•33•
Fin da bambina sentivo costantemente un vuoto interiore, quella maledetta sensazione di avere una voragine che ti mangia da dentro fino all'osso. Questa sensazione è stata presente tante volte nella mia vita, spesso per brevi momenti mentre in altri si è fermata molto più a lungo da diventare la mia "coinquilina". Pensavo non sarebbe mai andata via.
Cercavo di colmare quel vuoto con il cibo o con qualsiasi cosa potesse smettere di farmi sentire vuota e sviscerata. La cosa buffa è che tendevo ad essere alla continua ricerca dell'amore, degli amici migliori e tanto altro, ma quel vuoto "antico" che fa parte di me, non è qualcosa che può essere colmato dall'esterno.
Il vuoto ha la necessità di essere accettato. Quando ci si concentra sul vuoto, si trovano modi non sani per riempirlo. Ci si accontenta di "quel che c'è"
pur di non sentirlo, a volte funziona, ma non per sempre. Non è un bicchiere che può essere riempito a piacimento con qualsiasi sostanza esterna, lui è dentro di me, fa parte di me. È un qualcosa che non può essere colmato, va ascoltato, compreso e riempito con l'amore per se stessi.
Così ho spostato la mia attenzione sul resto per non dargli il potere di distruggermi, e ho creato qualcosa di unico da quel caos. Una vita. Mio figlio.
Salgo sull'aereo, ho un posto assegnato, metto la valigia sopra e mi siedo. Numero 23. Metto le cuffie e guardo fuori dal finestrino.
In questo momento vorrei tanto essere nel mio piccolo appartamento di Zurigo con i miei amici. A quest'ora staremo guardando un film e mangiando schifezze seduti sul divano.
Sarei stanca dopo una lunga giornata, ma rilassata senza tutti questi pensieri che mi vorticano nella testa. E invece sono su un aereo con Francesca seduta al mio fianco, dirette a Chicago per rivedere la mia famiglia, i miei amici e il padre di mio figlio.
Mi piacerebbe essere euforica come Francesca all'idea di vedere l'America. Fa sembrare questo viaggio una cosa bellissima ed emozionante, mentre l'unica cosa che provo io è un insopportabile senso di nausea a causa dell'agitazione.
"I passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza. L'aereo atterrerà all'aeroporto internazionale di Chicago-Midway tra pochi minuti"
la voce squillante dell'hostess mi risuona nelle orecchie.
Deglutisco rumorosamente.
Quando l'aereo è sulla terra ferma si crea una gran confusione.
"Come stai?" mi chiede Francesca che si gira a guardarmi
"Benissimo" mento, anche se credo che persino un cieco si renderebbe conto che non è la verità.
Francesca poggia una mano sulla mia spalla
"Prima o poi lo devi affrontare, ed è meglio che non passi altro tempo" mi dice e il suo sguardo si posa sul mio ventre cresciuto.
Anch'io abbasso lo sguardo e gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso da ebete.
Slaccio la cintura e poso la mia mano sulla pancia.
"Hai ragione" ammetto
Scendiamo dall'aereo e dopo aver recuperato le nostre valigie usciamo dall'aeroporto. I miei occhi vagano tra le auto, alla ricerca di mio fratello.
Che intercetto dopo pochi secondi
"Alan" urlo per poi correre da lui e saltargli in braccio
"Mi sei mancata così tanto piccola peste" confessa stringendomi a se
Francesca che ci aveva raggiunto guarda la scena in silenzio
"Alan ti presento Francesca" dico mentre Alan mi rimette a terra
"Piacere, finalmente ci conosciamo. Sono Alan" dice stringendole la mano
"Francesca, piacere mio"
Una volta terminate le presentazione si volta a guardarmi prima di abbassare lo sguardo al mio ventre.
"Sorellina" mi dice con gli occhi lucidi prima di accarezzarmi la pancia "Sarò zio" continua euforico
Alan è l'unico a Chicago a sapere della mia gravidanza.
"Sarete stanche, andiamo a casa" dice riprendendosi dall'emozione.
Carica le nostre valigie nel bagagliaio e saliamo in auto.
Ci immettiamo nel traffico di Chicago, il traffico, l'unica cosa di questa città a non essermi mancata. Sento squillare il mio cellulare, inizio a frugare in borsa cercandolo, una volta trovato leggo il nome di "James" sullo schermo.
"Raggio di sole, siete arrivate?"
la voce allegra di James mi fa sorridere.
"Si, io e Francesca siamo in macchina con mio fratello"
"Pronta?" mi chiede tornando serio
"No" ammetto
"Per qualsiasi cosa chiamami che prendo il primo volo e sono da te"
"Grazie, me la caverò"
"Va bene, adesso devo andare. Salutami quella stupida di mia sorella. In bocca al lupo"
"Crepi" dico prima di riagganciare
"Ci siamo" dico fra me e me
"Come lo dirai ai tuoi genitori?" mi chiede Francesca
"Penso che non avrò bisogno di parole è tutto ben visibile" dico riferendomi alla mia pancia sporgente di circa tre mesi
"Potevi evitare di indossare la maglietta più aderente che hai nell'armadio" interviene Alan
"Ma il nero snellisce" mi difendo
"Mi dispiace ma non hai ottenuto l'effetto desiderato" sghignazza
Alan ferma l'auto nel viale di casa nostra. Scendiamo dall'auto.
Fisso la porta di casa mentre Alan prende i bagagli, e inspiro alla ricerca dell'aria che sento mancare e alla ricerca del coraggio di cui necessito per affrontare i miei.
Mio fratello apre la porta ed entriamo in casa seguiti da Francesca.
"Tesoro mio" dice mia madre comparendo dalla porta della cucina e venendo ad abbracciarmi
"Mamma" dico stringendomi a lei e chiudendo gli occhi, beandomi della sensazione di stare tra le sue braccia. Mi è mancata così tanto.
Avevo bisogno di un abbraccio. L'abbraccio di mia madre. E mi sento piccola, come un gattino che si raggomitola nel posto in cui torna sempre. Le sue braccia. Perchè quelle sono l'unica certezza che ho.
Mia madre non mostrò mai tristezza per la mia volontà di partire, mi diceva sempre "Se tu stai bene, io sto bene". A lei non importava dove andassi, ma come stessi. Lei voleva che io stessi bene. Ovunque ma bene. Credo che le mamme sappiano mascherare il dolore meglio di qualsiasi essere umano.
Si stacca dall'abbraccio "Piccola mia come sei cresciuta" mi dice sorridendo, improvvisamente il suo sorriso si spegne quando il suo sguardo si posa sul mio ventre sporgente. Si porta la mano alla bocca sorpresa mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime
"Non è quello che penso" dice tra le lacrime
"Si mamma" dico annuendo
"Sofia" dice mio padre scendendo le scale e venendo ad abbracciarmi
"Come stai?" Mi chiede mentre mi stringe a se
"Bene papà." sussurro
Il rapporto con mio padre non è sempre stato così. Lui è stato molto assente durante la mia infanzia, lasciando spesso me, Alan e la mamma da soli, anche durante le feste. Non c'era mai alle recite, ai compleanni. Negli ultimi anni ha cercato di rimediare ai suoi sbagli. Ma la ferita resta.
Si stacca dall'abbraccio "Come sei bella! Hai una luce diversa negli occhi. Si vede che Zurigo ti ha fatto bene" mi sorride dolcemente spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Nel frattempo mia madre continua a singhiozzare in un angolo.
Porto la mia mano sulla pancia accarezzandola, mio padre segue il movimento della mia mano rendendosi conto anche lui della novità.
Sgrana gli occhi sorpreso, lo stupore cede presto il posto alla rabbia "Che significa questo?" urla furioso
"È meglio che li lasciamo soli" dice Alan prima di salire al piano di sopra con Francesca
"Quando è successo?" Chiede mia madre
"Poco dopo il mio arrivo a Zurigo" mento
"Come hai potuto nasconderci di aspettare un bambino?" chiede mio padre contrariato "il padre come l'ha presa?"
"Lui... lui non lo sa"
"Fantastico, ti ritrovi a diciannove anni a crescere un figlio da sola. Te ne rendi conto? Sai quante cose dovrai cambiare? Dovrai rinunciare a gli studi e sarai costretta a lavorare per pochi spiccioli. Ti sei rovinata la vita" sbraita furioso
per poi salire nuovamente le scale e chiudersi dentro il suo ufficio senza darmi la possibilità di ribattere
"Ora che siamo da sole, dimmi la verità, il bambino è di Marco vero?" mi chiede cogliendomi di sorpresa
Come ha fatto a capirlo?
"Sono tua madre e non sono stupida. Sapevo che c'era qualcosa tra voi. Ho visto quanto quel ragazzo tenesse a te e ho visto come i tuoi occhi lo cercavano sempre tra le altre persone. Quando eravate insieme vi dimenticavate di quello che vi stava attorno, non importa quante persone ci fossero improvvisamente c'eravate solo voi." mi risponde come se avesse sentito i miei pensieri
"È di Marco quindi?"
Annuisco "E lui non lo sa?" Continua con tono contrariato
"No, non lo sa" ammetto
"Devi dirglielo"
"Lo farò, non so come, ne quando ma lo farò"
Mia mamma si avvicina nuovamente a me e mi accarezza la guancia guardandomi dolcemente per poi poggiare la mano sul mio ventre.
"La mia piccola diventa mamma" ammette commossa prima di stringermi in un abbraccio
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