29 - La Battaglia della Grotta Insanguinata

Ergaf

Terre Elfiche

6 anni fa

I primi raggi del Sole apparvero timidi a est, colorando il cielo di un terribile rosso sangue. Le cime aguzze delle montagne elfiche, a nord, sembravano coltelli infilzati nelle nuvole. L'aria mattutina non portava il solito odore frizzante di rugiada, ma un odore pesante di muschio bagnato, quasi ferroso.

Il plotone fu svegliato e i gemelli presero posto nella loro squadra. Dietro di loro erano già posizionati tutti i draghi e i grifoni dell'esercito. Alla loro sinistra, silenzioso e compatto, era schierato l'esercito elfico.

I due fratelli, convinti che l'esercito dei mercenari fosse immenso, dovettero ricredersi. Gli elfi erano migliaia, figure slanciate dalle bianche armature lucide ed equipaggiati tutti allo stesso modo; una candida armatura, bianchi gambali, elmi luccicanti del medesimo colore. In vari punti era riportato un simbolo nero, una specie di fiore il cui gambo formava un simbolo ai gemelli sconosciuto.

I comandanti dei plotoni si posizionarono davanti ai propri mercenari, Serpente con lo stregone Caret a sinistra, e il didimos Volca a destra, pronto a riferire cosa il suo drago avrebbe visto dall'alto.

La Guardia avanzò sul suo ecua e parlò all'esercito. Essendo relegati nella retrovia, non sentirono niente. Le sue parole vennero ripetute dai comandanti dei vari plotoni, e da questi giunse fino a Serpente.

"Guerrieri, stiamo per immergerci in una battaglia che sarà l'apice di tutti i nostri scontri! Non sarà facile. Combattiamo contro un popolo che conosce l'arte della guerra, che dispone di soldati addestrati. Ma non sarà impossibile perché per la prima volta combattiamo uniti, per la prima volta il Centro di Addestramento si muove compatto.

"E io, in qualità di vostro comandante, aggiungo: non fatevi frenare dal fatto che siamo nelle retrovie. Qui come nella prima linea non risparmiate nemmeno un respiro!"

Si volse a guardare il resto dell'esercito prima che un ordine ruggisse nell'aria.

"Draghi, in volo!"

Gli enormi esseri abbassarono la testa verso il terreno, piegarono i possenti arti e si lanciarono verso l'alto dispiegando le ali. Il loro innalzarsi fu accompagnato da un boato mentre la terra tremò leggermente. Sembrarono inizialmente instabili, come sassi lanciati verso il cielo prima di ripiombare a terra. Poi le ali batterono e si librarono, maestosi, verso il cielo azzurro privo nuvole.

"Grifoni, in volo!"

Gli esseri piumati sembravano quasi sfigurare al fianco dei draghi, grandi quasi la metà e con banali penne color scuro, non affascinanti come le scaglie lucide dei draghi. Il loro innalzarsi fu però magnifico, i possenti arti che si davano la spinta con grazia e le ali che si aprivano donando fin da subito equilibrio. Le batterono con noncuranza, come se fosse assolutamente normale muoverle per avvicinarsi al cielo. Uno spettacolo grandioso, tanto che la maggior parte dei guerrieri rimase per lungo tempo col naso all'insù ad ammirarli. Alla loro sinistra persino gli imperturbabili elfi alzarono lo sguardo.

"Plotone di Tuono, in marcia!"

A quelle parole, un elfo slanciato dai lunghi capelli viola innalzò al cielo la sua spada e urlò qualcosa al plotone al suo comando, avanguardia dell'esercito, che si mosse veloce e preciso dietro il suo comandante. Quando tutti i componenti ebbero percorso un certo tratto, la Guardia chiamò al movimento il secondo plotone, poi il terzo, poi il quarto e, infine, il plotone di Serpente.

Anche gli elfi avevano iniziato a muoversi e il loro marciare sembrava quasi un leaggiadro passo di danza, coi passi che sembravano solo sfiorare il terreno.

Pian piano il terreno divenne sempre più sconnesso e irregolare, salendo lentamente in un leggero declivio. L'erba, che a ogni passo sprigionava una spruzzata di rugiada di un acre odore muschioso, si trasformò presto in un luogo sassoso e pieno di grotte naturali; le D hagunar D ikïkis, punto di confine tra gli Elfi Bianchi e gli Elfi Verdi, strategicamente importante poiché in mezzo tra due fertili pianure, una in territorio degli Elfi Verdi e una in quello degli Elfi Bianchi.

Era un punto con poca vegetazione, tutto sassi e pietre. Cosa a cui i due gemelli non avevano dato importanza finché Malan non gli aveva spiegato perché questo particolare fosse così importante; i maghi elfici avevano il potere di controllare alberi e piante, un potere che funzionava appieno solo se i maghi erano riusciti a entrare in contatto con la natura del luogo, in un dialogo tra mago e natura che richiedeva tempo e dedizione. Dare battaglia in un luogo dalla natura rigogliosa, in pieno territorio nemico, non avrebbe fatto altro che metterli alla mercé dei maghi avversari, la cui conoscenza del luogo avrebbe mandato in fumo qualsiasi possibile attacco.

Il loro scopo era conquistare le D hagunar D ikïkis, luogo dove avrebbero avuto accesso a un'ampia zona delimitante il Barët Flaam, in cui i maghi degli Elfi Bianchi avrebbero potuto cercare di entrare in contatto con la natura e, in futuro, convincerla a volgersi dalla loro parte e a non assecondare gli Elfi Verdi.

Avanzarono per ore mentre le prime grotte si mostravano come enormi bocche nere dalla peluria verde, sempre più numerose. Da alcune uscivano regolari sbuffi di fumo che sapevano di zolfo. Eppure, nonostante fossero un enorme esercito che marciava presso il confine, nessun nemico si fece vivo. Draghi e grifoni atterrarono diverse volte nelle retrovie per riposarsi dal lungo volo.

Quando spuntano fuori?!

L'esercito si fermò per ordine della Guardia e iniziarono a preparare il campo. Non si sarebbero più mossi fino al calare della notte. Una piccola squadra dei mercenari fu mandata in avanscoperta assieme a una squadra elfica per capire se c'erano nemici e dove. Nessuno del plotone di Serpente fu scelto per partecipare.

Tornarono al calare della sera, quando il frinire degli animali salutava il calare del Sole e un odore di sudore umidiccio si spargeva con la stessa lentezza con cui le ombre si allungavano. Non c'era anima viva per chilometri.

La mattina i primi raggi di un sole grigio resero visibile all'orizzonte un esercito di Elfi Verdi. Le loro insegne svolazzano nell'aria gelida, in silenzio come l'esercito che rappresentavano.

Non sono così numerosi.

Daer annuì. I mercenari da soli sembravano più di loro, senza contare gli alleati elfici.

Smontarono il campo e assieme agli Elfi Bianchi si mossero in formazione per entrare in contatto col nemico. Gli Elfi Verdi parvero capire di essere in inferiorità e iniziarono a ritirarsi ben prima di poter essere a tiro degli arcieri. Continuarono un lento inseguimento per tutto il giorno, arrancando nelle armature e nell'odore di sudore, finché gli Elfi Bianchi non ordinarono di fermarsi e la Guardia fece lo stesso. Montarono il campo e i turni di guardia furono rinforzati, ma per tutta la notte non accadde nulla. E già erano avanzati di diversi chilometri.

Alla mattina, tutti i mercenari erano nervosi per quel continuo inseguimento senza frutti. Poche ore dopo, gli Elfi Verdi furono nuovamente visibili all'orizzonte, con le insegne colorate che sbattevano pigramente nel vento e l'odore di rugiada del mattino che iniziava a sfumarsi nei raggi del Sole ormai alto.

Questa volta non iniziarono a fuggire all'avanzata dei mercenari e degli Elfi Bianchi. Lanciarono qualche freccia, ma nessuna arrivò a destinazione, e si ripararono dietro gli scudi al lancio di frecce in risposta. Quindi formarono una difesa per reggere all'urto frontale, ma erano pochi e ben presto dovettero indietreggiare, lasciando sul campo alcuni morti.

Resistettero poco, nemmeno il tempo che le narici si abituassero all'odore del sangue, prima di darsi a una fuga disordinata. La Guardia ordinò il cambio del primo plotone col secondo, per usare forze fresche, e si lanciò all'inseguimento. Nel mentre sopra le loro teste il Sole era stato oscurato da alcune nuvole di un grigio chiaro e piccole gocce avevano iniziato a cadere dal cielo, lievi come una carezza sul volto.

Serpente ordinò al plotone di rallentare il passo.

"Ma così rischiamo di staccarci!" Urlò Sdang, il volto deformato in un ghigno battagliero simile a un cane che sbava in vista di un osso. Serpente lo ignorò.

"Perché ci fa rallentare?!" Si lamentò Reyk, la mano già stretta attorno all'elsa della spada.

"Perché è troppo facile."

I due gemelli si voltarono a guardare Cane, a pochi passi da loro.

"Gli elfi hanno un esercito ben organizzato, ricordatevelo ragazzini. Non mi pare possibile che possiamo penetrare così facilmente nel loro territorio."

I due gemelli tornarono a guardare dinnanzi a sé. Gli altri mercenari avanzavano velocemente e tra le gocce di pioggia era possibile vedere che un buon tratto di terreno separava già il loro plotone dagli altri.

Olan, un umano che combatteva a dorso di ecua, si lanciò dal plotone di Serpente verso le prime linee col compito di portare alla Guardia un messaggio di Serpente. Tornò con il volto afflitto e comunicando a Serpente che la Guardia riteneva da codardi rallentare l'avanzata e ordinava di recuperare il terreno perso.

Serpente sospirò, poi fece un lento cenno negativo con la testa.

"Non rischierò di mandare al macello i miei mercenari per la testardaggine della Guardia. Disobbedirò ai suoi ordini. Spero di rivedere presto la sua faccia furibonda che viene a rinfacciarmi il mio tradimento."


La Guardia colpì un elfo e si guardò attorno. Ormai i nemici erano in fuga, l'importante era non lasciargli respiro per non dargli occasione di riorganizzarsi.

Pensò per un istante al messaggio giunto da Serpente e sperò che avesse disobbedito al suo ordine di riprendere l'avanzata. Per quanto non lo sopportasse, il suo plotone e la distanza che li separava sempre più erano l'unica debole salvezza se qualcosa fosse andato storto.

"Guardia, è prudente avanzare ancora?"

Guardò Tuono, l'elfo comandante del primo plotone. I capelli bagnati dalla pioggia gli ricadevano sul volto come lunghe strisce di stoffa tagliuzzata.

"Hai ragione Tuono, abbiamo occupato abbastanza territorio. Conviene che ci stanziamo."

Ordinò l'interruzione dell'attacco e le file, sfilacciate nella veloce avanzata, si ricomposero. Le bandiere dei plotoni ricadevano flosce nel cielo scuro, appesantite dall'acqua di cui si stavano impregnando e dall'odore del sangue che sembrava impregnarsi in ogni cosa assieme alla pioggia.

"Direi che i nostri committenti elfi potranno dirsi soddisfatti. Abbiamo occupato una buona fetta delle D hagunar D ikïkis."

Aveva appena finito di parlare quando il suono di un corno si disperse tutt'attorno. Un suono dolce e allo stesso tempo irritante. La Guardia sentì la pelle rabbrividire e il suo istinto si mise in allarme.

Al corno risposero altri tutt'attorno, in un eco di melodie stucchevoli. Tutti i mercenari si guardarono attorno cercando di capire da dove venisse quel suono, poi uno schiocco violento riempì l'aria, vibrante in mezzo alla pioggia che ticchettava sul terreno.

"Alzate gli scudi!"

Molti mercenari non furono abbastanza veloci per proteggersi dalla pioggia di frecce e ne furono sommersi, cadendo sul terreno con tonfi violenti. Ma la cosa preoccupante era l'origine di quelle frecce, sembravano arrivare da tutte le parti.

Nuovamente i corni risuonarono tra i sassi e nuovamente una pioggia di frecce si fece strada tra le gocce. Questa volta i mercenari si fecero trovare pronti e gli scudi li difesero.

I corni risuonarono una terza volta, un suono più veloce e secco. Pochi secondi dopo un urlo di guerra riempì le D hagunar D ikïkis e guerrieri elfici dalle armature verdi splendenti uscirono a centinaia dalle grotte tutt'attorno. Stringevano armi ben forgiate e alcuni di loro avanzavano a dorso di ecua. Sbucavano da ogni pertugio, da alcune grotte solo due o tre, da altre a decine, e si lanciarono contro i fianchi dell'esercito dei mercenari. Alcune frecce vibravano sopra la loro testa andando a colpire nel mezzo dello schieramento.

"Mercenari, in posizione! Difendete i fianchi!"

I mercenari si attestarono nelle loro posizioni e cercarono di reggere alla forza d'urto dell'attacco elfico. Ma questa volta i nemici non attaccavano come avevano fatto fino ad allora. Prima si ritiravano di continuo per attirarli sempre più all'interno delle D hagunar D ikïkis, ora attaccavano con esperienza, mulinando le armi e mettendo in difficoltà molti mercenari. I soldati a dorso di ecua combattevano con inaudita violenza, travolgendo i mercenari con i loro animali e mettendo subbuglio tra le file.

"Mirate agli ecuali, mirate ai nemici sugli ecua!"

Tutti gli arcieri obbedirono velocemente. Nel mentre la Guardia si portò un fischietto alle labbra e comandò, con fischi studiati, l'attacco dal cielo dei grifoni e dei draghi. I grifoni si lanciarono per primi, fendendo la pioggia e cercando di colpire i nemici con i loro artigli affilati, poi tornarono verso il cielo scuro lasciando lo spazio all'attacco dei draghi, i quali lanciarono alte fiamme. Ma il difetto dei draghi era da secoli lo stesso, faticavano a lanciare fiammate efficaci in picchiata. Riuscirono a uccidere solo una manciata di nemici, mentre la maggior parte del fuoco si disperdeva nell'aria in uno strano odore che sapeva di carne affumicata.

"Ritirata! Ricompattiamoci nelle retrovie!"

L'ordine venne ripetuto con forza da un capo all'altro dell'esercito. I mercenari si ritirarono in ordine, nonostante l'attacco elfico e la pioggia, e misero i loro scudi a difesa dei compagni più in difficoltà. Molti però caddero cercando di difendere la ritirata dell'esercito, lasciando i corpi senza vita in mezzo alla fanghiglia che si formava sempre più densa sotto il ticchettio delle gocce.

"Tuono, ritiriamoci fino al plotone di Serpente!"

Dovevano tornare rapidamente, riempiendo lo spazio vuoto che Serpente aveva creato, uno spazio in cui potevano ritirarsi con le frecce di Serpente a difendere la ritirata. Una volta riuniti, le truppe riposate di Serpente potevano reggere l'urto e permettere di rifiatare.

"Ritirata!"

La Guardia continuava a urlare quell'ordine, ogni volta con più foga. Dopo diverse urla superò un gruppo di guerrieri elfici e si ritrovò improvvisamente oltre i nemici. Tutt'attorno a lui decine di mercenari, riusciti a fuggire dalla morsa elfica, correvano a perdifiato verso lo stemma del plotone di Serpente che sventolava oltre il terreno vuoto, come una candela accesa nel buio più oscuro.

Frenò la corsa del suo ecua e si voltò, tentando di calmare il fiatone e il battere incessante del cuore che pareva esplodere nel petto. Gli Elfi Verdi continuavano ad attaccare, ma sembravano poco interessati a inseguire i fuggitivi. Parevano più intenti a mantenere quanti più mercenari possibili incastrati nella morsa. Così però sembravano permettere al rimanente esercito mercenario di attaccarli alle spalle.

"Perché ci ignorano?"

"Per concentrarsi a spingere quanti più mercenari possibile nel Barët Flaam."

La Guardia si voltò. Un elfo mercenario dall'armatura bagnata di pioggia, terra e sangue stava a pochi passi da lui. Aveva parlato con tono atono, gli occhi spalancati, colmi di orrore, che fissavano tristi l'orizzonte.

"Per far cosa?"

"Possono permettersi di fronteggiare un nostro attacco alle spalle per alcuni minuti. Nel frattempo, stringeranno i nostri compagni che hanno accerchiato, spingendoli fino al limite delle D hagunar D ikïkis, oltre cui inizia il Barët Flaam, una foresta in territorio elfico che i loro maghi sicuramente conoscono e controllano. Saranno i loro maghi a finire i nostri compagni, permettendo al resto dell'esercito di risparmiare le forze per concentrarsi su di noi."

La Guardia sbiancò. Gli Elfi Verdi erano spuntati fuori a centinaia, abbastanza per reggere un attacco alle spalle per alcuni minuti. Era una trappola e lui, la Guardia del Centro di Addestramento, ci era cascato in pieno, avanzando nella foga di una vittoria facile, e condannando a morte centinaia di mercenari.

Sentì un sapore marcio riempirgli la bocca, un miscuglio di orrore e colpa, melmoso come la fanghiglia su cui batteva gli zoccoli il suo ecua.

Si lanciò fino alle prime linee dei mercenari. Fu Serpente stesso ad accoglierlo.

"Guardia, ho disobbedito ai suoi ordini diretti. Sono pronto alle conseguenze di questo mio gesto, qualunque esse siano."

"Chiudi quella bocca! Ora il tuo plotone sarà la nostra prima linea."

"E quali sono gli ordini?"

La mente della Guardia tentò di mettere da parte il senso di colpa, provando a pensare lucidamente cosa potessero fare. Potevano attaccarli, cercare di penetrare e di salvare qualche mercenario. Ma ne aveva già condannati alla morte così tanti, aveva senso mandarne al macello altri? Era sensato lanciarli in un attacco suicida?

Un brivido lo percorse, costringendolo a scuotere la testa e chiudere gli occhi. Non poteva mandarne altri al macello!

"Tuono, qual è la situazione?"

"L'attacco elfico ha colpito interamente i fianchi dei quattro plotoni. Il quarto è riuscito a obbedire al primo ordine di ritirata ed è quasi interamente rientrato dietro le linee di Serpente. Il primo e il terzo plotone hanno subito ingenti danni, ognuno è ridotto a meno di metà e hanno perso diversi stendardi delle loro squadre. Il secondo plotone, che al momento dell'attacco formava la prima linea, è quasi interamente rimasto entro la morsa nemica. I pochi sopravvissuti non sono riusciti a portare indietro nemmeno uno stendardo e il comandante Scorpione è caduto. Non posso fare altro che dire che il secondo plotone non esiste più."

Una strana quiete avvolse la Guardia, una morsa gelida che attraversò docile la schiena e gli avvolse la mente. Aveva condannato a morte il secondo plotone, più della metà del primo e del terzo. Avrebbe dovuto sentirsi morire di dolore e invece il suo cervello era attraversato solo da una calma glaciale. Non sentiva nemmeno più la pioggia penetrargli umida nell'armatura o l'odore di bagnato che li circondava.

Aveva deciso.

"Ecco gli ordini. Il plotone di Serpente sarà la nostra nuova prima linea. Tuono radunerà gli stendardi sopravvissuti del primo e terzo plotone, assieme agli altri sopravvissuti senza stendardo in grado di combattere, e ne assumerà il comando facendone un unico plotone. Il quarto plotone resterà agli ordini di Teschio e formerà la seconda linea. Serpente manterrà il comando del suo plotone e da ora in avanti avrà anche il comando delle operazioni del Centro."

Tuono guardò la Guardia con sguardo preoccupato.

"Cosa significa?"

"Significa che proverò a fare ammenda dei miei errori tentando di salvare qualche altro mercenario."

Voltò il suo ecua con un gesto secco e lo lanciò verso la battaglia. Avrebbe salvato più mercenari che poteva prima di lasciarci la pelle.

Serpente, lascio i mercenari nelle tue mani. Fai quello che io non sono riuscito a fare. Proteggili.


Il plotone di Serpente attese in formazione. Gli ultimi ad apparire tra la pioggia furono sette mercenari, fuggiti da un varco aperto tra gli ecuali dall'attacco della Guardia e che confermarono di averne visto il corpo cadere tra le gocce di pioggia, mentre combatteva con una furia che pareva sovrumana.

I draghi e i grifoni atterrarono nelle retrovie. Volca, al fianco di Serpente per comunicargli cosa riportavano le truppe dal cielo, gli disse che un nutrito esercito di Elfi Verdi si stava muovendo dal Barët Flaam. Ora che avevano indebolito l'avversario, dovevano ritenere giunto il momento dello scontro vero e proprio.

"Cosa ne pensi, tu che puoi avere le informazioni da Stris su quanti sono?"

Volca ragionò un po' prima di rispondere al comandante.

"Abbiamo avuto tante perdite e il loro esercito è numeroso. Però non è infattibile, avendo anche il supporto degli Elfi Bianchi, i quali hanno subito perdite meno ingenti delle nostre. Non sarà facile, ma è fattibile."

Gli Elfi Verdi giunsero rapidi come formiche in quel dedalo di grotte e sassi che era il D hagunar D ikïkis. I gemelli ebbero un fremito di paura nel vederlo avvicinare. Ma ora erano loro la prima linea e strinsero le armi e i denti.

Alcune frecce nemiche cercarono di colpirli tagliando la pioggia, ma erano pronti e si difesero facilmente. Poi i nemici arrivarono a pochi metri di distanza e per il plotone di Serpente la battaglia ebbe inizio.


La pioggia lavava via sangue di ambedue le fazioni e bagnava cadaveri di tutti e due gli eserciti. Un miasma denso di sangue e ferro bagnato si alzava tutt’attorno, circondando i combattenti e facendoli boccheggiare.

A un certo punto i mercenari pensarono che potessero anche farcela. Non indietreggiavano da alcuni minuti e gli sembrava anche di prendere campo. La battaglia ebbe un attimo di pausa in cui i mercenari, gli Elfi Bianchi e gli Elfi Verdi si fermarono per studiarsi a qualche metro di distanza. Poi un corno risuonò stridulo nella vallata e gli Elfi Bianchi, che fino a quel momento avevano affrontato una parte dell’esercito degli Elfi Verdi, iniziarono a ritirarsi.

“Cosa fanno?!”

La domanda di Daer uscì strozzata e agonizzante. Perché iniziavano a ritirarsi?

In quel momento Malan era a pochi passi da loro. Si voltò verso Daer con sguardo triste.

“Preferiscono ritirarsi, lasciandoci a combattere da soli. Sanno di avere meno carri e feriti, saranno più veloci di noi nella ritirata. A quel punto gli Elfi Verdi preferiranno attaccare noi per finirci. Ci annienteranno, ma nel farlo subiranno qualche perdita e si stancheranno. Non avranno la forza di vincere nuovamente gli Elfi Bianchi, freschi e riposati, che potranno consolidare il controllo sul D hagunar D ikïkis finora occupato. Ci stanno usando come carne da macello.”

Daer si voltò a guardare i nemici nelle loro lucenti armature che a qualche metro di distanza stavano esultando sotto la pioggia. Erano troppi, ben armati e organizzati.

“Mercenari!”

La voce di Serpente risuonò nel cielo grigio. Era un urlo potente, il ruggito di una belva.

“Mercenari! Oggi combattiamo fino all’ultima goccia di sangue! Combattiamo per i compagni caduti e per quelli che stanno al nostro fianco! Combattiamo per la Guardia e per il Centro di Addestramento! Oggi, uno al fianco dell’altro, moriamo!”

Erano parole urlate tra le gocce a un esercito ormai condannato. Eppure entrarono nelle orecchie dei mercenari e si fecero strada fino al cuore dove parvero fermarsi per farlo battere più veloce. Erano parole semplici, parole da mercenario, parole che non nascondevano la verità. E tutti, dai combattenti in seconda linea a quelli in prima, dai più stanchi ai più freschi, strinsero con vigore le proprie armi e piantarono i piedi nella melma formatasi tra i sassi del terreno, pronti ad affrontare l’urto dell’esercito nemico ormai sicuro della vittoria.

Tutti si posizionarono.

Tutti, tranne Reyk.

Lui rimise la lama nel fodero e si fece strada tra i compagni. Arrivò dove era posizionata Malan, le prese un braccio e la tirò verso di sé.

“Ma cosa...!”

L’imprecazione dell’elfa rimase sospesa nell’aria mentre Reyk la baciava. Alzò una mano con violenza, come per allontanarlo, ma poi il braccio ebbe un fremito di indecisione, un tremore che si concluse appoggiandosi delicatamente sul petto del gemello mentre le palpebre si chiudevano lentamente. La pioggia rigava i loro volti, convergendo alle labbra e unendo il suo calore umido a quello del bacio.

Durò alcuni secondi, poi i due visi si distanziarono, gli occhi che si osservavano come se si guardassero davvero per la prima volta.

“Dobbiamo tornare ai nostri posti.” Disse la ragazza con un filo di voce.

Reyk allungò le braccia, stringendole i fianchi da sopra l'armatura. Inspirò forte, cercando di imprimersi nella mente l'odore di bagnato, sangue, ferro e muschio che Malan sprigionava.

“Non farti ammazzare.”

“Nemmeno te.”

La guardò ancora una volta, con le mani che tremolavano incerte, come chiedendosi se faceva bene a lasciarle i fianchi o no. Studiò il disegno che le righe di pioggia formavano sul suo volto candido, gocciolando giù dal mento. Sfiorò i capelli viola, riposizionando la ciocca bagnata che stava andando a coprire l’occhio sinistro. Avrebbe voluto baciarla ancora, sentire un’altra volta le labbra umide riempire le sue di calore.

La lasciò e tornò al fianco del fratello. Incrociò ancora una volta gli occhi di Malan, determinato a sopravvivere per stringerla ancora fra le braccia.

Poi i nemici si lanciarono verso i mercenari e non ci fu più tempo per guardarsi.

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