Completai l'inserimento dei primi tre coefficienti e schiacciai il tasto per inviarli. La barra si accese e iniziò a vibrare. Lo presi come un buon segno. Il rumore diventava sempre più forte. Non ci pensai oltre e mi diressi verso la scala a pioli.
Quella ragazzina che saliva trattenendo il fiato aveva il terrore di non sapere abbastanza. Se avesse davvero saputo di più, probabilmente avrebbe fallito il suo compito. L'ignoranza in certe circostanze è un bene. Se avessi davvero saputo calcolare la percentuale che avevo di sbagliare almeno un numero di quei nove coefficienti a sei cifre ciascuno, probabilmente avrei stracciato il foglio e l'avrei gettato giù dalla trave che si apriva di fronte a me.
Prima di entrare in quello stretto passaggio che aveva da terra un dislivello di almeno 3/4 metri, guardai la stanza. Sembrava vuota, ma c'era molto confusione al livello sotto. Forse Sven aveva pensato di attirare verso il basso le guardie. L'unico presente nella stanza era Andrea che stava colpendo a più riprese diverse tubature con un piede di porco trovato chissà dove. Non mi sembrava affatto un'idea geniale. Era talmente concentrato che non mi vide. Io tirai un profondo respiro e iniziai a muovermi sulla trave. Quella sarebbe stata la tipica parte che, da piccola, saltavo nei giochi del parco per il timore di farmi male cadendo.
Sentivo il mio cuore battere come un martello, ma mi imposi di respirare a fondo. Io non soffrivo di vertigini e quello non era una montagna. Era molto peggio! Quando arrivai alla barra mi tremavano le mani. Mi presi un attimo per calmarmi. Appoggiai il foglio accanto a me. Uno sbuffo d'aria, probabilmente partito delle fenditure causate da Andrea, lo sollevò. Per fortuna avevo buoni riflessi. Lo afferrai al volo tenendomi con una mano alla struttura. Dovevo sbrigarmi. La situazione sarebbe peggiorata in fretta se Andrea continuava a colpire condutture a caso.
Cominciai a copiare freneticamente i coefficienti. Mancava l'ultimo quando la trave iniziò a tremare. Andrea si voltò verso di me, credo temesse di essere stato lui, ma penso si trattasse della prima barra che era arrivata al limite. Ci fu una specie di piccola esplosione e poi vidi un fascio di luce partire dalla parete dove si trovava la barra. Era leggermente inclinato, non era perfettamente verticale: sicuramente avevo sbagliato qualcosa. Presi coraggio e schiacciai il tasto per inviare i nuovi coefficienti. Ormai, comunque, non potevo reinserirli da capo. Il rumore e la luce diffusa attirarono tutti i cercatori nella stanza. Andrea fece appena in tempo a scomparire in un condotto laterale tirandosi dietro la grata.
Io misi in tasca il foglio e sgattaiolai più in fretta possibile verso la fine della trave. Avevo le mani sudate e facevo poca presa sul metallo. Intravidi Sven spingere Daniele su per le scale. L'intera sala era coperta di flutti di gas che a turno rendevano difficile anche solo immaginare cosa c'era dall'altra parte. Mi issai sul primo piolo e mi persi a guardare la caldaia n° 4 che tremava e stava cambiando colore. Ero sempre più convinta che quella di Daniele e Sven fosse stata una pessima idea: immaginarli alleati insieme in quell'impresa mi faceva strano. Pensare a tutte le volte che avevo difeso Sven con Daniele. Adesso si spalleggiavano come due amici di lunga data, mentre a me Sven non aveva nemmeno detto "in bocca al lupo". Iniziai a scendere la scala arrabbiata.
Allora il secondo dispositivo si avviò. Lo spostamento d'aria mi fece perdere la presa sulla scala e finii malamente a terra. Sentii una fitta perforarmi il fianco, un aculeo: avevo gli occhi coperti di lacrime e faticavo a respirare. Tentai due volte di rialzarmi, ma il dolore era troppo forte. Percepivo il fiato sempre più corto, quasi rischiasse di spegnersi, da un momento all'altro, lasciandomi senza ossigeno. Guardai la barra poco più avanti nel corridoio e strisciai in quella direzione, come un verme. Ogni metro mi sembrava che un peso mi opprimesse schiacciandomi sul petto. Se non fossi arrivata a quel dispositivo, sarebbe stato tutto inutile: aver acceso le altre due non sarebbe bastato. Non potevo non farcela.
Nella sala si udivano i rumori dei proiettili, le urla in tedesco. Da dove ero, non c'era una sola grata per poter vedere. Forse era meglio così: mi sarei fermata terrorizzata e avrei perso tempo che sapevo di non avere più. Giunsi alla barra esausta e mi ci appesi per tirarmi in piedi. Il mio urlo di dolore nemmeno si era sentito in quel frastuono ovattato. Copiai quegli ultimi numeri per disperazione, senza controllare più di tanto. Ero al limite: sentivo che stavo per crollare.
Io non ero nata per quel mondo, per nessun in realtà. Non ero utile lì, come non lo sarei stata a casa, ma nella mia pianura c'ero nata: erano costretti a tenermi lo stesso, se non altro per senso del dovere. Ero stata così stupida a pensare che qui fosse diverso, che Sven lo fosse. Daniele avrebbe potuto vivere anche qui, come nel 1996. Era così ingiusto: loro sarebbero stati interessanti, divertenti, unici e speciali in qualsiasi mondo o tempo fossero vissuti. Io invece ero un fantasma dovunque: sola a guardare in faccia il mio ennesimo fallimento. Con le lacrime agli occhi inserii gli ultimi numeri, diedi il via alla procedura e poi rimasi lì a guardare quella barra che fluttuava. Il rumore salì velocemente: era insopportabile. Lasciai il foglio incastrato dietro la barra. Mi appoggiai alle pareti del condotto e scivolai lentamente verso la scala a pioli. Aspettai di vedere l'esplosione, prima di salire.
Quando quel bagliore inondò la stanza, in quella strana luce presi un gradino alla volta e lentamente risalii fino alla trave. Quando mi sporsi dall'apertura, osservai la breccia: era davvero qualcosa di non troppo diverso da una pozzanghera. Non era esattamente dritta, era leggermente inclinata verso il basso, ma non era nemmeno orizzontale come l'ultima volta. C'era qualcosa in lei che non aveva stato: né liquido, né solido, né gassoso. Eppure, assomigliava a tutti e tre assieme. Notai la professoressa uscire da una grata laterale e mandare avanti Emily con Maggie. Quando le vidi sparire, un brivido mi corse lungo la schiena. Sperai almeno di aver azzeccato i coefficienti temporali. Andrea li seguiva sorreggendo Michele che oltre alla gamba si teneva una spalla piena di sangue.
Salii sulla trave e mi accorsi che un pezzo della stessa sul fondo era crollato. Ero in trappola! Individuai Sven, Daniele e Giorgio armati che esplodevano colpi dietro a una porta di acciaio divelta, ora usata come scudo. Sven invitò Giorgio ad andare. Daniele continuava a sparare all'impazzata: pareva trovarsi in uno dei giochi del computer che gli piacevano tanto. Vidi Sven che lo spingeva ad andare e lo copriva sparando contro i cercatori.
Dopo che Giorgio passò la breccia, rialzai lo sguardo sul fondo della sala: Adrian indicava la mia trave. Lo vidi impugnare una grossa arma: anche Sven se ne accorse perché cominciò a gridarmi qualcosa. Non capii cosa stesse dicendo, ma guardai sotto di me. Vedevo la breccia fremere a pochi metri. Non alzai lo sguardo, sentii solo il rumore dell'arma che scagliava il colpo finale contro di me. Chiusi gli occhi e mi lanciai nel vuoto: l'attimo successivo fu nulla.
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