Mercoledì 22 giugno
Per oggi pomeriggio alle 17 ho preso appuntamento dal ginecologo; voglio sapere come va il piccolino, che qua siamo in mezzo ai guai e bisogna che non ci manchi la salute, a nessuno dei due.
Invece stamattina, col caffè, ho deciso di comunicare a mia madre e al mio recentissimo patrigno che presto diventeranno nonna e nonnigno.
"Come sarebbe sei incinta?" grufola lui tra una fetta biscottata alla marmellata e una alla nutella.
"Sono incinta." ripeto con calma, perché non capisco cosa sia poco chiaro nell'assunto, ma mi pare che la cosa risulti sempre piuttosto misteriosa ai maschi di qualsiasi età.
"Come sarebbe sei incinta?" chiede però anche mia madre stridula, con gli occhi di fuori e il caffellatte che le cola giù dalla tazza che trema nella sua mano destra, che trema.
La guardo stupita. Pensavo sapesse come succede, se non altro per esperienza.
"Sarebbe così, sono incinta come tutte le donne incinte. È capitato."
"Ma sei scema?" chiede il patrigno, che in effetti mi pareva stronzo. Da subito. Non ho mai detto niente perché mia madre sembrava finalmente di nuovo felice, e non me la sentivo di romperle le scatole. In fondo sono fatti suoi. Ma anche miei, in questo frangente. Guardo mia madre: dovrebbe essere lei a difendere la sua creatura in stato interessante.
"È una deficiente!" risponde invece la mia genitrice all'amore suo. E poi: "E come diavolo avete fatto? Ma dove ce l'avete, la testa? E adesso come si fa?" spara a me tutte le domande brutte.
"Si fa che lo tengo. Sarà tanto carino. O carina. Voi mi aiuterete, finché non potrò trovarmi un lavoro e una casa." dico con la maggiore tranquillità possibile.
"Ma sei scema?" chiede di nuovo l'energumeno, pieno di sensibilità.
"Noi ti aiuteremo?" chiede mia madre coi capelli dritti.
"Per forza. Gabriele non ne vuole sapere. O meglio, sono io che non ne voglio più sapere di lui. O insomma, siamo tutti e due d'accordo credo. Che ci lasciamo. Sarò sola col bambino. Ma non posso lavorare finché non finisco l'Università. E anche dopo, bisogna vedere. Ma tanto qui c'è spazio, no?"
"Guarda che non abbiamo una lira, manteniamo a stento te. Nella speranza che ti togli presto dalle..." dice lui, dolce come il miele e senza neppure un congiuntivo.
"E comunque io non ce la faccio a stare dietro a un altro bambino piccolo. Volevo rifarmi una vita, stare un po' tranquilla con lui. Dopo tutto quello che ho passato. E adesso..." mia madre smette di gridare e comincia di colpo a singhiozzare, come sa fare lei. E basta, finita così. Partita persa. Che le posso dire, adesso?
Nemmeno loro ti vogliono, coso. Ma io sì. Io non ti mollo.
Telefono a papà. Mi risponde allarmato, siamo fuori dagli orari abituali, quindi capisce che c'è qualcosa che non va: "Ciao, cos'è successo?"
Decido di andare subito al sodo: "Niente papà, tutto ok. Sono solo incinta, ma sto bene. Oggi vado dal dottore."
Silenzio. Adesso me lo chiede. "Come incinta? Ma sei sicura?"
"Sì, papà. Ho fatto il test. E comunque lo tengo."
Silenzio.
"Lui, il tuo ragazzo...il padre..."
"Ci siamo lasciati ieri."
Silenzio.
"Mamma lo sa?"
"Gliel'ho detto stamattina. Ha detto che non può aiutarmi. Lei e ciccino mi vorrebbero fuori di casa a breve. Figurati se tengono me e pure un neonato urlante, che gli rovina le serate romantiche."
Silenzio.
Silenzio.
"Papà?"
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio. Definitivo.
Coso, qua la situazione si fa drammatica. Tieniti stretto.
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