13. Help!
Capitolo XIII. Help!
«Peter?»
Spalancò gli occhi posati sul nulla e sobbalzò, quando Tony estrasse dal suo braccio l'ago e lo buttò con un gesto secco nel cestino, insieme a guanti e garze. Percepì livida la parte bucata e, con un gesto meccanico, andò a stringersi il braccio nel tentativo inutile di trovare del sollievo.
«Sei qui o da qualche altra parte?», gli chiese ancora Tony, e quando lui gli rivolse gli occhi, impacciato, indugiò. Non c'era una vera ragione per la quale si era improvvisamente isolato, semmai ce n'era più d'una e, tra queste, l'incertezza. Fluttuava nel nulla assoluto, fin troppo in alto rispetto agli altri, in attesa di tornare sulla terra e ritrovare un equilibrio, se non fosse stato che, pur condividendo il suo tempo per la maggior parte con qualcuno, Peter continuava, di giorno in giorno, a sentirsi sempre più solo.
Con Tony poi, la cosa era amplificata all'ennesima potenza. Era troppo strano parlarsi come se nulla fosse accaduto e, allo stesso tempo, dimenticando ciò che erano stati. Sapeva di troppe speranze a cui non voleva aggrapparsi.
«Sì, sì, ci sono. È solo che non riesco a capire che accidenti sta succedendo e perché non ne va una giusta.»
«Si chiama caso, e pensare al fatto che sia tutto un disegno del destino peggiora solo le cose. Finiscila di autodistruggerti, perché così te la stai solo cercando.»
Una lama ben affilata avrebbe di certo fatto meno male, e l'unica cosa che Peter riuscì a fare, dopo quel monito, fu zittirsi mentre Tony smanettava con le sue fialette di sangue e le mandava ad analizzare in una stanza adiacente. E malgrado il dolore che quel concetto gli aveva generato e che lo faceva sentire solo capace di lamentarsi e basta, non poteva non ammettere che comunque avesse dannatamente ragione.
«Ho mandato tutto nell'analizzatore. Ci vorrà un'oretta o qualcosa di più. Hai due vie: o te ne vai e torni quando avrò i risultati o, come ha proposto Banner, parliamo. Io sarei più propenso alla prima, ma dal lato etico e morale penso che la seconda potrebbe risultarci utile. Sta a te.»
Una scelta che, messa in quella maniera, non aveva poi altre sfumature plausibili. Peter avrebbe voluto lasciare la stanza, restare solo quel tanto che bastava a crearsi ancora più paranoie – siccome avrebbe speso quel tempo a rimuginare su troppe cose irrisolvibili –, ma era anche vero che, se voleva trovare una soluzione al problema del secolo, l'opzione di aprirsi e parlare con Tony poteva avvicinarli alla risoluzione del problema..., semmai questo sarebbe stato risolvibile, ovviamente.
«Ammetto di propendere per la fuga, ma dopotutto voglio capire cosa sta succedendo e se questo è un modo per capirci qualcosa, allora okay... fammi tutte le domande che vuoi.»
Tony prese posto su una sedia girevole e lo fronteggiò. Prese in mano una cartellina sulla quale non scrisse niente di niente per tutta la seduta ma, forse, lo faceva sentire più un tecnico che il suo ex ragazzo e questo, a Peter, sembrò solo un ulteriore modo di nascondersi dietro a un palo troppo stretto per celarlo totalmente. Perché l'idea che non lo amasse più era distruttiva e ignobile, ma quella che fosse ancora innamorato di lui ma che si stesse imponendo il contrario era una lenta agonia.
«Ti hanno picchiato? A parte le botte che hai preso ieri durante la rapina, intendo.»
«No, e non penso che l'avrei permesso. Insomma, ho – anzi, avevo i sensi di ragno e quelli mi aiutano a prevedere i pericoli. In ogni caso nessuno ci riuscirebbe, a meno di qualcuno molto, molto veloce.» Asserì, annuendo per convincersi che Spider-Man era forte e che quelle cose non le avrebbe mai permesse, sottolineando ancora di più quanto la personalità forte del suo alterego gli mancasse.
Tony arricciò le labbra. «È una domanda abbastanza idiota. Banner me ne ha proposte un po' ma la metà sono da accantonare e l'altra metà fanno schifo perché sì. Facciamo a modo mio», decise, e lungo la schiena di Peter corse un brivido di puro terrore. Indietreggiò sulla sedia in un gesto incondizionato, raggelando.
Tony abbandonò la cartellina con le domande lanciandola su una scrivania poco lontana con zero grazie e, incrociando mani e piedi, si lasciò andare contro la sedia e sbuffò. «Senti. È inutile girarci attorno; è inutile arrivarci per gradi, perché tanto prima o poi dovremo parlarne e capire se anche questo può considerarsi un trauma, visto che sappiamo tutti e due che è accaduto poco tempo prima che i tuoi poteri decidessero di farti ciao ciao con la manina.»
«Vedo che affronti tutto con il tuo solito tatto, Tony...», commentò, cercando di sdrammatizzare, sebbene dentro di sé vi fosse riposta solo un'infinita tristezza all'idea che parlarne poteva semplicemente sancire la loro rottura definitivamente, come se ora fosse solo in bilico; in attesa di conferme. «Be', sono d'accordo. Togliamoci subito il pensiero.»
Era di certo più semplice a dirsi che a farsi, perché non appena Peter si rizzò sulla schiena pronto a togliersi quel cerotto, scese il silenzio, che spesero a guardarsi intensamente e a cercare, forse, il coraggio di dare inizio a quel confronto. E Tony non aveva la stoffa per affrontare una cosa così personale senza risultare uno stronzo insensibile o, in alternativa, goffo come un pagliaccio.
«Be', le domande sarebbero tante ma è la parte in cui ti chiedo come stai passando questo momento che mi blocca. Perché io ti conosco e tu mi conosci. È impossibile che io ti ponga una domanda del genere.»
Però lo hai appena fatto indirettamente, pensò Peter, e nascose un leggero sorriso malinconico dietro ad una smorfia di dolore e di paura. Si toccò i palmi delle mani, iniziando a tamburellarli tra loro e, dopo un momento di esitazione, alzò la testa e lo affrontò.
«Dovrei dirti che sto bene, che l'ho presa sportivamente e che non mi ha segnato in qualche modo? Perché sarebbe una gran bella bugia. Dopo due anni non puoi farti scivolare addosso una cosa così senza che non vi siano ripercussioni. Ti puoi rassegnare, ma non puoi stare bene. È successo quando non era nemmeno contemplabile che tu prendessi una decisione così. L'effetto sorpresa ha reso il tutto ancora più triste. Magari per te non è lo stesso, magari hai già trovato modo di non pensarci ma per me è difficile, ancora. Quindi sì, di certo ha avuto il suo peso, semmai questo problema fosse unicamente emotivo e non scientifico.» Cercò di tastare il terreno supponendo da parte propria quale potessero essere le sue idee, nei confronti di quel discorso e gli faceva anche un po' rabbia l'idea che lui, dopotutto, non fosse obbligato a dire la propria su quel fatto. Che il problema dei poteri era di Peter e bisognava analizzare unicamente la sua testa e non quella di Tony. Uno svantaggio enorme.
«Da quando è successo dormi poco?», chiese l'altro, ignorando a pié pari sia come si sentiva Peter che quella frecciatina nei confronti del uso menefreghismo.
Peter rise senza entusiasmo. «Se dormo due ore a notte è grasso che cola ma... dopotutto non ho mai vantato grandi sonni, lo sai.»
«Lo sai che il corpo ne risente, quando non si riposa abbastanza.»
«Ma io sono Spider-Man. Ho il doppio della forza di un uomo normale, e ci metto la metà del tempo a recuperare le forze. O almeno lo ero... non mi sono mai posto il problema e, comunque, le notti insonni ultimamente erano date da altri pensieri, e lo sai. Non è tanto l'incapacità di dormire, ma quella di fermare il cervello che pensa troppo e elabora pensieri troppo complessi e generare problemi senza soluzione.»
«Paranoico lo sei sempre stato», cercò di ironizzare Tony, ma Peter, la provocazione, decise di non raccoglierla. Abbassò lo sguardo, cercando di trovare le parole giuste da dirgli e, indugiando per un secondo sulla punta delle proprie scarpe, infine alzò la testa e incrociò di nuovo i suoi occhi.
«Qui si tratta di sentirsi in colpa. Diciamo che non ho paura di aver rovinato tutto, sono più che certo di averlo fatto e basta. È una certezza. Tu non hai mai negato che il motivo per il quale mi hai lasciato sono io. Ora, se tu riuscissi anche solo per un momento a metterti nei miei panni, capiresti che significa sentirsi colui che ha rotto qualcosa a cui teneva e che credeva duratura nel tempo; qualcosa a cui avrebbe dovuto dedicarsi e invece l'ha lasciata cadere e rompere...»
Tony, con sua grande sorpresa, non interruppe il contatto visivo ma lo fissò intensamente con due occhi ardenti di rabbia e di rancori. Rancori lontani, del passato. Qualcosa che, in Peter, generò uno sbalzo d'energia che gli annebbiò la vista per un attimo, quando capì che sì... nei suoi panni Tony c'era stato.
«Vedo che hai la memoria corta...», commentò, semplicemente e, sebbene non volle darlo a vedere, distolse lo sguardo chiaramente ferito da quel fatto e, la mente di Peter, ci mise qualche secondo ad elaborare e ricordare, alla fine, che quando era stato lui, a lasciarlo, Tony doveva essersi sentito allo stesso modo. Aveva rotto qualcosa e l'aveva trascurato; forse non era esattamente la stessa cosa, ma la sensazione di portarsi dietro tutte le colpe doveva essere la medesima.
«E allora perché ignori l'idea di poterne parlare e chiarire?»
«Perché non c'è niente da chiarire, e non siamo qui per chiarire. Siamo qui perché tu hai perso i tuoi poteri e io sono l'unico che può aiutarti a capirci qualcosa.», sbottò Tony, continuando a non guardarlo, poi alzò il polso e guardò l'ora. «Vado a prendermi un caffé. Vuoi qualcosa?»
«No», sentenziò Peter, lapidario, e lui raccattò il portafoglio dalla tasca della giacca e, prima di aprire la porta, si bloccò.
«In caso non ci fosse alla pera, te lo prenderò all'arancia, come al solito», disse, e sebbene fosse solo una premura, Peter si sentì lacerare l'anima da dentro, come se lui stesso la stesse aprendo in due con un coltello. Quella frase aveva il sapore dell'amore; quelle piccole dimostrazioni che Tony gli dedicava, buttandole lì, e raccontandogli quanto fosse attento ai suoi gusti e quanto questi li prendesse in considerazione.
«Grazie», mormorò, meno duro rispetto a poco prima, con la sensazione dentro che, pur avvolti ancora da quel sentimento, entrambi correvano in cerchio intorno a quel cuore e non si trovavano mai.
Quando Tony tornò dal bar, quasi un'ora dopo, Peter comprese che la sua era stata una fuga dalla verità. La scusa era stata quella della fila troppo lunga e del fatto che si fosse accesa una discussione con il barista e che gli aveva rifatto il caffé una cosa come sei volte, perché ogni tentativo faceva pena. Peter finse di crederci e trattenne una battuta sul fatto che fosse, comunque, sempre la prima donna di sempre, poi insieme si avvicinarono verso la macchina delle analisi e, quando questa stampò il risultato, Tony lo prese al volo.
«Vediamo. Bla bla bla, tutto nella norma. Anche questo è tutto nella norma. Hai il colesterolo al limite.»
«Ho affogato i dispiaceri nei dolci, lo ammetto. La credenza di casa è vuota.»
«Non farti venire il diabete, o invece di Spider-Man ci ritroveremo a cercarti un pancreas nuovo», ironizzò Tony, dopo averle riguardate una seconda volta, infine sbuffò lanciandole sulla scrivania. «Non ho mai avuto analisi così perfette. Tutti i valori che Spider-Man aveva alzato sono tornati normali. Come se non ve ne fosse più traccia.»
Peter sentì qualcosa colpirlo all'altezza del petto, così tanto che si piegò sulla schiena e si dovette aggrappare allo schienale della sedia dove era seduto Tony. Gli parve quasi vederlo scattare per sostenerlo, ma forse era stata solo un'impressione, sebbene il suo volto fu attraversato per un attimo da un velo di preoccupazione.
«Ti senti bene?»
«Dunque l'ho perso per sempre?»
«No. No, non è detto. Ho altri test da farti fare, tra questi quello del DNA e sarà il prossimo al quale dedicheremo del tempo. Nel frattempo non ci pensare, vattene a casa, riposati e domani riprendiamo. Non mi va di averti intorno mentre cerchi di trovare un problema ad ogni soluzione e ora come ora non ci resta che aspettare.»
«Tony, io non cerco un problema ad ogni soluzione. Io so che i problemi esistono e che non è detto che vengano risolti», lo ammonì, recuperando comunque la giacca da sopra ad un tavolo e mettendo in spalla lo zaino, con un gesto secco e iroso. Non negava che le sue fossero, a volte, delle lamentele che avrebbe potuto evitarsi per viverla più serenamente, ma da come la poneva Tony sembra che si lagnasse seriamente per ogni cosa e che, in qualche modo, non stesse facendo niente per risolvere quella disgrazia.
«Non è detto, già, ma finché non lo sai smettila di caricarti di se e ma. Non ci serve anche curarti la melanconia. Non sono il tuo psicologo, e nemmeno il tuo dottore. Sono uno scienziato, e mi occupo del mio campo. Tu occupati del tuo, e se serve trovati un supporto psicologico. Se non hai lo spirito per voler trovare una soluzione tanto vale non impegnarsi affatto e usare quelle energie per qualcosa di più produttivo. Mi serve che tu la viva credendoci, altrimenti domani non ti presentare nemmeno.»
Duro. Duro come il marmo. Vacillava poi dalla gentilezza goffa all'arroganza più becera, spiazzandolo e ferendolo come se il suo solo intento fosse quello di ucciderlo. Peter arricciò le labbra, trattenendo un mare di risentimento che avrebbe voluto vomitargli addosso ma, in un certo senso, capiva anche le sue intenzioni. Cercava, a modo suo, di spronarlo a reagire ma, in fin dei conti, era difficile riuscirci dopo aver perso troppe cose, tutte insieme, lasciandolo privo di una corazza e di un cuore caldo. Inerme e a tratti apatico, si rendeva conto del fatto che sì, non erano solo l'amore o la sua parte superomistica, il problema, ma anche lui come Peter Parker. Proprio colui con cui condivideva l'interezza di quell'esistenza senza mai staccarsi, nemmeno quando era stato Spider-Man. Se ne rese conto in quel momento e, annuendo, cercò solo di dimostrarsi determinato e meno ferito di quanto non fosse davvero.
Ci proverò, avrebbe voluto dire ma con Tony, le mezze misure, non funzionavano mai. «Lo farò», asserì e quando l'altro gli rivolse un sorriso arrogante ma che sapeva di una vena di orgoglio, un po' di sentì sollevato. «Dunque... ci vediamo domani.»
«Sì», cominciò Tony, stiracchiandosi sulla sedia girevole, poi sbadigliò. «Se ho novità ti scriverò un messaggio, fino a quel momento rimaniamo a domani.»
Peter annuì, poi sospirò e rilassò le spalle, cercando di buttare via un po' di quell'ansia accumulata e sostituendola con un poco di speranza, che sperò potesse durare fino all'arrivo a casa e che, magari, l'avrebbe fatto dormire un po'.
Si guardarono per qualche secondo, poi si salutarono con un semplice gesto della mano e, per quanto non avesse scoperto niente di particolare e che la vera ricerca iniziava adesso, Peter si sentì nelle mani giuste e, allo stesso tempo, in quelle sbagliate.
Continua...
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