2 - Il Comandante

Ergaf

Cittadella

Oggi

"Aprite!"

L'urlo della vedetta fece scivolare lontani i ricordi come la sabbia dispersa dal vento nel Grande Deserto. Daer chiuse gli occhi, cercando di trattenere le immagini della vita a Gazar, ma se n'erano andate.

Sospirò, costringendosi a mettere da parte i ricordi e assumere la posa sicura che era costretto a mantenere. Attese in posa marziale la lenta apertura del portone, con l'odore soffocante del deserto che gli bruciava le narici, poi lo varcò alla testa dei suoi guerrieri.

Sui camminamenti le guardie si erano poste sull'attenti al passaggio del nero vessillo dei Trenta Mercenari, tenuto gonfio dal vento caldo del Grande Deserto. Solamente quando il portone riprese a chiudersi tornarono a volgere lo sguardo verso il sabbioso mare che circondava la Cittadella, rotto dal profilo della Grande Catena a nord-ovest e dalle piccole oasi sparse a sud-est.

Un graduato, di cui non ricordava il nome, gli venne incontro assieme a due soldati. Si fermò a pochi passi ed estrasse l'arma dal fodero, ponendola a terra in segno di rispetto.

"Graduato incaricato del servizio di guardia, ai suoi ordini comandante!"

Daer gli affidò i compagni feriti perché li scortasse all'infermeria e gli consegnò il vessillo dei Trenta Mercenari. Entro pochi minuti sarebbe svettato sulle mura della Cittadella, segno che i Trenta Mercenari erano a casa.

Ripresero la marcia, avanzando lungo la strada che si dipanava tra i magazzini e la mensa. L'odore pungente della Cittadella, un misto di polvere e sudore, gli stuzzicò le narici. Tutt'attorno regnava una tranquillità metallica, simile al silenzio che pervade il campo di battaglia pochi istanti prima del combattimento.

Attraversarono il Varco, il portone sempre aperto incastonato nella vecchia muraglia difensiva della Cittadella, e la strada si aprì in un largo piazzale; lo spettacolo di centinaia di soldati impegnati negli allenamenti più vari, dalla lotta corpo a corpo al combattimento armato con un avversario all'esercizio individuale, si spalancò davanti a loro. Alcuni graduati seguivano gli addestramenti e parlottavano fra loro indicando questo o quel soldato.

Non appena i Trenta Mercenari apparvero nel piazzale, nelle loro vesti nere come la notte e i cappucci calati sul capo, un silenzio innaturale calò. Gli esercizi si interruppero e tutti si voltarono a guardarli. Uno solo non sospese lo scontro col compagno e, approfittando della sua distrazione, lo colpì alle gambe facendolo rovinare a terra. Il tonfo sul terreno polveroso risuonò assordante.

"Cosa avete da guardare? È questo il modo di allenarsi?! Tornate ai vostri esercizi!"

La voce autoritaria risvegliò i graduati, che tornarono a sbraitare contro le matricole. Esse strinsero le armi, ricominciando con foga come per mostrare ai mercenari la loro forza. Quest'ultimi però li ignorarono e si avviarono a passi decisi verso chi aveva parlato, il quale lanciò un'occhiata severa agli esercizi prima di dirigersi incontro ai mercenari, facendo danzare la sua veste blu notte sotto il ritmo dei suoi passi decisi.

Si incrociarono a metà del piazzale. Per un attimo si fissarono l'un l'altro, prima di stringersi in un violento abbraccio in cui la Guardia avvolse Daer col suo odore tipico di inchiostro.

"Vedo che anche questa volta siete sopravvissuti!" Disse Ari quando sciolse la sua veste dall'abbraccio.

"Ne dubitavi forse?" Chiese Daer guardando l'amico con un sorriso compiaciuto.

"Larán ak ir ravè krakal heral. È un proverbio elfico, significa: ogni vittoria avvicina alla prima sconfitta."

"Ti dimostrerò che anche i vostri proverbi sbagliano."

"Lo spero... Ma non pensiamo a questo, è tempo che vi riposiate. Vi accompagno ai vostri alloggi."

Si avviarono verso gli edifici al limite opposto del piazzale. A uno a uno i mercenari scomparvero nell'abitazione che gli era assegnata abitualmente, finché non giunsero all'ultimo, la dimora dell'elfo, squadrato e grigio come tutti quelli che lo circondavano. La porta era un semplice varco rettangolare e Ari entrò per primo, seguito dal comandante e dagli unici due mercenari rimasti. Prima di riposarsi, dovevano fermarsi a fare rapporto sulla missione appena conclusa.

L'interno rifletteva perfettamente la sobrietà esterna. La luce del sole, proveniente da una delle due finestre laterali, illuminava un tavolino con qualche rimasuglio di cibo a destra dell'entrata e, dalla parte opposta, un tavolo più grande, completamente ricoperto di fedo, il materiale ricavato dalla pianta di shefedo su cui abitualmente si scriveva, o in lunghi rotoli o tagliato in fogli più corti. Del resto, era visibile solamente una lunga pelle che copriva l'entrata della stanza in cui l'elfo dormiva.

Un odore strano, che sapeva di un misto leggero tra inchiostro e fedo, aleggiava per tutta la stanza e tentò timido di circondare i guerrieri e il loro olezzo di polvere e sudore.

"Fate sempre un effetto particolare alle reclute quando tornate alla Cittadella – disse sedendosi e iniziando a rovistare in quella montagna di fogli e rotoli – Certo, vengono qui ad addestrarsi col sogno di far parte dei Trenta Mercenari, immagino sia una reazione... Eccolo!"

Stese un rotolo dinanzi a sé, prese in mano il calamo e iniziò a compilare il documento della missione. Scriveva velocemente e Daer lo fissò soddisfatto.

Non avrebbe potuto trovare addestratore migliore per le reclute della Cittadella. Quel corpo muscoloso aveva mostrato le sue capacità su un vero campo di battaglia molti anni addietro, ma la sua tecnica, la sua intelligenza e le sue ampie conoscenze, facevano di lui la figura perfetta per creare nuovi mercenari pronti ad affrontare i veri conflitti.

"Quanti caduti?" Chiese rialzando il viso dal rotolo.

"Tre."

Intinse la punta del calamo in una boccetta d'inchiostro e si allontanò, con la mano libera, una frangia che gli ricadeva sugli occhi.

"I nomi?"

La frangia tornò dinnanzi all'occhio e la scostò con un gesto stizzito del capo, facendo sorridere Daer. Anni prima gli aveva chiesto perché si ostinasse a portare i capelli lunghi. Ari gli aveva risposto che lo faceva per differenziarsi dall'uso elfico maschile di tenere i capelli corti. Non per nascondere la sua origine; i mercenari erano un insieme troppo variegato di popoli, razze e culture perché potesse pensare che qualcuno lo avrebbe considerato diverso, e il colore viola lucente dei suoi capelli e dei suoi occhi lasciavano pochi dubbi sulla sua natura. Teneva i capelli lunghi per sottolineare l'odio profondo che nutriva per il popolo a cui apparteneva.

Faceva anche altre cose che un vero elfo non avrebbe mai fatto: nascondeva le orecchie a punta dietro i capelli invece di metterle in bella vista; modellava accuratamente il corpo affinché fosse un robusto insieme di muscoli e nervi, ben diverso dal corpo agile e snello che qualunque elfo desiderava; e voleva che tutti lo chiamassero col diminutivo Ari e non col suo nome completo, Arillan, nome che si traduceva con "forza degli elfi" e che lui rifiutava proprio perché conteneva un richiamo al suo popolo.

"Comandante?"

Daer si riscosse. Cosa gli aveva chiesto prima che si perdesse nei suoi pensieri?

"Abbiamo perso in combattimento le reclute Odone e Kaer e il veterano Arkas."

Ari divenne pallido come lo erano normalmente tutti gli elfi, ma nessun elfo aveva passato tanti anni nel Grande Deserto come lui. Rimase immobile per un attimo prima di sospirare e scrivere i nomi sul fedo.

"Così abbiamo perso anche Arkas... è stato con noi a lungo."

Il calamo scricchiolò sinistramente sul documento color avorio, quasi a rendere udibile il taglio che quella morte aveva creato in tutti loro. Il comandante sentì un dolore sordo spingere nelle viscere ma lo soffocò con violenza. La morte faceva parte del loro lavoro, inutile soffrirne. Era come se un falegname piangesse per ogni opera delle sue mani distrutta dal tempo.

"Cercherò le loro lettere di accettazione per sapere a chi volevano inviare il soldo in caso di morte. Per Odone e Kaer sarà inviato il compenso per le reclute cadute in battaglia, Arkas aveva invece accumulato anche il pagamento per le varie battaglie e per l'anzianità di servizio.

"Le loro ceneri saranno tumulate nel Grande Mausoleo dei Trenta Mercenari. Ai piedi della nicchia di Odone e Kaer sarà inciso il consueto memoriale. Ai piedi della nicchia di Arkas volete incidere un memoriale scritto da voi?"

Tutte le volte che cadeva un veterano, Ari lo chiedeva. Come tutte le volte, Daer rispose che non c'era distinzione tra i caduti, tutti meritavano la stessa scritta. Tanto, non sarebbe cambiato niente. Fra loro quasi nessuno sapeva leggere.

Il calamo dell'elfo corse veloce alla boccetta d'inchiostro e vergò il consueto memoriale. Il graduato custode del Grande Mausoleo lo avrebbe inciso sotto le nicchie che avrebbero ospitato le ceneri. Parole uguali per tutti i caduti dei Trenta Mercenari, parole che quasi nessuno aveva mai saputo leggere.

Il suono metallico di una campana risuonò nella Cittadella.

"Bene. - La Guardia tagliò il rotolo e sventolò il foglio di fedo per asciugare l'inchiostro - Le reclute abbandonano l'allenamento per andare alla mensa e così dovremmo fare anche noi. Chissà quant'è che non mettete qualcosa di decente sotto i denti. Anticipatemi, il tempo di consegnare questo documento e vi raggiungo."

Silenziosi come erano entrati, i tre guerrieri uscirono, attraversarono il piazzale ormai deserto, passarono ancora una volta il Varco e si avviarono verso l'enorme costruzione squadrata in cui stavano confluendo allievi, mercenari e graduati. Quando loro, avvolti nei neri mantelli e protetti dall'ombra rassicurante del cappuccio, si avvicinarono, tutti si fecero da parte per permettergli il passaggio.

Dentro la grande sala erano disposti lunghi tavoli, apparecchiati con scodelle, tazze in pietra e vini pregiati. Un odore caldo e invitante arrivava fin dalle cucine.

Quel luogo, solitamente ricoperto da chiacchiere e risate delle reclute arrivate alla fine della giornata di allenamento, era stranamente silenzioso. Tutti avevano visto i Trenta Mercenari arrivare nella Cittadella o il loro vessillo sventolare sopra il portone di entrata, e chi anche si fosse perso il loro arrivo era stato prontamente avvertito dagli altri. E ora attendevano che la Guardia desse inizio al banchetto.

Raggiunsero il tavolo in fondo alla sala, sopra-elevato rispetto agli altri. Era formato da trentadue posti, imbanditi da un solo lato, in modo che i convitati a cui era permesso sedersi in quell'ambita postazione avessero i volti rivolti verso il resto della sala. Normalmente era utilizzato dalla Guardia della Cittadella e dai trenta alti graduati. Un posto era sempre imbandito ma lasciato vuoto ed era l'unico ad avere una sedia nera. Rappresentava i Trenta Mercenari che nella Cittadella avevano la loro base.

Ma ora che i Trenta Mercenari erano nella Cittadella, le sedie erano state sostituite in modo che fossero tutte nere, così come la tovaglia. Nessuno poteva sedere in quei trentadue posti se non i Trenta Mercenari, il loro comandante e la Guardia della Cittadella. Se nella missione alcuni membri erano morti, le rispettive sedie venivano lasciate vuote e anche in quei posti veniva servito da mangiare e da bere. Quei vuoti erano riempiti solo quando nuovi combattenti venivano scelti per sostituire i caduti.

I mercenari sedettero, unendosi agli altri compagni già arrivati. Poco dopo anche Ari entrò nella mensa. Gli ultimi ritardatari si affrettarono mentre l'elfo avanzava cerimonioso verso il tavolo. Arrivato alla sua sedia la scostò ma rimase in piedi, volgendo uno sguardo serio tutt'attorno prima di far risuonare la sua voce autoritaria:

"Mercenari! Siamo qui per festeggiare. I Trenta Mercenari sono tornati dalla loro ultima missione. Sono tornati vittoriosi! Perché questo fanno i Trenta Mercenari. VINCONO!"

Grida e battiti di piedi seguirono l'ultima parola. Solo quando si furono calmati la Guardia riprese a parlare.

"Per questo stasera festeggiamo. Per questo oggi abbiamo preparato i cibi più succulenti, per questo serviamo i vini migliori."

L'odore proveniente dalle cucine parve farsi più intenso, come se stesse premendo per uscire delle porte ed essere servito.

"Facciamo ciò anche per onorare la morte di tre membri dei Trenta Mercenari. Nella missione sono caduti i valorosi Arkas, Odone e Kaer. È per loro che festeggiamo, per il loro coraggio, per la loro forza e per la loro morte. Perché è la morte che dà senso alla vita!"

Nuove urla e battiti di piedi si alzarono più assordanti di prima, facendo tremolare il pavimento. A questo venivano addestrate le reclute, a fare della morte un ideale. Questo era ciò che insegnava la Cittadella, questo era ciò che gli permetteva di essere invincibili.

"Prima di iniziare i festeggiamenti - Urlò l'elfo per sovrastare il caos - sentiamo dal comandante il resoconto della missione!"

Il rumore s'interruppe bruscamente, sostituito da un'attesa elettrica.

"Mercenari! Alzatevi!"

I Trenta Mercenari scattarono in piedi, i mantelli neri che ondeggiavano, i cappucci calati sul volto. Rimasero immobili mentre Ari si sedeva, poi la voce del comandante si alzò nel silenzio.

"Si dice che vedere gli occhi dei Trenta Mercenari significa che si sta per morire. Sappiate che è vero. Chi riesce ad avvicinarci tanto da vedere i nostri occhi muore. Ma questo non vale per voi, perché voi siete le reclute della Cittadella. Voi siete fra i pochi che possono avere l'onore di vedere il nostro volto."

Daer assaporò quel silenzio assordante prima di dare l'ordine.

"Mercenari, scopritevi!"

I Trenta Mercenari portarono le mani ai cappucci e li calarono all'unisono.

Ogni volta che in quella sala il comandante calava il cappuccio, un brusio di stupore si alzava timido, anche da coloro che lo avevano visto più volte.

Davanti alle reclute si presentava un volto con due grandi difetti per appartenergli realmente. Innanzitutto era troppo normale per essere il viso di quella figura mitica che era il comandante dei Trenta Mercenari; corti capelli scuri incorniciavano un normale volto di carnagione bruna, come molti uomini delle terre del nord. Due cicatrici lo solcavano, lunghe e pallide. Una sfiorava l'occhio destro, di un normalissimo colore marrone.

Ma ciò che veramente lasciava a bocca aperta i novizi seduti ai tavoli era l'età che mostrava.

Davanti a loro il comandante dei Trenta Mercenari, il mercenario più famoso, il guerriero più temibile i cui piedi avessero pestato i due mondi, colui le cui armi avevano inondato di sangue e morte ogni più sottile filo d'erba, il combattente più temuto dagli esseri e dagli eserciti dislocati in ogni dove, mostrava un volto che aveva sicuramente meno di venticinque anni di vita.

"Io sono Daer, figlio di Zenor, delle terre del nord, nato a Gazar."

...Gemello di Reyk...

"Sono fuggito dal mio villaggio a quattordici anni per entrare nei mercenari. Ho partecipato alla battaglia della Grotta Insanguinata in cui sono nati i Trenta Mercenari. Da allora combatto con essi e non ho mai subito la sconfitta.

"Per la nostra ultima missione siamo andati nel villaggio di Yeriho, sede del regno del re Kar, figlio di Jas, della stirpe delle terre del nord. Qui il re ha richiesto i nostri servigi per ricacciare le truppe del confinante regno del re Gando, figlio di Rey, della stirpe delle terre centrali. Ricevuto il soldo abbiamo ingaggiato battaglia col nemico e lo abbiamo vinto. Seguendo le regole di guerra umane, abbiamo preso la medaglia del comandante sconfitto, consegnandola al re Kar come prova dell'adempienza dei compiti per cui eravamo stati assoldati."

Gli altri mercenari, fino a quel momento immobili nei loro neri mantelli, lasciarono la posizione di attenti e urlarono:

"Vincere, sempre!"

Il grido fu ripetuto tre volte dai convitati, sempre più forte, rimbombando assordante.

"E ora festeggiamo!"

A quelle parole numerosi inservienti entrarono nella mensa con portate di ogni genere e la sala si riempì delle voci di cui era solitamente pervasa. Daer si lasciò cadere sulla sedia e fece passare lentamente gli occhi su tutte quelle reclute, ascoltò il loro chiacchiericcio festoso e inspirò a fondo gli odori prelibati che si alzavano dalle tavole.

Reyk, vorrei tanto poter condividere coi tuoi pensieri tutto questo.

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