La vita che vorrei
«Il solito?»
«Sì, grazie.»
«Giornata pesante?»
«Non me ne parlare.»
Marco si allentò il nodo alla cravatta.
Carlos gli porse il Martini e si appoggiò al bancone.
«Problemi al lavoro?»
«No, no. Solita solfa! I miei clienti sono noiosi: nessuno vuole osare, chiedono tutti un profilo di rischio basso e io mi barcameno sulle solite obbligazioni a tasso fisso garantito.»
Marco sospirò scuotendo la testa. Alzò lo sguardo e incrociò quello del barista. Riabbassò gli occhi e prese a giocherellare nervoso con il suo cocktail.
«Il problema è a casa» aggiunse quasi sottovoce.
«Giulia?»
«Già. È una rottura continua! C'è sempre qualcosa che non ho fatto, si lamenta che non ci sono mai, che lavoro troppo, che deve pensare a tutto lei. È a casa tutto il giorno, diamine! Ha scelto lei questa vita! Per carità, Anna ha bisogno di tutto il supporto possibile, ma io devo portare a casa soldi in più e non mi diverto certo a fare straordinario tutti i giorni, oltretutto con questo schifo di lavoro.»
Le parole erano uscite automaticamente man mano che Marco alzava la voce. Prese in mano il bicchiere con un gesto nervoso e bevve un lungo sorso, assaporando la sensazione rilassante dell'alcool che gli infiammava la gola.
«Scusami. Ti ho già annoiato più volte con tutto questo, e avrai già una marea di clienti frustrati che si lamentano continuamente di quanto la loro vita faccia schifo.»
«Non preoccuparti. Ho la pellaccia dura e una discreta scorta di alcolici.» Carlos gli fece l'occhiolino prima di allontanarsi per servire un altro cliente.
Marco si perse per un po' nei suoi pensieri, poi trangugiò il suo Martini, si alzò e gli fece un cenno di saluto da lontano.
Rientrò a casa, stanco e abbattuto come sempre. Ascoltò superficialmente le lamentele della moglie, esattamente come da previsioni. Sorrise alla figlioletta dalla porta della sua stanza: sapeva di non poterla toccare per non scatenarle un attacco di panico. Cenò con una triste minestrina riscaldata e si rifugiò nella stanza del figlio maggiore per parlare con lui degli allenamenti di calcio. Quando entrò in camera da letto, Giulia già dormiva, ma non la criticava mai per questo: sapeva benissimo quanto fosse pesante occuparsi di una bambina autistica.
Si addormentò quasi subito.
Quando sentì le sue mani scorrergli sul petto, ebbe un brivido di desiderio. Alzò lo sguardo e si perse nei suoi occhi, in quelle macchie di tempera scura. Posò la guancia contro il suo viso e sentì le sue labbra, morbide e carnose, ai lati della bocca. Si rese conto di essere solo in un sogno. No! Non poteva lasciarsi andare o il desiderio sarebbe diventato insostenibile da sopportare. Si svegliò volontariamente e, fissando il buio con gli occhi sbarrati, cercò di scacciare dalla mente il volto di Carlos.
***
Ogni giorno Marco sopportava la stessa monotona routine concedendosi però, sempre più spesso, una sosta al bar dopo il lavoro. Qualche volta lo raggiungeva Michael, il suo amico e collega che, appassionato di sogni lucidi, gli raccontava tutti i suoi tentativi fallimentari di provare a pilotare un sogno. Uno di quei giorni, Marco si lasciò sfuggire di essere riuscito a svegliarsi volontariamente da un incubo. Se ne pentì subito.
«Cosa? Tu riesci a farlo senza saperne nulla? Io sono mesi che ci provo e non ci riesco! Cacchio, potresti sognare tutto quello che vuoi e non ci provi nemmeno?»
Così Michael gli sciorinò un vero e proprio trattato sui sogni lucidi raccontandogli tutte le tecniche che aveva sperimentato, ma Marco era perplesso.
«Ma dai, sono solo sogni.»
«Solo sogni? Dormendo, potresti vivere tutto quello che non puoi fare nella realtà! Pensa, potresti farti quella gnocca della stagista e sperimentare con lei tutto quello che vuoi, perché puoi essere tu a scegliere. La vita di tutti i giorni, quella così perfetta che ti piace tanto, continuerà a essere lì quando riaprirai gli occhi.»
Solo nei giorni seguenti Marco si accorse di quanto quelle parole avessero fatto presa su di lui. Ci pensava seduto al bancone del bar, dove il sorriso di Carlos lo incantava sempre di più, ma soprattutto quando, rientrando a casa, veniva schiacciato dal peso delle parole della moglie o quando doveva sopportare le critiche pungenti e accusatorie dei suoi genitori riguardo alle iniziative regionali sui matrimoni omosessuali.
Dopo aver scandagliato la rete in cerca di maggiori informazioni, fece qualche prova e si stupì di come fosse facile per lui riuscirci. Pilotando i sogni a suo piacimento, si gettò tra le braccia del suo barista e si lasciò trascinare da quella proibita passione travolgente. Accadeva così spesso che, quando si trovava davanti a lui nella vita vera, cominciò a confondere il sogno con la realtà: si lasciò sfuggire frasi e sguardi troppo eloquenti per quello che si poteva permettere.
A casa la situazione si faceva sempre più pesante. «O non ci sei, o dormi! Ultimamente non fai altro!» gli urlava Giulia.
Marco, però, non poteva più farne a meno. Aveva bisogno di lui, dei suoi baci, delle sue carezze, di perdersi ancora una volta nel suo sguardo. Aveva bisogno di quei brividi, di quelle emozioni. Il desiderio era così forte che arrivò a pensare di mollare tutto, ma le difficoltà che avrebbe dovuto sopportare gli sembravano insormontabili e le conseguenze dei suoi gesti sarebbero state troppo grandi.
Si aggrappò sempre di più a quelle emozioni e a quei sogni che duravano ogni volta di più. Nel mondo onirico, era riuscito a costruire una vita parallela con lui, con Carlos. Si rese conto che stava bene solo in quel sogno, perché solo lì poteva essere sé stesso, solo lì trovava qualcosa per cui valesse ancora la pena vivere.
Si svegliò, si girò nel letto e si trovò riflesso in quello sguardo di tempera. Carlos era lì, davanti a lui, e gli sorrideva. Marco si lasciò sciogliere dal calore che sentì nel cuore.
Decise di volere quella vita.
Decise che non si sarebbe svegliato mai più.
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NOTA DELL'AUTORE:
1000 parole questa volta sono state davvero faticose... c'erano tante altre immagini che avevo in testa e che mi sarebbe piaciuto mettere in questa storia... me ne servivano almeno 3000, mannaggia!
PROMPT: NELL'ABBRACCIO DELLA FOLLIA
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