14 - Reclutamento

Perché devo sempre raccontare cosa successe? Pensò Raghel mentre, ignorando gli sguardi trepidanti di chi lo circondava, riponeva con lentezza il prezioso osso con cui imprimeva i tatuaggi. Solo Sats sembrava immune a quell'atmosfera trepidante e stava con la schiena appoggiata al masso e il volto rivolto alle poche stelle nel cielo principalmente nuvoloso.

Forza. Prima inizio, prima finisco.

Si lisciò il mento, grattando sui principi di una barba sfatta che tentava di farsi strada tra le cicatrici. Una di esse andava dalla guancia destra fino al capo e penetrava per qualche centimetro nel cuoio capelluto. Attorno i capelli non erano ricresciuti, lasciando uno spazio calvo in cui il taglio si faceva strada come un torrente in un sentiero arido.

"Io so poco di quel che successe veramente. Quando chiediamo a Daer cosa accadde, i suoi occhi si riempiono di tristezza e non risponde. Non vuole ricordare.

"Mi arruolai nella Cittadella che era ancora uno dei tanti Centri di Addestramento dislocati su Ergaf. Ma ricordo bene il giorno in cui cambiò tutto, quando le vedette diedero l'allarme perché erano comparse all'orizzonte delle figure armate che si muovevano lente in mezzo alla sabbia, i mantelli ondeggianti al ritmo dei loro passi. Sembravano fantasmi venuti dall'oltretomba.

"Un drappello fu inviato a fermarli ed essi obbedirono, senza opporre resistenza e chiedendo di poter incontrare la Guardia.

"Pochi minuti dopo apparve Ari. Ho ancora in mente i suoi occhi viola che si piantano severamente su di noi ordinandoci di tornare agli allenamenti."

"Quel che succede fuori dalle mura non deve interessarvi." Aveva urlato. Chi si aspettava che invece mi avrebbe interessato così da vicino?

"Poco dopo, Ari fece dietro-front, scortando tra le mura quelle figure silenziose. Restarono tre giorni, poi scomparvero, senza che nessuno li vedesse lasciare la Cittadella.

"Quella sera, Ari comunicò il cambiamento. La Cittadella non si sarebbe più occupata di formare nuovi mercenari per i plotoni ma da quel giorno ci avrebbe addestrato per forgiare guerrieri adatti ai Trenta Mercenari. Anche i plotoni sarebbero stati sciolti e i loro componenti avrebbero iniziato ad allenarsi con noi reclute, mentre i loro comandanti sarebbero diventati graduati della Cittadella. Gli allenamenti si sarebbero intensificati, i ritmi sarebbero diventati più severi e la selezione più dura."

Quanti si congedarono a causa dei nuovi ritmi... Ma io non ero così facile da scalfire.

"I mesi passarono lenti e i Trenta Mercenari non si facevano vedere. Iniziava persino a girare la voce che non sarebbero mai tornati. Finché una mattina, in cui ero di vedetta, un ragazzo vicino a me vide una figura all'orizzonte e diede l'allarme. Io invece rimasi fermo, sulle mura, a fissare quel mantello nero che svolazzava nel vento sabbioso del Grande Deserto.

"Poco dopo un drappello, fra cui lo stesso Ari, si avviò rapido verso la figura e la scortò all'interno delle mura. Camminava fiero in mezzo alla scorta, la testa coperta dal cappuccio, un'ascia lucente fissata alla schiena, l'ascia senza nome di Daer.

"Quella sera la cena fu maestosa. Al termine Ari ci comunicò che il giorno seguente sarebbero stati scelti ventinove guerrieri e uno stregone. Si sarebbero uniti a Daer per formare il nuovo gruppo dei Trenta Mercenari.

"Inutile dire quale putiferio si scatenò. Tutti volevano saperne di più, capire cosa fosse successo, ma il comandante era già uscito dalla mensa. Aveva tentato di scomparire di nascosto ma io ne avevo seguito i passi lenti e avevo desiderato ardentemente essere fra i scelti che lo avrebbero seguito."

Già lì, in quel momento, avevo capito che quella era l'unica persona che avrei potuto seguire, l'unica per cui avrei messo a servizio la mia lama.

"Iniziarono a girare tante voci ma non so quale fosse vera. La più insistente era che i Trenta Mercenari avevano affrontato uno scontro spaventoso, che avevano vinto ma da cui solo Daer era sopravvissuto. Tutti gli altri, tutti quei mitici guerrieri, erano morti.

"Il mattino seguente ero schierato nel piazzale assieme a tutti i miei compagni. Ari e Daer apparvero assieme e, mentre Daer ci squadrava, Ari aprì un rotolo ed elencò i trenta scelti, tra cui io. Ero l'unico a non provenire da uno dei plotoni sciolti della Cittadella.

"Partimmo quella sera stessa. La prima sera il comandante ci raccontò come erano nati i Trenta Mercenari, ci consegnò i mantelli, impresse il tatuaggio che ci contraddistingue e diede alcuni consigli per affrontare la battaglia. E poi..."

Il pensiero della prima battaglia fece salire un groppo nella gola di Raghel. Tossì, cercando di mascherarlo, poi deglutì rumorosamente e proseguì.

"... E poi incontrammo l'esercito nemico. Tremai, erano almeno tre per ognuno di noi. Il colorito dei compagni, già avvezzi alla battaglia, non dava fiducia.

"Davanti a tutti stava Daer, l'arma in pugno. Guardò i nemici, poi parlò. Disse esattamente le parole che servivano. Infuse coraggio nei nostri cuori, le sue parole e il suo sguardo sicuro fermarono il tremore delle gambe. Tramutò i battiti impauriti del cuore in tamburi che trasmettevano energie e adrenalina. Infine si gettò in battaglia, davanti a tutti, un eroe epico che si getta nella mischia senza timore."

Il vento ululò smuovendo alcuni granelli e facendo ondeggiare il fuoco. Il suo alito freddo accarezzò i Trenta Mercenari, portando un odore di sabbia bruciata, prima di superarli e perdersi nell'infinita notte del deserto.

"Mi gettai dietro al comandante, mulinando e colpendo. Sentivo ogni battito del cuore come una martellata nelle tempie, il tempo mi sembrava rallentato. Qualcosa di freddo mi penetrò la gamba facendomi cadere. Un altro colpo giunse al braccio. Poi non ricordo molto. Qualche altra ferita, un compagno che arriva a darmi manforte, i corpi che si accumulano, alcuni che nel cadere mi travolgono, poi buio.

"Mi svegliai ore dopo. Mi dissero che Daer mi aveva tirato fuori da un cumulo di morti e me l'ero cavata bene, alcuni tagli profondi ma non gravi."

Avevamo vinto, ma io ero stato sconfitto. La mia prima sconfitta, e mi sono promesso che sarebbe stata anche l'ultima.

"Altri erano messi peggio. Molti erano morti, fra cui l'unico stregone, motivo per cui non si potevano curare adeguatamente i feriti. Dei trenta partiti tornammo in quattordici, fra cui sette che non poterono ripartire a causa delle ferite. Eppure avevamo vinto.

"Prendemmo altri mercenari e ripartimmo. A ogni battaglia c'era chi moriva, chi veniva ferito e non poteva ripartire, e ogni tanto chi si congedava. Però ogni scontro forgiava noi veterani, forgiava chi fino a quel momento era sopravvissuto. Pian piano apprendemmo i trucchi per non soccombere. Ma nonostante questo c'era sempre qualche veterano che perdeva la vita.

"Alla fine, dei primi arruolati rimasi soltanto io."

Raghel si concentrò a guardare il piccolo falò per non far vedere il riflesso dei molti compagni persi in battaglia nei suoi occhi.

"Ho trent'anni e conosco più morti che vivi."

Quella frase voleva solo pensarla e invece l'aveva detta ad alta voce. Se ne pentì immediatamente, attorno a lui si creò un silenzio colmo di compassione e lui odiava quando gli altri attorno provavano pietà verso si lui. Per riuscire a non farci caso, allungò il braccio, stritolò il polso di Ghimesh e lo scaraventò con violenza dinnanzi a sé.

"Tocca a te!"

Tremando, Ghimesh gli porse il polso. A ogni allievo che nella Cittadella veniva promosso a mercenario veniva disegnato sul polso un serpente, la cui bocca minacciosamente aperta occupava l'intero palmo e la cui coda si allungava brevemente verso il gomito, attorcigliandosi su sé stessa e tornando con la punta a sfiorare il punto in cui la coda aveva inizio, formando quasi un cerchio. Era il simbolo con cui si entrava simbolicamente nel plotone di Serpente, scomparso nella battaglia della Grotta Insanguinata ma ancora vivo tra le mura della Cittadella. Ma l'esseride non aveva fatto l'addestramento nella Cittadella e quindi, al contrario dei due compagni, non aveva il serpente già tatuato sul polso.

Raghel sbuffò infastidito e tatuò malvolentieri anche il serpente, litigando con le squame che si susseguivano irregolari per tentare di dare una continuità al disegno. Una volta terminato apportò le stesse modifiche fatte a Postermin e Jash, modifiche che simboleggiavano l'appartenenza ai Trenta Mercenari. In mezzo al cerchio formato dalla coda venivano aggiunte due piccole ali e tra le fauci della bocca aperta veniva disegnato un rettangolo nero, simbolo dello Stregone delle Ombre che aveva donato ai Trenta Mercenari i mantelli e le formule con cui ricoprirli.

"Finito. Scompari dalla mia vista."

L'esseride si alzò e si allontanò rapido. Tremava talmente tanto che il suo corpo scaglioso sembrava attorcigliarsi su sé stesso. Raghel sospirò e ripose gli strumenti nella piccola scatola prima di infilarla sotto al mantello. Poi i suoi occhi grigi si misero a fissare le fiamme e nessuno osò più chiedergli nulla.

Il lungo silenzio fu interrotto da un altro guerriero che si mosse e si mise al centro della luce del focolare, facendo sussultare Ghimesh. Era il guerriero più anonimo fra tutti quelli che stavano attorno a lui; muscoloso come tutti, altezza nella media, carnagione né troppo pallida né troppo scura. Se non si fosse fatto avanti da solo, avrebbe potuto vederlo per giorni senza notarlo mai.

"Un'ultima cosa."

La sua voce era atona, talmente piatta da renderla istintivamente antipatica. Ghimesh pensò che quel guerriero avesse qualcosa di sbagliato, qualcosa che gli faceva prudere le scaglie.

"Daer è il nostro comandante, l'unico fra noi ad avere combattuto la battaglia della Grotta Insanguinata. Dai suoi ordini dipende la nostra vita e la sopravvivenza dei Trenta Mercenari. Lui è il nostro simbolo, ancora più dello stemma che portiamo in battaglia, ancora più del tatuaggio sul polso. È il nostro stemma vivente. Quindi ricordatevi sempre di obbedire a ogni ordine che dà in battaglia e di mettere in gioco la vostra vita per lui. I Trenta Mercenari sono esseri liberi, nessuno ci può comandare alcunché, ma nella battaglia deleghiamo la nostra libertà a lui perché così agiamo tutti come un'unica mente, come un unico corpo."

Girò lo sguardo, fissando uno a uno i nuovi arrivati con i suoi piccoli occhi neri.

"Sono stato chiaro?"

Quel mercenario irritava talmente tanto Ghimesh che, nonostante la sua timidezza, gli veniva l'istinto di rispondergli a tono. Eppure si trattenne, un soldato che si esprimeva così doveva avere un qualche ruolo. Si limitò a chiedere sottovoce ad Aghel, seduto a poca distanza, chi fosse quel mercenario.

"Quello è Wors. - Sussurrò lo stregone - Se Raghel è il braccio destro di Daer, Wors è il braccio sinistro."

Ghimesh annuì e si morse la lingua.

Daer si incamminò nella sterminata notte del deserto, lasciando i compagni liberi di parlare e permettendo a Raghel di raccontare del suo arruolamento.

Come ogni sera di iniziazione.

Diede un calcio alla sabbia, domandandosi se avrebbe mai potuto raccontare loro la verità. E guardando i granellini calciati, che si erano alzati per tornare poi a essere chicchi invisibili in quell'uniforme tappeto, si sorprese stanco. Di quella vita, delle bugie, di nascondersi dietro a un mantello.

Si fermò a fissare la notte che si spalmava tra le dune e davanti a essa si sentì immensamente piccolo, nonostante fosse uno dei guerrieri più famosi e conosciuti dei due mondi.

Non era che un granello di sabbia.

Un vento freddo si alzò, accarezzandogli il volto libero dal cappuccio. Erano poche le occasioni in cui poteva calarselo e sentire direttamente sul volto il soffio del vento. Prese una lunga boccata d'aria, inspirando liberamente l'odore della notte del deserto, un odore fumoso che gli ricordava le notti sulle colline di Ergaf a pascolare i rolcopa.

Una delle nuvole che quella notte coprivano il cielo si scostò, lasciando trasparire una lama di luce della luna, quasi piena dietro la copertura delle nubi. Una lama lucente come la sua ascia.

Quasi senza pensarci allungò una mano al fianco e passò un dito sulla lama fredda dell'arma. Quando ne sfiorò il filo si fece un piccolo taglio ma la sua mente ignorò il bruciore, già persa nei dolorosi ricordi dei tempi con Reyk.

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