4. A Day In The Life

Capitolo IV. A Day in The Life

«

Certe volte mi domando chi accidenti ti consiglia questi film.»

«Mi intrattengono da morire e sono capolavori del trash! È piaciuto anche a te, non negarlo, Parker!»

«Piaciuto è una parola coraggiosa.»

«Tu non capisci davvero niente, di cinema», commentò Tony, fintamente sprezzante, e Peter alzò le sopracciglia, squadrandolo da capo a piedi; poi scoppiò a ridere, mentre l'altro spegneva la tv, infilandosi sotto le coperte, dove invece lui si era già accomodato. Lo guardò togliersi gli occhiali da vista in un gesto distratto e poggiarli sul comodino. Infine si sdraiò anche lui e, mettendosi su un fianco, lo fronteggiò. Il velo di un sorriso arrogante e divertito gli illuminò il viso.

«Non abbiamo parlato», gli disse Peter, affondando la testa nel cuscino, e Tony gli riservò un'occhiata machiavellica.

«Lo sai che non siamo capaci, no?»

«Sì, lo so, ma stavolta mi piacerebbe che ci riuscissimo. Anche... anche con quel modo goffo che un po' ci appartiene. Non mi va di lasciar correre la cosa così, senza risolverla», gli rispose, guadagnandosi un sospiro stanco e gli occhi al cielo.

«Ebbene? Peter, per me la questione è già chiusa. Sono due i concetti fondamentali di questa vicenda: tu che fai di testa tua e io che mi arrabbio perché non mi dai ascolto. Una minuscola parte di me è ancora arrabbiata con te. L'unica cosa che puoi fare è rimediare cercando di non commettere gli stessi errori; da parte mia cercherò di essere meno insofferente a riguardo, se pensi che ti stia pressando.»

«Mi stai pressando», ammise Peter, poi assottigliò le labbra quando ricevette addosso il secondo sospiro stanco. «Dimostrami che ti fidi di me, una volta tanto! Io la smetterò di comportarmi come se non avessi delle regole da seguire!»

«Non lo capisco, il tuo discorso, santo cielo! Ieri hai fatto un casino. Ti sei buttato come uno scavezzacollo nella tana dei leoni, quando ti avevo espressamente chiesto di mantenere un profilo basso. Io mi fido di te; sei tu che a volte non so cosa accidenti ti prende e me la fai venir meno, questa fiducia. Sarò pressante, ma non è qualcosa che viene dal nulla, è una conseguenza. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, no? Tu fai lo stronzo? Bene, lo faccio anche io. Mi pare che il discorso fili», sbottò Tony, a denti stretti e fu il turno di Peter, quello di alzare gli occhi al cielo. Si mosse sul materasso, abbandonando la postura di fianco per mettersi sulla schiena, con le mani incrociate sullo stomaco. Fissò il soffitto e senti gli occhi dell'altro addosso, ma era più che intenzionato a non guardarlo più. «Peter?»

«Io non faccio lo stronzo. Io... agisco un tantino di impulso, lo ammetto.»

«Un tantino?», pigolò Tony, poi rise senza alcun entusiasmo.

«Senti, hai intenzione di risolverla o di contraddire qualsiasi cosa io abbia intenzione di dirti?»

«Sei tu che vuoi parlare e risolvere. Hai la sensazione che ci sia un problema? Ebbene c'è e se vuoi risolverlo parlando, sappi che lo stiamo facendo. Hai qualcosa da dirmi? Dilla e non girarci intorno come al solito. Se pensi che abbia torto non ti resta che esporre la tua tesi. Sarò felice di ascoltarla», concluse Tony e si prese la testa fra una mano, puntellando il gomito al cuscino, in attesa. Peter ce ne aveva, di cose da dire, ma si rendeva perfettamente conto del fatto che fosse nel torto più marcio. Tony non era certamente la persona più gentile della terra e dire che non era rimasto male da quelle accuse era una bugia, ma dopotutto era fatto così. Non gliele mandava a dire e forse, dopotutto, era questa sincerità che aveva reso quella relazione stabile e duratura, contro ogni previsione. Il problema alla base però era tutt'altro; il problema di base era una paura folle di non riuscire a controllarlo, quel lato impulsivo e irrazionale. Aveva superato la pubertà da un bel po' e, giustificare la cosa in certi termini, pareva ridicolo oltre che un'immensa bugia. Così si voltò di tre quarti a guardarlo e si morse le labbra.

«È per quello che hai detto in laboratorio...», ammise, infine.

«Cosa ho detto in laboratorio?»

Peter esitò. Abbassò la folta corolla di ciglia verso il basso, sospirando aria acida dal naso. Strinse le coperte tra le dita e, quando tornò a fronteggiare Tony, affogò gli occhi nei suoi. «Chiuso con me», ripeté, e sperò con tutto il cuore che Tony se lo ricordasse, quel discorso. Quella specie di minaccia – no, non era una minaccia, più un avvertimento poco velato, poco gentile, terribile, spaventoso – che gli aveva rivolto dopo la missione. Peter era consapevole che a Tony le parole schizzavano via con duemila intenti diversi, specie quando era arrabbiato e sapeva che quella frase che gli era rimasta tanto impressa, poteva essere stata solo un monito dettato dalla rabbia e nulla più. Lo sperò con tutto il cuore.

Solo che quel silenzio che scese, non lo rassicurò per niente. Si guardarono per secondi interi, che a Peter parvero un'eternità. Ti prego, dimmi che non è così, dicevano i suoi occhi, incastrati in quelli di Tony, che saettavano sul suo viso senza fermarsi un momento. La bocca serrata, senza alcuna intenzione di smentire o confermare quel fatto.

«Tony?», lo chiamò, quando quell'attesa divenne insostenibile.

«Non ricordo nemmeno perché l'ho detta», mentì.

«No, te lo ricordi benissimo! Tu ricordi sempre tutto. Mi hai assicurato che se sbaglio ancora, ho chiuso con te. Se c'è qualcosa che tu devi dirmi, dimmela ora, senza girarci intorno.»

«Dirti cosa?», sbottò Tony, e alzò la voce e di nuovo gli occhi, esasperato.

«Che non vuoi più stare con me.» Il viso di Tony si indurì. Strabuzzò gli occhi, e due rughe orizzontali gli divisero la fronte. Si esibì nell'ennesimo, frustrato sospiro della serata e, scivolando verso di lui lentamente, lo colpì con un bacio, elargito così di getto che gli tolse il respiro. Nessuna parola, nessuna conferma, nessuna smentita, ma un gesto. Uno dei suoi. L'unica arma che aveva per dirgli tante di quelle cose che a Peter bastavano. Gli sfiorò le labbra con le sue, lentamente; gli carezzò le guance, infilandogli poi le falangi tra i capelli, tirandoselo sempre più vicino, più attaccato possibile al cuore e all'anima. Come a volergli dire che il battito cardiaco bastava per quello che voleva sentirsi dire. Poi lo sovrastò, muovendosi sotto le coperte e, senza mai staccare le labbra dalle sue, gli infilò una mano sotto la maglietta. Peter trattenne un mugugno nella sua bocca, che palesò quando si staccarono.

«Idiota», sussurrò Tony, a due centimetri dal suo viso. «Un vero e proprio idiota.»

«È che ci penso da ieri...», ammise.

«Perché sei un idiota paranoico. Avanti, ero arrabbiato!»

«E hai detto che lo sei ancora!», lo rimbeccò, e Tony affondò la faccia nella sua spalla, sospirando.

«Sì, ma non sono arrabbiato come lo ero ieri! Lo sai che quando lo sono per davvero tendo ad ingigantire le cose! Non è facile tenere a freno la lingua, quando sei me», cercò di giustificarsi, e Peter prese quelle parole come delle scuse molto, molto goffe. Alzò le mani per infilargliele nei capelli e carezzarli, bisognoso di un contatto fisico più dolce, che avvalorasse quella tesi. Tony tornò a guardarlo e, con un sorrisetto, gli baciò uno zigomo.

«Non è facile essere te in generale, temo», lo sfidò e, per tutta risposta, si guadagnò un morso sul collo e poi un lento bacio sullo stesso punto dove lo aveva ferito. Questo era Tony: capace di ferirlo e di curarlo allo stesso tempo; promotore di sofferenze e di gioie infinite. Gli si bloccò un senso di vuoto nella gola, che deglutì a fatica, quando quei baci divennero più caldi; letali. Sospirò contro il soffitto, e Tony gli alzò la maglietta scolorita che usava come pigiama, scendendo lentamente con la testa per baciargli il centro del petto, poi gli addominali e, infine, si soffermò sull'elastico dei suoi pantaloni morbidi.

«Tony», lo chiamò e l'altro non sembrò intenzionato a fermarsi. Tirò l'elastico con i denti, prima di regalargli un sorrisetto insolente che voleva dire non ti sto ascoltando. «Tony!»

«Che. Accidenti. C'è?», scandì Iron Man, sbuffando impaziente sul suo ombelico.

«Non... non puoi pretendere di risolvere tutto sempre in questo modo!»

«Pensavo avessimo finito di discutere!», esclamò lui, frustrato.

«Ma non abbiamo nemmeno trovato una soluzione!»

«La soluzione è che non si ripeta mai più quello che è successo ieri! Ormai quello che è fatto è fatto, ed è inutile stare a rimuginarci sopra, visto che non lo puoi cambiare, il passato. Di che altro vuoi discutere?»

«Non lo so! Io... io so solo che sento questa sensazione del piffero che c'è qualcosa rimasto appeso e che andrebbe risanato! Non so cos'è, ma non mi piace sentirmi così, in più per colpa dei sensi di ragno mi sento peggio di quanto dovrei, quando sono in certe condizioni e tu lo sai!» Si nascose il viso tra le mani, convinto che non avesse alcun senso sentirsi a quel modo. Non poteva farci niente, era fatto così. Era Spider-Man che si sentiva così e, per quanto stesse cercando da una vita di non scindere se stesso dall'eroe in calzamaglia, alla fine finiva per farlo e si sentiva diviso. Spaccato in due. Custode di paure, insicurezze doppie, siccome appartenevano sia a Peter Parker che a Spider-Man. Quest'ultimo molto più sensibile per colpa dei suoi sensi.

Tony grugnì esasperato, poi incrociò le braccia sui suoi addominali e vi poggiò il mento. Sbatacchiò le lunghe ciglia, riservandogli un'occhiata pragmatica. «Siamo supereroi, Peter. Abbiamo appena combattuto una guerra verbale, e dopo la guerra di solito si fa l'amore, e io non vorrei venir meno a questa regola sacrosanta. Mi voglio sacrificare per la patria, gettando le armi. Dovresti farlo anche tu; perciò smettila di pensare e rilassati.»

Peter strabuzzò gli occhi, e la raffica di quelle parole gli arrivò addosso come una valanga. «Sei un ruffiano di merda.»

«Sono irresistibile, altroché.» Alzò due dita, in segno di pace, già oltre quella discussione. Già superata, già cancellata, siccome Tony Stark non ce la faceva proprio, a stare fermo in un punto solo e non andare avanti. «Ora posso continuare quello che tu hai interrotto?»

Peter non rispose. Tirò via un sospiro rassegnato e, con un solo gesto, ribaltò la situazione. Gli si sedette sopra, a cavalcioni, prima di chinarsi sul suo viso per rubargli un bacio, con una sfacciataggine che non era propriamente sua ma che, di tanto in tanto, gli apparteneva. Tony lo accolse, prendendogli il viso tra le mani e affondando nel materasso. Si staccarono per un secondo, solo per guardarsi e specchiarsi l'uno negli occhi dell'altro. Era finita La discussione era finita. Almeno per ora e, per quanto non fosse del tutto sereno, Peter decise che l'unica soluzione era quella di non pensarci più. Sarebbe passata da sola.

Si sfilò la maglietta e tornarono a baciarsi, cercandosi con disperata urgenza, finché un cellulare non iniziò a vibrare fastidiosamente sopra al cuscino, costringendoli a fermarsi con una difficoltà fatta di sospiri indecenti.

«Spegni quel coso», lo intimò Tony, indicando l'oggetto con un colpo di mento.

Peter allungò una mano per recuperare il telefono, sbuffando, prima di strabuzzare gli occhi e rizzarsi sulla schiena, ancora a cavalcioni su Tony.

«È Happy», informò, grattandosi la testa già spettinata a dovere dalle dita dell'altro che l'avevano accarezzata selvaggiamente.

Tony buttò la testa all'indietro, contro il cuscino, melodrammatico come sempre.

«Che accidenti vuole? Ha il giorno libero, no?»

«Sì, ma è con zia May! E se le fosse successo qualcosa?», domandò Peter, mentre tutte le peggiori prospettive possibili gli passavano davanti come la pellicola di un film. Rispose subito al telefono e, dall'altra parte, sentì un gran vociare. «Happy?»

«Peter, dimmi che quel maledetto è con te!», sbraitò, subito, senza nemmeno salutarlo, riferendosi a Tony con quell'epiteto poco carino.

«Sì, sono... sono da lui. Che è successo?»

«È successo che Fury lo sta chiamando da mezz'ora e lui ignora le sue chiamate!», esclamò Happy e Peter rivolse a Tony un'occhiata preoccupata che gli fu subito restituita con la medesima. Gli chiese, mimando solo con le labbra, se fosse tutto okay. Peter gli fece cenno di aspettare.

«Fury? Che vuole da Tony?»

«Senti, non ho tempo da perdere. Vi vuole entrambi al Brooklyn Brewery per delle indagini. Ti mando le coordinate e le informazioni per messaggio.»

«Adesso?», domandò Peter, lamentoso, mentre Tony spalancava le braccia sul materasso, avendo chiaramente intuito che no, quella sera non se ne faceva niente.

«Sì, adesso. Dunque finitela di fare quello che state facendo, qualunque cosa sia, e mettete su quelle vostre cose in latex. Passo e chiudo.» La voce di Happy fu sostituita subito da un tu, tu, tu, prima che Peter potesse realizzare quello che stava succedendo e, posando il cellulare di nuovo sul materasso, si alzò in piedi, recuperando i pantaloni arenati in fondo alle lenzuola.

«Missione?», domandò Tony, atono.

«Missione», confermò Peter, poi si stiracchio, stanco morto. «Dopotutto non avevo decisamente bisogno di riposare, dopo due giorni di notti insonni»

«E Happy ha questo dannato potere di interromperci sempre sul più bello, hai notato?», sbuffò Tony, mentre si sedeva sul letto e gli tirava addosso la maglietta. Peter rise e la presa al volo, ma non rispose. Si era spesso chiesto lo stesso.

Happy gli aveva mandato una posizione sul cellulare e, insieme, vi era allegata una serie di informazioni sul da farsi. La Brooklyn Brewery era un vecchio birrificio abbandonato da almeno una decina d'anni, sulla Wythe Avenue. Tony aveva proposto di passare per McCarren Park, così da arginare l'edificio e apparire alle sue spalle, siccome vi erano delle palazzine perfette su cui appostarsi e tenere, dunque, sotto controllo la struttura. Peter avrebbe preferito quella di fronte all'entrata, ma decise che avrebbe assecondato il volere di Iron Man, stavolta; più che altro per non ritrovarsi a discutere ancora sulle loro idee discordanti. Lo seguì arrampicandosi con le ragnatele ad alberi e lampioni, finché non raggiunsero il tetto di una palazzina in cortina e si fermarono.

«Ci siamo», comunicò Tony, all'auricolare. «Chi c'è stasera di turno al centro clienti dello S.H.I.E.L.D.?», domandò, ironicamente, mentre si sedeva sul cornicione del palazzo con le gambe penzoloni e Peter lo imitava.

«Il tuo incubo peggiore, Stark», rispose la voce dall'altra parte, rivelandosi calda e ironica.

«Romanoff! Ci è andata bene! Potevano affibbiarci Barton.»

«Avrei preferito affiancarvi, piuttosto che farvi da guida, ma vengo proprio da lì e Fury dice che in due siete già troppi. Vi aggiorno sulla situazione e, Stark, tieni a freno la tua ironia. Non c'è tempo per i tuoi scherzi da prete.»

«Ma che accidenti ho detto?», si lamentò Tony, e Peter gli diede una gomitata, ben sapendo che sì, le battute non riusciva proprio a tenersele in bocca.

Natasha sospirò dall'altra parte dell'apparecchio, poi si schiarì la voce. «Movimenti sospetti. Abbiamo notato dei droni che si infiltravano dalle finestre del capanno e una luce accesa. Il posto è abbandonato da anni, e da quel che ne sappiamo elettricità e impianti idrici sono inattivi da quel giorno. La compagnia elettrica dice che la situazione è immutata, dunque supponiamo si stiano servendo di alimentatori a batteria e di aggeggi esterni. La porta non è stata forzata, o almeno così pare, ma si tratta di un vecchio capannone in disuso, e non abbiamo dubbi che nel corso degli anni qualche ragazzino si sia intrufolato per disegnare qualche murales o cose così.»

«O fare qualche rito satanico», aggiunse Tony e Peter gli scoccò un'occhiataccia che l'altro aveva dovuto immaginare senza alcun problema, dietro la sa maschera. «Che c'è?»

«Cosa ho detto riguardo le battute, Tony?», lo redarguì Natasha, e Iron Man sbuffò.

«D'accordo, va bene. Cosa volete che facciamo?»

«Monitorare la situazione. I droni non sono ancora usciti dal capanno, da quanto ne sappiamo. Se notate movimenti sospetti avvisatemi immediatamente e, per l'amor del cielo, non intervenite per nessun motivo», spiegò ancora la donna, e Peter guardò Tony, che ricambiò. Nemmeno lui poteva vedere il suo viso, ma l'aveva potuta immaginare, la sua espressione severa che, tacitamente, gli chiedeva di non fare una cazzata delle sue.

Dunque non restava altro che osservare e attendere che succedesse qualcosa. Peter sperò con tutto il cuore, per la prima volta in vita sua, che quella fosse una notte tranquilla e che niente, ma proprio niente, sarebbe potuto accadere. Non voleva ritrovarsi a dover mettere in atto quel suo dannato senso di giustizia che, insieme ai sensi di ragno, gli sballava il buonsenso. Reagiva di istinto perché era quello che predominava quando portava quella tuta, e più Tony gli diceva di tenere un profilo basso, più lui non riusciva a farlo.

«Ti rendi conto che domani partiamo per Malibù e che questa era la nostra serata libera?», sbuffò Tony, all'improvviso, mentre tirava un calcio nel vuoto; gli occhi fissi di fronte a sé, per nulla intenzionato a perdere il contatto visivo con l'edificio abbandonato. Peter sbuffò via una risata.

«Gli straordinari li pagano doppio, no?», commentò ironico, e Natasha rise nell'auricolare.

«Ah, qualcuno vi ha rovinato la vacanza, piccioncini

«Oh, giusto. Non siamo soli. Questa conversazione non è mai avvenuta, okay?», sbottò Tony. «Nessuno rovinerà la vacanza a nessuno. Abbiamo una settimana libera, Fury me la deve!»

«Come sempre le tue pretese sono accontentate, Stark. Hai questa capacità di ottenere tutto ciò che vuoi, con una sola, ineguagliabile dote», gli diede corda Vedova Nera.

«La mia incredibile bellezza e la mia brillante personalità?»

«La pedanteria. Lo hai preso per sfinimento, da quello che dice.»

«Bugie! Sono bugie belle e buone!», sbraitò, e Peter rise, gustandosi per un attimo la spensieratezza di quel momento. Si rilassò, mentendo sul viso un sorriso tranquillo, finché la luce del capanno non si accese, cancellandoglielo in un secondo. Diede una gomitata a Tony, attirando la sua attenzione e, quando anche lui si rese conto di quell'improvviso cambiamento, si alzò in piedi di scatto. Peter lo imitò.

«Si muove qualcosa», comunicò e l'aria si addensò di tensione, facendo cadere nel baratro più profondo la spensieratezza di poco prima. Peter serrò i pugni, mentre un brivido gli percorreva gli avambracci. La pelle sotto la tuta vibrò e al contatto con il tessuto, gli diede quasi fastidio. I suoi sensi si erano accesi e l'adrenalina gli scoppiò nel petto.

«Cosa vedete?», chiese Nat.

«C'è una luce fredda che si intravede da una delle finestre. Un led, immagino. Ho visto qualche ombra muoversi all'interno», comunicò, premendo l'auricolare con un dito contro l'orecchio.

«Ombre umane?», domandò ancora la donna.

Peter aguzzò la vista, assottigliando gli occhi. Il visore sulla maschera gli permise di zoomare l'immagine che gli si presentava davanti e, dopo un lungo minuto di silenzio, riuscì a distinguere alcune figure. «Non solo, sembrano...», si bloccò, non del tutto sicuro di ciò che aveva visto.

«C'è una luce accesa. Devono per forza esserci delle persone lì dentro», suggerì Tony, fin troppo certo della sua affermazione.

Peter si voltò a guardarlo e rispose con un diniego della testa. «No, non si distinguono. Vado a vedere!», esclamò, e prima che potesse alzare il braccio per lanciare una ragnatela, Tony lo bloccò per un braccio.

«Non se ne parla nemmeno! Ci hanno chiesto di monitorare e fare rapporto. Abbiamo visto dei movimenti, e questo basta, al resto ci penseranno loro.»

«E se qualcuno fosse in pericolo? E se ci fosse qualche innocente? Magari hanno rapito qualcuno e lo stanno torturando!», esclamò, melodrammatico, accigliandosi e si liberò dalla stretta, ma Tony lo bloccò di nuovo.

«Peter, non sappiamo a cosa stiamo andando incontro. Questa è un'indagine, non una missione. Se vai lì e ti beccano, rischi di far saltare la copertura, ancora una volta.»

«Non ho intenzione di farmi beccare, voglio solo avvicinarmi alla finestra e vedere che accidenti stanno combinando lì dentro. Non voglio intervenire, voglio solo capirci qualcosa», insistette, poi guardò di nuovo verso l'edificio, «Signorina Romanoff, se mi dà l'autorizzazione, io p-»

«Parker, è troppo rischioso. Non possiamo permetterci di fallire un'altra volta ed è importante che manteniate un profilo basso. Non abbiamo ancora abbastanza inform-»

«Non fallirò! Per favore, sono l'unico che può arrampicarsi sul muro senza farsi né vedere né sentire. Sbircerò solo dalla finestra e poi tornerò qui. Le registrazione potrebbero rivelarsi utili.» Si voltò verso Tony, ancora con la mano ferma intorno al suo braccio, immobile fisso a guardarlo, e chissà quale espressione severa nascondeva, dietro la maschera di Iron Man. «Per favore. Fidati di me, questa volta. Fidati dei miei sensi.»

Scese il silenzio, che Peter sperò di colmare al più presto, siccome non c'era tempo da perdere. I brividi lungo la schiena erano come delle frustate lancinanti sulla carne, che lasciavano segni bollenti. Non poter vedere il viso di Tony lo turbava, ma non voleva perdere l'occasione di rendersi utile senza combinare altri guai. Doveva e voleva dimostrargli che era all'altezza di quella missione; di quel proposito di non farsi beccare; non stavolta.

Tony abbassò la testa, poi sospirò e gli lasciò il braccio. «Hai cinque minuti. Se entro quel tempo non sarai tornato qui, ti verrò a prendere con la forza.»

Peter sorrise dietro la maschera e, senza perdere altro tempo, lanciò una ragnatela su un lampione e, con un balzo, si incollò alla parete esterna del vecchio birrificio abbandonato; si arrampicò accanto alla finestra e, cercando di non esporsi troppo, si sporse per monitorare la situazione. Il vetro era sporco e opaco, ma riuscì chiaramente a distinguere una figura umana che camminava avanti e indietro lungo il pavimento di pietra e, intorno a lui, tante piccole chiazze di colore nero, che Peter non riuscì ad identificare.

«Tutto okay?», sussurrò Tony, dalla cuffia.

«C'è qualcuno, ma non riesco a vedergli la faccia», mormorò, sporgendosi di più, ma si ritrasse quando le sue mani toccarono il vetro e lo fecero scricchiolare. Si abbassò appena in tempo, ma aveva visto con la coda dell'occhio la figura alzare lo sguardo verso la finestra. L'adrenalina tornò a lacerargli il petto, con battiti cardiaci insostenibili. Premette la mano contro il petto e, il piccolo ragno al centro della tuta si staccò dalla sua postazione, alzandosi in volo e fronteggiandolo. «Vai a dare un occhiata, ma non farti beccare», gli disse e quello gli svolazzò intorno un paio di volte, prima di entrare dalla piccola fessura aperta della finestra.

«Tre minuti, Peter», comunicò Tony e, anche se non voleva darlo a vedere, aveva sentito una leggera vena preoccupata, nella sua voce. Non rispose, attese solo che il drone tornasse e, quando lo fece, quello si posizionò di nuovo al centro del suo petto. Diede un'ultima occhiata alla finestra, prima di prepararsi ad abbandonare la missione e, quando si affacciò, qualcosa lo fece sussultare all'improvviso.

Dalla finestra uscì un drone nero, a tutta velocità, spaccando il vetro e che quasi lo fece cadere. Ne seguirono poi molti altri e, senza indugiare, tirò una ragnatela per aggrapparsi ad uno di loro.

«Peter, che cazzo stai facendo!», urlò Tony, nel suo auricolare, che fischiò e gli fece perdere l'equilibrio. Il drone al quale era attaccato si schiantò a terra insieme a lui. L'impatto con l'asfalto gli tolse il respiro per un attimo e, annaspando aria si ritrovò faccia a faccia con il robot volante che gli aveva puntato la sua telecamera addosso; ai lati, due piccole canne di pistola si alzarono, pronte a sparare. Un suono metallico precedette i colpi. Peter chiuse gli occhi, cercando di spostarsi di lato per evitarli ma, prima che questo potesse accadere, sentì il suono di propulsori familiari e una piccola esplosione. Quanto tornò a fronteggiare il drone, questo non c'era più. Al suo posto era comparso Tony, che doveva averlo polverizzato con un colpo. Gli tese la mano, senza dire una parola e, quando Peter la prese, l'altro lo tirò su con una gentilezza pari a zero.

Era stordito, incapace di metabolizzare quella vicenda; incapace di comprendere la gravità della cosa. Tony si alzò in volo, diretto di certo verso il quartier generale, per fare rapporto e consegnare le prove. Peter lo seguì, aggrappandosi agli appigli con le ragnatele.

«Che accidenti è successo?», domandò, e fu lì che si rese conto di aver fallito di nuovo.

«Che hai chiuso, Peter. Ecco cosa è successo.»

Continua...

Note autore:

Ebbene, siamo giunti nel vivo della storia; da qui in poi le cose cambieranno drasticamente e, l'equilibrio già instabile che si subodorava fino ad ora, si è definitivamente spezzato. 

Cosa accadrà, tra i nostri due innamorati? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, ovviamente!

Stay Tuned! E fatemi sapere cosa ne pensate ♥

Miry

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