17 - Jash

Nota dell'autore
Scusatemi se mi intrometto così, subito all'inizio del capitolo, ma mi sembrava che in questo caso ce ne fosse bisogno. Mi pare infatti giusto avvertirvi che questo capitolo è stato creato pochi giorni fa ed è stato un parto estremamente complicato. È un capitolo estremamente utile, perché mi ha permesso di tagliare ben 8 capitoli e condensarli qui, ma questo ha fatto sì che venisse fuori una cosa che in diversi punti mi pare confusionaria e più complessa del necessario.

In sintesi, questa nota è per dirvi: non abbiate "timore" a segnalarmi le parti confusionarie, che girano male o che non si capiscono. Ne sono consapevole e commenti esterni che me li segnalino saranno veramente utili e apprezzati.

Grazie mille in anticipo! Spero che la lettura non risulti troppo pesante :')


Terra

Pianure Verdi

Oggi


"Aghel, vieni."

Lo stregone mise da parte gli attrezzi con cui stava litigando per alzare una tenda e si avviò con passo baldanzoso verso il comandante, Raghel e Wors, che si erano ritirati a qualche metro dal campo per studiare la zona in cui si sarebbe svolta la battaglia.

"Avete bisogno delle mie straordinarie qualità?"

"Guarda che ti abbiamo chiamato solo per impedirti di continuare a seviziare quella povera tenda."

Guardò Raghel con aria di sufficienza. Erano praticamente compaesani, nati in villaggi vicini sulla Terra, come testimoniato anche dai loro nomi quasi uguali, essendo usanza di quelle zone chiamare i figli con storpiatura del nome Turaghelis, l'umano che aveva scoperto i portali permettendo la colonizzazione della Terra. Eppure Raghel non mostrava mai un minimo di appoggio, arrivando persino a negare le sue doti. Nessuno sano di mente avrebbe mai negato le sue straordinarie qualità, impensabile.

"Smettetela di punzecchiarvi, non siete bambini."

Daer aveva finalmente lo sguardo vigile, l'adrenalina della battaglia lo aveva fatto uscire dallo stato di apatia che lo offuscava da giorni.

Gli altri compagni non lo notavano, il comandante era bravo a esternare il solito comportamento sicuro, ma Aghel aveva sempre avuto la capacità di capire intimamente chi gli stava attorno. Una capacità che teneva accuratamente nascosta in mezzo a quei guerrieri rudi, meglio mascherarla con un'irriverenza strafottente.

Comunque, sin da quando avevano superato il portale, aveva notato che il loro comandante aveva iniziato a estraniarsi dal mondo, in una lotta personale coi suoi pensieri e i fantasmi del passato.

Era rimasto in quello stato durante tutti i quattro giorni di marcia nel deserto, e anche quando erano arrivati nella città che aveva richiesto il loro intervento. Persino durante le trattative nel palazzo e quando gli era stato affidato l'incarico.

Solo ora, dopo un altro giorno di marcia nelle fertili Pianure Verdi, incastonate tra gli artigli del fiume Chrysonoas, col loro odore di terra umida che tentava di abbracciarli nelle sue spirali, l'adrenalina della battaglia ormai vicina lo aveva risvegliato.

"Io, Wors e Raghel abbiamo pensato che le tue doti saranno utili per preparare la battaglia."

Fece un mezzo inchino, fissando gli occhi su Raghel.

"Il vostro migliore attore è pronto per la recita."

Eccolo di nuovo, il suo atteggiamento strafottente che balzava fuori per mascherare la paura, per mettersi nuovamente al servizio di un teatrino meschino che avrebbe provocato la morte di decine di persone. Non volevano usare le sue arti magiche, il comandante e i suoi due più fidati guerrieri sapevano bene che sulla Terra era difficile usare la magia, ma era anche un attore furtivo e ingannatore, e spesso usavano questo suo tratto. Un tratto che lui odiava, eppure lo metteva sempre a disposizione se richiesto. Quanto si sentiva scemo...

Mentre ascoltava distratto il piano, si chiese se non fosse ora di congedarsi, di smetterla con tutte quelle finzioni, con tutto quel sangue, e iniziare una vita normale.

Una vita normale... sarebbe stata di certo un'esperienza nuova. Fin da piccolo rubava per sopravvivere, nascondendosi negli anfratti bui dei vicoli per sfuggire a chi lo cercava, e quando lo avevano quasi acciuffato si era rifugiato nella Cittadella, visto che nel suo villaggio si erano messi in testa di impiccarlo e lui ci teneva a respirare senza difficoltà.

"Tutto chiaro?"

"Certo. Il solito compitino che svolgerò in modo perfetto."

"Sempre modesto, vero?"

Un vociare schiamazzante interruppe sul nascere il battibecco con Raghel. Si voltarono verso i compagni e Daer emise uno sbuffo esasperato prima di avviarsi a lunghi passi verso l'accampamento.

Bimbo stava di nuovo facendo casino.

I Trenta Mercenari erano tutti radunati a semi cerchio, urlando scommesse e aizzando le due figure davanti a loro. Baber, il nano, stringeva il proprio martello in una mano e una spada nell’altra, con un sorrisino canzonatorio sul volto. Jash, davanti a lui, aveva uno sguardo di fuoco e sembrava intenzionato ad attaccare di nuovo il nano. Di nuovo, perché il livido sulla guancia e il mantello imbrattato di polvere facevano capire che ci aveva già provato e gli era andata male.

"Mi spiegate cosa state facendo?"

Il comandante non aveva urlato per dire quella frase, ma ugualmente le sue parole erano rimbalzate nell'aria facendo voltare tutti i Trenta Mercenari come se fosse scoppiato un tuono. I loro ghigni divertiti si pietrificarono dietro i cappucci.

"Baber, cosa succede?"

Tanto, era sempre colpa del nano.

“Comandante, non voleva farmi vedere la sua spada. Guarda che bella spada, tutta luccicante. A me piacciono le cose luccicanti, lo sanno tutti!”

Gli occhi di Jash ribollivano di odio ma restavano fissi sul nano. Non si muovevano di un millimetro.

“Baber, ridai a Jash la sua spada.”

Il nano lo guardò con aria di sfida.

“Può provare a riprendersela. Sempre che non abbia paura di finire di nuovo col culo per terra.”

Daer produsse uno sguardo che era sicuramente una maledizione verso il nano, anche se Aghel non capiva perché il comandante si stupisse tanto. Sapevano bene che, ogni tanto, Baber si sentiva in vena di sfidare il comandante. Esattamente come i bambini, cercava di capire fino a che punto poteva tirare la corda.

Daer fece uno scatto, talmente rapido che lo stregone faticò a seguirlo con gli occhi. Finse di voler colpire il nano al volto prima di abbassarsi e colpirlo con un calcio alle gambe. Poi si rialzò, gli diede una gomitata per fargli perdere definitivamente l’equilibrio e prese al volo la spada che aveva lasciato cercando di tenersi in piedi.

Bimbo rimase a terra qualche secondo con gli occhi spalancati di sorpresa prima di mettersi a sedere. Si massaggiò un polpaccio, alzò il volto verso Daer e scoppiò a ridere.

“Bel colpo comandante! Con questa mi hai atterrato sette volte e io zero. Ah, prima o poi ci riuscirò.”

Questa volta l'aveva presa bene... a volte metteva il muso per giorni, creando un clima nel gruppo affatto piacevole.

Il comandante porse la lama a Jash ricevendo un borbottio di ringraziamento.

“Però Bimbo ha ragione, hai una spada stupenda. Che ne dici di raccontarci come ne sei entrato in possesso? Tra l’altro – aggiunse in un sussurro in modo che solo Jash potesse sentirlo – Bimbo ama le storie. Credo che se gliela racconti potrebbe dimenticarsi di volere la tua spada.”

Si sedette per terra e tutti lo imitarono. Solo Jash rimase in piedi per qualche secondo, come meditando se accettare. Un robusto guerriero avvolto in un nero mantello che si ergeva immobile tra trenta figure ammantate, che lo fissavano come bimbi in attesa di una ballata. Non avrebbero fatto molta paura in quel momento...

Alla fine si sedette, ponendosi la spada in grembo e guardandola come per cercare le parole giuste.

“L’ha forgiata mio padre... Abitavamo a Illar, una città a ovest delle terre del nord, vicino al mare. Mia madre morì quando ero piccolo, nemmeno ricordo il suo volto. Fui cresciuto da mio padre, il miglior fabbro di tutti i villaggi vicini, e anche oltre.

"Il suo talento non era riconosciuto solo nel nostro villaggio o presso gli uomini del nord. Aveva passato anni tra i fabbri degli elfi e dei nani, uno dei pochi umani a cui sia stato concesso in questi anni di divisione, e anch'essi gli riconoscevano qualità straordinarie.

“L'apice di tutto il suo lavoro fu proprio questa spada. Intesse in sè le arti di più popoli e li mischia in un'opera unica.

"L'elsa la creò ricoprendola con uno spesso strato di polvere dei nani. Una polvere rarissima, difficile da lavorare, ma se si riesce a trattarla ripaga gli sforzi con una particolarità unica; attorno al materiale su cui è applicata crea uno scudo invisibile che protegge chi la maneggia, in questo caso proteggendo le mani fin quasi al polso.

“Per la lama usò il kodgon, un materiale delle terre dei nani molto raro, costoso e difficile da lavorare. Permette di creare lame taglienti e difficili da spezzare. Inoltre la intinse in un preparato, acquistato in modo più o meno legale, che impegnava la lama dello Spasmo Nero, un veleno che porta, nel giro di un’ora, alla morte.

“Ne curò attentamente il filo e i disegni, facendone un'arma di rara bellezza. La maggior parte dei fabbri nani non saprebbe crearne una altrettanto solida, molti fabbri elfici non riuscirebbero a farne una di uguale bellezza.”

Il vento soffiò sui mercenari accampati. Qualche animale alzò il suo verso stridulo verso il Sole che lanciava i suoi ultimi raggi.

“La casata nobiliare della città venne a conoscenza della spada. Il reggente convocò mio padre a corte e gli chiese quanto voleva per vendergliela. Ero presente anch’io e ricordo le cifre offerte, cifre che ci avrebbero sistemato per generazioni. Gli vennero proposti persino titoli nobiliari ma mio padre sembrava sordo. Non si sarebbe mai separato dal suo capolavoro. Il reggente dovette rinunciare e ci congedò. Solo dopo mi ricordai dello scintillio di cupidigia che gli balenò negli occhi. Se l’avessi notato prima...

“Ero in giro per la città con alcuni amici quel giorno. Quando tornai, l’officina era distrutta, ma la prima cosa che catturò la mia attenzione fu la campana di persone che attorniavano una figura a terra. Mi gettai in mezzo alla folla, spintonai urlando e mi buttai sul corpo di mio padre, viscido di sangue. Rivedo ancora i suoi occhi vuoti che guardavano un punto lontano...”

Jash si concentrò sui disegni sulla lama per non far vedere ai compagni gli occhi lucidi.

“Qualcuno mi trascinò via. Mi portarono in una casa, tentarono inutilmente di darmi da mangiare e consolarmi, ma alla fine mi accompagnarono in una camera e mi lasciarono solo.

“Non dormii. La notte avanzava talmente lenta che mi sembrò di passare anni steso su quel letto, incapace di dormire, incapace di piangere, incapace di muovermi. Poi, d’improvviso, come un cazzotto che ti colpisce alla bocca dello stomaco, mi tornò alla mente lo scintillo di cupidigia che avevo visto negli occhi del reggente. Fino a un attimo prima ero incapace di muovermi, l’attimo dopo ero in piedi, vestito, l’immagine che mi ronzava nella testa. Presi sotto i vestiti il lungo coltello che mi aveva regalato mio padre e scappai dalla finestra.

“Il palazzo del reggente era piantonato da guardie assonnate. Ero piccolo, agile, con muscoli guizzanti sviluppati col lavoro nell’officina e l’immagine di quello sguardo cupido impresso a fuoco nella mente. Mi mossi lento, attento a ogni respiro. La maggior parte delle guardie le superai senza farmi vedere. Le poche che mi notarono non fecero in tempo a dare l’allarme, gli tagliai la gola. Non sapevo neanche di saperlo fare.

“Lasciai in vita solo una guardia, più giovane di me, dagli occhi colmi di paura. Gli puntai il coltello alla schiena e mi feci condurre alla stanza del reggente. Fuori c’erano due guardie addormentate che uccisi rapidamente. Poi uccisi anche la mia guida. I suoi occhi a palla che mi fissano mentre perdono luce mi perseguitano ogni notte.

“La stanza del reggente era illuminata dalla luce lunare che penetrava da una finestra con ricchi tendaggi. Dappertutto alleggiava un profumo morbido. In mezzo stava un letto enorme e sotto le sue coperte dormiva il reggente; aveva il volto sereno, come chi ha passato un’abitudinaria giornata a parlare con politici, organizzare guerre e l’assassinio di qualche suddito. Al fianco del letto, splendente anche al confronto della lucida armatura lì vicina e al mobilio pregiato tutt’attorno, stava la spada. La presi con riverenza, stringendo accuratamente l'elsa, e tagliai la testa al reggente.

“Quell’assassinio mi riportò alla realtà. Solo in quel momento mi resi realmente conto di quel che avevo fatto, del fiume di sangue che mi ero lasciato alle spalle. Iniziai a tremare e sentii il cuore emettere alcuni battiti irregolari. Un blocco di ghiaccio dai contorni appuntiti mi si formò nello stomaco, ferendomi i polmoni con stilettate fredde e costringendomi a urlare dal dolore, un urlo che mi penetrò i timpani e mi lasciò senza voce.

“Il palazzo si riempì di luci e voci. Forse avevano sentito il mio urlo, forse avevano trovato uno dei tanti cadaveri. Schiacciai il dolore che mi pervadeva le ossa, zittii la mia mente e fuggii fuori dalla finestra, scalando rapidamente il palazzo e scomparendo nella notte.

“Nei giorni seguenti la città fu messa a soqquadro. Tutti cercavano la spada, tutti cercavano l’assassino. A chi mi avesse trovato veniva promesso anche un titolo nobiliare e un’ampia proprietà vicina alla città. Ma nessuno guardò sul fondo di quel pozzo abbandonato, nella periferia, dove passai tre giorni completamente immobile. Persino quei minuscoli insetti che ci sono dappertutto, i krik, facevano più rumore di me.

“Alla fine del terzo giorno uscii e scappai dalla città. Non sapevo dove andare. Il manifesto di ricerca dell’assassino del reggente era sul portone di entrata di ogni villaggio, un manifesto senza volto ma in cui risplendeva la copia della spada, un’arma unica, facilmente riconoscibile. Chi non mi cercava per la taglia, mi cercava per mettere le mani sulla spada.

“Senza più speranze, senza un solo luogo in cui poter trovare rifugio, chiesi accoglienza nell'unico posto dove mi avrebbero aperto le porte nonostante la taglia sulla mia testa, la Cittadella. Dentro quelle mura in quell’assolato deserto, mi parve di poter finalmente tornare a respirare.

“Decisi di addestrarmi come mercenario per ripagare chi mi aveva accolto, chi mi aveva donato la possibilità di tornare a vivere senza preoccuparmi di guardarmi sempre alle spalle, gli unici che non avrebbero cercato di rubare l’arma di mio padre.”

L’erba allungava deboli ombre create dal Sole morente. Jash alzò gli occhi lucidi sui compagni seduti silenziosi. Il suo sguardo scivolò su di loro prima di puntarsi su Bimbo.

“O almeno, così credevo.”

Le parole del ragazzo ondeggiarono taglienti e il nano finse di essere impegnato ad allacciare una cinghia già ben stretta. Il comandante annuì soddisfatto prima di alzarsi.

“Bene, direi che è tempo di riposare. Questa notte la guardia la monteranno Jash, Postermin e Ghimesh.”

“Tutta la notte?” Chiese Ghimesh alzando sul comandante gli occhi gialli tremanti.

“Tutta la notte. Domani sferreremo il nostro attacco. Per voi è la notte che precede il vostro primo scontro e quindi so già che non dormirete, inutile dare turni di guardia ad altri.”

Senza lasciargli tempo di rispondere, si girò e si avviò verso il suo giaciglio. Una farsa, perché erano giorni che non chiudeva occhio, che si obbligava a non dormire per non ripensare al passato, per non rivivere gli incubi delle battaglie col plotone di Serpente.

Il Sole calava alle sue spalle mentre macinava quei pensieri. Allo stesso modo le prime ombre della sera iniziarono a calare su due figure che avanzavano veloci sul dorso dei loro animali. Si fermarono solamente quando le guardie del palazzo del re Legaworat glielo intimarono.

“Chiediamo udienza al re.”

“Chi siete?”

Una delle due figure alzò gli occhi sulle guardie, due occhi colore giada circondati da capelli castani.

“Io mi chiamo Lya. Siamo gli apprendisti dello Stregone delle Ombre.”

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