Plot Twist: Seokjin è schifosamente ricco.




A Seokjin venne in mente un gioco che faceva con la sorella da bambino: si davano il via, aprivano gli occhi e si fissavano intensamente; il primo che abbassava le palpebre perdeva. In quel preciso istante, seduto ad una tavola calda, con lo sguardo incatenato in quello dell'uomo di mezza età che sedeva di fronte a lui, gli sembrò di rivivere quel gioco e, per un istante, fu sul punto di mettersi a ridere, ma riuscì a trattenersi. (Non sarebbe stato carino e, anche se non sapeva perché, sembrava tenerci a far buona figura).

Antonio Vitali non aveva ancora detto nulla, non aveva aperto bocca, non aveva fiatato, semplicemente fissava da almeno un minuto Seokjin, con lo sguardo accusatorio e pretenzioso di un padre protettivo davanti ad un probabile fidanzato. Seokjin era rimasto anch'esso in silenzio, aveva intercettato quello sguardo e non aveva distolto il proprio, sicuro di sé: braccia incrociate al petto, mento sollevato, gambe accavallate e respiro profondo, regolare. Namjoon, invece, continuava a muoversi sulla sedia, in completo disagio, borbottando frasi sconnesse sull'incontro che si sarebbe tenuto da lì a poche ore, su quanto buono fosse il cibo della tavola calda di Zia Nilde o sul bel tempo che c'era quel giorno. (In realtà sull'insegna della tavola calda c'era scritto "Da Pina", ma Pina era morta da almeno vent'anni, e sua nipote aveva semplicemente tenuto il nome, dato che era stata lei ad aprirlo in giovinezza, dopo il trasferimento negli Stati Uniti).

Ad un certo punto, forse dopo un lungo periodo di riflessione, Tony Vitali fece un profondo respiro e disse: «Penso di non aver inteso il tuo nome».

Seokjin abbozzò un sorriso appena accennato: «Perché non l'ho detto». Namjoon si schiaffò una mano sulla fronte, le narici di Tony si allargarono a quella risposta, Seokjin si trattenne dal sollevare il petto con fare superiore – gli veniva proprio spontaneo, ma non era quello il luogo opportuno. «Mi chiamo Kim Seokjin».

Il padre di Namjoon tamburellò sul tavolo con le dita, distogliendo finalmente lo sguardo dagli occhi del diciassettenne e osservando i suoi vestiti: «E cosa faresti nella vita?»

«Studio».

«Studi.» ripeté l'uomo non molto sicuro che fosse la verità. Antonio Vitali portò lo sguardo sul figlio, seduto a fianco a Seokjin e visibilmente a disagio: «Perché il tuo amico è vestito come un teppista?»

Seokjin intonò una risatina a bocca chiusa, sussurrando un debole: «Me lo sto chiedendo anche io.» mentre Namjoon si stropicciò il volto e, con le guance leggermente rossicce, trovò il coraggio di guardare il padre dritto negli occhi: «Papà, sono vestiti miei, glieli ho prestati per farlo venire con noi all'incontro».

Antonio boccheggiò in imbarazzo, poi si mise ancor più sulla difensiva – forse proprio per la pessima figura fatta – e indicò il diciassettenne senza però degnarlo di uno sguardo, continuando a osservare il figlio: «E i suoi genitori sono persone per bene?»

Namjoon riuscì a mala pena a prendere aria, intenzionato a rispondere con frasi di circostanza per non dover spiegare chi fosse davvero, ma Seokjin gli parlò sopra: «I miei genitori sono persone per bene». I due Vitali spostarono lo sguardo sul diciassettenne ma gli occhi di quest'ultimo erano tutti diretti verso il più anziano. «Mio padre è Kim Namgoo, fondatore e amministratore delegato della K.N.T. ovvero la holding del gruppo Unnaroup».

Solitamente quella breve descrizione bastava a far sbigottire i suoi interlocutori, ma per la prima volta in vita sua qualcosa sembrò andar storto: Antonio Vitali boccheggiò senza fiato, crucciando la fronte, e visibilmente a disagio si rivolse al figlio, chiedendo: «Che ha detto?»

Namjoon si poggiò con i gomiti al tavolo allungandosi con il busto verso il padre: «Hai presente tipo le patatine alla pizza che prendiamo?». Tony annuì. «Dietro, in basso, sta quel simbolo della lettera U rossa fatta tipo con mini hamburger stilizzati, presente?». Tony ci pensò qualche secondo, poi annuì di nuovo. «Eh, quella roba lì è tipo il marchio di questa azienda gigante che c'ha dentro un sacco di altre aziende ed è ricca, insomma». Tony rimase a fissare il figlio, ancora confuso. «E, tipo, suo padre è il proprietario».

«Delle patatine alla pizza?»

«No, di un sacco di roba, anche delle patatine alla pizza».

Seokjin rimase a guardarli con un sopracciglio sollevato, non capendo cosa non fosse chiaro della sua spiegazione, ma quando Antonio tornò a guardarlo provò a mostrare un'espressione educata e rilassata. «Quindi», ripeté lentamente l'uomo fissando il diciassettenne, «tu e la tua famiglia siete come quei milionari che vivono sulle colline?»

«Beh, in teoria miliardari è più esatto, ma ho capito cosa intende, signor Vitali».

Antonio fece un grosso sorriso amorevole: «Puoi chiamarmi anche papà se preferisci».

Namjoon si schiaffò nuovamente la mano alla fronte, sospirando, Seokjin arricciò le labbra e piegò la testa di lato, commentando un debole: «Plot twist interessante.» per poi ricambiare il sorriso «Va bene, papà».

A Namjoon quasi andò di traverso la saliva a sentirlo chiamare in quel modo, ma provò a dissimulare il suo imbarazzo, interrompendo la conversazione: «Ma se ordinassimo da mangiare?»

Così come la tensione a quel tavolo era arrivata con lo sguardo fisso di Antonio così se n'era andata con la sua risata: il padre di Namjoon riusciva a catalizzare l'attenzione e a dirottare la conversazione come meglio credeva, e non lo faceva intenzionalmente, gli veniva naturale, come se il suo umore si espandesse al resto dei partecipanti – che, in quel momento, erano Namjoon e Seokjin. L'uomo chiamò Annie, la cameriera che sia lui che il figlio conoscevano bene, ordinò il loro pranzo – consigliando a Seokjin gli spaghetti con le polpette –, e presentò il diciassettenne come "il fidanzato di suo figlio". I due giovani evitarono di chiarire che le cose non stessero esattamente così. (Anche perché come stessero esattamente non lo sapevano nemmeno loro). Mentre aspettavano le loro ordinazioni tornarono a chiacchierare e Antonio decise di spiegare a Seokjin cosa avrebbe visto quella sera: gli introdusse le basi teoriche della boxe, gli raccontò qualche iconico incontro di Peppermint e spiegò come mai l'evento che si sarebbe svolto quella sera era così importante. Il diciassettenne ascoltava con le labbra leggermente aperte e con attenzione, annuiva, faceva domande quando qualcosa non era chiaro e rideva insieme agli altri due a qualche simpatico aneddoto, e il tutto lo faceva con le dita di Namjoon appoggiate qualche centimetro sotto il suo collo, intento a grattargli la schiena in modo leggero, come se gli stesse semplicemente ricordando che fosse lì, al suo fianco.

Quando arrivò il loro pranzo, però, l'argomento tornò velocemente a Seokjin. (Per nessun motivo apparente, semplicemente Antonio chiese qualcosa di più su di lui, sulla sua famiglia, chiese se avesse fratelli e altre domande di circostanza). Il diciassettenne rispondeva senza farsi problemi, portandosi gli spaghetti alla bocca quando non doveva parlare – non che avesse fame, erano le quattro di pomeriggio ed era il suo secondo pranzo – e ricambiando le domande quando sembrava opportuno. In tutto ciò Namjoon mangiava la sua pasta Alfredo e continuava ad accarezzargli la schiena, senza intromettersi nella conversazione. (Un po' perché era piacevole sentirli parlare, un po' perché non riusciva nemmeno, data la parlantina degli altri due. Namjoon aveva preso da sua mamma, che non era mai stata una donna tanto loquace, questo era certo).

«E la tua idea per il futuro è aiutare tuo padre e poi prendere le redini della società di famiglia?» chiese Antonio sinceramente curioso – anche troppo. Seokjin annuì senza rispondere a parole, masticando a bocca chiusa una polpetta di carne. «Anche il mio Namjoon vuole fare la stessa cosa, vero campione?»

«L'idea è quella, sì.» ammise il ventenne sollevando le spalle.

Seokjin si volse verso Namjoon sorpreso, ma non commentò. Si rese conto di non sapere praticamente nulla di Namjoon: non sapeva nulla della sua famiglia, di cosa gli piacesse fare, dei suoi hobby, dei suoi sogni, dei suo desideri per il futuro; Namjoon era, per lui, un libro mai aperto: aveva dato un'occhiata all'introduzione senza continuare mai la lettura. Non si sentì triste né in colpa, alla fine non lo conosceva da così tanto e, comunque, non era il tipo da cominciare a frequentarsi con qualcuno e chiedere dei sogni nel cassetto al primo appuntamento, ma si sentì comunque confuso, leggermente agitato. Si chiese, per qualche istante di silenzio in cui teneva gli occhi fissi sul ragazzo al suo fianco, perché fosse lì, in quel momento, con un tipo che conosceva a stento.

«Beh Jin.» lo richiamò Antonio, facendolo tornare con lo sguardo scuro sull'uomo seduto davanti a sé, ormai con un piatto vuoto davanti «E oltre alle patatine alla pizza che altre cose avete?»

Namjoon borbottò di lasciarlo in pace, ma Seokjin rispose comunque, capendo che fosse semplice curiosità: «Marchi famosi che potreste aver visto in giro...» alzò lo sguardo al soffitto, pensando alla lunga – lunghissima – lista di nomi. (Ci mise un po', i primi nomi che gli vennero furono quelli che fatturavano di più, ma erano tutti di industrie di microcomponenti elettrici per automobili e cellulari, nomi di aziende che sicuramente non avevano mai sentito in vita loro). «Beh, il caffè solubile Kope, il marchio di magliette Maka, un app che non ricordo come si chiama per la gestione multipla degli account di posta...» parlava lentamente, provando a ricordarsi i marchi più "popolari", mentre Antonio annuiva ad ogni cosa elencata e Namjoon ridacchiava sotto i baffi perché sicuro che, in realtà, suo padre non ne conoscesse neanche uno. «Ah!» esclamò Seokjin facendo un grosso sorriso «Abbiamo un'azienda che fa integratori e cibo per allenarsi, la Mahelo!»

Namjoon e Antonio scattarono sull'attenti, sollevandosi dai propri piatti con la schiena ben dritta e, l'istante successivo, fecero finta di sputare a terra, con tanto di effetto sonoro. (Seokjin arricciò il naso leggermente disgustato).

«Bastardi!» intonò Antonio con disprezzo.

Seokjin li guardò entrambi confuso: «Ehm. Come mai questa reazione?» chiese, aggiungendo una risatina a fine frase per smorzare l'imbarazzo.

Non fu nessuno dei due Vitali, però, a rispondere, ma una terza voce, alle sue spalle, una voce che non conosceva: «È lo sponsor ufficiale della palestra Jima». Seokjin non fece neppure in tempo a girarsi perché Yoongi – Seokjin capì immediatamente fosse lui, appena notati i capelli verdi – li raggiunse, girò intorno al tavolo e, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Namjoon e ad Antonio, si sedette all'unico posto libero. «Che poi sarebbe la palestra dei favoriti». A Seokjin vennero un mucchio di domande in mente, ma non riuscì a farne nessuna, perché la mano di Yoongi venne sollevata sul tavolo e rivolta verso di lui. «Piacere, io sono Yoongi».

Il diciassettenne si affrettò a stringergliela per presentarsi anch'esso: «Io sono Seokjin».

«Ah lo so chi sei.» ammise Yoongi facendogli l'occhiolino «Chi se lo scorda Namjoon in panico che», cambiò tono di voce, scimmiottando volutamente il migliore amico, «oddio devo andare da lui, devo fare qualcosa di special-», Namjoon gli diede un calcio sotto il tavolo, Yoongi saltò sul posto, alzando la voce e ringhiando verso l'amico, «Coglione, se magari non mi spacchi una gamba prima dell'incontro».

«Se magari tu tenessi chiusa quella fogna.» rispose con tono minaccioso Namjoon, assottigliando gli occhi.

Antonio diede una pacca sulla spalla al suo pugile dai capelli verde menta e interruppe quel solito battibecco al quale ormai era abituato. (Facevano così da quando erano bambini). «Perché non andiamo in cucina a salutare tutti? Vorranno farti gli auguri».

L'espressione di Yoongi mutò in un battibaleno, tornando serena e sorridente: «Speriamo di scroccare anche un piatto di pasta!» esclamò, alzandosi dal suo posto.

Yoongi e Antonio si incamminarono verso la cucina, lasciando i due ragazzi da soli, seduti al tavolo.

Seokjin e Namjoon rimasero in silenzio, osservando i propri piatti ormai vuoti; le dita di Namjoon erano ancora appoggiate alla schiena dell'altro, ma non si muovevano più. Intorno a loro tutto sembrava muoversi veloce, caotico, rumoroso: le persone chiacchieravano, i bambini correvano tra i tavoli, il rintocco dei cucchiaini che giravano i caffè o toccavano il fondo dei piatti risuonava nel grosso locale; e loro stavano in silenzio, fermi. Non erano immobili, anzi, Namjoon sollevava e abbassava veloce la gamba da terra, nervoso, e Seokjin accarezzava il bordo del tovagliolo di stoffa, osservando come si piegasse la punta, ma entrambi si sentivano fermi, nei pensieri più che nello spazio. Seokjin pensava a Namjoon. Namjoon pensava a Seokjin. Erano lì, uno a fianco all'altro, anche connessi da quella mano sulla schiena, a dirla tutta, ma si pensavano con forza, con foga, come se fossero lontani chilometri e si mancassero. Non aveva senso, ma, tra l'altro, nulla sembrava aver senso di ciò che provavano uno per l'altro.

Namjoon decise di interrompere quel momento così lontani: staccò la mano dalla sua schiena – Seokjin pensò che già gli mancava – e si allungò sul tavolo, prendendo da uno dei piatti che avevano ordinato un kiwi: «Lo sai mangiare questo?» chiese, girando finalmente il volto verso il più piccolo.

Seokjin fece lo stesso, incrociò il suo sguardo e sollevò un sopracciglio: «Mi stai chiedendo se so mangiare un kiwi?»

«Nel modo corretto.» rispose Namjoon con fare di chi la sapeva lunga «Sai, il kiwi si può mangiare solo in un modo, tutti gli altri metodi sono sbagliati». Seokjin rimase solo a guardarlo, si soffermò sulle sue labbra che sorridevano, sui suoi occhi nocciola che lo guardavano con furbizia, sulle fossette al lato delle labbra. «Se vuoi ti insegno.» aggiunse il più grande, in modo tanto dolce da arrossire subito dopo, non intenzionato ad usare quel tono che, però, era uscito senza volerlo.

Seokjin rimase in silenzio, respirando piano, immaginandosi una vita così, con Namjoon che lo guardava in quel modo, gli parlava con quel tono, che voleva insegnargli cose stupide e incredibilmente carine. Si chiese se quello non poteva diventare uno dei loro ricordi collezionati, uno di quelli che anni dopo racconti agli amici, del quale ti scordi finché non ti trovi al supermercato insieme a fare la spesa, davanti ai kiwi in offerta. Seokjin neanche ci era mai andato a fare la spesa, la facevano i suoi domestici e a scuola avevano la mensa, ma immaginarsi a fianco a Namjoon che spingeva un carrello mezzo vuoto sembrava una cosa talmente romantica che il cuore cominciò a battergli in petto così forte da fargli male. «Va bene.» sussurrò.

Namjoon sorrise, sorrise anche troppo, troppo per un semplice via libera a mostrargli come mangiava un kiwi, troppo per un ragazzo che conosceva da settimane, troppo per qualcosa che non era neanche una relazione, che non era niente, era solo un essere lì, insieme, loro due, per nessun motivo apparente, solo perché glielo aveva chiesto e l'altro aveva detto di andare a prenderlo. Sorrideva troppo per Kim Seokjin, ma non riusciva a farne altrimenti. «Allora, prima prendi il coltello e lo tagli così», fece oltrepassare la lama da una parte all'altra, completamente, «e poi hai finito! Prendi un cucchiaio e lo mangi come un gelato». Namjoon appoggiò il coltello e prese un cucchiaino, lo infilò dentro la polpa verde e ne sollevò un pezzo: «Visto?»

Seokjin, fino a qualche giorno prima, avrebbe sospirato, gli avrebbe detto che lo mangiava così da bambino – come tutti i bambini al mondo tra l'altro – ma che ormai era diventato grande, lo avrebbe preso in giro, gli avrebbe detto che era un bambinone, e probabilmente si sarebbero anche messi a ridere, sarebbe stato carino, sarebbe stato da loro. Invece Seokjin non lo fece, non ci riuscì: si avvicinò a lui con il busto, sorridendo, e poggiò la fronte sulla sua spalla. «Carino.» gli disse, parlando a voce bassa, ma non abbastanza per far sì che non lo sentisse.

Namjoon sorrise ancora più forte, lasciò kiwi e cucchiaino, avvicinò una mano ai suoi capelli e gli accarezzò la testa: «Io o il metodo?»

Seokjin allungò le dita, le appoggiò sulle gambe del ventenne, Namjoon lasciò i suoi capelli per portare entrambe le mani su quelle dell'altro, stringendogliele. «Tutti e due».

Namjoon si girò con il busto del tutto verso di lui, Seokjin provò a rimanere con la testa sulla sua spalla per qualche secondo, poi sollevò il viso: si ritrovarono occhi negli occhi, sereni, sorridenti. Non avevano sorrisi esagerati sul volto, erano appena accennati, ma erano tanto sinceri da sembrare dipinti, da sembrare non ricordi ma fotografie. I ricordi svaniscono, mutano, ti fanno credere di essere irreali; le fotografie non mentono, così come non mentivano quei sorrisi accennati.

«D'ora in poi lo mangerai così?» chiese Namjoon guardandolo speranzoso.

Seokjin annuì: «Certo, sempre».

Namjoon fece un enorme sorriso: «E penserai a me ogni volta che vedrai un kiwi, giusto?»

Seokjin rimase un istante in silenzio, deglutì, sentì la risposta più sbagliata di sempre sulla punta della lingua, ma fece finta fosse quella più giusta e se la lasciò sfuggire: «Ma io già ti penso sempre».

Il sorriso di Namjoon svanì, si perse completamente – ma il suo ricordo era fotografia. Le sue mani strinsero un solo secondo quelle di Seokjin, poi le lasciarono – anche se sembrò loro ingiusto – per posarsi sulle sue guance in modo bambinesco, con le dita chiuse tra loro, facendo aderire sulla pelle tutto il palmo. I suoi occhi osservarono quel volto tra le sue mani, non sapeva neppure che stesse facendo, perché tutto era confusione ed emozioni contrastanti, tutto era veloce, troppo, tutto era sorrisi, elettricità, fotografie, tutto era diventato Seokjin, per Namjoon, e tutto era diventato Namjoon, per Seokjin.

Un istante dopo, ignari di chi si fosse avvicinato prima all'altro, si ritrovarono con le labbra a contatto e gli occhi chiusi. Nessuno dei due approfondì il bacio, rimasero solo fermi, con le bocce incollate, ed era decisamente un bacio diverso da tutti i precedenti, decisamente un bacio che non avrebbero dimenticato, decisamente la fine perfetta di una storia da raccontare agli amici, su loro due, un kiwi e il modo giusto per mangiarlo.

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