Ragazzi senza futuro

«Wo ist die Maschinerie?» tuonò l'uomo in tedesco. Non c'era bisogno di un interprete per capire che voleva il dispositivo di Sven, la macchina del tempo. Sven chiuse gli occhi e abbassò lo sguardo a terra; l'energumeno lo colpì dritto nelle costole. Era legato mani e piedi a una sedia con una spessa corda. Incassò malamente, tremando. Lanciai uno sguardo truce a Daniele: Sven non meritava questo! Lui in tutta risposta sputò contro il cercatore, il quale non mascherò il suo disappunto tirandogli un ceffone in pieno viso. Sven subì il contraccolpo senza fiatare.

«Non ve la darò mai!» tuonò urlandogli dietro. L'uomo si voltò verso la porta che si era aperta in quell'istante.

Sven alzò la testa. «È così allora?» Stavolta usò l'italiano. Quella frase mi lasciò senza fiato.

Mi sporsi per vedere dalla grata: rimanemmo tutti di stucco a osservare Adrian avanzare verso di lui. Quanto eravamo stati ciechi! Almeno tanto quanto Sven, ma la professoressa sapeva molto più di lui su suo padre. Perché le aveva rivelato tutto questo? La risposta era solo una, semplice e chiara: non avevamo mai avuto alcuna possibilità di riuscire a fuggire. Adrian aveva capito da subito come servirsi di noi. Ci aveva rivelato quello che ci era utile sapere per aiutare Sven a completare il lavoro e poi ci aveva venduto.

«Da quanto?» chiese Sven.

Io trattenni il fiato. Non potevo nemmeno immaginare la tempesta che si era scatenata in lui. Essere traditi dal sangue del proprio sangue. Vedere tuo padre, la persona a cui ti eri affidato per la tua sicurezza o quella dei tuoi fratelli, calarsi quella maschera e rivelarsi per uno sporco approfittatore, doveva fare un male di cui io non conoscevo nemmeno i confini.

«Da quando hai contattato il mio collega. Cosa pensavi? Che il governo non lo scoprisse?» rispose Adrian avvicinandosi.

La prof. si maledisse mentalmente per aver dato retta a quell'uomo. Ci aveva trascinati nella tana del lupo, lo aveva aiutato. Era certa della buona fede di Sven, ma su Adrian si era sbagliata così tanto. Forse per disperazione o semplicemente perché non aveva saputo come altro fare a tirarci fuori da quella situazione.

«Loro sanno tutto, Sven. Tu parli in italiano e speri che questi non ti capiscano. Forse è così coi cercatori, ma pensi davvero che avrebbero lasciato questo posto non sorvegliato? Ti hanno guardato costruire e provare quella macchina, pezzo dopo pezzo» aggiunse Adrian scuotendo la testa.

Io mi guardai attorno in cerca di telecamere, eppure, dalla nostra posizione, non ne vedevo nessuna.

«Finché non funzionava erano solo i giochi di un ragazzo e potevano essere tollerati, ma ora tu hai portato qui loro e il governo sa, ha capito: può prendere i ragazzini che ci servono dalle epoche passate per far vivere gli uomini che traghetteranno la terra nel nuovo millennio. E tu li aiuterai!»

Come se fosse una decisione che spettava a lui! Sven non era più un bambino e suo padre davvero non riusciva a capire cosa gli stava domandando? Dopo i discorsi che avevamo fatto assieme, sulla natura, sul futuro, sul passato, lui chiedeva a suo figlio di ingannare il tempo, di piegarlo agli scopi di un governo?

«Mai» disse Sven convinto. «Pensavo che volessi dare un futuro ai tuoi figli, invece ci hai venduti!»

«Vedi è qui che ti sbagli, perché io vi amo, Sven, ma come con tua madre, a volte bisogna proteggere le persone che amiamo da loro stesse» aggiunse avvicinandosi a lui.

«Cosa hai fatto alla mamma?»

«L'ho portata al sicuro. Stava facendo brutti pensieri, qui. Era troppo stressata dalla situazione. Voleva lasciarmi, portarvi via: diceva che non ero più lo stesso» confessò Adrian.

La prof si tappò la bocca con le mani dallo stupore. Fino a che punto l'aveva rigirata quell'uomo? Stritolò la grata sotto alle dita.

«Mamma ha ragione: anche io non so più chi sei!» pianse arrabbiato Sven.

«Dopo la prima vita, si cambia, Sven, si rivedono le priorità. Così i tuoi fratelli avranno un ID e loro potranno prendere i ragazzini che servono dal passato. Saremo tutti più felici.»

Mi mancò il fiato a quella precisazione. Nemmeno in un migliaio di anni Sven si sarebbe prestato a un piano del genere. E se si fosse opposto? Cosa gli avrebbero fatto?

«Se lo farete, il futuro cambierà per sempre!»

Guardavo il suo collo rosso tirato e il volto contratto sotto i capelli tutti spettinati. Ripensai al ragazzo che avevo conosciuto sul balcone, che passava ore davanti al mare a chiedersi come sistemare quello che altri uomini prima di lui avevano distrutto. Quello che aveva condiviso con noi la sua allegria, il suo sogno. Adrian non aveva il diritto di distruggere suo figlio così, in un attimo.

«Anche a te un giorno potrebbero dare questo onore, se ti farai perdonare e li aiuterai. In fondo. cambiare il futuro era quello che hai sempre desiderato, fin da bambino. Hai fatto un grande servizio per la tua comunità sistemando quella macchina. Com'era prima non funzionava, ma adesso può essere usata, è stabile. Sei il degno figlio di tuo padre!»

«Non potete togliere una vita a chi ce l'ha per diritto di nascita; non vi lascerò fare di loro dei ragazzi senza futuro!» gridò Sven digrignando i denti. Poi abbassò gli occhi: mi sembrava di scorgere le sue lacrime. Il loro rumore soverchiava tutto. Se la natura era giusta, come poteva non ascoltare quel grido disperato!

«E come intendi fermarci? Loro saranno solo i primi, Sven, con il tuo aiuto o senza» precisò Adrian. Poi si girò e abbandonò la sala chiudendosi dietro la porta. Appena non si udirono più rumori di passi, io cercai di tirare la grata che mi trovavo davanti. La prof mi bloccò.

«Magari, Andrea avrà più fortuna?» propose inaspettatamente. Andrea si fregò le mani, si posizionò bene, si tenne a un maniglione e cominciò a colpire la rete metallica con calci ben assestati. Giorgio gli diede il cambio. Infine, dopo alcuni minuti la grata cadde a terra con un tonfo.

Sven smise di piangere mentre ci guardava uscire alla spicciolata. Lo aiutammo a slegarsi. Lui si alzò in piedi facendo profondi respiri. Si asciugò la faccia: l'avevano ridotto un colabrodo. «Ce la fai?» chiese la prof.

«Nemmeno voi avete un grande aspetto, andiamocene di qui!» imprecò indicando una telecamera. Poi rientrò nel condotto e ci fece strada. Cominciammo col suo aiuto a salire da un livello all'altro, non visti. Eravamo alla seconda biforcazione quando si fermò davanti a me senza preavviso.

«Come stai?» chiese guardandomi dritta negli occhi.

«Viva»

«Ora sai cosa si prova a vivere in questo mondo. Ora sai perché li volevo portare via»

«Puoi ancora farlo!»

Lui sospirò a fondo. «Non importa».

«Non capisco! E il tuo sogno?» lo fermai prima che proseguisse.

«Devo distruggere quella macchina! I miei fratelli non li vedrò comunque mai più. Mio padre avrà dato loro un ID e li avrà fatti sparire. Probabilmente poco dopo che abbiamo lasciato l'alloggio.»

«Ragazzi, forza!» La prof ci invitò a proseguire. Sven mi spinse avanti.

«Dovevo capirlo che qualcosa non tornava» bofonchiava tra sé e sé. Quindi mi aiutò a sorpassare un dislivello. «Sono stato cieco!»

«Nessuno di noi se n'era accorto» ammise la professoressa. «Tuo padre mi aveva detto che era un trapiantato, ma ho pensato che si fosse pentito di averlo fatto, che non te lo dicesse soltanto per non farti soffrire. Mi dispiace.»

«Voi non avete nulla di cui scusarvi, sono io che ho combinato questo casino e ora devo sistemarlo» disse deciso precedendoci e andando in testa alla fila. Salimmo da una stretta scala a pioli, muti. Sentivamo molti rumori attorno a noi. I cercatori non si erano dati per vinti, probabilmente ormai ci avevano visto dai filmati e sapevano che eravamo stati noi a liberare Sven. Sussultavo cercando di pensare a mettere un piede davanti all'altro. Maggie era sfinita, con la febbre sempre più alta e la prof. si fermava piegandosi in due, tenendosi il fianco che sanguinava. Dovevamo sbrigarci se volevamo salvarle. Sperai che quel corollario avesse ragione.

Avevo pensato di essere superiore al mio vecchio mondo, di essere pronta a lasciarlo, ma non era più così semplice. Mi importava molto delle sue sorti: per quanto male mi facesse, era il mio mondo, era casa mia. Quando mi ero iscritta a quella scuola ero solo una bambina che sognava di viaggiare. Forse ero cambiata. Forse, semplicemente, non riuscivo ad ammettere che anche nel 1996 c'erano posti meravigliosi, che valeva la pena vedere e salvare. Forse dovevo solo trovarli, provare a respirare e aspettare che la nebbia si diradasse.


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