Girone IV: Avidi
Trama: Il castello di "Mida", luogo abbandonato e nascosto tra le montagne, si dice sia pieno di ricchezze. Un gruppo di amici decide di partire per andarle a trovare.
Tuttavia, gli spiriti che abitano il castello hanno un altro piano: solo uno dei ragazzi potrà lasciare il castello e sarà lasciato ad affrontare la follia dell'avidità.
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«Non ce la faccio più!» si lamentò uno di loro.
«'Sta buono! Siamo quasi arrivati».
«Me lo avete detto per tutte le due ore passate!»
«Tu ti sei lamentato per tutte le due ore passate!».
Il ragazzo rimase in silenzio perché sapeva che avevano ragione, ma non era colpa sua se era così gracilino da non sopportare quella camminata in alta montagna, piena di sentieri ripidi costellati di sassolini che ti facevano scivolare ogni secondo.
Stavano camminando da quattro ore e nessuno si era voluto fermare, se non per una decina di minuti... circa due ore fa. Astolfo -si chiamava così perché i suoi genitori erano sia dei gran burloni che degli amanti della letteratura- non ne poteva più e stava iniziando ad odiare quella vacanza con i suoi amici. Avevano deciso di fare un viaggio dopo l'ultimo esame dell'università e avevano scelto il nord della Turchia perché Giacomo -lo studioso di lettere antiche- aveva detto che doveva essere un posto meraviglioso, pieno di miti, leggende e riferimenti a ciò che stava studiando. Così si erano lasciati convincere e avevano prenotato una camera d'hotel in quella che molti e molti secoli prima era la Frigia. Poi avevano ascoltato un vecchio -che tentennava un bel po' con l'inglese- parlare di Omero e del Re Mida.
Quest'ultima storia la conoscevano già, ma comunque li aveva affascinati moltissimo, soprattutto perché l'anziano uomo sosteneva che il castello -quello vero- fosse ancora nascosto tra le montagne e che nessuno fosse mai riuscito a trovarlo. Probabilmente, era ancora traboccante d'oro.
Il giorno dopo i ragazzi erano partiti alla sua ricerca.
«Guardate che bello, ragazzi!» esclamò Mykahel, portando alla realtà gli altri tre. Ognuno era perso nei propri pensieri.
La montagna iniziava ad essere coperta di neve e il sentiero era attraversato da delle spesse nuvole. Lo strapiombo dal lato destro del sentiero si stava accentuando, ma dava una vista favolosa per chi non soffriva di vertigini.
Poi un urlo acuto attraversò l'aria, producendo un'eco, e quello che sembrava un falco sfrecciò davanti a loro. Chissà se aveva avvistato qualche preda.
I quattro ragazzi continuarono a salire fino a sbucare oltre la coltre di nuvole. Il sole iniziò improvvisamente a farsi più forte e il suo riflesso sulla neve era quasi accecante. Astolfo sapeva già che sarebbe tornato a casa tutto rosso e bruciato ed invidiò la pelle scura di Mykahel, che era americano ma aveva due nonni provenienti dal Mali e due dall'Egitto.
Il gruppo lo stava guidando Luca perché sosteneva di essere quello con più senso di orientamento -e il fatto che ad inizio percorso avesse preso la mappa al contrario era solo una piccola svista!
Il sole venne coperto da un'altra coltre di nubi, più scura e minacciosa. Mentre il sentiero iniziava a procedere in piano i ragazzi si guardarono stupiti: non sapevano che sopra alle nuvole potessero essercene altre.
«Guardate là!» esclamò Mykahel «Lì le nuvole si addensano in modo strano, come per coprire qualcosa!». Il ragazzo era quello più creativo e fantasioso del gruppo, studiava Ingegneria del Cinema e seguiva corsi di disegno e fotografia, ma era anche quello più attento ai dettagli della natura.
«Andiamo!» esclamò immediatamente Luca, accelerando il passo per restare davanti a tutti e conservare il suo ruolo di guida.
I quattro ragazzi corsero verso le nuvole. Le superarono e restarono senza fiato; davanti a loro si stagliava un'enorme castello con le torri dalle punte dorate che risplendevano sotto il sole appena spuntato. Anche l'immenso portone era dorato, ma sembrava chiuso da millenni.
Di comune accordo, i ragazzi lo raggiunsero.
«Come facciamo ad aprirlo?» chiese Astolfo.
«Ci pensiamo noi» disse Luca battendo il cinque a Giacomo.
Ma la loro forza non servì. Il portone si aprì da solo.
Senza porsi troppe domande i ragazzi entrano e rimasero immediatamente incantati dalle numerose ricchezze che videro. Tutto era fatto d'oro!
Tra sospiri di stupore iniziarono a vagare per il castello, senza rendersi conto che era tutto troppo pulito per essere stato abbandonato da millenni.
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Delle risatine acute si levarono nella stanza, ma gli umani che stavano venendo spiati non avrebbero potuto sentirle.
«Quattro intrusi» ridacchiò una.
«Sì! Quattro amici in più! Speriamo che siano simpatici!» rispose l'altra.
«Ce li teniamo?».
«Sì! Avremo dei nuovi amici!».
E altre risatine si aggiunsero.
Le voci che avevano parlato erano tutte acute e simili tra loro. Appartenevano agli spiriti che infestavano il luogo. Non erano i fantasmi cattivi dei film horror -o almeno, non credevano di esserlo- ma erano furbi e giocherelloni. L'eternità li faceva divertire con poco e non avendo più una vita si divertivano a giocare con quella di chi osava entrare nel castello per rubare l'oro lasciato dal re Mida. Molti spiriti erano diventati tali perché avevano profanato il castello, ma si erano presto abituati alla nuova vita.
Oltre ad avere voci simili avevano tutti la stessa forma semitrasparente e simile ad una nuvola. Qualcuno era semplicemente più paffuto o lungo degli altri.
Uno spiritello magrolino volò agilmente verso il portone, ci passò attraverso e lo chiuse dall'esterno.
Le altre anime risero divertite, per poi andare ad infastidire gli ospiti. C'era chi faceva sbattere le porte, chi faceva cadere degli oggetti, chi faceva sventolare le tende.
Avevano deciso di tenerli lì, lasciandone scappare solo uno.
«Quello mingherlino non sta toccando nulla... sembra spaventato» fece notare uno spirito, riferendosi ad Astolfo.
«E allora lasciamo andare lui».
«Va bene!» risposero gli altri, anche se qualcuno non sembrava convinto di lasciarlo andare via illeso.
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Quando i ragazzi ebbero preso quanto più oro possibile, le anime accorsero e li afferrarono, immobilizzandoli. Solo Astolfo fu lasciato libero di muoversi, mentre gli altri si ritrovarono bloccati da qualcosa di invisibile. Il ragazzo provò a liberarli dall'oro, che lui si era rifiutato di prendere perché aveva paura di essere scoperto dalla polizia turca e arrestato, ma anche quando l'ultimo pezzetto d'oro fu caduto a terra i ragazzi non riuscirono a muoversi. A quel punto iniziarono ad implorare pietà, prima di urlare ad Astolfo di correre a chiamare aiuto.
Il ragazzo non voleva farlo e lasciarli lì da soli, ma capiva anche che era l'unica soluzione possibile. Allora annuì e salutò i suoi amici, prima di correre verso il portone del castello.
Ma prima che potesse uscire, uno spirito che si stava godendo insieme agli altri la drammatica scena d'addio decise di renderla ancora più ricca di pathos. Si precipitò verso il ragazzo e gli passò dentro.
Astolfo si fermò, avvertendo una scarica di gelo attraversarlo. Si voltò e corse ad afferrare gli zaini pieni d'oro, cercando di riempirli il più possibile con tutto quello che trovava in giro. Alle lamentele dei suoi amici, rispose con un ringhio animalesco. «Mio!» aggiunse con voce poco umana «Tutto mio!».
Un altro spirito rise divertito vedendo l'espressione spaventata dei tre ragazzi e decise di creare altro spettacolo. Volò ad afferrare un candelabro dorato e lo fece passare davanti agli occhi di Astolfo che, come gli altri umani che non potevano vedere gli spiriti, se lo vide oscillare davanti agli occhi. Ma non fece attenzione a quella dose di soprannaturale -che invece notarono i suoi amici- e, attratto come una gazza ladra è attratta dalle cose luccianti, iniziò a seguirlo per tutta la stanza, correndo con le braccia protese in avanti.
Gli spiriti risero ed iniziarono a passarsi il candelabro, prima che uno lo lanciasse con forza fuori dal portone aperto, verso il burrone.
«Noooooooo!» ululò il ragazzo, prima di precipitarsi fuori. «Torna qui! Sei mio! Mio! Tutto mio!» urlò seguendo il candelabro che rotolava lungo la pendenza che portava al burrone. «Roba mia! Vieni con me!» aggiunse mentre quel briciolo di ragione che gli era rimasta gli suggeriva di fermarsi o sarebbe caduto di sotto. Ci provò, ma scivolò tra i sassi e rotolò come il candelabro, precipitando nel burrone.
Intanto, i ragazzi vennero liberati ma il portone si richiuse per sempre -o finché non sarebbero arrivati altri ospiti. Luca, Giacomo e Mykahel sarebbero rimasti lì fino a diventare anche loro degli spiriti e magari, un giorno, avrebbero giocato anche loro con le vite di chi osava profanare quel luogo.
Come già detto, gli spiriti che abitavano il castello di re Mida non erano cattivi, ma semplicemente amavano divertirsi. L'unica pecca era che i loro scherzi potevano risultare fatali o arrecare conseguenze gravi, ma loro, essendo già morti, non sapevano più quanto fosse fragile la vita umana. Erano semplicemente avidi di divertimento, così come in passato erano stati avidi di ricchezze.
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