15. Can't Buy Me Love

Capitolo XV. Can't Buy Me Love.

Peter si ritrovò, annoiato, a guardar vorticare il suo DNA su uno schermo – per un tempo infinitamente lungo, mentre tamburellava annoiato le dita sopra alla superficie di vetro della scrivania che aveva occupato e, cercando di non farsi vincere dal sonno, guardava quelle formule comporre un complicato groviglio per ora incomprensibile. La chimica era sempre stata una delle sue materie preferite, ma da quando aveva perso i poteri, la sua concentrazione si era notevolmente abbassata e, la sua capacità di restare vigile, non era più come un tempo. Il suo metabolismo era cambiato, lo aveva capito anche dal senso di fame che non era più lo stesso. Se prima non si saziava nemmeno con tre cheeseburger, ora gliene bastava uno e, di certo, questo era dato anche dal fatto che le sue capacità acrobatiche erano limitate a quelle di una persona normale. Niente arrampicate sui muri, niente salti megagalattici, niente viaggi tra una ragnatela e l'altra. Solo qualche esercizio fisico ordinario, giusto per mantenersi in forma.

«Mi sa che ho raggiunto il mio limite. Non ci sto capendo più niente», esordì, e quando non ricevette alcuna risposta da Tony, si voltò a guardarlo, credendo di trovarlo troppo concentrato sul suo monitor, alla ricerca di una falla da colmare, in quel DNA che aveva deciso improvvisamente di tradirlo.

Con sua enorme sorpresa, dormiva. Con le braccia incrociate sulla scrivania e gli occhiali storti sulla faccia. Si era lasciato andare ad un sonno di cui probabilmente aveva infinitamente bisogno e, l'unica cosa che Peter riuscì a fare prima di alzarsi e raggiungerlo, fu guardarlo con un sorriso. Gli mancava tremendamente, anche se era lì con lui da ore a cercare insieme una soluzione e quel fatto, sapeva tanto di vecchi tempi andati, sebbene non fosse passato poi così tanto da quando la loro storia era finita.

Lo raggiunse e, combattuto, non seppe se svegliarlo o andarsene, lasciandolo lì a riposare, in quella scomoda posa che non avrebbe giovato alla sua schiena. Sul monitor vi erano alcuni appunti che non riuscì a focalizzare, siccome anche la sua vista era leggermente annebbiata dalla stanchezza e, a quanto pareva, dal fatto che da quando aveva perso i poteri, probabilmente aveva di nuovo bisogno degli occhiali da vista¹.

Sospirò e gli posò una mano sulla spalla, delicatamente, cercando di svegliarlo. Quando Tony sobbalzò, stringendo gli occhi e poi aprendoli, si sentì profondamente in colpa per aver turbato un momento di relax che probabilmente non si concedeva da tempo; sicuramente quel tepore di luci soffuse lo aveva agevolato nello scivolare nel sonno senza nemmeno accorgersene.

«Ehi, ti sei addormentato.»

«Davvero? Che ore sono?», chiese Tony, con la voce impastata, poi si rizzò sulla schiena e si stiracchiò, premendo la spina dorsale contro lo schienale della sedia. Peter sentì un crack che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.

«Le due. Forse è ora di andare a casa», sorrise. «Continuiamo domani.»

«Vai pure, io... io continuo un altro po'.»

«Tony...», sospirò, e quando l'altro si alzò in piedi e lo fronteggiò, si sentì in colpa per averlo fatto. «Devi riposare. Non puoi restare qui tutta la notte per... per me

«Non si tratta di te, ma della scienza. Finché non ne esco, non mi darò pace. Come se non lo sapessi, che sono fatto così», gli rispose, con quel leggero tono ostico che voleva dire cosa ne vuoi sapere, tu? Lo superò e raggiunse il tavolo che ospitava la zona bevande. Si versò del caffé in una tazza, sbatacchiando gli occhi ancora assonnati contro il liquido nero che usciva dal thermos. Peter lo fissò compiere quell'operazione, poi sospirò e Tony lo guardò. «Che c'è?»

«C'è che non volevi aiutarmi e che ora lo stai facendo senza darti pace. E non è quello che voglio.»

«Nessuno ti costringe a restare qui e a darmi una mano», controbatté l'altro, alzando le spalle, noncurante. Come se quella fosse la soluzione ad ogni accidenti di cosa.

«No, nessuno costringe te a restare qui e darmi una mano! Avanti, non volevi nemmeno vedermi fino a ieri e ora sei qui a cercare di risolvere l'irrisolvibile per me?», gli chiese, retorico, e si morse un labbro quando si rese conto che l'unica cosa che, avrebbe dovuto dire, era un semplice grazie. Grazie, ma non sbatterti per me. Non me lo merito, dopo tutto quello che hai passato per colpa mia.

«Peter, una buona volta, non lo sto facendo per te. Lo sto facendo perché non riesco a capire come e perché è successo e lo avrei fatto con chiunque. Non hai l'esclusiva su questo mio bisogno di risolvere l'irrisolvibile, e lo sai benissimo che lo faccio perché so di poterci riuscire e che ne ho le capacità. È più un modo per sentirmi...»

«Dio? Come sempre?»

Tony lo indicò con l'indice della stessa mano che reggeva la tazza.«Mi piace avere il controllo su tutto e risolvere l'impossibile, sì», rise leggermente, e fu quasi irritante.

«Allora perché non hai cercato di risolvere il nostro problema?»

«Il nostro problema?»

«Quello che ci ha portati a questo. Quello che ci ha divisi, se vogliamo metterla in questi termini? Perché non è un lavoro di dio ma dell'uomo? Perché era una cosa troppo poco importante per poterla affrontare e aggiustare?», ribatté, e quella domanda ce l'aveva incastrata nella gola da giorni. Perché Tony non ci aveva nemmeno provato a trovare un punto di incontro e cercare di risolvere i loro irrisolti. Perché Tony aveva preferito troncare, piuttosto che affrontare i loro problemi, come invece avevano sempre fatto. Perché Tony non lo amava più e forse aveva semplicemente trovato il pretesto per lasciarlo, approfittando di quelle colpe che Peter sapeva di avere.

Solo che Peter voleva semplicemente sentirselo dire. Ma se per Tony era difficile ammettere che lo aveva amato, quanto poteva esserlo dirgli che non era più così?

Tony si avvicinò, con la tazza stretta tra le mani, che posò subito sul tavolino, a quanto pareva per nulla intenzionato a bere il suo caffé, ora come ora.

«Non ho intenzione di ripetere le mie ragioni. Le conosci, le sai e sai anche che non voglio tornare sull'argomento. Pensi che non me ne importi niente? Pensi che lasciarci sia stato un colpo rigorosamente tuo? Mi conosci, sai che non amo struggermi o darlo a vedere; ho un carattere di merda, e sono più bravo a ferire che a dimostrarmi ferito, ma questo non significa che non me ne sia fregato un cazzo. Ho solo preso la decisione più saggia per entrambi, perché così non poteva andare, Peter. E tu lo sai.»

«Cosa? No, non lo so! Non è così che abbiamo agito, nel corso di questi due anni. Proprio perché la prima volta ci siamo lasciati per l'incomunicabilità. Stavolta ho provato a parlarti e tu mi hai negato questa possibilità. Perché?», ribatté, e Tony alzò gli occhi al cielo, ma non mosse un passo. Rimase lì, fermo, di fronte a lui, a catturare la sua frustrazione, restituendogli il favore di mostrargli la sua.

«Perché non c'era niente da chiarire. I fatti hanno parlato chiaro e continuano a farlo.»

«Perché invece non me lo dici chiaramente?», lo sfidò. Si impettì, anche se il cuore gli batteva così forte che poteva sentirlo rimbombare nelle orecchie. Perse il conto delle volte in cui Tony aveva sbattuto le ciglia, di fronte alla sua caparbietà forse ridicola.

«Dirti cosa?»

«Lo sai.»

«No, non lo so. C'è qualcosa che posso dirti così che tu te ne faccia una dannata ragione?», gli rispose, molleggiando le braccia vicino ai fianchi e con un mezzo sorriso che, se Peter non avesse avuto un'indole profondamente pacifista, lo avrebbe portato a tirargli un pugno in faccia.

«Sei proprio uno stronzo», lo apostrofò, riducendo gli occhi a due fessure. Si voltò e recuperò la giacca da sopra la sedia e, mentre cercava di infilarsela, Tony lo bloccò prendendolo per un braccio..

Peter si voltò e, adirato, cercò di liberarsi. Non ci riuscì. Fu in quel momento che si rese conto di quanto fosse debole, di quanto Spider-Man, a suo tempo, lo aveva reso meno vulnerabile. Non immune agli attacchi, ma almeno in grado di difendersi e, se non riusciva nemmeno a liberarsi da una stretta normale come quella di Tony, questo significava solo che Peter Parker era un debole. La presa salda dell'altro si faceva più stretta ad ogni secondo, e più si divincolava, più si sentiva prigioniero. Della sua mano, della sua rabbia, dei suoi occhi ardenti fissi nei suoi.

«Lo sapevi! Lo hai sempre saputo che sono così. Non è una sorpresa. Se hai deciso di stare con me, malgrado questa consapevolezza, è un problema tuo.»

«No, Tony. Il problema non è saperlo, il problema è che con me non lo sei mai stato! Cos'è? Non te ne sei reso conto, di quanto fossi diverso con me? Guardati! Non hai nemmeno il coraggio di ammettere la realtà dei fatti e, be', ti ringrazio per il tempo che hai speso tentando di risolvere il mio problema, ma non c'è bisogno che tu ti scomodi più per me. Non mi va di ricevere il tuo aiuto, se la vera ragione è solo quella di sentirti dio che fa miracoli e non per mera preoccupazione nei miei riguardi. Questo è da stronzi», concluse e, riuscendo finalmente a liberarsi – più perché la presa di Tony si era fatta meno salda, si voltò e si avvicinò alla porta, per nulla intenzionato a fermarsi o voltarsi indietro. Proprio come aveva fatto quella volta in cui Tony l'aveva accusato di aver ucciso i suoi genitori.

Si sentì di nuovo prendere per un braccio, stavolta con più forza. Cercò ancora di liberarsi, ma si sentiva stanco, spompato e la furia di Tony lo colpì in piena faccia. «Cosa? Cosa accidenti vuoi che ti dica? Avanti, dimmelo! Sarò più che felice di confermare o smentire le tue assurde tesi!»

«Che non te ne fregava più niente! Che non hai perso tempo a chiudere la cosa, siccome era quello che volevi liberarti di me. Hai accampato scuse, hai preso la palla al balzo usando il mio fallimento per costruirti un alibi, dandomi la colpa di tutto, solo per non dirmi che le cose per te non erano più come prima e che non volevi più proseguire quello che avevamo iniziato. Sei un cazzo di vigliacco, ti sei attaccato ad un errore per liberarti di me! Avresti dovuto riservarmi un briciolo di sincerità, invece di nasconderti dietro alle tue solite bugie! Non te ne frega niente, avrei dovuto saperlo.»

Tony sbarrò gli occhi dietro le lenti degli occhiali, stupito, colpito, ma non gli lasciò il braccio. Anzi strinse di più e, serrando la mascella, sembrò per nulla intenzionato a dirgli cosa realmente gli passasse per la testa. La sua espressione non lasciava trapelare nient'altro che confusione, forse anche un pelo di sensi di colpa. Solo che Peter, da quando si erano lasciati, lo aveva visto cambiare dal bianco al nero, e non era più in grado di leggere tra le righe come un tempo.

O forse aveva solo paura di travisare. Nel bene o nel male.

«Colpito e affondato?», gli domandò, cercando di risultare spavaldo, ma con un dolore infuocato che gli attraversò le vene, la pelle e gli arrostì il cervello. Non era mai stato peggio di così in vita sua. Nemmeno la prima volta che si erano lasciati. C'era qualcosa, in quella dannata discussione, che lasciava in sospeso troppe cose. Lasciava in sospeso cosa erano stati e cosa erano diventati. Il loro rapporto non era regredito, ma in qualche modo sembrava fosse semplicemente in standby. Vivevano quegli istanti insieme sospesi nel vuoto, senza sapere davvero come comportarsi e, alla fine, ogni muro e colonna portante, crollava, lasciando solo macerie da raccogliere e impossibili da rimettere insieme.

Così scese il silenzio. Con quella punta di irrisolvibile a pungere come il vento freddo di inverno, con la città coperta dal manto bianco della neve.

Allora Tony strinse gli occhi – come se, quel silenzio, lo volesse scacciare via a colpi d'anima e, serrando di più le dita intorno al suo braccio, digrignò i denti e gli rivolse un'occhiata irosa. «Dio, se solo non me ne fregasse niente davvero...», mormoro e, prima che Peter potesse assimilare quelle parole e capire cosa accidenti volesse dire, si sentì strattonare verso di lui e poi coinvolto in un bacio che non si era aspettato. Frustrato, arrabbiato, deluso e chissà che altro aveva alimentato quel gesto, ma si ritrovò a ricambiare con un solo sentimento a muovere gli ingranaggi della sua testa: la confusione.

Tony gli prese la testa fra le mani, intensificando quel contatto e spingendolo contro la scrivania. Peter sentì la schiena fargli male, ma non ci badò, quando l'altro si staccò solo per mormorargli un idiota sulle labbra.

Cercò di scansarlo, spiengendolo via e, probabilmente, se pure fosse stato Spider-Man, non ci avrebbe messo la forza che avrebbe dovuto. Perché non voleva. In cuor suo sapeva che era così. «Che stai facendo?»

«Qualcosa che non dovrei fare», gli rispose l'altro, lapidario, tornando a baciarlo e a zittirlo, e a confonderlo di più, se possibile.

«Tony... Tony, aspetta! Cristo santo, aspetta!», esclamò, spingendolo ancora via con l'ausilio di una mano sul suo petto, combattendo contro quel brutale intento di divorarlo vivo a suon di baci. «Mi hai lasciato. Mi... mi hai lasciato e ora... che cosa stai facendo?», ripeté.

«L'unica cosa che so fare, a detta tua: parlare con i gesti. Non vuoi capire, e questo è il solo modo che ho per lasciare che tu lo faccia.»

«Cosa? Cosa non voglio capire? Che mi ami ancora? Che non mi hai lasciato perché non provi più niente? Che è difficile anche per te? Che non è quello che volevi?»

«È quello che voglio, ma non per i motivi che pensi tu», controbatté Tony, e tentò ancora una volta di fiondarsi sulle sue labbra, ma Peter non glielo permise. Lo fissò negli occhi per dieci, lunghissimi secondi, prima di sospirare.

«Non puoi risolvere sempre tutto in questo modo...»

«No, non posso. Ma vorrei», fu la laconica risposta, prima di tornare a baciarlo con un'intensa, bollente, irresistibile e dolorosa passione. Peter lo lasciò fare, ma avrebbe voluto fermarlo, dirgli che non era il caso, che il giorno dopo quel muro che si era appena sciolto, sarebbe tornato a dividerli ancora e che la notte avrebbe solo aumentato lo spessore di quella barriera, allontanandoli di più. Avrebbe voluto dirgli che avrebbe preferito non sapere, che avrebbe voluto convincersi che non gli importava più niente di lui così che potesse farsene una maledetta ragione e che così stava solo peggiorando la situazione. Avrebbe voluto dirgli che non voleva, non in quel modo, ma sarebbe stata una bugia.

Si lasciò straiare sulla scrivania, e quando Tony fu sopra di lui, in mezzo alle sue gambe, lo prese per il colletto. Lo invitò a fondersi di più in un bacio diverso, che volevano tutti e due e, quando Tony iniziò a smanetta con la sua maglietta e lui con la sua, seppe di non poter più tornare indietro; sui suoi passi. Ne fu certo quando le labbra dell'altro toccarono il suo collo, costringendolo a reclinare la testa all'indietro, in preda a troppe cose che gli erano mancate.

Stavano sbagliando, e lo stavano facendo entrambi, ma per il momento niente aveva senso e nemmeno importanza.

Spense il cervello e si abbandonò all'errore più grande della sua vita: Tony Stark. 

Continua...

Note autore:

MASSALVE! Voi non avete idea, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo perché succede TUTTO QUESTO. 'STI DUE NON CE LA POSSONO FARCELA, NONO! Ma come si fa a resistere a Peter che ti sbraita contro e ti dice che non ti importa più niente di lui? Come fai a resistere a Tony che cerca di convincerti che non sia così? Eppure... eh, eppure le cose non sono semplici come sembra, miei cari amici!

Dunque, non ci resta che attendere domenica prossima per scoprire i risvolti di questa notte, unica notte, dove ogni cosa è messa da parte e dove, entrambi, si ricordano che l'uno senza l'altro non è niente di niente. ♥

A presto,

La vostra amichevole Miryel di quartiere.

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