Capitolo 3
" Everybody hurts sometimes
Everybody hurts someday
But everything gon' be alright
Go and raise a glass and say, ayy"
🎵 " Memories" -Maroon 5
DOTTORESSA ANDREWS
🗓️23 Agosto 2023
🕒15:00
Quando l'orologio segnò le tre del pomeriggio finalmente decisi di concedermi una pausa. Era da ore ormai che sfogliavo una cartella dopo l'altra in cerca di una soluzione, di un qualcosa che gli desse più tempo. La lavagna bianca di fronte a me ormai era colma di scritte e disegni, di idee, possibili interventi, trattamenti e quanto altro, che si erano rivelati tutti fallimentari. Sospirai e mi alzai dalla scrivania, frugai nella borsa e ne estrassi un accendino blu con disegnato un orsetto e un pacchetto di Camel.
Erano mesi che non toccavo più una sigaretta, ma portavo sempre con me un pacchetto delle mie preferite in caso d'emergenza, erano solo sette, da consumare nei momenti in cui avevo bisogno di staccare la spina.
Aprii la piccola finestra che dava sul cortile dell'ospedale, il mio ufficio era al decimo piano e da qui era possibile ammirare il grande giardino circostante in tutta la sua bellezza di alberi e fiori colorati. Mi sporsi respirando l'afosa aria estiva e accesi la sigaretta che brillò di un rosso vibrante. L'avvicinai alle labbra, feci un tiro e soffiai fuori il fumo, mettendo le labbra a forma di "O", cercando di disegnare dei piccoli cerchi nell'aria. Sorrisi, a lui piaceva sempre quando lo facevo.
I miei pensieri tornarono inevitabilmente a Brent e a come non avesse affrontato la notizia, cercando di rassicurarci mentre eravamo noi che avremmo dovuto confortare lui. Mi stupiva sempre quanto riuscisse a controllarsi davanti ad ogni situazione; in tutti questi anni avevo imparato a conoscerlo bene, gli ero stata accanto durante le sue vittorie e le sue sconfitte.
Si meritava di crescere e diventare un uomo, di fare qualsiasi tipo di esperienza, di assaporare la al di fuori dell'ospedale. Avevo solo bisogno di più tempo, ma quelle dannate lancette continuavano a scorrere senza tregua, continuava a scorrere contro di noi giorno dopo giorno.
Da mesi cercavo di contattare i medici più esperti a livello internazionale, ma nessuno era riuscito ad aiutarmi. Spensi la sigaretta sul davanzale pulendo la cenere con un fazzoletto che avevo nella tasca del camice, riposi il pacchetto con l'accendino nella borsa e mi voltai verso la scrivania. Aprii il primo cassetto e alzai il fondo segreto, una cartellina rosso fuoco giaceva nascosta sotto ad altre carte e documenti.
Presi la cartellina e la riposi nella mia borsa, poi chiusi a chiave il cassetto ma nel farlo urtai con il braccio la piccola cornice sulla mia scrivania, dove un disegno con i pastelli a cera di una casa sul mare mi guardava da dietro il vetro spesso. La piccola costruzione scarlatta risaltava sulla spiaggia bianca, fronteggiando coraggiosamente il mare davanti a lei.
Più la guardavo più non potevo fare a meno di pensare a quel giorno di tanti anni fa. Dove l'avevo incontrato per la prima volta.
DOTTORESSA ANDREWS
⏳3 anni prima⏳
Eric non era stato molto chiaro quando mi aveva messo la cartella tra le mani. Mi aveva convocato nel suo ufficio d'urgenza senza nemmeno spiegarmi di cosa volesse parlarmi. Eric Sheridan era il primario del riparto di oncologia pediatrica da anni, era un uomo di mezza età con un sorriso contagioso e grandi occhi chiari e rassicuranti, vedeva ogni giorno tristezza e sofferenza ma riusciva sempre a trovare la luce in tutta quell'oscurità e a far sorridere i nostri piccoli pazienti e le loro famiglie.
Molto spesso infatti non seguiva le procedure standard e faceva molto di più di quello che gli veniva richiesto, come assicurarsi che i nuovi ammessi al reparto si sentissero a proprio agio e non fossero troppo spaventati da quello che li attendeva. Senza troppe spiegazioni Eric mi aveva consegnato una cartellina e mi aveva chiesto di andare a controllare questo nuovo paziente che avrebbe dovuto rimanere in ospedale per una settimana per degli esami, non me lo aveva detto chiaramente ma dall'espressione del suo viso capii che la situazione non fosse delle migliori. Io non feci domande perché sapevo bene com'era fatto Eric, qualsiasi cosa avessi chiesto mi avrebbe solo consigliato di conoscerlo e fidarmi del mio intuito.
Camminai lungo il corridoio passando davanti ad una decina di stanze, quando arrivai davanti alla porta, aprii la cartellina e lessi le informazioni di base per capire meglio come relazionarmi. Era un giovane ragazzo di quindici anni, si chiamava Brent Martins e aveva una rarissima forma di tumore ai polmoni che si stava espandendo molto velocemente. Eric non aveva voluto rivelarmi nulla sulla personalità del ragazzo, ma io già sapevo perché avesse mandato proprio me.
Bussai leggermente sulla superficie di legno e attesi pochi secondi, una voce forte e gentile mi diede il permesso di entrare. Aprii la porta e varcai la soglia, un ragazzo dai capelli scuri era seduto a gambe incrociate sul letto, concentrato a disegnare con un pastello a cera su un blocco che teneva in grembo.
Quando feci un passo avanti Brent alzò gli occhi e mi sorrise: "Buongiorno, mi può dare cinque minuti? Finisco subito" disse alludendo al disegno, sicuramente pensando che fossi lì per portarlo a fare altre analisi e test. "Prendi tutto il tempo che ti serve", risposi avvicinandomi al letto e sedendomi su una sedia sul lato destro. Sbirciai oltre le sue ginocchia e notai una bellissima raffigurazione di una casetta rossa in riva al mare. L'aspetto che catturava più l'occhio e incuriosiva era il fatto che la costruzione risultasse molto piccola e quasi indifesa difronte al mare sconfinato davanti a lei.
Il disegno aveva linee decise ma delicate allo stesso tempo, e l'uso dei pastelli a cera conferiva al tutto un effetto etereo, come se il paesaggio appartenesse ad un sogno dove tutti i colori appaiono sfumati "E' molto bello, hai talento", Brent sorrise e alzò gli occhi verso di me posando il pastello sul blocco in modo tale che non rotolasse giù. "Grazie, ho finito comunque, la ringrazio per aver aspettato", alzò lo sguardo verso di me e i suoi occhi blu incontrarono i miei.
I suoi occhi color del mare mi ricordavano terribilmente lui.
In quel momento la consapevolezza del perché Eric lo avesse affidato proprio a me si fece strada nel mio cuore come una lama affilata. Sospirai senza farmi notare troppo da lui, "No, c'è stato un piccolo equivoco, io sono la dottoressa Andrews, ero venuta qui per vedere come ti sentissi e se avessi bisogno di qualcosa, niente esami per oggi", aggiunsi in tono calmo e rilassato nonostante fossi pervasa da una sensazione indefinita.
A questo punto Brent si rilassò e disse, "Piacere, io sono Brent anche se penso lei lo sappia", aggiunse con un sorrisetto. "Comunque grazie, è molto gentile, qui va tutto bene", continuò lui riprendendo il pastello a cera. Più lo guardavo più comprendevo perché Eric volesse controllare la sua salute mentale, il ragazzo continuava a sorridere e disegnare e non sembrava affatto preoccupato o turbato dalla mia presenza.
Non riuscivo a smettere di pensare a lui.
Passammo un'ora a conversare, lui mi fece vedere il resto dei suoi disegni che ritraevano le persone che amava: una donna dai capelli biondi, un uomo identico a lui che sicuramente era suo padre, una ragazza dagli occhi nocciola e i lunghi capelli scuri, un ragazzo con addosso un giacchetto di jeans, e molti altri. Quando feci per andarmene Brent mi bloccò e mi regalò il disegno della casa per ringraziarmi, quello che ancora oggi è custodito gelosamente nel mio ufficio, come pegno del tempo passato insieme.
Quel ragazzo era diventato un uomo ribelle e coraggioso, sempre pronto a mettersi nei guai tanto tanto coraggioso molto diverso dal ragazzo timido e riservato che avevo conosciuto. Nonostante le sue vicissitudini, la sua priorità erano sempre stati i suoi affetti più cari.
Anche tu saresti potuto essere così, se solo avessi avuto il tempo.
Infatti, aveva rischiato la vita per salvare il suo migliore amico, venire da me a controllare che stessi bene dopo una lunga giornata di lavoro anche se non riusciva ad alzarsi dal letto. La sua più grande qualità, però, era risultata dannosa per lui.
Ogni volta che andavo da lui mi guardava sempre con un'espressione rassicurante, con quegli occhi stropicciati ma pieni di vita. Volevo bene a Brent come un figlio, e avrei fatto qualsiasi cosa per tenerlo in vita.
Era riuscito a darmi speranza in un mare di solitudine, e mi aveva ricordato che, nonostante tutto, valeva la pena vivere.
DOTTORESSA ANDREWS
🗓️23 Agosto 2024
🕒15:30
Avevo promesso a Brent che sarei stato un medico migliore, che stavolta avrei portato a termine il mio compito, non potevo commettere altri errori.
Agguantai la cartellina rossa, chiusi il cassetto e uscii dal mio ufficio diretta verso il laboratorio di ricerca, avevo bisogno di riposte, il prima possibile, tutto doveva essere pronto per quando sarebbe arrivato il momento.
BRENT
🗓️24 Agosto 2023
🕒4:00 del mattino
Senza far rumore, presi dall'armadio lo zaino blu che avevo preparato per l'occasione. Lo riposi sul letto e aprii la cerniera per infilarci il piccolo diario di pelle e il block-notes con i pastelli a cera, e nel farlo notai che avevo ancora le mani sporche delle tempere che avevo usato la sera prima.
Istintivamente lo sguardo si posò sul disegno che avevo lasciato sul letto, lo presi per osservarlo meglio ma subito un moto di nostalgia e tristezza mi attanagliò il petto pervadendomi di una spiacevole malinconia. Sul foglio di carta A4 campeggiava un leone con le fauci spalancate con la criniera brillante di mille colori. Tanti anni fa, quando ero solo un bambino, mio zio, il fratello di mio padre, mi regalò il mio primo blocco da disegno con le tempere.
Tutti pensarono che avrei finito per stancarmene dopo poco dato che ero sempre stato un bambino piuttosto vivace e iperattivo. Invece, quei colori sgargianti e la possibilità di dare sfogo alla mia immaginazione mi condussero verso quella che sarebbe diventata una delle mie più grandi passioni. Il mio primo disegno, un piccolo leone colorato che donai ai miei genitori, è appeso sul frigo di casa nostra.
Frugai nel cassetto del mobile e tirai fuori un plico di lettere dalla carta azzurro chiaro, ne presi tre e riposi il resto nello zaino per poi chiudere la zip. Mi guardai intorno un'ultima volta, la mappa sul muro che spiccava sulla superficie bianca mi salutò di rimando.
Presi un gran respiro, afferrai il disegno e uscii dalla stanza attento a non far rumore.
Uscire dall'ospedale, soprattutto dal reparto pediatrico, senza farsi notare, era un'impresa che per la maggior parte delle persone sarebbe risultata difficile, ma io conoscevo questo posto come le mie tasche e avevo passato la giornata a pensare a come fare nei minimi dettagli.
Percorsi il corridoio che per mia grande fortuna era deserto e mi concesse facilmente di arrivare indisturbato davanti allo studio della dottoressa. Le luci erano spente, segno che era andata a casa a riposare o avesse deciso di dormire sul divano del suo ufficio come faceva spesso. Decisi di essere comunque cauto e passai la lettera con il suo nome sotto alla fessura della porta stando attentissimo a non produrre il minimo suono mentre nella mia mente si facevano strada mille immagini di sere passate a giocare a dama o a fare cruciverba con la dottoressa quando entrambi non riuscivamo a dormire.
Completata la fase uno del mio piano, continuai a percorrere il corridoio lentamente, le suole delle mie Converse che toccavano il pavimento liscio fortunatamente erano silenziose e leggere come piume. Voltai il primo angolo e non vidi ancora nessuno, dovevo solo girare a destra di nuovo e sarei arrivato alla seconda destinazione in programma.
Continuai a camminare spedito, ed ero proprio in procinto di svoltare, quando vidi uno dei dottori venire proprio da quella direzione, dandomi pochi secondi per decidere che fare. Imprecai silenziosamente e riuscii a nascondermi all'ultimo proprio dietro alla macchinetta del caffè accovacciandomi il più possibile e maledicendo la mia altezza che di certo non mi faceva passare inosservato.
Stavo per rialzarmi, quando vidi con orrore che il medico si era fermato proprio davanti alla macchinetta e stava guardando il display con aria assonnata e indecisa. Misi una mano davanti alla bocca per ridurre al minimo il rumore e cercai con tutte le mie forze di non muovermi e regolare i miei respiri.
Uno, due, tre respira lentamente Brent, come ti dice sempre la dottoressa Andrews, non pensare al peggio, continua a respirare.
Continuai a ripetermi questo mantra all'infinito, dovevo mantenere il controllo, pensare che in un modo o nell'altro me la sarei cavata come sempre.
Per fortuna, dal rumore che ora faceva la macchinetta e dal profumo di caffè che si stava diffondendo nell'aria, dedussi che il dottore avesse scelto la sua dannatissima bevanda. Il rumore terminò dopo qualche minuto e dal click che lo seguì fui sicuro che il medico stava aprendo lo sportellino per agguantare il caffè che lo avrebbe risvegliato dal torpore.
Ma in quel preciso istante il mio cellulare vibrò, segno che mi era arrivato un messaggio. Il rumore non fu particolarmente forte ma comunque abbastanza da attirare la sua attenzione.
Sentii i suoi passi venire verso di me, eravamo vicinissimi, sarebbe stata una questione di secondi. Cercai con tutte le mie forze di mantenere la calma mentre già pensavo ad una scusa plausibile per spiegare perché fossi nascosto là.
Improvvisamente un rumore risuonò nell'aria e il dottore stizzito, mormorò qualcosa mentre andava via di corsa nella direzione da dove era venuto. Il suono acuto ormai lo conoscevo bene, era il suo cerca persone, probabilmente gli avevano segnalato un'emergenza ed era dovuto accorrere da un paziente.
Uscii da lì dopo qualche secondo e mi affrettai stavolta verso la seconda stanza di sinistra del corridoio. Aprii la porta molto lentamente e vidi i miei genitori dormire su due letti singoli divisi da un comodino nel mezzo. Erano tornati poche ore dopo che i miei amici se ne erano andati, e avevano deciso di passare la notte con me perché secondo loro sarei stato più tranquillo, anche se questo serviva più a tranquillizzare loro che me.
La dottoressa Andrews e il dottor Sheridan avevano fatto un accordo con i miei genitori e molto spesso, quando entrambi desideravano rimanere qui con me durante la notte, gli veniva data una stanza vuota per poter dormire più comodamente.
Li osservai per qualche secondo: mio padre dormiva a pancia in su, con la testa riversa sul cuscino e una gamba penzolante fuori dal materasso, mentre mia madre era in posizione fetale con i lunghi capelli chiari sparsi sulla materasso in modo ordinato. Il rapporto tra di loro mi ricordava molto quello che avevo con Mia, erano molto diversi ma comunque riuscivano ad andare d'accordo e supportarsi sempre.
Sospirai, non avrei mai pensato che sarebbe stato così difficile. Chiusi gli occhi e feci un gran respiro, immaginando posti lontani da qui, prati verdi, cieli tersi e la libertà, la tanto agognata libertà. Li guardai un'ultima volta e posai le due lettere col disegno del leone sul comodino, al loro intorno c'era tutto quello che avrei voluto dirgli.
Chiusi la porta dietro di me e mi avventurai verso l'uscita, ci misi un po' ma non fu particolarmente arduo evitare gli altri dottori che facevano il turno di notte e la receptionist all'ingresso, conoscendo a memoria l'orario delle sue pause bagno e caffè.
Quando il display del cellulare segnò le 4:30, ero ormai nei parcheggi lontano da ogni pericolo. Aprii il gruppo WhatsApp che avevo con i miei amici, dal quale provenivano i messaggi che mi erano arrivati prima, e scrissi che ero fuori dall'ospedale e che sarei stato alla stazione degli autobus tra mezz'ora, luogo dove avevamo pianificato di incontrarci.
Mandai il messaggio e aprii istintivamente la chat con Mia, dalla litigata di ieri non avevo più avuto sue notizie, avevo pensato di scriverle tante volte ma la conoscevo bene e sapevo che quando era arrabbiata bisognava darle spazio e tempo per riflettere. Sentii un'altra fitta allo stomaco e il mio dito andò istintivamente alla tastiera per mandare un messaggio, per sapere se mi avrebbe seguito anche stavolta, ma mi fermai. Dovevo accettarlo, dovevo capire che non tutto sarebbe andato come avrei voluto, non potevo forzarla.
Cercai di calmarmi mentre mi incamminai fuori dal parcheggio lanciando uno sguardo verso l'ospedale dove negli ultimi tre anni avevo vissuto alcuni dei momenti più importanti e difficili della mia vita.
Una folata di vento mi scompigliò i capelli e per la prima, volta dopo tanto tempo, feci un respiro a pieni polmoni.
--
SPAZIO AUTRICE✌🏻🩵
Ciao a tutti miei cari lettoriiii, scusate per il ritardo nel postare il capitolo🥲Comunque, ecco il primo capitolo dal punto di vista della dottoressa, fatemi sapere se vi sembra intrigante e cosa ne pensate.
Nel mentre il nostro Brent è uscito dall'ospedale e l'avventura è in procinto di iniziare. Nel prossimo capitolo inizierà il vero e proprio viaggio on the road e vedrete la prima tappa del gruppo🥳
Che dite, secondo voi Mia si unirà al viaggio?
Anche in questa parte non è successo molto ma come ho detto altre volte non mi piace scrivere troppe parole qua su Wattpad perché penso sia più facile fruire su uno schermo un testo più corto.Spero però vi abbia incuriosito e invogliato a sapere di più!
Fatemi sapere nei commenti che ne pensate, lo sapete, per me i lettori sono la parte fondamentale del processo e avere le vostre opinioni vuol dire tantissimo.
Inoltreeee, dopo il prossimo capitolo vedrete una descrizione del gruppo dei genitori dove ci sarà anche la dottoressa Andrews, uguale alla sezione 🤍personaggi🤍 del gruppo dei ragazzi + una descrizione con foto dei luoghi del gruppo.
E ricordatevi anche di lasciare una 🌟! Il vostro supporto è molto importante.
A giovedì prossimo! ( lo giuro🤣)
-Vitty🌟
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top