2. Back in U.S.S.R.
Capitolo II. Black in U.S.S.R.
«Tre giorni», sospirò, tartassandosi le pellicine della mano sinistra, mentre la valigia ancora vuota campeggiava sul letto, ancora in attesa di essere riempita e chiusa. Si grattò poi la testa, incapace di decidere da quale indumento iniziare, e May rise. «Non c'è niente da ridere. Non so cosa portarmi. A Malibù il tempo è sempre incerto.»
«Prendi due o tre costumi, qualche pantaloncino, delle magliette e due paia di scarpe. Si tratta solo di una settimana e, sono certa, passerete la metà del tempo in spiaggia», gli rispose lei, avvicinandosi e prendendogli le spalle da dietro; un tentativo di rassicurarlo che un po' funzionò. Dopotutto non stava andando chissà dove. Lui e Tony erano stati a Malibù almeno una dozzina di volte, da quando stavano insieme e, ogni volta, preparare quella stupida valigia era una vera e proprio agonia. Non riusciva ad ammettere nemmeno a se stesso che, semplicemente, non era in grado di organizzarla.
«Tony non ama molto andare in spiaggia, in realtà. Lo sai. È pantofolaio. A lui piace passare giornate intere a guardare la tv, spaparanzato sul divano. Per lui il relax è quello; io sono più... insofferente.» Sospirò, sebbene fosse dura fare quell'ammissione. Su quel piano erano completamente diversi, dopotutto. Non che Tony non fosse un tipo propositivo, anzi. Di solito i loro viaggi erano per lo più sue idee, ma la prospettiva di fare altro oltre che stare tutto il giorno a letto a fare l'amore o, più comune, guardare tre o quattro film a sera, era decisamente la sua prassi. A volte gli dava un contentino, stavano qualche ora in spiaggia a giocare a beach volley o a fare surf, quando il tempo lo permetteva, e poi tornavano. Oppure lo portava a mangiare fuori, ma mai più di quello. Peter, a volte, vedeva quel fatto come una limitazione al loro tempo speso insieme ma, allo stesso tempo, sapeva di non potersi lamentare.
Era il suo modo di dirgli che voleva passare del tempo con lui. Con lui e basta. E gli stava bene, decisamente.
«Semplicemente non sai stare con le mani in mano, tesoro. Magari cerca di dirglielo e trovare un punto di incontro, no?»
«Sì», sospirò di nuovo, poi si voltò e le regalò un sorriso e un bacio sulla guancia, che lei accolse con un guizzo divertito. «Ci proverò, ma... perché non te ne occupi tu? Dico della valigia. Sei di certo più brava di me.»
«Ah, non ci provare, Spider-Man. Arruffianarmi con delle coccole e sperare che io ci caschi! Per chi m'hai preso?», lo redarguì, con le mani ai fianchi. «Avanti, giovanotto, al lavoro.» Uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Peter, infine, non poté far altro che obbedire e, rassegnato, iniziò a scegliere qualche abito da portare. Fu quando decise di mettere un po' di musica dal cellulare e lo prese tra le mani, che si accorse di un messaggio che gli era arrivato qualche minuto prima, proprio da Tony. Lo aprì, con un sopracciglio alzato, mentre metteva da parte sin da subito l'idea di preparare quell'accidenti di valigia.
«Fury cerca di contattarti da due ore. Mi fai il favore di rispondergli? Mi si è attaccato al culo come una piovra, qui in laboratorio. Dice che finché non lo chiami, mi renderà la vita un inferno!»
Peter sentì qualcosa salirgli in gola — tipo il cuore, o una cosa così. Nella parte superiore del telefono, vicino all'icona della sveglia e quella della copertura del suo gestore, c'era la notifica di una – o forse due – chiamate senza risposta e se si trattava davvero di Nick Fury, allora era nei guai. Non che l'uomo non fosse comprensivo, ma tendeva a diventare pedante, quando non riceveva risposta. Peter aveva tentato più volte di spiegargli che, oltre ad essere Spider-Man, era anche uno studente universitario e che, talune volte, non era reperibile per quel motivo. Fury, come sempre, aveva dato l'idea di aver solo finto di capire, ma la verità era che non aveva capito niente. Non si stupiva nemmeno più di quel fatto.
Sospirò e prese a scrivere. «Okay, okay! Ero impegnato con la valigia. Sono un essere umano come tutti, pieno di impegni e altre cose del genere, che a volte si discostano dal suo mondo. Dovrebbe iniziare ad empatizzare un po' con il lato umano dei suoi eroi.»
«Dice che non gli importa, Parker. Quindi richiamalo e fai in modo che mi lasci in pace. Se non la smette di ronzarmi intorno, presto sarai l'amante di un omicida!», gli scrisse Tony e lui rise, immaginando la sua espressione esasperata, mentre magari Fury gli buttava addosso tutta la sua insofferenza. Così, per il bene di Iron Man, decise di accontentarlo.
Si ritrovò a dire di sì, quasi per forza, a quella missione che Fury gli aveva appena assegnato. Non che fosse niente di che, solo una piccola visita ad un apparentemente innocuo centro ricerca, giusto per dare un'occhiata ai movimenti sospetti di cui, ultimamente, si discuteva spesso allo S.H.I.E.L.D., ma a Peter certe cose annoiavano a morte e, per lo più, preferiva farsi affidare incarichi più... avventurosi, ecco. I giri di ronda erano una rottura di scatole mortale, soprattutto quando era solo e passava ore intere a fissare edifici, porte di ingresso, finestre, dove il più delle volte non succedeva niente di niente. Meglio, certo, ma era pur sempre Spider-Man e non avevano costruito – lui e Tony – quella tuta solo per mostrare al mondo quanto gli stesse bene e quanto fosse attillata. Cosa che, comunque, Tony amava ribadire più e più volte, ammiccando e facendolo ridere.
Raggiunse un lampione, ci si poggiò sopra e si piegò sulle ginocchia. Si sedette sui talloni e iniziò a scrutare l'edificio fatiscente che campeggiava in una zona piuttosto isolata e poco illuminata, fuori da New York. Una sorta di laboratorio medico, fin troppo recluso; difeso da filo spinato, un bel muro di cinta alto quattro o cinque metri e tante guardie intorno al perimetro che perlustravano l'area, come se all'interno vi fosse custodito il Santo Graal. Sospirò, ben sapendo che sarebbe stata una lunga notte e che, la sua valigia, non era ancora pronta.
«Bimbo-ragno, come procede?» Peter trasalì. Era talmente concentrato ad immaginare la sua vacanza a Malibù, che la voce di Tony lo colse di sorpresa e lo spaventò quasi.
«Sono su un palo e ho quasi rischiato di cadere per lo spavento», ammise, contrariato, e l'altro dall'altra parte dell'auricolare, rise di gusto.
«Cerca di mantenere la concentrazione, Spider-Boy. È poco probabile che succederà qualcosa proprio oggi, ma Fury dice che i movimenti sospetti sono improvvisamente aumentati, negli ultimi giorni. Immagino che abbia i suoi buoni motivi per averti mandato in avanscoperta.»
Peter sospirò, e arricciò le labbra. «E ti ha detto lui di babysittarmi, Tony?»
Tony fece una pausa, poi grugnì. «No, sono di turno al quartier generale, spruzzo di sole. Purtroppo per te, sono la tua guida, stanotte. Reclami da dichiarare?»
«Nah, mi fa piacere, dopotutto», tentò di ironizzare, sebbene un'improvvisa fitta al colon lo avesse colto. Si era un po' fissato ultimamente, con quella storia che Tony stesse cercando in qualche modo di prevalere su Spider-Man e fargli da mentore senza che nessuno glielo avesse chiesto ma, in fin dei conti, era certo si trattasse solo di una sua stupida impressione e che, certe paturnie, se ne andavano via come arrivavano. Sinceramente non vedeva l'ora di liberarsi di quel masso incastrato tra le scapole. Lo destabilizzava e non poco, ma sì... il problema era il suo, lo sapeva bene. «Non ci sentiamo da prima che iniziassi la missione. Iniziavo un po' a sentire la mancanza della tua voce», scherzò.
«Oh, quanto sei stucchevole! Mi farai venire il diabete, Parker», lo redarguì Tony, ridendo, poi sospirò e Peter si sistemò meglio la cuffia nell'orecchio, premendo con l'indice contro il padiglione auricolare, in attesa di istruzioni. «Movimenti?»
«No, nessuno. A parte le guardie che continuano a sorvegliare il perimetro come se stessero difendendo una base militare. Che diavolo combina questa gente, qua dentro?»
«Non ci è dato sapere, per quello sei lì. Sappiamo solo che la scorsa notte è stato portato un carico di roba chimica, ma non sappiamo esattamente di che natura», spiegò Tony, poi sbadigliò. Peter ci poteva mettere la mano sul fuoco che si stesse stiracchiando sulla sedia, siccome la sentì cigolare. «Sono stati i droni di ricognizione, a catturare le immagini.»
«E non possiamo usarli più, per capire che accidenti stanno facendo?»
«Ci abbiamo provato, ma devono aver alzato un campo magnetico che impedisce ai droni di funzionare correttamente intorno all'area dell'edificio. Una bella rogna che, a mio parere, puoi risolvere tu. Sempre se ne sei in grado, Spider-Man», lo sfidò, e Peter allungò un sorrisetto sotto la maschera, quando glielo sentì dire. Si divertiva da morire, quando era Tony a guidarlo. Un po' perché insieme lavoravano bene, un po' perché le sue missioni diventavano improvvisamente molto più stimolanti, se gestite da lui. A volte anche le ronde più noiose, era stato capace di renderle decisamente più interessanti.
«Dubiti di me? Accidenti, te la sei proprio presa per quell'accusa del baby-sitter!», ironizzò, e Tony schioccò la lingua.
«Dimostri sempre più di averne bisogno!», rispose – come sempre vuole l'ultima parola! Come sempre! –, «C'è una centralina, attaccata al gabbiotto della guardia all'entrata. Ha una luce rossa a intermittenza proprio sopra, la vedi?»
Peter si mosse sul posto, poi non appena riuscì a metterla a fuoco, annuì sebbene conscio che l'altro non potesse vederlo. «Sì. Come fai a saperlo?»
«Vedo quello che vedi tu, genio», rispose, e non gli diede il tempo di farsi insultare, «Lanciagli qualcosa. Una ragnatela, un sasso, un pugnale. Purché non faccia rumore. Non devono vederti, Pete. E nemmeno sentirti. Te la senti? Se ci riesci, possiamo mandare i droni di nuovo in avanscoperta e avvicinarci di più all'edificio, senza che nessuno si faccia male inutilmente.»
«Me la sento, ovvio! O non sarei qui, no?»
«Oh, ho il fidanzato più coraggioso di tutti, a quanto pare. Dovrei sentirmi onorato, immagino», rise Tony, e Peter mise il broncio. «Quando vuoi.» Si sistemò meglio sul lampione, cercando di mettere in atto una strategia; cosa che gli riusciva sempre abbastanza male, siccome era più un tipo pratico, che agiva prevalentemente di istinto. Alzò il braccio sinistro, attivando la funzione ragnatele, cercando di scegliere, tra le tante opzioni che Tony aveva creato per lui, la più funzionale. Ad un tratto si illuminò d'immenso.
«Pessima idea, riconsiderala.»
«Perché?», domandò, alzando un sopracciglio, ricordandosi di nuovo che Tony poteva controllare quello che vedeva, attraverso le telecamere sulla maschera. Grugnì, contrariato.
«Ragnatele-granata? Sei serio? Ti ho detto che non devi fare rumore!»
«Una normale ragnatela non metterà mai in disuso la centralina del campo magnetico! Devo spegnerla!»
«Spegnerla, esatto! Non di certo farla esplodere, attirando su di te tutte le guardie dell'edificio.»
«Posso contrastarle!»
«Certo che puoi! Sei in grado di tenere loro testa, ma se ti vedono sapranno che lo S.H.I.E.L.D. li sta spiando e tu... be', non sei un freelance, lavori per Fury e lui vuole che mantieni un profilo basso. E, sinceramente, lo vorrei anch'io», ammise Tony, dimostrandosi come sempre la sua parte razionale, almeno quando era in missione. Peter era estremamente cosciente di non avere lo stesso talento, nel saper gestire le situazioni più pericolose e, in fondo, nemmeno Tony ne era così in grado, ma con lui sembrava capace di tirar fuori un poco di maturità. Era qualcosa che, se da una parte lo sollevava, dall'altra gli dava un gran fastidio. Si accigliò, ma poi sospirò e dovette ammettere che aveva ragione.
«D'accordo. Dunque? Proposte?»
«Conosci le tue armi. Hai milioni di possibilità diverse, in quella tuta. Ci sarà qualcosa che puoi usare, no? Spider-Man sei tu, non io.»
«La ragnatela-granata è l'unica che mi viene in mente.» Si mosse sul lampione, insofferente, cercando di trovare una strategia vincente che non implicasse il mettersi in mostra. Si incupì. «Ma posso provare a sradicarla dal muro usandone una normale.»
Tony mugugnò. «Non è una cattiva idea. Andare sul classico è una soluzione. Ti seguo.»
Peter prese un lungo respiro, prima di saltare su un altro lampione, molto più vicino alle mura del laboratorio. Si era alzata una nebbiolina sottile, intorno al perimetro dell'edificio, facendolo sembrare la pantomima di un castello infestati in uno di quei film horror che tanto piacevano a Tony. Alzò il braccio e, cercando tra le opzioni una normale ragnatela, infine la trovò e la impostò. Era ancora convinto che il modo migliore per risolvere la cosa fosse far esplodere la centralina, ma da qualche parte, nella sua testa, una vocina gli diceva che non era una buona idea. Strinse un pugno, alzando indice, mignolo e pollice pronto a spararla, mentre prendeva la mira e, quando si convinse che fosse il momento adatto, lanciò la ragnatela che si strinse intorno alla scatola di metallo.
«Bene», mormorò, e sentì una specie di suono d'approvazione nelle cuffie. Il massimo suono che Tony poteva emettere per dimostrargli che aveva fatto un buon lavoro. Tirò indietro il gomito, stringendo in un pugno serrato la ragnatela. La tese, cercando di staccare il dispositivo dal muro, che in un primo tentativo non si mosse.
«Ostica, la bastarda?»
«Alquanto. L'hanno fissata bene, a quanto pare. Mi toccherà usare le maniere forti», mormorò, e si morse la lingua nella guancia, mentre riprovava di nuovo, senza successo. Riprovò ancora, e quella non si mosse. Alzò gli occhi al cielo, mugugnando frustrato, tirò di nuovo, con più forza, e la piccola scatola di ferro finalmente si staccò, così pesante però che cadde inesorabilmente a terra, staccandosi dalla presa salda della ragnatela, con un tonfo che gli ferì le orecchie.
«No, no, no, no!», esclamò, e quando sentì qualcuno urlare degli ordini e rumori di stivali che correvano in quel punto, attirati dal rumore, si sbilanciò e cadde dal lampione, rovinando a terra. Sentì il respiro mozzarsi nei polmoni, quando impattò con la schiena contro il terreno. Si girò di pancia, gattonando verso un punto buio, quando i fari di localizzazione si accesero al di fuori delle mura e un allarme iniziò a suonare, assordante.
«Tony?», chiamò, con un filo di voce, ma dall'altra parte non ricevette risposta. «Tony?», ripeté, con una punta di disperazione. Imprecò tra i denti, poi provò a sgattaiolare via, mentre l'allarme continuava a suonare e a ferirgli le orecchie. Tentò di individuare qualcosa a cui potesse aggrapparsi con una ragnatela, così da defilarsi, ma un'ombra lo sovrastò. Cadde a terra, di nuovo di schiena, cercando di dimenarsi della stretta intorno ai polsi che lo stava bloccando a terra. Ebbe giusto il tempo di chiedersi come avessero fatto i suoi sensi a non avvisarlo del pericolo, quando ebbe la sua risposta. Sgranò gli occhi sotto alla maschera, e gli si mozzò il respiro in gola.
«Complimenti, Peter», esordì Tony, apparentemente calmo — ma Peter sapere che era tutt'altro che quello —, avvolto nella sua armatura. «Ti sei appena messo nei guai. E guarda chi è venuto a salvarti? La tua babysitter», concluse, furibondo, stringendogli i polsi con più forza, contro il terreno. Non poteva vedere l'espressione di Tony sotto la maschera ma, ne era certo, doveva essere furibondo.
Quando tornarono al complesso degli Avengers, lo fecero in silenzio. Peter lo aveva seguito barcamenandosi tra i palazzi, appeso alle sue ragnatele, ma Tony non lo aveva né affiancato né aspettato. Doveva essere fuori di sé, con lui e, la cosa peggiore, era che non c'erano prove che non si fossero accorti di lui e questo era ciò che lo spaventava di più. Cadendo al di fuori delle mura, le telecamere di sicurezza lo avevano di certo ripreso. Gli era stato chiesto di tenere un profilo basso e lui aveva fatto tutt'altro. Si sentì stupido e incosciente; poi spaventato a morte dalla reazione che l'altro gli avrebbe dedicato. Non si sentiva in grado di mantenere le promesse, malgrado ci mettesse sempre tutta la buona volontà per farlo.
Entrò nel laboratorio dalla porta, si tolse subito la maschera, mentre Tony, incollerito, batté due volte le dita sul petto e la sua armatura si scompose in microparticelle, raggruppandosi nel dispositivo attaccato al petto. Poi si voltò e lo fulminò.
«Dai sfogo ora a tutte le scuse che mi vuoi rifilare, prima che mi prenda un esaurimento nervoso. Fallo ora o dopo non avrai nemmeno il tempo di respirare! Abbiamo molto di cui discutere, Peter!»
«Le discussioni si fanno in due!», controbatté, a denti stretti, stringendo di più la maschera tra le dita e facendo un passo avanti, dandogli prova che no, non aveva paura.
«Le discussioni si fanno in due quando entrambe le parti hanno delle ragioni da difendere! Le tue quali sono? Vuoi che non ti babysitti, eppure è la terza volta che mi costringi ad intervenire per la tua stracazzo di impulsività! Ho fatto bene, stasera, a prenderti tra i vigilanti da seguire!»
«Dunque hai scelto di farmi da guida solo per controllarmi? Tony, questo è babysittarmi!»
«Questo è prevenire un disastro! Tu non ascolti. Hai questo vizio del cazzo di agire senza pensare, solo perché ti abroghi la facoltà di dar ascolto solo ai tuoi sensi! Per quanto possano avere valenza, rimangono azioni sconsiderate, che il più delle volte ti vanno bene, per pura fortuna, ma altre ti mettono in un mare di guai. E a chi tocca poi, raccogliere i cocci?»
«A me! Non nego di agire spesso impulsivamente, ma so prendermi le mie responsabilità. Se sbaglio, chiedo scusa. L'ho sempre fatto, sai che è così», rispose, piccato, incrociando le braccia al petto e guadagnandosi una risata di scherno, da parte dell'altro.
«Magnifiche parole, davvero. Peccato che, laddove un tuo errore è la causa di ingenti danni, le scuse servono a ben poco! Quando ci rimetterà la pelle qualcuno, le tue scuse non serviranno a un bel niente, Peter. Nemmeno quando sarai tu e... se muori tu, mi sentirò in colpa io per non essere stato in grado di fermarti!»
«Ma che accidenti ho fatto di così grave? Non sono morto e non morirà nessuno. Sei tragico, melodrammatico, sempre esagerato. Solo perché non ce la fai proprio a fidarti di me, non significa che io sia sull'orlo del disastro mondiale! Ho solo fatto un errore di calcolo, ma sono ancora qui a raccontarlo, no?»
«Ah, sono melodrammatico? Oh Be', allora cambia tutto, certo! Che stupido che sono, la colpa è mia che vedo tutto negativo! Facciamo così, allora: la prossima volta che mi costringerai ad intervenire per colpa della tua negligenza, visto che sono esagerato, diciamo che hai chiuso!» Gli puntò un dito in faccia che lo costrinse a indietreggiare e, subito dopo, a mettere su un cipiglio iroso.
Peter stirò un sorriso di scherno. «Chiuso con gli Avengers?»
«Chiuso con me», concluse Tony, tra i denti.
Il sorrisetto di Peter si spense immediatamente e, quando gli uscì un sospiro acido dalle guance, Tony distolse lo sguardo dal suo, evitandolo; forse per non lasciarsi intenerire. Forse perché non voleva davvero incontrarlo. Fece male, in ogni caso e, per quanto avrebbe voluto indagare su quel "con me" e su ciò che intendesse e fino a che lato del loro rapporto si estendesse, lasciò correre, con un senso di bruciore all'altezza del petto, fin troppo sicuro di cosa avrebbe dovuto contrastare, in quel caso. C'erano già passati, e il sol ricordo non era piacevole.
Perché perdere quel primato con gli Avengers era una sofferenza, ma perdere Tony...
«Senti, mi dispiace», sbottò. «Ma non sapevo come comportarmi! Insomma, c'era il problema del campo magnetico da risolvere, quello delle sentinelle e capire cosa accidenti succede lì dentro. Mi sono confuso e ci ho messo troppa forza. Non so controllarla sempre! Succede!»
Tony strabuzzò gli occhi. Alzò le sopracciglia così tanto che gli si formarono due rughe sulla fronte; poco dopo si coprì il viso con le mani, palesando un grugnito, fino a infilarsi le dita tra i capelli corvini e tirandoli all'indietro. Non piaceva litigare a nessuno dei due, ma quando succedeva era sempre e costantemente per qualcosa legato alle loro doppie identità. L'unica cosa, purtroppo, che li divideva negli ideali e, siccome erano troppo fermi sulle loro idee, spesso finivano per lasciarsi alle spalle troppi irrisolti.
«Avevi delle direttive, che avresti semplicemente dovuto seguire. Non ero connesso al tuo auricolare per farti compagnia, ma per guidarti. Tu e la tua stracazzo di convinzione che io voglia babysittarti o surclassarti, quando quello che cerco di fare è proteggerti e sai, lo sai, quando è difficile per me ammettere una cosa simile!», esclamò, poi gli puntò gli occhi addosso. Peter strinse le labbra e sentì l'amaro della sconfitta sulle papille gustative. Una sensazione orribile. Tony poi sospirò. «Se ti avessero beccato non saresti qui, ora. O comunque saresti in pericolo e avremmo dovuto decidere se farti sparire dalla circolazione e non lo vuoi. E non lo voglio nemmeno io.»
«Tu ti preoccupi troppo.»
«E tu non lo fai abbastanza. Sul serio, Peter. Stanotte hai rischiato grosso, hai messo in pericolo la nostra copertura e hai rischiato ben più di qualche graffio. Falla finita di fare l'incosciente. Non è così che dimostri di essere un eroe», concluse Tony, e la sua frustrazione era venuta fuori con una carica tale da creare un silenzio doloroso. Sì, aveva ragione, dannatamente. Ma aveva un modo troppo brusco, troppo adulto, troppo distaccato, troppo da mentore, per fingere che la cosa non lo infastidisse. Eppure non c'erano parole per ribattere. Non esistevano. Tony aveva ragione e lui torto. Fine della discussione.
Si premette i palmi delle mani tra loro e poi li sfregò, a disagio. Avrebbe voluto chiedergli scusa, ma era difficile tanto quanto ammettere che non era in grado di controllarsi, quando era in quella tuta. Sentiva il dovere di fare del suo meglio, e quella fretta immotivata di risolvere le questioni nel minor tempo possibile, d'istinto, senza riflettere un solo, accidenti di istante.
«Cercherò di controllarmi», disse solo e Tony sospirò un'altra volta, dandosi uno schiaffo sulla coscia, arreso, mentre con l'altra mano si massaggiava il collo.
«Ti ringrazio», rispose, secco, ma la rabbia sembrò scemare. Peter ne fu consapevole quando fece un passo verso di lui e gli posò le mani sulle spalle. «Ho proprio voglia di non farmi venire un infarto al miocardio per colpa di un ragno irresponsabile.» Gli sorrise e gli lasciò un fugace, abitudinario bacio sulle labbra, che Peter apprezzò. Voleva dire tanto. Voleva dire che le cose si stavano di nuovo appianando, malgrado la rabbia non fosse del tutto scemata.
«Vai a casa?», gli chiese poi, sperando che gli rispondesse che lo avrebbero fatto insieme, ma non era certo sarebbe stato così. Quando litigavano, Tony aveva bisogno di sbollire; di farlo staccato il più possibile da lui. Peter pensava che fosse un modo tutto suo di non lasciarsi coinvolgere troppo e di risolvere qualche bruttura interiore senza la sua influenza ad annichilirgli le sinapsi.
«Sì, tra poco», sospirò, e gli lasciò le spalle. No, non gli va, pensò Peter, con una certa tristezza ad annebbiargli la vista, per un attimo. «Se aspetti una mezz'ora andiamo insieme. Ho bisogno di... metabolizzare», sospirò e si passò una mano sulla faccia. Quando ne riemerse, gli regalò un sorriso dei suoi. Fu un sollievo che gli trafisse il cuore.
Continua...
Note autore:
Salve a tutti e bentornati sul seguito di You Say Goodbye, I Say Hello, altrimenti noto come: Miryel li fa soffrire e non se ne pente!
Sono felice di ritrovarvi ancora e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Non siamo ancora nel vivo della storia, ma presto ci arriveremo! Nel frattempo vi ringrazio per avermi dedicato il vostro tempo e, nel frattempo, vi do appuntamento alla prossima settimana. Lasciatemi un commentino, se vi va ♥
Un abbraccio,
Miry
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