimo alla resa. Finché Serpente viveva, loro avrebbero combattuto.
Un verso terribile gli trapanò le orecchie. Si volse e vide il drago Paras, le ali che battevano frenetiche mentre si spostava. Sotto al petto, una miriade di ferite gocciolavano sangue su chi si trovava sotto di lui, sostituendo per un attimo la pioggia.
Con un ulteriore verso il drago sbatté le ali due o tre volte, spostandosi verso il grosso delle file nemiche, poi si lasciò cadere su di essi senza più forze, uccidendone a decine.
Il giovane drago era riuscito a dare un ultimo aiuto ai suoi compagni.
Reyk sentì le forze abbandonarlo, il bruciore delle ferite riportate in battaglia che tornava a farsi sentire assordante, la mente che sembrava galleggiare in un mare di nebbia. Le dita erano intorpidite e le orecchie gli ronzavano.
Era stanco, molto stanco, e la morte del drago significava che stavano per perdere. Erano pochi ancora in vita che combattevano.
Chiuse gli occhi, ascoltando i pensieri stanchi di Daer che combatteva ormai automaticamente, anche lui sfinito.
Poi un’ulteriore immagine comparve alla sua mente. Un corpo snello, dai fianchi perfetti nelle braghe da mercenario. Le spalle pallide su cui stava sempre il fodero delle due spade, e quegli occhi verdi, luminosi, che incorniciavano un viso pallido ornato da lunghi capelli viola...
Un’energia nuova lo attraversò mentre alzava la spada e con un urlo uccideva due nemici. Si guardò intorno febbrile.
Come sopravvivere? Come?!
COME?!
Mentre i pensieri tra lui e Daer si mescolavano in un comune urlo disperato, i suoi occhi furono attratti da un immenso buco nero che si apriva nel terreno zuppo. Un’idea si fece largo fra i suoi pensieri, giungendo fino alla mente del gemello.
Daer annuì. Era l’unica cosa che potessero fare.
Si misero a correre verso Serpente, il quale avanzava assieme a Volca e Caret tra i cadaveri, una lunga ferita che gli attraversava una gamba e lo costringeva ad avanzare zoppicante.
“Comandante!”
Serpente uccise un elfo prima di voltarsi verso di loro.
“Cosa succede, ragazzini?”
Lo chiese digrignando i denti. La sua voce aveva qualcosa di diverso. Aveva perso colore, aveva perso quell’energia che distingueva il comandante quando combatteva.
“Dobbiamo nasconderci nelle grotte, comandante. È l’unico modo che abbiamo per provare a sopravvivere, nasconderci!”
Serpente guardò lontano, assente, gli occhi che attraversavano tutta la valle fangosa fino alla cima degli alberi del Barët Flaam, poi in alto, sempre più su, fino a osservare le nuvole grigie che lanciavano acqua sui loro corpi sporchi.
“Non capisco cosa avete in mente, ma voglio fidarmi. Aprite la strada, io la chiuderò.”
Si volse verso Volca, ancora al suo fianco.
“Ho un ordine per te.”
“Qualunque cosa, comandante.”
“Prima, promettimi che obbedirai.”
“Ho mai disobbedito, comandante?”
“Vorrai farlo questa volta. Promettimelo.”
“Obbedirò.” Rispose a voce malferma, ferito dal dubbio del comandante.
“Sali in groppa a Stris, prendi il comando del drago marino e dei due grifoni superstiti e mettetevi in salvo.”
Volca tacque per diversi secondi, il volto storto in una smorfia di stupore.
“Comandante, io e Stris non abbandoneremo mai la battaglia, noi…”
“Volca, abbiamo perso! Siamo stati sconfitti. I nemici ci circondano da tutti i lati. Non possiamo fare altro che nasconderci come topi impauriti. Voi dovete scappare. Fuggite, ma non andate troppo lontano. Quando la battaglia sarà finita, tornate e cercate dei superstiti. Non vi sto ordinando di abbandonare la battaglia, vi sto ordinando di darci l’aiuto che potete. L’unica nostra speranza è che voi possiate tornare a portare in salvo i superstiti.”
“Ma, comandante…”
“Volca, è un ordine. Vuoi disobbedire al tuo comandante per la prima volta?”
I denti del guerriero, risplendenti sulla sua nera pelle, si strinsero talmente forte che pensò che sarebbero scoppiati. Ecco perché gli aveva fatto promettere di obbedire.
Serpente ha ragione. È l’unico modo.
“Stris, taci! Obbedirò, ma non è un ordine che mi piace.”
Si allontanò stringendo convulsamente i muscoli del corpo. Serpente lo guardò con ammirazione. Sapeva quanto gli costasse.
“Caret, sai cosa sto pensando?”
“Che se Volca torna qua dopo la battaglia, gli servirà uno stregone per curare i superstiti.”
“Puoi andare te con lui?”
“Preferisco mandare uno degli altri. A me non piace morire, sopravvivrò anche a terra.”
“Non sarà facile sopravvivere oggi.”
“Non lo è mai stato.”
Serpente guardò i due gemelli correre verso la grotta più vicina. Iniziò a ordinare a tutti di seguirli, di andare a nascondersi. Fu fiero nel vedere che la maggior parte obbediva malvolentieri a quell'ordine che sapeva di resa.
Daer e Reyk entrarono per primi. Dopo poco apparve Cane, arrabbiato di aver ricevuto l’ordine di abbandonare il campo. Ringhio azzannò un elfo prima di seguire il padrone. Malan e Sdang entrarono trascinando dentro uno stregone ferito. Arrivò anche un altro degli stregoni, che assieme a quattro guerrieri trasportavano sulle spalle due mercenari agonizzanti. E molti altri entrarono, non fermati dagli elfi, sia perché ritenevano che lasciandoli entrare nella grotta li mettevano in trappola, sia per causa di Serpente, il quale impediva a ogni nemico di avvicinarsi abbastanza da impedire il passaggio ai suoi soldati. Mulinava la spada, colpiva, feriva, uccideva.
Per primo cadde inerme al suo fianco il braccio sinistro, incapace di continuare ad agitarsi.
Poi la gamba destra gli cedette costringendolo in ginocchio.
Ciò non lo rallentò e continuò a mulinare l’arma. Le spade lo trapassavano e lui urlava, però mai si arrendeva, stringeva i denti e continuava, determinato a coprire i suoi guerrieri mentre entravano nella grotta.
Infine, un colpo gli trapassò il petto, tranciando pelle e carne e giungendo al cuore.
Serpente spalancò gli occhi mentre un fiotto di sangue si faceva strada fino alle sue labbra e ne usciva come un fiume. Voleva continuare a combattere ma il suo corpo non gli obbediva e la mano destra perse la stretta lasciando cadere l’arma nel fango.
Riuscì ad alzare il volto verso il cielo, accogliendo la pioggia mentre ricadeva all’indietro, un piccolo zampillo di fango che accompagnava il suo crollare.
Nella grotta calò un silenzio surreale. Quasi non si accorsero di un compagno che veniva trafitto da una freccia pochi metri prima di rifugiarsi, quasi non videro i nemici schierarsi compatti dinnanzi all’immenso pertugio. Tutta la loro attenzione era rivolta al corpo senza vita del comandante, immerso nel fango.
Fu Daer a riscuotersi, agitando la testa e chiudendo gli occhi. Dovevano vendicarlo.
“Guardatelo! Guardate il corpo senza vita di Serpente. Per tutti noi è stato una guida, un esempio, un padre. Ora ha voluto salvarci un’ultima volta, dando la sua vita perché noi ci rifugiassimo qui. Obbediamo al suo ultimo ordine, prepariamo le armi e ricacciamo ogni elfo che osi avvicinarsi a questa grotta! Prima della fine della giornata noi massacreremo ogni maledetto nemico. Prima della notte noi vendicheremo il nostro comandante!”
I compagni urlarono. Dovevano farlo. Per le loro vite, per onorare Serpente, per vendicarlo. Dovevano sconfiggerli tutti.
Un rumore ridondante e veloce attraversò il terreno, poi un ecua entrò nella grotta portando sul suo dorso un mercenario dall’armatura sporca. L’animale non rallentò nemmeno per entrare, abbassò semplicemente il muso quel tanto che bastava a superare la volta della grotta.
Senza dire una parola, i mercenari guardarono Olan. Mentre l’ecua emetteva strani versi per la corsa incontrollata, il mercenario balzò giù, i capelli tanto sporchi quanto zuppi che ricadevano umidi sul volto.
“Quanti altri mercenari ci sono ancora là fuori?”
L’ecuale fece un cenno di diniego a Reyk mentre stringeva la lunga spada.
“Tutti gli altri non ce la farebbero a entrare.”
“Allora – disse Cane stringendo il martello e avvicinandosi all’imboccatura – chiunque altro si affacci sarà un nemico.”
Daer e Reyk lo affiancarono, uno a destra e uno a sinistra, le armi pronte. In tre occupavano tutta la visuale dell’entrata.
“Pronti?”
“Pronti!”
I mercenari nella grotta ressero a lungo, scambiandosi all’imboccatura e massacrando i nemici. Ma erano in trappola, una trappola senza uscite, e ben presto la spinta nemica fu incontrollabile.
Qualcosa colpì Daer, poi tutto divenne buio.
Stris era stanco. Volca lo sentiva nei suoi pensieri, lo capiva ascoltandone i muscoli contrarsi. Ma il drago non lo diceva apertamente al suo Didimos, perché l'unica speranza per qualche sopravvissuto era che loro potessero intervenire non appena gli Elfi Verdi avessero abbandonato il campo. Cosi le scaglie rosse del drago continuarono a solcare il cielo, mentre sotto il suo ventre le D hagunar D ikïkis stavano come profonde gole oscure che vomitavano sangue e cadaveri.
Dopo un tempo che parve infinito, gli occhi del drago, molto più accurati di quelli umani di Volca, videro gli ultimi Elfi Verdi lasciare il campo e serrare le fila per marciare verso gli Elfi Bianchi, per provare a cacciarli dalle D hagunar D ikïkis.
Non appena degli elfi non ci fu più traccia, il drago si gettò in picchiata, tagliando le gocce di pioggia. Il suo verso lacerò l’aria e il drago marino, che attendeva nascosto lontano assieme all’unico grifone sopravvissuto, e all’arciere e al mago che erano riusciti a sopravvivere nella fuga sul suo dorso, rispose a quel richiamo alzandosi in volo per raggiungerli.
Volca attese fibrillante che il drago toccasse terra. L'impazienza dell'umano era la stessa del drago, che raggiunse il terreno incespicando nel fango e rischiando di rovesciarsi rovinosamente. Ondeggiò un attimo prima di riuscire a stabilizzarsi e Volca si lanciò in fretta, rimettendo i piedi sul campo di battaglia che era stato costretto ad abbandonare.
Non era pronto a vedere tutti i cadaveri dei mercenari che giacevano in cumuli contorti, non era pronto a guardarne le ferite orribili che aveva decretato la morte di quelli che fino a poche ore prima erano i suoi compagni. Molti li conosceva, con molti aveva condiviso battaglie, con altri una bevuta attorno al fuoco. Con altri ancora aveva scambiato un saluto prima della battaglia.
Non era assolutamente pronto a vedere tutto questo, ma lo guardò, perché questa era l'ultima missione che Serpente gli aveva affidato, l'ultimo compito che il mercenario doveva compiere per il suo comandante. E lo fece, ignorando le morse di dolore che gli contorcevano lo stomaco con una violenza barbara.
Ma non fu lui a trovare i primi sopravvissuti, furono loro a trovare lui. Mentre il soldato avanzava tra i cadaveri per scorgerne uno che desse ancora segni di vita, un urlo di gioia lo raggiunse in mezzo alla pioggia. Alzando lo sguardo, vide Caret e Arkanas correre verso di lui. Ebbri di gioia si abbracciarono in una stretta soffocante.
“Come siete sopravvissuti?!”
La voce di Volca era emozionata e stupita. Il mago e il suo fedele compagno riportavano qualche semplice ferita ma non davano l’idea di essere appena scampati a un terribile massacro.
“Rintanandoci come krik in una delle grotte più piccole. Abbiamo passato intere ore in un silenzio di tomba, le gocce di pioggia sembravano assordanti.”
Lo stregone e l’arciere, arrivati anche loro sul campo a dorso del grifone, si lanciarono verso Caret e Arkanas e li accolsero con la stessa gioia di Volca. Il soldato gli lasciò il tempo per salutarsi e ridere insieme del fatto di essere ancora vivi prima di riportarli all’ordine. La visione di Caret aveva fatto per un attimo dimenticare loro che erano circondati da cadaveri dei compagni e che fra essi poteva essere nascosto qualche altro sopravvissuto.
“Quando ve ne siete andati, la maggior parte hanno seguito i due gemelli nascondendosi in una grotta. Possiamo iniziare da lì le ricerche.”
Seguirono Caret lanciando occhiate scrupolose tutt’attorno in cerca di qualche segno di vita. Non era un compito facile, erano costretti a farsi violenza per obbligarsi a guardare tutte quelle carcasse. Ma la parte peggiore doveva ancora venire. Fu davvero difficile farsi forza e chiudere gli occhi al cadavere di Serpente quando lo trovarono immerso in una pozza di sangue e fango. Anche se ogni secondo poteva essere prezioso per qualche compagno ferito ma ancora vivo, si presero un minuto per allontanare i cadaveri dei nemici che circondavano il comandante e dargli una leggera pulita, così che il suo corpo poggiasse sul terreno fangoso con una dignità quasi regale.
“Non possiamo che ammirare la forza dei nostri compagni. Si sono difesi con le unghie e con i denti.”
Volca annuì alle parole di Aker, il mago nanico scappato insieme a lui a dorso di grifone. Davanti al pertugio in cui gli ultimi compagni si erano rifugiati, si innalzava imponente una montagna di cadaveri elfici. Erano ammucchiati a destra e a sinistra dell’imboccatura mentre una striminzita via procedeva di qualche passo dentro la grotta, in mezzo ai due mucchi. Dentro, la volta di pietra era l’unica cosa rimasta intatta. Tutto il resto, in ogni dove, era ricoperto di cadaveri, di armi spezzate e sangue che riluceva in grandi pozzanghere. Ovunque giubbe e protezioni dei mercenari si mescolavano ad armature ed elmi elfici. Non c’era un solo punto in cui fosse visibile la pietra della grotta tanto erano il sangue e i cadaveri.
Un’ombra si mosse nel buio e Volca portò di scatto la mano all’elsa prima che un uggiolio soffocato lo rassicurasse.
Dal buio del fondo della grotta apparve la sagoma bagnata di Ringhio. Aveva alcune ferite sanguinanti, ma non sembrava messo male. Teneva le orecchie basse, ma Volca fu convinto di vedere un luccichio felice negli occhi mentre uggiolava nella loro direzione.
Caret gli diede un buffetto rapido e si lanciò nel punto da cui il cane era sbucato. I compagni gli corsero dietro e circondarono il corpo di Cane. La sua figura, riversa a terra in mezzo a rivoli di sangue, riuscì a rivolgergli un sorriso.
“Non badate a me – gracchiò con voce stanca – ho solo qualche taglio. Pensate al ragazzino elfico.”
Appoggiato alla parete buia, con un lungo taglio sul fianco, stava Tatlan, uno degli ultimi uniti al plotone di Serpente. Gli occhi chiusi nascondevano le pupille viola e la battaglia aveva insudiciato i capelli solitamente bianchi come lana.
“Portiamoli fuori!”
Ringhio li seguì uggiolando per poi avvicinare il muso a Cane quando lo ebbero adagiato a terra. Il mercenario gli diede qualche buffetto stanco.
“Bravo bello, sei stato bravo, bravo. Ma io ora sono a posto, vai ad aiutarli. Vai, trova.”
Ringhio leccò affettuosamente il volto del padrone prima di lanciarsi nella grotta.
“Seguitelo. – mormorò Cane a Volca – Ha un buon naso.”
Il guerriero non se lo fece ripetere e schizzò nella grotta assieme ad Arkanas e a Pen, l’arciere. Pochi passi dopo l’entrata trovarono Ringhio accucciato a terra col muso piantato in una montagnola di cadaveri ammassati l’uno sull’altro.
I tre mercenari spostarono le carcasse e lo trovarono.
Aveva un taglio profondo sul volto tempia. Lo credettero morto prima di accorgersi che il cuore di Daer batteva ancora.
Tutto era buio. Voleva aprire gli occhi per guardare dove fosse, ma non ci riusciva, non ci riusciva... Troppa fatica... E lui era stanco, provava dolore, dappertutto…
Reyk…
Fu il suo ultimo pensiero prima di perdere di nuovo conoscenza.
Volca, gli Elfi Verdi stanno ripiegando, potrebbero arrivare qui.
Volca imprecò. Il drago volava da qualche minuto sopra di loro per controllare la situazione attorno e quella non era una buona notizia. Avevano trovato diversi sopravvissuti dentro la grotta grazie a Ringhio e ora, sempre col suo aiuto, stavano battendo tutto il campo di battaglia per trovarne altri.
Cosa possiamo fare?
Devi iniziare a caricare quanti più sopravvissuti puoi sul grifone e portarli lontani da qui. Gli Elfi Verdi ripiegano lentamente, potrà fare diversi giri prima di essere costretti a scappare.
Non me ne andrò finché non avremo controllato ogni cadavere!
Volca, calmati. A cosa sarà servito tutto questo se veniamo sorpresi e trucidati dagli Elfi Verdi?
Aveva ragione, lo sapeva.
Allora anche te e Alaqua caricate sul vostro dorso qualche sopravvissuto, il grifone dovrà fare meno viaggi.
Seguì un silenzio eterno. Volca lo sapeva, lo sentiva. I draghi vedevano nel loro volo l’ideale supremo della libertà. Avere qualcuno che li cavalcasse, anche solo un corpo svenuto, li avviliva e li faceva sentire degli animali da soma. Un drago che avesse caricato qualcuno sul suo dorso si sarebbe sentito indegno di vivere.
Stris...
Taci Volca! Taci! Carica anche sul mio dorso, se accetta anche su quello di Alaqua, ma non parlarmene mai più! Mai più.
Convincere il drago marino fu difficile, ma alla fine la voce ridondante e frastagliata del drago, evocante il cozzare dell’acqua sulle rocce, accettò a malincuore.
Caricati i feriti, volarono verso il Barët Flaam. Lasciarono il mago e l’arciere a guardia e ripartirono. Ma nel tornare verso il campo videro già gli Elfi Verdi arrivare. Fecero un ultimo frettoloso carico e lasciarono per sempre le D hagunar D ikïkis.
Daer questa volta riuscì ad aprire gli occhi. Vedeva immagini confuse e sentiva voci irregolari. Cercò di sondare i pensieri attorno per cercare quello del fratello, ma lo sforzo gli fece perdere di nuovo i sensi.
Un cielo verde… qualcosa di morbido sotto la schiena… dov’era?
“Si sta svegliando!”
Reyk…
Di nuovo cercare il pensiero del fratello lo sfinì e svenne.
“Continua a svenire, cosa possiamo fare?”
Di chi era quella voce? Non l’aveva mai sentita prima…
“Re… Re…”
Reyk…
Sondò tutt’attorno a sé, ma ancora una volta lo sforzo fu eccessivo e la sua mente tornò nell’oblio.
Aprì gli occhi lentamente. Gli sembrò quasi di non ricordarsi come si facesse e dovette sbattere le palpebre diverse volte. Sopra di lui c’era quello che aveva creduto fosse un cielo verde e che invece erano foglie luminose di grandi alberi. Era su un giaciglio, fatto con qualcosa di morbido che seguiva fluttuante ogni suo più piccolo movimento.
“Finalmente ti sei svegliato.”
Era la stessa voce che aveva sentito la volta prima, una voce sconosciuta. Tentò di volgere lo sguardo verso la sua direzione ma sentì un dolore sordo colpirgli la testa, annebbiandogli la vista e facendogli venire il voltastomaco.
“Non ti sforzare, stai fermo. Qui avrai tempo di recuperare le forze.”
Una mano si posò sulla sua fronte. Non era la mano ruvida e callosa degli stregoni del plotone, era una mano dal tocco dolce e liscio, senza imperfezioni. Ed era calda, calda e rassicurante.
I ricordi arrivarono lenti. La battaglia, le ferite, il sangue, le morti…
Dov’era Reyk?
Spinse il suo pensiero a cercare quello del fratello, ma non riuscì a toccare nulla, non riuscì a sentire il tatto del pensiero deciso del fratello, non riuscì a vederne la forma dura che si innalzava a rassicurarlo.
Iniziò ad agitarsi. Cercò di muovere lo sguardo tutt’attorno, ma ogni movimento gli provocava una fitta di dolore e gli annebbiava la vista.
“Calmo, calmo, non ti muovere, non ti agitare…”
Di nuovo quel tocco caldo, gentile, eppure deciso. Si costrinse a calmarsi, a stringere i denti, perché farli stridere uno contro l’altro non gli provocava lo stesso dolore degli altri movimenti.
“Re… Re…”
Deglutì rumorosamente. Anche parlare gli costava fatica. Nel farlo sentì tutte le ferite che aveva riportato, tutti i tagli slabbrati aprirsi e le cuciture stridere. Iniziò a sentire male dappertutto.
“Rey…”
Respirò ad ampie boccate e l’aria gli bruciò nei polmoni. Dov’era suo fratello?!
“…tello… dov’è?”
La mano calda gli toccò la guancia e un viso si mise nella sua visuale, ma non poté vederlo perché lo sforzo di parlare gli aveva annebbiato la vista.
“Tuo fratello sta bene, non ti preoccupare. A dirla tutta, è messo meglio di te. Ma il vostro dono vi prosciugava le forze nel tentare di cercarvi l’uno con l’altro e vi faceva continuamente svenire. Abbiamo dovuto darvi una pozione che bloccasse momentaneamente il vostro potere. È la stessa che ti provoca tutti questi dolori ogni volta che ti muovi. Per questo non riesci a sentire il suo pensiero. Per questo è importante che riposi e recuperi le forze. Dormi, dormi a lungo, e presto potrai tornare a vedere tuo fratello e sentire il tuo pensiero. Te lo prometto.”
Quella voce era dolce, era rassicurante. Daer pensò che poteva fidarsi e smettere per un attimo di combattere. Anche perché era tanto stanco…
Chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno.
Stava meglio. Se lo sentiva nelle ossa, negli occhi che si erano appena riaperti, ma soprattutto nella testa. Era più lucido, i suoi pensieri correvano molto più veloci delle altre volte.
“Buongiorno, stella.”
Riuscì a voltare gli occhi verso la voce senza provare troppo dolore. Ma non gli serviva vederlo, aveva già riconosciuto la voce di Reyk. Non gli sorrise, non si mise a ridere per la gioia di rivederlo. Stava provando qualcosa che andava oltre la gioia e il riso, qualcosa di talmente grande che non era in grado di esprimerlo se non stando in silenzio.
“Si, anch’io sono contento di rivederti.”
Non sentiva ancora i pensieri di Reyk, ma non serviva, li avevano condivisi così a lungo che sapeva esattamente cosa stesse pensando. E così stettero a lungo godendo solo, per la prima volta nella loro vita, della vicinanza silenziosa, senza nemmeno il rumore del pensiero dell’altro.
Volca sorrise appoggiato a un albero. Vedere i due gemelli che si salutavano gli faceva un certo effetto. Aveva pensato seriamente di perderli quando avevano visto che non riuscivano a riprendersi e che continuavano a svenire.
Lo Stregone delle Ombre passò silenzioso, sfiorando uno dei feriti. Chissà come avrebbero fatto senza di lui. Poche ore dopo che si erano rifugiati nel Barët Flaam, quella figura scheletrica era comparsa e li aveva avvicinati silenzioso. Volca aveva tirato fuori l’arma per intimargli di andarsene, ma lui non ci aveva fatto caso e si era chinato su uno dei feriti. Aveva intonato una lunga litania e le sue mani luminose avevano iniziato a passargli su tutto il corpo. Lo scatto del mercenario per avventarsi sul vecchio fu bloccato da Caret.
“Lo sta curando.”
La luce nelle mani del vecchio si era spenta e lui si era avvicinato a loro.
“Venite. Li porteremo nei pressi della mia dimora.”
Così avevano conosciuto lo Stregone delle Ombre e i due apprendisti Raxel e Lya, i quali avevano preparato velocemente i giacigli fuori e dentro il casolare per la cinquantina di feriti recuperati sul campo di battaglia. Poi si erano messi tutti di gran lena per curarli meglio che potevano.
Nove mercenari non ce l’avevano fatta ed erano morti per le ferite.
Poi Sdang era stato il primo a dargli soddisfazione, riprendendosi con la sua ostinatezza da nano. Pian piano tutti gli altri erano guariti: Cane, Olan, Tuono erano stati i primi, i più rapidi. E infine, per ultimi, i due gemelli, messi in difficoltà dal loro pensiero condiviso.
Era rimasta per ultima Malan, con ferite orribili e sicure condanna a morte, ma qualcosa la faceva stare inesorabilmente attaccata alla vita e alla fine, per ultima, si era ripresa ed era uscita dal pericolo di morire.
Volca sorrise. Erano pochi, poco più di trenta, ma quei trenta erano sopravvissuti.
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