Appuntamento senza variabili
«Sei pronto?»
«Per cosa?»
«Per il nostro appuntamento senza variabili». Namjoon rispose con talmente tanta leggerezza che, per un istante, al più giovane sembrò di essersi perso parte di un discorso che non avevano fatto.
Seokjin ridacchiò e scosse il capo: «Ma sono le due, dove vuoi andare a quest'ora?»
Namjoon crucciò la fronte e tolse un braccio dalla sua spalla solo per poter tirar fuori il telefono dalla tasca e guardarne lo schermo: «In realtà sono le due e mezzo.» puntualizzò, riportando poi il telefono dove stava e tornando ad abbracciarlo con entrambe le braccia «E dove voglio portarti non chiude mai».
Seokjin si morse il labbro inferiore mentre un pizzico d'ansia al quale non era abituato gli riempiva il petto: «Però non ho portato nulla con me, ed è tardi».
Namjoon districò l'abbraccio solo per poter intrecciare nuovamente le dita con quelle del più giovane, sorrise e chiese: «Ti fidi di me?»
Seokjin scosse il capo: «Proprio per niente».
Namjoon scoppiò a ridere, il diciassettenne sorrise soltanto, ancora in ansia per la proposta appena ricevuta. «Fidati di me solo questa volta, non ti serve nulla per dove voglio portarti, okay?»
Seokjin deglutì, spostò lo sguardo sul pick-up dietro di lui, poi tornò con gli occhi puntati in quelli dell'altro: «Okay.» sussurrò appena, come se avesse paura di farsi sentire. Namjoon si avvicinò al più piccolo di scatto, fece scoccare le labbra in un bacio a stampo veloce e rumoroso, forse come ringraziamento.
I due salirono in auto, Seokjin si mise la cintura di sicurezza, diede un'occhiata veloce all'interno del veicolo – era pulita e profumava di vaniglia, si chiese se per caso non l'avesse pulita di recente – poi spostò lo sguardo su Namjoon mentre faceva partire il motore e si immetteva sulla carreggiata. Quando, però, l'automobile non curvò per prendere la strada in discesa, ma cominciò a percorrerla in salita, Seokjin boccheggiò confuso: «Ma dove vai?».
Wontville – che era costruita sul pendio di un'enorme collina – si percorreva facilmente, in auto: più si scendeva verso il mare e più ci si addentrava nelle parti più povere, più si saliva e più la vista si faceva sfarzosa, con i tornanti tra i boschi sui quali spuntavano ville e alti cancelli. La famiglia Kim era la più ricca di Wontville e la loro magione era l'ultima costruzione che si poteva trovare in quella città, dopo c'erano solo le autostrade che, poi, avrebbero portato ad altri paesi limitrofi.
Namjoon non rispose alla domanda se non ridendo, Seokjin decise di non insistere, guardando semplicemente fuori dal finestrino verso il mare, facendo ipotesi su cosa potesse passargli per la mente e sperando vivamente di non addormentarsi dopo mezzora in auto per poi risvegliarsi la mattina seguente a Los Angeles o a New York. (Non che ci sarebbero stati problemi, una telefonata e qualcuno sarebbe andati a prenderli, ma preferiva non dover spiegare perché si trovava alle otto di mattina a fare colazione a Washington con uno degli operai a loro servizio).
Le sue preoccupazioni, comunque, furono inutili, perché dopo pochi minuti e qualche tornante Namjoon si ritrovò in uno spiazzale completamente buio che Seokjin non aveva nemmeno mai visto, dopo essersi immesso in una piccola via sterrata in mezzo agli alberi. Seokjin strinse le mani intorno alla cintura mentre Namjoon faceva inversione, poggiava il braccio sul sedile del passeggero e guardava oltre al vetro posteriore, guidando in retro marcia. Il ventenne spense la macchina nel buio più totale. «Siamo arrivati».
Scesero entrambi – non prima che Namjoon prendesse una sacca dai sedili posteriori –, quando chiusero le portiere la luce interna della macchina e i fari si spensero lasciandoli nell'oscurità assoluta. Seokjin non sapeva dove andare e che fare, ma la voce di Namjoon lo guidò: «Vieni qua dietro». Seokjin sentì il rumore di un telo scoperto dal cassone della macchina ed eseguì silenziosamente la richiesta del più grande, arrivando al retro della vettura. Appena una luce si accese il suo stomaco si strinse e il suo sorriso si allargò in un'espressione entusiasta e incredula. Namjoon aveva acceso una torcia elettrica da campeggio – di quelle lunghe che si appendono ai rami per fare luce – e l'aveva appoggiata al lato del cassone, illuminandolo; questo era coperto da uno strato di coperte, un ammasso di cuscini tutti diversi era posizionato in fondo, lo zaino che aveva preso dal retro dei sedili venne aperto rivelando buste di dolciumi e patatine, lattine di birra calda che probabilmente avrebbe fatto schifo, e altre bibite gassate come cola da discount e sottomarche di thè. Namjoon saltò sul cassone con agilità, si girò verso Seokjin, guardandolo dall'alto, leggermente piegato sulle ginocchia, e gli porse la mano: «Vieni».
Seokjin fissò quella mano e sentì che se l'avesse presa non sarebbe più riuscito a dimenticarlo nella vita: Namjoon Vitali gli avrebbe regalato le emozioni più intense, stupende e dolorose della sua esistenza, l'avrebbe marchiato a fuoco senza chiedere, strappandogli l'anima per ricucirla con parti si sé del quale non si sarebbe mai liberato. Seokjin allungò il braccio e decise di sprofondare del tutto nel suo destino. Namjoon lo aiutò a salire, si ritrovarono entrambi in piedi, sul cassone, sopra le coperte che il ventenne aveva disteso con cura prima di partire. «Per questo sono arrivato in ritardo». La luce della torcia li illuminava appena, ma entrambi videro i loro sorrisi crescere. «Si vede tutta la città da qui!» gli disse Namjoon facendogli un cenno verso lo strapiombo a qualche metro da loro.
Seokjin si girò e guardò le luci di Wontville, sorrise, scoprendo che la vista era anche migliore di quella di casa sua. «È bellissimo».
«Tu sei bellissimo.» disse Namjoon con sicurezza.
Seokjin sbuffò tornando a guardarlo: «Davvero?» chiese scuotendo il volto. Namjoon ridacchiò divertito. «Davvero Joonie? Tu sei bellissimo?» ripeté facendo scoccare la lingua al palato «Che frase da rimorchio, mi aspettavo di meglio».
Namjoon annuì e gli lasciò un bacio veloce sulle labbra: «Mi impegnerò la prossima volta».
Passarono la notte su quelle coperte, appoggiati ai cuscini rubati dal divano di casa Vitali, ritrovati in fondo agli armadi dal proprietario di casa, mentre Yoongi riempiva la borsa di ciò che trovava in cucina, quasi più in ansia di Namjoon stesso, appena l'altro gli aveva detto di voler andare da quel ragazzo e di voler far qualcosa di speciale per lui. Namjoon e Seokjin avevano passato la notte a sussurrarsi all'orecchio, ad accarezzarsi a vicenda le guance a baciarsi tanto lievemente da sembrare un nuovo tipo di bacio. (Di certo mai avevano baciato nessun altro nello stesso modo). Si presero in giro tanto teneramente che sembravano frasi d'amore – e forse lo erano, infondo – e quando la notte divenne più fresca Namjoon prese una nuova coperta e ci coprì entrambi, abbracciando il più giovane e stringendolo al petto. Si tolsero le scarpe, fecero intrecciare le loro gambe, le dita delle loro mani, i loro occhi nel buio quasi totale, poi la torcia si scaricò e, senza vedersi, coperti dalla notte, le loro parole vennero fuori più forti.
«Ti ha dato fastidio che ti ho chiamato?» chiese Namjoon improvvisamente, mentre accarezzava i capelli di Seokjin, poggiato al suo petto.
Il diciassettenne interruppe le carezze della mano sul braccio dell'altro, si bagnò le labbra leggermente a disagio: «No, perché?»
Namjoon sospirò appena: «Non so,» rimase in silenzio qualche istante, cercando le parole adatte, «mi sembrava che tra noi...»
Il ventenne si interruppe, pensando a come continuare il discorso senza rovinare ogni cosa. Seokjin venne in suo soccorso: «Che noi fossimo scopamici e che tu dovessi essere lì quando avevo voglia senza mettermi i bastoni tra le ruote per tutto il resto?»
Namjoon si ritrovò a ridere quasi istericamente, passandosi la mano tra i capelli: «Beh, il senso era quello, ma ci sei andato pesante».
Seokjin non rise, sollevò il volto come a volerlo guardare, ritrovandosi però la più totale oscurità: «Era così, hai ragione». Namjoon si picchiettò l'interno della guancia con la lingua, non seppe cosa rispondere. «E a te andava più che bene, o sbaglio?»
Namjoon conosceva la risposta a quella domanda: «Sì, è vero».
«E ora è ancora così? Per te? Andrebbe bene essere lì per me quando ho voglia di vederti senza potermi chiamare?»
Nessuno dei due accarezzava più l'altro. Namjoon se ne stava sdraiato, con la testa poggiata sui cuscini, guardando verso il viso dell'amante che però non vedeva, ascoltando solo la sua voce. Seokjin se ne stava poggiato sui gomiti, ancora con le gambe intrecciate a quelle dell'altro, le labbra tremanti, il viso rosso che Namjoon non poteva scorgere. «Sì.» sussurrò il ventenne sentendo lo stomaco stringersi «Andrebbe bene».
«Perché?»
Namjoon sbuffò una risata ironica, triste: «Meglio di niente?»
«Ma cosa preferiresti?»
«Ma che domanda è?» scoppiò a ridere, il più grande, e Seokjin sollevò gli occhi al cielo, sospirando alla sua reazione. «Jin, porca puttana, mi sembra ovvio che vorrei tutto il contrario, no?». Seokjin sorrise senza filtri nel buio, sapendo che l'altro non poteva vederlo. «Insomma, è chiaro che vorrei una cosa normale, sai no? Io, te, uscire. Quelle stronzate che implicano che tu nel frattempo non sia braccato da tre tizi che provano a sposarti o altre puttanate da ricchi».
«L'altro giorno uno di loro ha provato a baciarmi».
Namjoon sentì l'acido in bocca, sentì il cuore cominciare a battere più veloce, il sangue andargli al cervello, ma disse solo: «Va bene».
«Io ho rifiutato, ma lui ha cominciato a baciarmi sul collo». Namjoon non rispose a quelle informazioni aggiuntive, irrigidì i muscoli, deglutì, si immaginò mille scenari diversi con uno dei tre e il collo di Seokjin. «Io l'ho lasciato fare ed è stato anche più che piacevole». Seokjin raccontava il tutto come se gli stesse parlando dell'ultimo weekend al mare, come se non fosse nulla di importante e non si sentisse minimamente in colpa – e, in effetti, era proprio così.
Namjoon sospirò e si stropicciò il volto: «Potresti evitare di raccontarmi i particolari?»
Seokjin ridacchiò nel buio, avvicinò il volto a quello del più grande, lasciò un bacio leggero sulla sua guancia, appena sotto l'occhio: «Perché? Sei geloso?»
«Io?» rispose Namjoon dandosi un tono, facendo scoccare la lingua al palato «Non sono un tipo geloso, e poi non sei il mio ragazzo, quindi...». Seokjin gli sorrise sulla guancia, non credendoci neanche per un istante. «E poi a che serve?» chiese Namjoon stringendolo per i fianchi e tirandolo a sé più forte, sotto la coperta «Ci hai fatto qualcosa con quel tipo che ti ha baciato?» chiese secco, sicuro, come se volesse provare qualcosa.
Seokjin si morse il labbro inferiore: «No».
«E perché?»
«Perché pensavo a te.» rivelò senza esitazione, sentendo il cuore battere un po' più veloce, sentendo le guance scaldarsi, ma beandosi di quell'oscurità notturna che lo faceva sentire al sicuro. (O forse erano le braccia di Namjoon che lo faceva sentire al sicuro, o la sua voce, o i suoi baci, o il battito del suo cuore).
«Visto?» rispose il più grande con una voce soddisfatta, improvvisamente senza quella morsa di gelosia allo stomaco che aveva provato qualche istante prima «Perché dovrei essere geloso? So che alla fine tu verrai sempre a cercare me...»
Seokjin sospirò appena; avrebbe voluto ridere e prenderlo in giro, ma non ci riuscì, sussurrandogli semplicemente: «Mi sa che hai ragione». Namjoon boccheggiò a vuoto, preso in contropiede, ma, dopo qualche istante, sorrise, lo strinse più forte e cercò le sue labbra: si baciarono senza fretta, senza paure, senza dubbi e senza drammi, non lì, non in quel momento, perché quella era la loro sera. (Ai problemi e alla realtà della vita ci avrebbero pensato il giorno successivo). Seokjin interruppe quel bacio solo per ridergli sulla bocca, per dirgli a voce bassa, quasi fosse un segreto: «Durante la festa non nasconderti troppo bene, ho il presentimento che verrò da te e che salverai la mia serata».
Namjoon sapeva ci sarebbe stata una festa, sapeva che la settimana successiva i loro turni sarebbero stati più pesanti per dover sistemare il giardino, le sale, per fare tutti quei lavori "pesanti" che non toccavano ai domestici. «Che giorno è?»
«Venerdì prossimo».
Namjoon ridacchiò, pensando a quanto fosse ironica la vita: «Non ci sono venerdì, ho chiesto il giorno libero, e anche il sabato».
Seokjin si staccò dal suo volto e arricciò le labbra, mettendo il broncio come un bambino. (Namjoon l'avrebbe adorato, ma non poté osservarlo, nel buio della notte). «Perché? Ci sei sempre quei giorni, fino a sera tardi».
Il ventenne fece un grosso sorriso: «Ti sei imparato i miei orari, mi piace». Seokjin sollevò gli occhi al cielo e trattenne uno sbuffo infastidito. «Comunque ho un impegno venerdì».
«Che noia.» proferì il diciassettenne sbuffando.
Namjoon ridacchiò, portò la mano ai suoi capelli e glieli accarezzò dolcemente: «Perché invece non molli la tua festa noiosa e vieni con me? Sono sicuro che ti divertiresti molto di più».
«Perché tu che fai venerdì?»
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