9. If I Fell

Capitolo IX. If I Fell

Continuava a procedere a tentoni nel buio, con la mente e con il cuore, troppo consapevole che più cercava di rimettere in sesto le cose, più inesorabilmente le distruggeva. Si svegliò quel mattino con nessun intento di recarsi in facoltà. Non aveva voglia di vedere e sentire nessuno. Oltretutto non aveva chiuso occhio, se non qualche sporadico momento di debolezza dove persino il suo inconscio aveva ceduto, ma era stato un sonno nervoso e agitato. Si era ritrovato aggrovigliato alle coperte e, la prima cosa che fece, prima di alzarsi, fu guardare il soffitto con una mano premuta contro la fronte. Come a voler sorreggere la mente vuota, in stallo, avvolta da un turbinio di pensieri che non toccavano le sue sinapsi ma, anzi, le evitavano. E più cercava di mettere ordine nella testa, più il cervello evitava di elaborare pensieri coerenti. Si alzò in piedi, scostando le coperte con un gesto frettoloso e, raggiungendo la porta, si costrinse a infilare una maglietta per coprirsi, quando sentì che zia May non era sola. Rideva con qualcuno e, la voce del visitatore, era chiaramente quella di Happy; l'ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere; dopo Tony, ovviamente.

Aprì la porta e, quando i due seduti al tavolo - intenti a bere del caffé - lo guardarono, lui ricambiò lo sguardo senza sapere cosa dire.

«Ehi, tipo tosto! Buongiorno», esordì zia May, con un braccio appoggiato allo schienale della sedia e un sorriso radioso a illuminarle il viso. Happy alzò una mano per salutarlo e lui rispose con lo stesso gesto, dirigendosi poi in cucina, silenzioso.

«Come stai, Peter?», chiese l'uomo, con un tono dolcemente impacciato, chiaro segno che voleva mostrarsi premuroso nei suoi riguardi sono per fare colpo su zia May. Un comportamento che lo disturbò.

«Bene», rispose, laconico. «Tolgo subito il disturbo e vi lascio alla vostra colazione.»

Happy sospirò. «Veramente sono qui per te.»

Peter tornò in sala con una tazza di latte freddo e una ciambella stretta tra i denti, mentre Happy si girava a guardarlo con un sorrisetto che lo fece sentire un ragazzino idiota bisognoso d'affetto.

«Se sei qui per farmi una ramanzina per quello che è successo in questi giorni, sappi che ci hanno già pensato tutti, Fury compreso. Ho capito l'antifona e non mi va di parlarne», tagliò corto e, con un gesto frettoloso, cercò di raggiungere di nuovo camera sua, scuotendo la testa, già di pessimo umore.

«No. Sono qui per parlare di Tony», ammise l'uomo, e quella frase ebbe il potere di fermargli i piedi nudi contro il pavimento, anche se avrebbe voluto fingere di non averlo sentito e proseguire il suo cammino. Si voltò.

«Ti ha mandato lui?»

«No, non sa nemmeno che sono qui. So che ieri avete parlato, dopo che gliel'ho detto io e da quanto ho capito le cose non sono andate esattamente come speravo», sospirò Happy, in risposta, arricciando poi le labbra, mentre zia May passava lo sguardo su entrambi, come se stesse seguendo una partita di tennis. «Sai dirmi di più?»

Peter sospirò e strinse di più la tazza di latte tra le dita. Diede un morso alla sua ciambella e tornò indietro, sedendosi di fronte al tutore legale del suo ex e, posando la sua colazione sul tavolo, si passò una mano tra i capelli e incrociò le braccia al petto.

«Ha ammesso che glielo avessi detto tu, di parlarmi. Più che ammesso, ti ha accusato di averlo forzato a farlo, e che per lui era solo un'enorme scocciatura. Non è stata una conversazione particolarmente risolutiva, ho solo avuto l'impressione che avesse bisogno di accusarmi ancora di aver... non so, rovinato tutto? Happy, non avevo intenzione di combinare guai, te lo assicuro», spiegò e, sconfortato, poggiò la schiena alla sedia.

«Nessuno ha mai intenzione di farlo, presumo. Dice che sei distratto, ultimamente. Che non ti concentri e fai di testa tua. È vero?»

Sì. Sì, era vero e per quanto fosse convinto di dover difendere la sua posizione, Peter sapeva che non aveva modo di farlo davvero. Aveva sbagliato, questo sì, ma tra tutte le reazioni che gli erano piombate addosso da chiunque, quella di Tony ere stata troppo inaspettata, troppo imprevedibile e, dentro di sé, aveva sperato che lui potesse difenderlo, o magari perdonarlo, aiutarlo a capire quale fosse il problema e risolverlo insieme, invece di lasciarlo e non solo in senso sentimentale, ma anche umano. Arricciò le labbra. «Sì, è vero.»

«Perché? Se fossi qualcun altro ti direi che ti sei montato la testa, ma non tu, Peter. Dunque», esordì Happy. Si mosse sulla sedia, incrociando le mani tra loro sul tavolo e tossì. Non era bravo, con le parole e nemmeno con i concetti. Era uno pratico, a cui non piaceva girarci intorno e Peter sapeva bene quanto fosse difficile per lui quel tentativo di fare da tramite e, un'altra cosa che Peter sapeva molto bene, era che lo stava facendo soprattutto per fare colpo su zia May. «È successo qualcosa che non sappiamo?»

«No, non è successo niente che non sapete», rispose, e quando ricevette un'occhiata sospettosa da parte di entrambi, sospirò. «Be', forse una cosa è successa. Ultimamente gli era presa la fissa di babysittarmi e, qualche giorno fa, ha inserito un software di blocco sulla mia tuta. Dice che serve per - aprì le virgolette con le dita - salvarmi la vita nel caso di un corto circuito del sistema. In più sembrava volermi controllare, come se io non fossi capace di cavarmela da solo nelle missioni. Come se, senza di lui, io non sia capace di fare niente di niente. E... be', è stato frustrante, finché è durato. L'ho vissuto con una certa infelicità questo suo perenne bisogno di controllarmi e monitorarmi.»

«Sei proprio sicuro che fosse questo il suo intento? Magari era solo una premura da fidanzati?», chiese zia May, cercando la sua mano per stringerla, ma Peter non le permise di trovarla. Si rizzò sulla schiena, indignato e, con una breve risata senza entusiasmo, le puntò gli occhi addosso.

«Premure da fidanzati? Andiamo! Stiamo parlando di Tony. Vi prego, possiamo ammettere, anche solo per un secondo, che agisce spesso con secondi fini e che cerca di camuffarli in quelle che voi chiamate premure? È fatto così, lo sappiamo tutti, lo so io per primo ma l'ho sempre accettato. Non mi ha mai usato, sfruttato, manipolato, ma so che quando vuole ottenere qualcosa, è capace di mettere su un teatrino drammatico che convincerebbe chiunque a fare tutto quello che vuole. O a convincerti che un software di blocco non è altro che una sicurezza in più, quando il vero fine è quello di bloccarmi quando faccio qualcosa che non gli piace.»

«E lo ha fatto? Durante le missioni dove hai fatto di testa tua e lui se l'è presa, ti ha bloccato le funzioni della tuta?», chiese Happy, guardandolo sospettoso.

«No, non lo ha fatto», ammise ancora, e sentì un groviglio oscuro attorcigliato intorno al cuore e alla pancia. Ci mise tutto se stesso per non piegarsi a quei dolori intercostali dati dall'ansia e dalla consapevolezza che, alla fine, aveva fatto tutto da solo.

«Dunque? Pensi ancora che ti stesse... com'è che hai detto? Babysittando?»

«Senti, è complicato. Ammetto di aver agito sotto l'influenza di infinite paranoie, ma anche lui ultimamente era strano. Fissato con questa cosa di non lasciarmi mai solo in missione, e quando non poteva esserci lui mi affibbiava qualcun altro. Non so di cosa avesse paura, ma ha esagerato e io... io non penso di essere completamente dalla parte del torto, per questo speravo di parlare con lui e chiarire. Non me lo ha permesso, e io non ho più nulla da dirgli.»

«No, non hai completamente torto. Lo ammetto. E sì, ultimamente ti stava un po' pressando con questa cosa di non lasciarti solo, ma non so cosa c'è sotto. Posso solo immaginare che sia preoccupato per te, tutto qui», disse Happy, e in qualche modo fu felice di averlo sentito ammettere che qualche ragione l'avesse anche lui. Si rilassò sulla sedia e, con un sospiro, lo ringraziò tacitamente per averlo fatto.

«Così all'improvviso? Happy, non era così. Non è mai stato così. Ammettiamo che si stia davvero preoccupando per la mia vita e sia così imparanoiato da avere questo impellente bisogno di proteggermi», esordì, soppesando quella parola con un certo fastidio, siccome la sua idea del loro team era quello di collaborare e non di proteggersi a vicenda. «Tra i due, chi rischia di più la vita, in uno scontro? Senza l'armatura Tony... Tony non... non è niente.» Ammetterlo gli fece un male cane. Ammettere che, tra i due, quello forte fosse lui, gli pesava sulla coscienza. Era la verità, ma Peter sapeva quanto era stato difficile per Tony accettare quel fatto e, per rispetto e per l'orgoglio che li accomunava, non parlavano mai di quel fatto. Era semplicemente così che andavano le cose, e avevano sempre lasciato che continuassero a quel modo; almeno finché Iron Man non aveva deciso di fargli improvvisamente da mamma.

«Un genio, playboy, miliardario, filantropo», sbottò Happy, citando una delle frasi preferite di Tony, con un mezzo sorriso malinconico sul viso. Forse non era lì solo per far colpo su zia May e, conoscendolo, forse non era lì nemmeno per lui, ma per Tony sì. Quando i coniugi Stark erano morti, Happy si era occupato del loro figlio e, anche ora che Tony era maggiorenne, continuava ad essere una presenza fondamentale nella sua vita, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Peter si sentì in colpa per aver detto quelle cose, ma dopotutto le pensava. Ed era certo che Happy fosse perfettamente consapevole di come era fatto Tony. Lo conoscevano fin troppo bene, probabilmente allo stesso modo.

«Non volevo dire che To-»

«No, è la verità. Senza l'armatura non è nessuno, e tu senza quel vestito puoi ancora essere Spider-Man. Peter, non so perché sia arrivato a tanto, ma proverò a scoprirlo e vedrai che ne verremo fuori. Tu promettimi che nel frattempo te ne starai nell'ombra e non te ne andrai in giro a combattere il crimine. Solo per un po', il tempo di calmare le acque allora S.H.I.E.L.D. e a villa Stark. Puoi farlo?»

«Non lo so», si sentì di ammettere, e quando zia May aprì la bocca per ribattere, fu lui a prenderle la mano e a fermarla prima che potesse partire con l'ennesima ramanzina. «Non ho più niente, May. Non ho nessuno che mi vuole in missione, non ho la fiducia di Fury e con Tony è andata com'è andata. Per favore, non toglietemi Spider-Man. Vi prego. Prometto che mi limiterò a sventare qualche rapina o a fare qualche ronda, senza immischiarmi in affari più grandi di me, ma vi supplico», si interruppe, e abbassò la testa, quando lo sguardo combattuto di May si fermò sul suo.

«Peter, devi promettermi che non ti metterai nei guai. So che ti hanno registrato, quei cosi volanti e non mi piace l'idea che qualcuno ti stia dando la caccia. Che dia la caccia a Spider-Man. So quanto è importante per te e so che togliertelo ora significherebbe privati di una tua identità, ma se vuoi che accetti me lo devi promettere», disse, seria, e quando Peter tornò a guardarla, si rese conto di non averla mai vista così seria in vita sua. Le strinse solo di più la mano e, infilando gli occhi nei suoi nel solo ed unico tentativo di rassicurarla, annuì.

«Te lo prometto.» Lo disse convinto, e sperò di poterla mantenere, quella promessa, perché se c'era qualcuno che non voleva deludere, era di certo zia May.

«D'accordo. Va bene, d'accordo.» Happy alzò le mani, in segno di resa, con un sospirò abbandonato tra le labbra schiuse. «Fai quello che senti ma non combinare guai. Io e te non ci siamo mai visti e questa conversazione non ha mai avuto luogo, intesi?», domandò poi, alzando tutte e due le sopracciglia, in una delle sue espressioni più buffe che un po' lo fece ridere.

«Ricevuto! Vado a prepararmi», rispose e si alzò in piedi, ma prima di raggiungere la sua camera si voltò di nuovo verso di loro. «E... grazie per questa chiacchierata. Forse... forse ne avevo bisogno.»

«Forse ne avevo bisogno anche io», sorrise Happy, e Peter era convito che fosse così.

Malgrado tutto, quella chiacchierata con Happy gli aveva tirato un po' su il morale. Non tanto perché gli aveva assicurato che avrebbe parlato con Tony, perché era certo che anche solo provarci sarebbe stato solo l'ennesimo buco nell'acqua, ma perché sapeva che anche per il tutore legale dell'altro, quella faccenda sembrava irreale. Peter si rendeva perfettamente conto che le motivazioni di Tony erano più che valide ma, in un certo senso, lasciarlo senza dargli nemmeno un'altra possibilità, non sembrava esattamente un comportamento che gli si confaceva. Vero anche che Tony era un tipo fermo nelle proprie decisioni, che se lo aveva fatto doveva esserne totalmente sicuro, ma Peter continuava a vedere, in quella decisione, altre ragioni che gli erano oscure. Gli sembrava assurdo che, quell'improvvisa confidenza con quel tizio, Harley Keener, potesse essere una di queste. Nemmeno il fatto che l'amore fosse sfumato lo convinceva più di tanto, visto che la sera stessa avevano guardato un film insieme e, malgrado le tensioni, Tony gli era sembrato lo stesso di sempre e, dopotutto, lui era uno che non riusciva a nascondere un fastidio. Oltretutto, quando gli aveva anche solo provato a dire che se voleva chiudere con lui poteva farlo, l'altro ragazzo aveva reagito saltandogli praticamente addosso per convincerlo del contrario.

Era difficile rassegnarsi a una storia finita, se alla base non c'erano né la fine di un amore, né un tradimento, ma solo una delusione fortissima e la perdita di fiducia nei suoi riguardi. Perché, in fin dei conti, Peter era convinto di poter rimediare ai suoi errori, e dimostrarglielo. Non sapeva ancora come, ma avrebbe fatto di tutto per riuscirci.

Si sentiva dannatamente determinato, anche se era perfettamente cosciente che quell'atteggiamento sicuro non sarebbe durato a lungo. Si conosceva troppo bene ma, finché sarebbe durata, avrebbe sfruttato quell'energia positiva.

Così raggiunse la facoltà, più che convinto a seguire seriamente le lezioni - e non cadere nello stesso errore di due anni prima, quando aveva perso la voglia di studiare e, di conseguenza, la borsa di studio, proprio a causa del suo cuore spezzato. Non appena si avvicinò all'entrata, scorse Ned e MJ intenti a chiacchierare con quel tipo della sala audio, Quentin Beck. Non si era soffermato molto ad analizzare quel tipo, ma gli sembra a posto. Insicuro e esuberante, gli somigliava un po' e, anche se non gli piaceva pensare certe cose, gli faceva un po' pena vederlo quasi euforico mentre parlava con i suoi amici. Come se non fosse abituato a certi legami. Non che lui fosse il re della festa, ma Ned c'era sempre stato e MJ, per quanto fosse quello che era, poteva contare su di lei. E sulla sua sincerità corrosiva. Si avvicinò, con un sorrisetto e, quando lo notarono, i tre lo salutarono.

«Peter! Hai visto chi abbiamo incontrato? Il nostro fido tecnico audio! Si è offerto di darmi qualche lezioni con quei così, a patto che gli concediamo di pranzare con noi», sorrise Ned, e Beck alzò una manina verso di lui.

Peter scosse la testa. «Da quando in qua baratti pranzi con delle lezioni? Insomma, ovvio che può pranzare con noi, ma non ne farei un pagamento per qualcosa.»

«Ho tentato di dirgli che la cosa risulta un po' patetica, ma entrambi pensano che vada bene così», sospirò MJ, ma fu felice di vederla più tranquilla, nei riguardi di Quentin. Non aveva dimostrato gran simpatia per quel ragazzo, ma pareva ricreduta. Se c'era una cosa che Peter non voleva più vedere, erano i rapporti con qualcuno che si sfaldavano per colpa dei preconcetti.

«I tuoi amici dicono che non c'è problema se passo un po' di tempo con voi. Dunque, se per te non è un problema...»

«Assolutamente. Figurati, più siamo meglio è. Di questi tempi più siamo meglio è!», esclamò e si sentì in dovere di dargli una pacca sulla spalla, che quello apprezzo con un guizzo divertito, come se fosse la prima che riceveva in tutta la vita. Peter si sentì quasi un figo, vicino a lui. Non era mai stato particolarmente bravo a fare il leader tra le persone, ma in questo momento si sentiva quasi che, tutti e tre, stessero aspettando la sua approvazione per restare insieme. Fu una sensazione che un po' lo tirò su ma un po' lo spaventò. Ultimamente, prendersi delle responsabilità, non era proprio il suo forte.

«Sì, Ned mi stava appunto dicendo che non te la passi bene, ultimamente. Ha parlato di un cuore spezzato. Magari ti serve svagarti un po'», asserì Beck, con una purezza invidiabile, senza filtri, forse troppo lontano dal suo modo, almeno per quanto riguardava le relazioni amorose. Di certo una frase fuori luogo ma, di fatto, non era colpa sua; ma della lingua lunga di Ned, a cui lanciò uno sguardo omicida.

«Che c'è? Mi ha detto che ti ha visto distrutto, ieri. Gli ho spiegato che non sei al top», si difese, alzando le spalle e Peter decise semplicemente di far finta di niente.

«Diciamo di sì, ma la sto superando. Hai lezione, Quentin? Che corso frequenti?», domandò poi, un po' per fare conversazione e un po' per cambiare argomento.

Beck lanciò un'occhiata alla porta d'entrata, poi lo guardò di nuovo. «Tra poco ho una lezione. Studio Ingegneria. Sono al terzo anno.»

Lo stesso corso di Tony, pensò, ma Quentin era un anno avanti. Dunque non frequentavano le stesse lezioni. Ecco perché non lo conosceva ma, anche fosse stato, dubitava che Tony avrebbe dato corda ad un tipo del genere. Non poteva nascondere che fosse un po' sopra le righe.

«Oh, bene. Un ingegnere. Noi siamo al corso di Chimica ma immagino che Ned te lo abbia già detto», sorrise, lanciando un'altra occhiata machiavellica in direzione del suo migliore amico, che si ritrasse, confuso. MJ non sembrò stupita dalla sua reazione, e Peter sperò con tutto il cuore di restare presto solo con loro, nel tentativo di parlare della conversazione avuta con Happy.

«Sì, sì. Mi ha già detto abbastanza, devo ammetterlo. Anche del fatto che è l'uomo dietro al computer!», sorrise ancora Quentin, e Peter non poté fare a meno di gelare sul posto. Che accidenti gli aveva raccontato? Spero vivamente che non gli avesse rivelato, senza alcuna remore, che lui fosse Spider-Man. «Be', vado. Ci vediamo dopo in mensa, allora! E poi per la nostra lezioni nella sala audio», continuò il giovane, poi rivolto a Ned che annuì e sorrise a trentadue denti, di fronte a quella prospettiva.

«Sì, sì. Ci... ci vediamo dopo, d'accordo», disse, e sperò di non averlo detto con troppa angoscia; con troppa aspettativa di vederlo andare via. E, quando successe, prese Ned per un braccio, stringendolo.

«Peter, mi stai facendo male! Ti devo ricordare che hai il doppio della forza di un essere umano normale?», si lamentò. MJ si mosse sul posto, agitata.

«Te lo voglio staccare, questo braccio! Che accidenti gli hai detto? Ned, Spider-Man è un segreto che hai giurato di mantenere e, se non fosse per il fatto che voi due lo avete capito da soli, io non avrei mai avuto il piacere di dirvelo. Lo sapete che è così!»

«Non gli ho detto niente. Mi ha solo chiesto perché volessi imparare ad usare i mixer, e gli ho semplicemente detto che ogni tanto ti do una mano con i progetti allo S.H.I.E.L.D., quando sei in laboratorio per lo stage», rispose Ned, cercando di divincolarsi da quella stretta, che Peter non aveva alcuna intenzione di allentare. Non finché non avrebbe avuto le sue risposte; quelle che lo avrebbero tranquillizzato. Non ci voleva anche l'ennesimo fanatico a conoscenza della sua doppia identità. Men che meno un tipo così strano.

«Gli hai detto dello stage? Perché? Ned... lo sai che non voglio che la gente lo sappia! Lo sai perché sono lì, e non è per analizzare provette o sperimentare chissà cosa per gli Avengers.»

«Be', non è mica un segreto che sei lì! Ci prendi dei crediti, no?»

«Gli ho detto di tacere, che se avesse voluto sapere qualcosa nei tuoi riguardi, avrebbe dovuto chiederlo a te, ma lo sai che mister boccalarga non sa tenere la bocca chiusa», intervenne MJ, e la sua ira velata di menefreghismo lo rassicurò del fatto che no, non stava esagerando a reagire così. Odiava esporsi, specie quando si trattava della sua vita al di fuori del MIT. Ned era intollerabilmente un pettegolo incapace di tacere.

«Che altro gli hai detto?»

«Nulla! Mi ha chiesto se fossi amico di Stark, ma ha detto che sei stato tu a dirgli che lo conoscevi. Dunque perché avrei dovuto mentire?», continuò Ned e, per quanto Peter avrebbe voluto stritolargli il braccio fino a spaccarglielo per la sua impudenza, lasciò la presa prima di perdere la pazienza e farlo davvero.

«Tony? Gli ho solo detto che eravamo compagni di scuola al liceo. E lui ha chiesto se un giorno glielo faccio conoscere. Perché tutto questo interesse nei suoi confronti?», domandò, più a se stesso che a Ned.

MJ rise senza entusiasmo, incrociando le braccia al petto. «Oh, cos'è? Hai paura che anche lui te lo voglia rubare, signor gelosia

Le riservò un'occhiata velenosa. «No, mi fa strano che faccia tante domande, tutto qui. È un tipo strano.» Mj sospirò, e non ebbe bisogno di dire altro, perché Peter capisse di avere ragione.

«Mi dispiace, bro. Sul serio. Non gli avrei mai detto niente, ma è tipo... persuasivo. Con quella sua parlantina, quel suo modo un po' inusuale di metterti a tuo agio», cercò di giustificarsi Ned, e si tastò il braccio, ed era evidente che gli avesse scaricato addosso tutta la sua frustrazione e la paura di aver appena sputtanato la sua doppia identità con un perfetto sconosciuto.

«Per favore... ti prego, la prossima volta che ti farà delle domande su di me, digli di rivolgersi al diretto interessato. Ned, io mi fido di te, ma te lo chiedo in ginocchio: quando si tratta della mia vita privata - e Spider-Man è molto privato - vorrei sentirmi un minimo tutelato, d'accordo?»

Ned abbassò la testa, mortificato, e Peter si sentì dannatamente in colpa per aver reagito a quel modo ma non era per niente un bel periodo e gli ci mancava solo la paura di venire smascherato da tutta la facoltà e, di conseguenza, dal mondo intero. Un incubo decisamente ricorrente, e terribile.

«D'accordo, promesso. Mi dispiace.»

«Non dirlo più. Ora entriamo. Ho già perso abbastanza lezioni, questi giorni», sospirò, e tentò un sorriso che seppe non essersi palesato come avrebbe voluto. Quando salì le scalette che lo avrebbero portato alla porta di ingresso, i suoi piedi erano pesanti. Come se tutto il mondo gli si fosse appoggiato sulle spalle, nell'intento di schiacciarlo.

Continua...

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