8. No Reply
Capitolo VIII. No Reply
Se c'era una cosa che Peter non riusciva proprio ad accettare era il distacco. La cosa peggiore era il fatto che conosceva perfettamente quella sensazione. L'aveva – anzi, l'avevano già provata, entrambi, due anni prima. Trovarsi però dall'altra parte della barricata, quella pregna di colpe, era un'altra cosa. Quando era stato lui a lasciare Tony, per quanto lui non avesse mosso alcun passo, c'era stata speranza. Dopotutto lo aveva accusato di cose terribili, che Peter sapeva che non aveva nemmeno mai pensato davvero, e lo aveva aspettato. Per tanto. Forse per troppo, ma alla fine l'altro era tornato, aveva ammesso i suoi errori, aveva chiesto scusa, ed erano tornati insieme. La cosa paradossale era che Peter ci aveva provato, a fare lo stesso, senza aspettare così tanto tempo da peggiorare le cose. Era denigrante, assurdo, che Tony quelle scuse non le avesse nemmeno prese in considerazione. Le aveva solo gettate al vento, e continuava ad essere inamovibile. Come se, in qualche modo, non avesse nemmeno la voglia di combattere per rimettere insieme i pezzi e, a parte chiedere scusa ancora e ancora e ancora, Peter non sapeva che altro fare.
Forse l'ultima era rassegnarsi, ma era difficile. Specie quando, negli occhi di Tony, lo vedeva ancora l'amore che bruciava per lui. E faceva male. Troppo male.
Lo guardò sospirare, poi rivolgergli uno sguardo quasi obbligato. Quasi come se fosse costretto a dedicargli un'attenzione che non meritava.
Fu in quel momento che si rese conto quanto ciò che erano sembrava già un ricordo lontano, ma indelebile.
«Era Happy. Dice che devo parlarti, che dovremmo chiarirci, ma non ne ho molta voglia, sinceramente», esordì Tony, mentre infilava il cellulare nella tasca dei jeans, quando si avvicinò abbastanza. Non lo salutò nemmeno, e Peter non si scomodò a farlo al posto suo. O meglio, non ci riuscì. Vide con la coda dell'occhio MJ e Ned fermarsi su una panchina a debita distanza, più che intenzionati però a non lasciarlo solo. La cosa lo rassicurò e, allo stesso tempo, lo turbò. Stava parlando con Tony, si erano lasciati da due giorni e non si era mossa una sola foglia fino a quel momento. E se non fosse stato per Happy forse non sarebbe accaduta mai, una conversazione tra di loro.
Alzò le spalle, cercando di mostrarsi per nulla teso, di certo senza successo. Era un libro aperto, specie per Tony. «Non sei obbligato a farlo, se non ne hai il piacere.»
«Dovrei?», replicò l'altro, piccato, poi sospirò. «Senti, non siamo bravi a parlare. Non lo siamo mai stati. Questa è una gran bella aggravante, e sinceramente non ho molto più da dire di quello che ho già detto quel giorno.»
«Non pretendo che tu ci ripensi, vorrei solo parlarne in un contesto più tranquillo e con te che non dai di matto senza lasciarmi parlare!», ribatté Peter, e fece un passo verso di lui, abbassando la voce, nel tentativo di non farsi sentire. Già non amava che la gente conoscesse gli affari suoi, figurarsi quelli sentimentali...
«Per risolvere cosa? Non ti è chiaro il motivo, Peter? Non ti è chiaro cosa hai fatto? Non ti è chiaro in che situazione mi hai messo? Cosa? Vuoi delle spiegazioni? D'accordo, cosa vuoi sapere? Andiamo, se è questo che vuoi, lo avrai.»
«Come puoi pretendere che due anni si possano cancellare così, in un secondo, senza nemmeno confrontarci? Come puoi solo pensare che una cosa così possa finire senza nemmeno discuterne?»
«Ci siamo confrontati. Ho fatto la mia scelta, e tu la tua. Avresti potuto dimostrarmi che non sei l'idiota che credevo, e invece hai preferito agire di impulso, rovinare tutto e infine eccoci qua, come quella volta, solo che le cose sono diverse, ora.»
«Diverse? Tony, mi hai accusato di aver ucciso i tuoi genitori, quella volta. Non sei venuta a chiedermi scusa per averlo solo pensato, anche se sapevi di aver lanciato accuse ingiuste e terribili, quasi imperdonabili. Non hai cercato di rimediare al tuo errore, eppure siamo tornati insieme, ti ho dato una possibilità di riscattarti e lo hai fatto; cosa c'è di diverso, da quella volta? Solo perché stavolta sono io, quello che ha sbagliato, non significa che tu debba privarmi del dialogo che ti sto chiedendo.»
Tony alzò le sopracciglia. «Non ho cercato di rimediare?», chiese, retorico, sbuffando una risata amara, per nulla divertita. «Ci ho provato e tu mi hai negato quel dialogo che io ricercavo. Te ne sei andato, ti sono venuta a cercare e mi hai cacciato via, dicendo che no, le cose non potevano tornare come un tempo. Non ho desistito, ho cercato di rimediare in tutti i modi, rincorrendoti ancora e ancora. Ho continuato a rincorrerti anche dopo, quando siamo tornati insieme, fino a due giorni fa, cercando di convincerti che tirare la corda sugli stessi errori poi spacca le cose. Non hai voluto capire e ora siamo arrivati a questo. Alla mia scelta di non rincorrerti più e di togliermi dalle spalle la responsabilità di vederti morire o combinare altri casini solo perché sei troppo idiota per seguire un consiglio; sei così ottuso che hai pensato ti stessi babysittando, quando quello che cercavo di fare era responsabilizzarti. Non ci sono riuscito ed ora ho deciso che non è più un mio problema.»
«Dunque ero un peso e siccome il dialogo non fa per noi, hai pensato bene di mettermi alla prova piuttosto che parlar chiaro.» Peter incrociando le braccia al petto, la mascella indurita, le labbra che tremavano, le mani che gli formicolavano, cariche di pugni che avrebbe volentieri inflitto su quel volto tirato che continuava a giudicarlo come un ragazzino idiota incapace di comportarsi a dovere.
«Non un peso, ho detto una responsabilità. Stavamo insieme, avremmo dovuto essere pari, invece ti ho praticamente fatto da madre. E sai qual è la novità? Non spetta a me il compito di crescerti, e so che è sorprendente da credere, ma è così. Persino io l'ho capito tardi», concluse, puntandogli il dito della mano sinistra sul petto. Percepì il tremore delle sue falangi sulla gabbia toracica. «Non sono più disposto a transigere. Fury ti ha dato tempo di rimediare, e ti perdonerà, perché gli sei sempre piaciuto e perché sei una risorsa su cui fa affidamento. Ma è lui che comanda per loro, io non decido per lui, ma per me. E abbiamo chiuso, questo è tutto.»
Cadde un silenzio distruttivo, come se un meteorite avesse appena colpito la terra e tutto avesse cessato di esistere, persino loro. Ci fu un'occhiata troppo intensa per credere che quella storia stesse finendo davvero a quel modo, non per colpa di Peter Parker ma di Spider-Man. Impulsivo, stupido, infantile, utile solo perché aveva grandi poteri, ma a quanto pareva non più dotato di quelle grandi responsabilità che aveva sempre creduto gli pesassero addosso. In Tony c'era la determinazione di chi sa cosa vuole. Di chi ha pensato abbastanza da avere il coraggio di chiudere qualcosa di così grande, di così ardente, per una cosa che a Peter era sempre mancato: l'amor proprio. Era chiaro che anche lui ne stesse soffrendo, ma aveva capito qual era la cosa migliore perché potesse smettere di farlo. Amare non era semplice, ma nemmeno accettare di farlo anche stando divisi, sperando di dimenticarsi. Eppure sembrava la scelta meno distruttiva di tutte e, in qualche modo, Peter seppe che forse era la cosa migliore. Non per lui, ma per loro. Loro intesi come l'unica entità che erano stati fino a pochi giorni prima.
Solo che ignorare quei sentimenti, quando questi c'erano ancora, era paragonabile a metterlo di fronte alla scelta di voler vivere o morire. Perché Tony era diventato tutto, una costante, un motivo per svegliarsi la mattina e dare il meglio di sé; non quello di alzare le mani e distruggere tutto quello che toccava, come era successo alla loro relazione.
«Chiaro», mormorò, spento. «Happy ti ha detto altro che devo sapere?»
Tony sospirò, visibilmente alleggerito dall'idea che quella conversazione fosse finalmente giunta al termine. «A parte dirmi di parlarti e rinsavire, pensado che il problema sia mio? No, nient'altro.»,
«Come sapevi che ero proprio qui davanti?»
«Abbiamo ancora il GPS collegato. Anzi, lo scollego subito. Ti tolgo questo peso di sentirti ancora babysittato. Almeno sarai felice. Ora posso andare?»
Felice. Peter non rispose, lo guardò solo per un istante che parve un'eternità, scoprendo poi, quando il contatto visivo si spezzò, che era durato meno di quanto avrebbe voluto. Si scansò di lato e lo lasciò andare. Non si salutarono, non si lanciarono neppure un'occhiata. Era finita davvero, e a differenza di quella volta, nessuno sarebbe tornato a parlarne per risanare le cose e ricominciare.
«Peter?», domandò Ned, incerto, e non li aveva neppure sentiti avvicinarsi, i suoi amici. Sospirò e, cercando di sorridere, si sistemò meglio lo zaino sulle spalle.
«Ho bisogno di stare un attimo da solo, okay? Ci vediamo dopo in mensa.»
Non avrebbe raggiunto la mensa. Non avrebbe nemmeno partecipato alle lezioni pomeridiane. Sarebbe stato solo un inutile spreco di energie, visto che non aveva alcuna attitudine alla concentrazione, ora come ora. Si ritrovò di nuovo vicino al campo di rugby, stavolta vuoto e, infilando le dita nella rete che circondava il perimetro del campo, strinse le dita intorno al filo spinato, tremando. Chinò la testa verso l'erba verde di quel giardino, prima di chiudere gli occhi e lasciare che quegli eventi gli scivolassero sulle spalle, improvvisamente, pesanti come macigni.
«Stupido», mormorò, a denti stretti. «Stupido, stupido, stupido», continuò, poi indietreggiò, sedendosi a peso morto su una panchina poco lontana. Infilò lo zaino tra i piedi e alzò la testa verso cielo, senza sapere cosa fare. Aveva costretto Fury a interrompere le indagini sui droni, per preservare la sicurezza sua e dei suoi uomini. Si era fatto registrare, rischiando di morire per mano di quegli aggeggi volanti. Aveva deluso Tony, fatto preoccupare Natasha e stava per prendere un'altra delle sue decisioni senza senso, senza logica, senza razionalità. L'idea migliore era quella di mettere da parte Spider-Man e tornare sul campo quando le acque si sarebbero calmate ma... attaccare al chiodo quella tuta significava perdere la migliore parte di sé, quella che paradossalmente preferiva ma che, a quanto pareva, era stata la causa di tutti quei fallimenti. Non riusciva proprio a non scindere l'eroe dal ragazzo normale – dallo sfigato del Queens. Nella sua testa erano due concetti troppo diversi per pensarli univoci. Tony ci aveva provato a convincerlo che lui e Spider-Man erano la stessa persona, ma era più facile a dirsi che a farsi. Dopotutto dare la colpa al suo alter ego era un po' come scaricargli addosso tutte le responsabilità; eppure a stare male e a sentirsi in colpa, era Peter, che secondo la sua testa non c'entrava niente.
Si nascose il viso tra le mani, e stava per alzarsi in piedi con l'intento di andare a casa e chiudere quella giornata infernale, ma una voce lo destò. Sussultò, e cercò di ricomporsi.
«Ehi. Peter, giusto?» Era il ragazzo della sala audio, dove erano stati quella mattina. Cercò di sorridere, rimanendo comunque seduto sulla panchina, troppo stanco psicologicamente per pretendere di riuscire anche ad alzarsi.
Quello gli si piazzò di fronte.
«Sì. E tu sei Quentin, vero?»
«Quentin Beck, in persona», disse, puntandosi un pollice sul petto. «Assurdo. Ti avrò visto un paio di volte al massimo, prima di stamattina e adesso ti incontro persino due volte nello stesso giorno!», esclamò, con una mano sulla fronte, mentre rideva visibilmente colpito da quel fatto, che a Peter non toccò poi così tanto. Alzò le spalle.
«Sì, già. Strano. Insomma... non hai lezione?»
«No, oggi sono solo di servizio alla sala audio. Ho appena staccato. E tu? Non hai lezione?»
«Sì. L'avrei ma non mi sento del tutto in forma, quindi credo che salterò», spiegò e gli occhi grandi di Quentin parvero spalancarsi ancora di più sui suoi.
«Oh, chiaro. Te ne vai a casa prima, eh! Gran bella fortuna!», esclamò, e a Peter quell'entusiasmo diede quasi fastidio, ma era fin troppo consapevole che fosse colpa del suo umore pessimo. Non voleva scaricare tutta la sua frustrazione su di lui, anche se non ne era in grado, ma era troppo deluso da se stesso per prevedere cosa avrebbe potuto fare in quello stato. Così usò le sue ultime forze per sorridere e, recuperando lo zaino, si alzò in piedi e se lo mise in spalla.
«Vado, ci si vede in giro», disse e, senza aspettare una sua risposta, iniziò ad avviarsi.
«Ah, a proposito! Prima ti ho visto parlare con quel tipo, Tony Stark.» Peter si voltò lentamente, non appena sentì quel nome, anche se il primo impatto fu il gelo totale che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. «Lo conosci bene, da quanto ho visto. Sembravate parecchio in confidenza. Non sono affari miei, lo so, ma è famoso! La gente ha paura di avvicinarlo e ho trovato curioso che tu invece ci stessi parlando in modo tanto animato.»
«Andavamo al liceo insieme», mentì.
Quentin alzò un dito e lo agitò, come se avesse appena fatto un calcolo matematico al volo, trovando la risposta e compiacendosene. «Chiaro. Compagni di liceo. Che invidia. Lo stimo, quel tipo. Sta tirando su un impero tutto da solo e nel frattempo trova il tempo di laurearsi. Chi mai riuscirebbe in una cosa simile?»
«Be', non spetta a me dirlo ma sì... sta lavorando sodo», rispose, non sapendo cosa dire. Non sapendo se chiudere lì quella conversazione fingendo un gran mal di testa o restare lì senza dare a vedere che se stava male, era anche per Tony. Soprattutto per Tony.
«Anche suo padre era uno da stimare. Lui non è da meno. Sei fortunato ad averlo come amico, dico sul serio. Magari un giorno me lo fai conoscere, se ti va», propose ancora e Peter decise che sì, era il momento di troncare lì quella conversazione, siccome Quentin era troppo raggiante per potergli dare corda e, non sapeva perché, ma tutto quell'entusiasmo lo inquietò.
«Sì, d'accordo, magari un giorno te lo presento ma ora... mi dispiace, Quentin ma, seriamente, non mi sento bene. Ho bisogno di andare a casa», disse, impacciato, indicando dietro di sé con il pollice; un piede già pronto ad andare via e chiudere per qualche ora qualsiasi relazione sociale.
Beck sobbalzò sulle spalle e, infilando le mani in tasca con una certa, palese insicurezza, gli regalò un sorriso spento. «Sì, certo. Scusami e che... e che non mi sono fatto molti amici e il motivo è che non sono molto bravo, a volte divento logorroico e invadente, ma non lo faccio apposta e, se ho ficcanasato troppo e mi sono spinto troppo oltre mi dispiace! Sto solo cercando di farmi qualche amico, e pensavo che magari potessimo...»
«È okay, non preoccuparti. Lo capisco, è difficile anche per me e so come ci si sente», cercò di rassicurarlo. «Non sei stato né invadente né logorroico; magari un giorno di questi ti veniamo a trovare in sala audio, ma ora ho davvero bisogno di riposare.»
«Certo, certo! Quando vuoi, ovvio! Buon riposo, dunque, ci si becca in giro», lo salutò e, senza aspettare risposta, se ne andò, decisamente più sollevato.
Peter si era un po' immedesimato in quel comportamento, sebbene quella conversazione su Tony lo aveva più destabilizzato che altro. Parlarne come se non fosse nessuno – anzi, come se non fosse stato nessuno, lo logorava dentro peggio di qualunque altra cosa, solo perché da quel momento in poi le cose sarebbero state diverse e, forse, avrebbe dovuto davvero iniziare a pensare che non erano stati niente, pur di non soffrire e continuare a pensarci.
Era difficile e non ci sarebbe riuscito mai, ma almeno aveva fatto una buona azione e per una giornata come quella, era la cosa migliore che gli fosse capitata.
Continua...
Note autore:
Da autrice maledetta quale sono, non posso che dispiacermi per Peter ma... ehi, in questa storia sono Team-IronMan XD no, scherzo, ma come faccio a fare il tifo per uno solo dei due, io li amo entrambi, solo che Peter è veramente un deficiente, sconsiderato... insomma, mamma stavolta si è schierata leggermente da una parte >_> Vi giuro però che anche Peter si riscatterà. Lo odierete ancora per un pochino, ma poi le cose cambieranno ♥ Promesso!
Un abbraccio e a domenica prossima,
Miry
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