14. Getting Better

Capitolo XIV. Getting Better

Peter si era sentito davvero nelle mani giuste, non appena Tony gli aveva detto che avrebbero proseguito quelle ricerche insieme ma, in qualche modo, c'era sempre quel velo di tristezza che lo accompagnava. Le cose tra loro sembravano, a tratti, tornate come un tempo. L'unica pecca era che, vibrante in ogni gesto, c'era il distacco. Qualcosa che ancora e ancora e ancora li teneva lontani, li divideva e per quanto Peter fosse convinto che la colpa fosse solo ed esclusivamente di Tony, che continuava a arginare l'argomento "ex fidanzati", sapeva di averci messo del suo. In primis quando non aveva pensato minimamente che anche l'altro, due anni e mezzo prima, si era ritrovato nella stessa situazione, dimostrando un gran bel menefreghismo nei riguardi di qualcosa che li vedeva, per una volta, simili.

Si diede dello stupido all'idea di avergli vomitato addosso tutto quel malessere, pensando – da vittima sacrificale – che solo lui stesse soffrendo, dimenticando quanto gli aveva spezzato il cuore quella volta. Sospirò, stringendo le spalline dello zaino in due pugni strettissimi e, cercando di non pensare a quanto era stato egoistico da parte sua dimenticarsene, virò la sua mente altrove, peggiorando le cose. Perché l'altro pensiero ricadeva su un'altra perdita, quella di Spider-Man.

Ormai le sue giornate erano per lo più dedicate a piangersi addosso per aver perso sia Tony che l'altro, tentando a modo suo di fare qualcosa per riprendersi entrambi, conscio però che non ne avesse le possibilità e le capacità. Non si stupì nemmeno quando, varcando la soglia della facoltà e alzando lo sguardo verso il campetto da baseball, dove alcuni ragazzi stavano facendo un gran casino, vide Tony e quel Harley Keener discutere animatamente, sorridendosi, dandosi gomitate complici. Non era stupito, ormai era praticamente all'ordine del giorno vederli interagire a quel modo ma, senza che potesse farci niente, gli fece male lo stesso.

E gli fece ancora più male quando Tony si voltò a guardarlo, sentendo chiaramente i suoi occhi addosso, e non gli rivolse nessun gesto per salutarlo.

Non si scomodò a farlo nemmeno lui, così si voltò e iniziò, svogliatamente, a salire le scale di scuola. Da quando aveva perso i poteri ci metteva il triplo del tempo, a svegliarsi, cosa che con Spider-Man non era mai successa e, quando arrivò in aula e trovò MJ e Ned intenti a tirar fuori dai loro zaini i libri di quella lezione, li salutò con uno sbadiglio.

«Parker, ti ho visto le tonsille», rispose Michelle, mettendo su un'espressione schifata e, scuotendo la testa, tornò a smanettare con le sue cose, posandole su di un banco. Ned invece sorrise e gli posò una mano sulla spalla.

«Ehi, bro! Allora, come sta andando con le ricerche tue e di Stark?», chiese subito, entusiasta e Peter avrebbe voluto dirgli che, quell'argomento – almeno per ora, era tabù, ma non gli sembrava giusto tenerli all'oscuro dei... progressi? Dio santo, non ne avevano fatto uno che fosse uno, di progresso, anzi. Iniziò a tartassarsi le pellicine delle mani, guardandosi intorno e, quando si rese conto che quel Beck non era nei paraggi, decise che quello era l'unico momento per raccontare loro com'era andata, lontano da orecchie indiscrete.

Rilassò le spalle e sospirò. «Male. Non c'è traccia di lui, in me, almeno per ora. Sembra che non sia mai esistito o che sia sparito nel nulla. Oggi facciamo un altro paio di test, tipo il DNA. Tony vuole capirci qualcosa.»

Michelle alzò le sopracciglia. «Oh, siete tornati amichetti?»

«MJ...», sospirò Peter, già stanco, per nulla intenzionato ad assecondare le sue critiche, le sue frecciatine e le sue paternali. Non ci voleva anche quello, in un momento come quello, per quanto anche lei stesse attraversando un momento di stress a causa di quel tipo che girava sempre loro intorno.

«Peter, nell'arco di una settimana e mezzo siete passati dal dover partire per una vacanza, lasciarvi e poi tornare a collaborare su una cosa di cui, a quello lì, frega meno di zero. Pensi che stia seriamente lavorando perché gli dispiace per te?»

«È un discorso che non voglio affrontare. Non adesso.»

Lei rise senza entusiasmo. Incrociò le braccia al petto e spostò il peso di una gamba all'altra. «Non è mai il momento, perché non c'è niente da affrontare. Ti sta aiutando perché deve ingigantire il suo ego, e lo sai benissimo che, quando troverà una soluzione al problema, tornerà ad ignorarti come sempre.»

«Non mi sto facendo aiutare per tornare con lui!», controbatté, piccato, cominciando a sistemare le sue cose sul suo banco, senza guardarla, con le mani che gli tremavano. Seppe di aver messo su un'espressione dura, contrariata, ma la verità era che ci sperava ancora, che Tony cambiasse idea e che tornasse con lui e, quella specie di riavvicinamento sembrava una mera occasione per rimettere in sesto le cose. Gli pareva ancora impossibile che, dopo due anni di relazione e dopo aver condiviso con lui gioie e dolori fino a un paio di settimane prima, tutto era sfumato via come se non fosse mai successo. Come se Tony non ci avesse mai tenuto davvero, a loro due.

«Ma lo speri, e se continuerai a farlo ti farai solo del male! Lascia stare Stark, sei in grado di risolvere il problema anche da solo», rispose lei, più calma, mentre Ned li ignorava a pié pari, sicuramente per nulla intenzionato ad entrare nel merito di quella conversazione. Quella discussione. Quello scambio di infelicità che MJ e Peter erano sempre destinati a elargirsi.

«E come? Non ho i mezzi per farlo, lui sì! Ha un intero laboratorio a sua disposizione, sa cosa fa, è determinato ad aiutarmi. Mi basta questo, il resto non ha importanza e... mi ignorerà, dopo? Okay, tanto lo sta facendo anche ora, al di fuori di questa aiuto che mi sta dando. Non ho speranza che cambi idea, o almeno sono già preparato», a perderlo per sempre. Anche se non vorrei mai.

«Peter... quello che stai facendo è distruttivo. Sei uno straccio, si vede lontano un miglio che non hai dormito», lo riprese lei, e lui si sentì in dovere di contraddirla ancora.

«Non sono più lui. Lui era pieno di energie, instancabile. Peter è... una cosa diversa. Peter è debole e normale. Fatica a svegliarsi e non ha più la fame di un tempo. Ve l'ho detto, che io e lui siamo due persone diverse.» Non ci credeva nemmeno lui, che fosse così e da quando aveva perso Spider-Man era sempre più convinto che, invece, il suo alter ego non fosse poi così esterno a lui. Non era facile scendere a patti col fatto che, perderlo, aveva significato lasciarsi alle spalle comunque una parte di sé e non la parte di un altro.

«No, questo non è un discorso di personalità, questa è depressione, Peter. La gente depressa non dorme e non mangia, non ha voglia di alzarsi dal letto, non si concentra, non si vuole bene e tu... be', tu sei arrivato a questo punto e tornare da Stark non farà altro che peggiorare le cose.»

«Non sono depresso. Ho appena rotto una relazione di due anni e ho perso la mia parte migliore. Sono triste, spaccato, distrutto. Devo ricominciare tutto da capo, posso avere il diritto di volermi aggrappare almeno ad una speranza? Una sola?» Ed è quello che la gente depressa fa, prima di smettere di crederci. MJ non glielo disse, ma glielo lesse negli occhi. E fu felice che quando la vide abbassare la testa – dopo avergli riservato un'ultima occhiata intensa. Ci aveva rinunciato, e lui sapeva il perché. Perché aveva avvalorato la sua tesi e per ora era chiusa lì, ma avrebbe ripreso il discorso e se da una parte Peter era terrorizzato e terribilmente scocciato all'idea che avrebbero dovuto riparlarne, sperò in cuor suo che potesse accadere ancora. Sperò di avere il coraggio di affrontare quel problema e chiedere aiuto ai suoi amici, a differenza di ciò che non stava facendo ora.

Non ne aveva la forza, la voglia ed era un codardo.

«Come mai non vi ho beccati con quel tipo?», chiese, per cambiare argomento, conscio che la cosa avrebbe potuto sviluppare altra infelicità nel loro modesto gruppo, che continuava ad apprezzare finché era composto da loro tre, sebbene con MJ ogni tanto vi fossero certe situazioni destabilizzanti. Proprio lei alzò le spalle, visibilmente felice della cosa.

«Avrà capito l'antifona?»

«Gli hai detto qualcosa?», domandò, e lei alzò gli occhi prima su Ned, che aveva arricciato le labbra, preoccupato e poi di nuovo su di lui.

«Ha chiesto ancora di te e di Stark. Immagino che non si stanchi mai, di essere la cosa più simile ad un palo infilato su per il culo.»

«MJ lo ha mezzo mandato a quel paese. Lui ha chiesto scusa, dicendo che non si era reso conto di aver insistito tanto, ha salutato cordialmente e se n'è andato», spiegò Ned, lanciando all'altra un'occhiata in tralice, che Peter non apprezzò. Si morse le labbra e si chiese che cosa accidenti c'era, di così interessante, nel conoscere le dinamiche tra lui e Tony, specie da uno che non aveva mai visto e che, a quanto pareva, non vantava nemmeno un numero di amicizie, in facoltà. Forse nemmeno al di fuori.

«È un sociopatico del cazzo», rispose Michelle, piccata, dando voce, con una sola frase, a quello che era il pensiero generale di Peter nei riguardi di quel soggetto, sebbene continuava a dispiacergli che non riuscisse proprio a integrarsi con nessuno. Men che meno con lui che, alla fine, continuava ad ignorarlo e a svicolare, spesso prendendo strade diverse quando lo vedeva per i corridoi. Lo evitava, più che altro per non dover parlare di Tony, perché quella faccenda stava diventando fin troppo insistente.

«È una persona gentile. Ha qualche problema a relazionarsi, ma non siamo forse così anche noi?», cercò di giustificarlo Ned, e Peter si sentì per un attimo in colpa, a quel pensiero. Era combattuto, perché tutti, nel mondo, meritavano di condividere qualcosa con qualcuno.

«Noi non siamo soli. Siamo amici tra di noi. Se il resto del mondo ci ignora è un loro problema o anche nostro, certo, ma almeno ci siamo trovati. Lui non ha trovato nessuno, come lui. La cosa mi puzza e mi sembra strana. Secondo me non ha tutte le rotelle al loro posto. Ve l'ho detto, è un sociopatico.»

«Non dovresti parlare alle spalle delle persone!»

«Come se tu non lo facessi mai, Ned. Lo facciamo tutti. Lo farebbe anche lui, se avesse degli amici!»

Era troppo nervosa, quando usciva fuori quel discorso. Era estremamente incapace di dosare le parole, molto più del solito e Peter iniziò a preoccuparsi seriamente, di quel fatto. MJ era un po' come Tony – e per l'amor di dio, questo non lo avrebbe mai dovuto sapere – pragmatica, razionale, schietta e sulle sue, ma da quando era entrato in scena Quentin Beck, sembrava che qualcosa le si fosse annodato intorno all'anima e, per quanto avesse provato ad indagare, Peter non ne aveva cavato un ragno dal buco. Continuava a darsi la colpa per non avere la testa di stare dietro pure ai problemi dei suoi amici, ma dopo quel discorso la faccenda s'era fatta troppo seria, per poterla ignorare ancora e MJ sembrava sul punto di farsi venire un crollo psicologico.

Tentò di intervenire ma, quando il professore entrò, dovette accantonare quell'intento. Le lanciò un'occhiata, che lei subito distolse, forse capendo che stava esagerando, che stava tirando fuori una frustrazione quasi immotivata.

Le avrebbe mandato un altro messaggio, il pomeriggio, se solo non avesse dovuto raggiungere Tony in laboratorio.

Si sentì tremendamente in colpa... e un amico di merda.

Quando raggiunse il quartier generale degli Avengers, gli parve di sentirsi un poco più a suo agio, nel varcare quella soglia, sebbene non avesse praticamente più nulla a che fare con quel posto, siccome non era più Spider-Man. Ci vide, però, una sorta di speranza. Come se, da qualche parte, vi fosse nascosto il suo alter ego in calzamaglia, pronto a balzare fuori e a tornare da lui, a riunirsi a lui, come se nulla fosse accaduto.

Era un sogno ad occhi aperti dato da chissà quale stupida speranza alla quale si era aggrappato e, sospirando, bussò alla porta del laboratorio di Tony, ricordandosi improvvisamente della stessa mattina, quando lo aveva visto al campetto di baseball insieme ad Harley Keener. Si chiese se, dentro con lui, non ci fosse proprio quel ragazzo. MJ gli aveva spiegato che anche Keener era un piccolo genio della matematica, che amava costruire congegni e divertirsi con esperimenti chimici. Un dettaglio che, decisamente, aveva acceso di più la sua gelosia e la paura che, prima o poi, li avrebbe beccati a pomiciare in qualche bagno della scuola o, peggio, proprio lì.

Tony aprì la porta e lui sussultò, preso alla sprovvista. Aveva addosso una maglietta nera dei Black Sabbat, un camice aperto e i capelli castani tutti spettina che, però, gli davano sempre una distratta eleganza di cui Peter era abbastanza succube. Dopotutto Tony era sempre bello e, l'aggravante, era esserne innamorato perso.

Gli fece male, quel pensiero, ma tentò di sorridere.

«Ciao», lo salutò e Tony non rispose, come sempre, facendosi da parte sulla soglia per lasciarlo passare. Quando Peter entrò, lui chiuse la porta e si infilò le mani nelle tasche del camice, poi sospirò.

«Ho preparato qualche test, tra cui quello del DNA. Ci metteremo a lavoro e studieremo insieme cosa è cambiato e se possiamo intervenire in qualche modo per alterarlo e fare in modo che tutto torni come prima», gli spiegò subito, e Peter annuì, incerto. «Che c'è?»

«Nulla, solo... non hai da studiare o... non so, magari hai altro da fare, con qualcuno e...»

Tony alzò gli occhi al cielo e, sospirando, lo interruppe. «Dio, Parker. Ti ho detto che ti avrei aiuto e lo farò. Se avessi avuto altro da fare, ti assicuro che non saremmo qui a parlare di DNA e di altre cose complicate.»

«Volevo solo assicurarmi che tu non av-»

«Inutili chiacchiere, inutili congetture, inutili perdite di tempo. Siediti, facciamo il test e ci mettiamo a lavoro», sentenziò ancora l'altro, poi si mosse verso una scrivania e, subito dopo, si bloccò e si voltò a guardarlo, mordendosi un labbro. «Sto solo cercando di venirne a capo il prima possibile. Per ora è la mia priorità.»

Non mi stai dando fastidio, non mi stai intralciando, non mi stai cambiando nessun piano. Sono qui per te e la risolveremo insieme. Peter ci lesse questo, in quella frase che aveva voluto aggiungere, dopo avergli riservato un tono ostico, quasi a volergli dimostrare che, averlo lì, era solo una mera scocciatura. Non lo era. Forse no. O forse sì.

Troppi dubbi incanalati nella testa e poco spazio per trovare una risposta e, quella, era solo una mera speranza. L'ennesima alla quale si stava aggrappando, sicuro che presto avrebbe ceduto e sarebbe caduto, facendosi così male da non potersi rialzare.

L'amore era in grado di distruggere, per quanto fino a poco prima non aveva fatto altro che tenere insieme ogni cosa.

Si sedette su una sedia e calò il silenzio. Tony iniziò i suoi test e, inserendo i dati in un computer, gli fece cenno di avvicinarsi. Gli indicò, sullo schermo, il suo DNA che girava su se stesso. In un punto, appena al centro, una macchia nera.

«Che cos'è?», provò a chiedere e, Tony, rise arrogante.

«Spider-Man! È ancora lì, la vecchia canaglia!», esclamò, euforico, cominciando a digitare qualche codice sulla tastiera e aprendo qualche finestra che, in pochi secondi, iniziò a calcolare dati numerici bianchi su uno sfondo nero. Tony alzò la testa per guardarlo e Peter non seppe che dire. Non seppe che dire perché Spider-Man c'era ancora, piccolissimo, racchiuso in un DNA ordinario che non rispecchiava quello che ricordava all'inizio, quando era nel pieno dei suoi poteri: interamente scuro, pulsante, quasi austero. «Sei spiazzato?»

«Io... non so che dire. Lui c'è davvero? Non se n'è andato?», chiese, e sperò di non essere risultato troppo speranzoso.

«Non montarti la testa, c'è una traccia e non sappiamo quanto tempo deciderà di restare lì. Se è permanente, sopita in te, oppure se pian piano sta svanendo. Dobbiamo lavorare duramente per capire cosa la sta portando via e come amplificarla e lasciare che torni a... tessere la sua tela di dati», rispose Tony, poi si alzò in piedi e, indicandogli un computer, prese in mano un telecomando. «Quella è la tua postazione. Avverti May, dille che farai tardi. Stasera abbiamo molto su cui lavorare, Peter e non ci schiodiamo da queste sedie finché non avremo una soluzione», rise, entusiasta e determinatissimo a non fallire. Qualcosa che, un po' lo rassicurò ma che, dall'altra parte, lo spaventò a morte.

Poi mi ignorerà di nuovo? Mi cancellerà dalla sua vita? Sarò solo un trofeo?

«D'accordo, mettiamoci al lavoro», asserì, annuendo risoluto. Non ci avrebbe pensato, al dopo, per ora avrebbe risolto il problema di Spider-Man e se lo sarebbe ripreso. Poi, magari, avrebbe pensato a fare lo stesso con Tony, ma non era questo il tempo delle paranoie e nemmeno quello delle vaghe speranze.

«Ottimo, tu siediti! Io metto un po' di musica.» Gli fece l'occhiolino, talmente su di giri che aveva di certo dimenticato di mettere su il solito muro e, mentre una vecchia canzone di Eric Clapton riempiva la stanza con un giro di chitarra da brivido, Peter si chiese se, quel giorno, le cose sarebbero cambiate ancora.

Continua...

Note autore:

Non mi odiate, vi prego ç_ç So che sono una brutta persona, che non aggiorno da una vita e che tutti aspettavate questo capitolo (e tra l'altro, ho pronti i prossimi due da mesi... ed è un vero peccato aver lasciato questa storia qui, a marcire, da sola) ma ho avuto un calo tremendo dell'ispirazione che, lo ammetto, è tornata grazie alla vittoria dei Wattys con il prequel di questo racconto e, dunque, motivatissima, ho deciso di riprenderla in mano, sperando anche di concluderla, che non sarebbe male, eh? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, spero che il mio ritorno qui sia ben gradito e... vi avverto, il prossimo sarà una vera e propria bomba ad orologeria (per questo l'avevo già pronto, ho voluto scrivere quella parte quando ne ero davvero ispirata e dunque... NON VI RESTA CHE ATTENDERE PROSSIMA SETTIMANA E NON 18 MESI E MEZZO **):

A presto, miei prodi ♥

La vostra amichevole Miryel di quartiere.

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