13 - Regole
Ergaf
Grande Deserto
Oggi
"Questo massacro, questa orribile sconfitta che vi ho narrato, è la vera storia della battaglia della Grotta Insanguinata."
Un brivido attraversò le scaglie di Ghimesh. Non era per il freddo della notte del Grande Deserto ma per quella frase del comandante. È vero, non aveva ascoltato granché, lui era solamente un mostro che si trovava lì per essere controllato e non gli interessava molto sapere dove erano nati i Trenta Mercenari.
Eppure quell'ultima frase, pronunciata da Daer al termine del racconto della cocente sconfitta subita nella Battaglia della Grotta Insanguinata, era stata pronunciata con un tono talmente colmo di tristezza, di gelo, di disperazione, che Ghimesh aveva sentito le scaglie attraversate da un brivido, quasi un moto di compassione.
"Noi pochi sopravvissuti ci rifugiammo nel Barët Flaam dove fummo trovati, accolti e curati dallo Stregone delle Ombre e dai suoi apprendisti. Fu solo grazie a lui che riuscimmo a salvarci e a curare le nostre ferite.
Ecco, ripartiva il racconto. Ghimesh tornò a guardare la notte del deserto, a sentire il vento freddo sulla pelle e l'odore fumoso del fuoco. Non gli interessava ascoltare, sperava solo di seguirli e morire in qualche stupida battaglia. Certo, aveva paura, una paura folle, ma aveva ancora più paura di dover continuare a convivere con quel mostro.
In sottofondo sentì il comandante dire come, i sopravvissuti, avevano scelto di formare una squadra di soli trentun mercenari, spargendo in ogni dove racconti mitici e assolutamente inventati della loro invincibilità, della loro forza, della loro sete di sangue. Insomma, avevano creato una montagna di bugie. La paura che creavano quelle menzogne, assieme all'assoluta impreparazione degli eserciti nemici e alla scelta di accettare ingaggi solo per scontri fattibili, permetteva ai Trenta Mercenari di vincere anche eserciti tre volte superiori in numero.
Ghimesh guardò Daer stuzzicare il fuoco con un bastoncino. Come stimolate da quel tocco le fiamme si alzarono violente per un attimo, illuminando le sue mani nodose e facendo luccicare d'argento una cicatrice ondulata che gli attraversava la guancia fino a sfiorare l'occhio destro.
"Le storie si diffusero rapide, più di quanto avessimo mai sperato. Oramai tutti conoscono i Trenta Mercenari, anche se siamo nati da poco più di sei anni.
"Per permettere che tutto questo teatrino regga, anche voi dovete seguire alcune regole, indispensabili per permetterci di continuare a vincere ogni battaglia."
Aveva fissato gli occhi scuri proprio su di lui. Era probabile che l'addestramento nella Cittadella insegnasse già qualche regola, mentre lui, che non era uno di loro, doveva impararle.
Ascoltò con attenzione. Ora che aveva la possibilità di stare in mezzo a soldati in grado di contenere la sua bestia, non intendeva farsi cacciare solo perché non aveva ascoltato qualche strana regola. Immagazzinò attentamente le parole di Daer, ripetendosi mentalmente quegli strani obblighi: non calare mai il cappuccio, nessuno può vedere i Trenta Mercenari in volto.
Riuscire a essere così vicini a uno dei Trenta Mercenari da poterlo vedere negli occhi era un sicuro segno di morte, questo dicevano le voci, quindi se qualcuno riusciva a fissarti negli occhi sotto il cappuccio, andava ucciso immediatamente.
I Trenta Mercenari non possono essere uccisi, ma visto che c'è sempre qualcuno che cade in battaglia, iniziato lo scontro non si lasciano sopravvissuti. Se nessuno sopravvive, nessuno può averci visto morire.
Ghimesh annuì, sperando di essere uno di quelli che muore nella prima battaglia.
Dolore, sangue... e poi basta, più nessuna bestia che ti abita divorandoti da dentro.
"Queste sono le prime basi che dovete sapere. Altri particolari li scoprirete col tempo. Se riusciamo a uscire dagli scontri sempre vittoriosi, se nessuno può dire di avere visto il nostro volto, i nostri occhi o di averci visto morire, tutti crederanno alle leggende sul nostro conto. E più crederanno che siamo invincibili, più avversari combatteranno sentendosi già sconfitti e il nostro compito sarà facilitato."
Il silenzio avvolse quelle parole mentre le poche stelle che riuscivano ad affacciarsi in mezzo alle nuvole osservavano indifferenti il gruppetto.
"Sembra difficile." Commentò sottovoce il novizio Jash. Il comandante lo udì ugualmente e lo guardò serio.
"Hai paura?"
Jash allungò le labbra sottili in un sorriso astuto. Forse si era aspettato quella domanda.
"Non mi è permesso avere paura, è una delle regole dei Trenta Mercenari che Ari ci insegna personalmente nella Cittadella. I Trenta Mercenari non provano paura!"
"I Trenta Mercenari non temono la morte." Proseguì meccanicamente Postermin, con un borbottio scuro appena udibile.
Daer fissò lo sguardo su di lui, come aspettandosi che dicesse qualcosa. Ma cosa doveva dire? Non era uno di loro, non conosceva le regole dei mercenari.
Il comandante parve rendersene improvvisamente conto e urlò lui la terza regola dei Trenta Mercenari:
"Chi diventa un mercenario lo resta per sempre!"
"Vincere, sempre!" Urlarono gli altri, terminando le tre regole con il loro grido di battaglia.
"Queste sono le tre regole dei Trenta Mercenari. - Disse il comandante alzandosi - Queste sono le vostre regole, perché ora ne siete parte. Adesso Raghel vi imprimerà il nostro tatuaggio. Mostrandolo, sarete riconosciuti come nostri appartenenti, anche dopo un eventuale congedo. Io farò una camminata, devo sgombrare la mente da antichi e dolorosi ricordi."
Si voltò e Ghimesh lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava.
Il comandante dei Trenta Mercenari... il guerriero più forte che pestasse il suolo dei due mondi. Ma più lo conosceva, più lo udiva parlare, più gli pareva che quel guerriero muscoloso fosse semplicemente un contenitore fragile circondato da cose più grandi di lui.
Anche ora, mentre lo guardava mescolarsi alle ombre della notte, riusciva a pensare solamente che quella figura gli pareva tristemente sola. Eppure bastava guardarlo per un attimo per essere travolti dal magnetismo di quegli occhi marroni e dal peso che parevano portare con sé.
"Inizi te ragazzino. - Sibilò una voce dura come la pietra a pochi metri da Ghimesh. Egli si girò e vide un mercenario con muscoli grandi quanto un tronco d'albero agguantare il polso di Postermin e farlo sedere a forza dinnanzi a sé - Io sono Raghel, il mercenario incaricato di tatuare i nuovi arrivati. Non muoverti, ho bisogno di gente che non si agiti troppo quando lavoro!"
Dal mantello trasse fuori un sacchetto in pelle. Lo pose ai suoi piedi, lo aprì e prese un osso dalla punta affilata. Lo intinse in una sostanza nera racchiusa in una boccetta e con la mano libera stritolò il polso del ragazzo, facendo palpitare gli enormi muscoli. Postermin si lasciò sfuggire un gridolino quando la punta affilata dell'osso gli bruciò la pelle.
"Senti come cinguetta il ragazzino! Dopo se vuoi facciamo un po' di allenamento insieme, così ti faccio qualche taglio serio e ti insegno cos'è il vero dolore."
"Non me l'aspettavo!" Rispose con rabbia ma senza togliere gli occhi dall'osso che gli marchiava la pelle. Ghimesh invece fissò il mercenario che aveva parlato. Aveva una cascata di trecce nere che gli ricadevano sulle spalle e una statura bassa e tozza. Erano particolari tipici dei nani, assieme alla pelle color grigio e alle enormi palle nere degli occhi, in cui era difficile distinguere pupilla e iride.
"Non ascoltatelo, Baber, o Bimbo come lo chiamiamo tutti, non va preso sul serio."
A quelle parole, un soldato entrò nell'arco luminoso del fuoco. Aveva un volto dai lineamenti dolci. I capelli biondi gli ricadevano sugli occhi e un sorriso gentile metteva in risalto le gote rosse, brillanti sulla candida pelle. Era un volto quasi infantile se non fosse stato per gli occhi: di un azzurro luminoso, visibile anche alla debole luce delle fiamme tanto era vivace il loro colore, erano colmi di una freddezza congelante. Nemmeno le fiammelle che li illuminavano sembravano poter sciogliere il ghiaccio di cui erano colmi.
Solo in un secondo momento Postermin fece caso al corpo, tanto smilzo e sottile da far ricadere il mantello largo sulle spalle, particolare che risaltava in mezzo a quei guerrieri tutti muscoli. Le braccia avevano spesse vene bluastre su cui risaltava un unico, nero tatuaggio.
"Io sono Aghel, stregone dei Trenta Mercenari."
Postermin si toccò la fronte con la mano libera, segno di saluto nelle terre del sud. Ghimesh si limitò a fissarlo e Jash non lo guardò neppure.
"Lui è quello che vi salverà la pelle quando una lama vi passerà da parte a parte!" Urlò il nano spalancando ancora più le orbite e fissando su Ghimesh un sorriso colmo di denti marci che metteva in risalto la lunga cicatrice argentea che attraversava la parte destra del volto, dal lato della bocca al mozzicone dell'orecchio. Dal collo si allungava un tatuaggio indecifrabile che scompariva nascondendosi oltre la schiena. La breve parte di braccia scoperte era un dedalo di piccoli e grandi tagli.
"Baber, smettila di spaventarli..."
"...con il tuo comportamento da Nano Folle."
"Non dovete osare chiamarmi Nano Folle!" Urlò Baber, staccando il martello che teneva assicurato sulla schiena, sopra il mantello, e gettandosi verso due giovani soldati. Essi scoppiarono a ridere e iniziarono a schivare i violenti colpi, saettando da un punto all'altro. Avevano un'agilità impensabile, a prima vista, per quei due corpi muscolosi e robusti. Sembravano quasi volare mentre eseguivano scatti impossibili con una facilità disarmante. Baber ansimava non poco a cercare di colpirli.
"Il più alto è Manu, l'altro è Layo. - disse Raghel interrompendo il lavoro su Postermin per guardare quella strana danza che i due corpi creavano tra le fiamme del focolare e l'ombra della notte - Più uniti di un albero al terreno. Li dovemmo arruolare insieme o si sarebbero rifiutati di venire con noi dalla Cittadella. Anche se è stato un ottimo acquisto, non ho mai visto due guerrieri combattere in maniera tanto armonica. E ora finitela o farò un lavoraccio e vi squarterò tutti e tre!"
Il nano mulinò ancora un colpo col martello prima di sbuffare e riagganciarlo alla schiena. I due giovani gli fecero alcune linguacce sbeffeggianti prima di tornare attorno al fuoco.
"Tu sei a posto. - Disse disegnando gli ultimi tratti del tatuaggio - Jash, muovi il culo."
Postermin lasciò il posto al compagno e si sedette al fianco di Ghimesh.
"Sono due stupidi ragazzini, - Bofonchiò Raghel iniziando a lavorare sul polso di Jash, il cui volto si strinse in una smorfia quando l'osso gli incise la pelle - però sono gli unici che non ho visto tremare di paura alla loro prima battaglia. È una cosa che nemmeno io posso vantare. Forse Daer."
"Chi di voi è con lui fin dalla battaglia della Grotta Insanguinata?"
Alla domanda di Postermin il silenzio calò mentre un gelido colpo di vento si alzava facendo tremare le fiamme. Manu e Layo si guardarono l'un l'altro. Il viso ovale del primo, circondato da una sottile barbetta, fissava quello asciutto di Layo, mentre un sorriso derisorio li attraversava entrambi. Nell'alzarsi del vento i loro capelli lunghi, sporchi di sabbia, ondeggiarono nel buio della notte.
"Nessuno di noi..."
"... Ha partecipato alla battaglia della Grotta Insanguinata."
Le parole dei due rimbombarono come se fossero state urlate.
"Nessuno?" Chiese Jash con un filo di voce.
"Nessuno. Raghel è quello qui da più tempo e non ha partecipato a quella battaglia. Tutti gli altri sono arrivati dopo."
La voce cavernosa veniva da un guerriero seduto a terra con la schiena appoggiata a un grande masso. Era avvolto dal buio e i tre nuovi lo guardarono distrattamente, colpiti da quella voce così profonda e sconvolti dalle sue parole. Ma proprio mentre stavano per tornare a guardare Raghel, aspettando una risposta a quella rivelazione che li stava sconcertando, le fiamme si agitarono sferzate da un alito di vento e illuminarono il volto del mercenario appoggiato al masso, un volto formato da grandi placche grigiastre intervallate da sottilissimi intagli, simili ai solchi di un fiume secco su un terreno desertico. Aveva due buchi tondi e neri dove avrebbero dovuto essere gli occhi e all'altezza del naso c'erano solo due piccoli fori, così come dove avrebbero dovuto esserci le orecchie. La bocca era semplicemente un intaglio sottile e senza denti. Le mani e la parte nude della braccia erano anch'esse un susseguirsi di ampie placche.
"Non fissate con quello sguardo ebete Sats. - sbottò Raghel, rubando una smorfia di dolore a Jash imprimendo un po' troppo a fondo la punta dell'osso - È un roccioso, quelle placche sono quella che per voi sarebbe la pelle.
"Non penso ne abbiate mai visto uno, visto che raramente escono dalle loro terre e che agli stranieri è vietato l'ingresso nel loro paese. Lui è l'unico che io abbia mai incontrato ed è una fortuna averlo nella nostra squadra, quelle placche sono difficili da scalfire."
Jash distolse subito lo sguardo. Fu Postermin a riprendere il discorso interrotto.
"Quindi Raghel, tutti i guerrieri che hanno dato vita ai Trenta Mercenari..."
"...sono morti." Concluse Ghimesh in un soffio.
"E suo fratello? Daer aveva un gemello." Jash era scandalizzato. Una rivelazione simile non era trapelata nemmeno tra le mura della Cittadella. In risposta, Manu e Layo ridacchiarono prima di fare un ampio gesto delle braccia.
"Vedi qualcuno che possa essere..."
"...Il gemello di Daer?"
Jash si guardò attorno, come per cercare davvero un viso che somigliasse al comandante. Ma vide solo ghigni divertiti su volti troppo differenti.
"Cos'è successo a tutti gli altri?" Chiese Postermin.
I veterani si volsero a guardare Raghel. Egli sospirò, fece gli ultimi intagli al polso di Jash, costringendolo a numerose smorfie di dolore, e lo congedò con un gesto scocciato.
"Va bene, prima di lavorare su Ghimesh vi racconterò per l'ennesima volta il poco che so."
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