La luce del cielo
Solitamente i ricordi sono spesso sbiaditi, manca sempre qualche dettaglio che può o meno fare la differenza. Il ricordo di quel giorno per Rechet però, era molto chiaro. Nessun particolare, nessun dettaglio, solo sofferenza.
Si trovava seduto davanti ad un lago, preparava lo zaino per partire verso la sua missione. Guardava la mappa, totalmente spensierato, finché una ragazza non lo abbracciò da dietro.
"Allora? Sei pronto?" esclamò la ragazza.
"Ehm... sì, devo solo controllare alcune cose" disse Rechet guardando la mappa confuso.
"Non scervellarti troppo, ti verrà il mal di testa e mi servi al 100% per la missione di domani"
"Lo so, scusa e che sono... un po' preoccupato. Si dice che quella tomba sia maledetta" disse Rechet grattandosi il capo.
"Non ti preoccupare, finché abbiamo questo anello, siamo al sicuro da qualunque maledizione" disse con la mano rivolta verso Rechet.
"Vorrei essere altrettanto positivo..."
La ragazza mise le braccia dietro al collo di Rechet ed avvicinandosi alla sua bocca disse sorridendo: "Andrà tutto bene"
Subito dopo, un flash ed immediatamente, il luogo dove si trovavano i due ragazzi era devastato, come se un uragano avesse deciso di spazzare via ogni forma di vita esistente.
Lontano dal lago, bucato dalla violenta pioggia della tempesta, si intravedeva un tornado, circondato da un'aura oscura ed inquietante.
Un altro flash e Rechet, col braccio sanguinante ed uno sguardo perso, continuava a guardare quel tornado.
Rechet si svegliò di colpo, battendo la testa contro la credenza sopra di lui. Era avvolto da un paio di coperte, una blu ed una rossa.
"Dove mi trovo?" pensò mentre esaminava centimetro per centimetro, la stanza dove fino a poco fa, stava dormendo.
Il grigio delle pareti, ruvide come il dorso di un rinoceronte, enfatizzavano la tristezza della pioggia che batteva sulla finestra in legno di quella stanza.
Era in una casa? O in una prigione? Rechet, curioso, aprì la finestra e finì per inzupparsi i vestiti. Dovunque fosse, era molto alto e gettarsi sarebbe stata una pessima idea. Fu in quel momento che notò di avere addosso dei vestiti nuovi. Sarà stata Alyiah a cambiarlo? Come avrà fatto a trasportarlo fin lì? Perché il suo braccio funzionava ancora? Le domande sovraccaricarono la testa di Rechet, il quale varcò la porta della stanza, scendendo verso i piani inferiori della torre.
"Alyiah!" esclamò Rechet verso il basso.
Una lieve eco salì, rispondendo al ragazzo. La ragazza per fortuna, era salva e dalla voce, sembrava stare bene.
"Aspetta Alyiah, sto scendendo!"
"Ma che fai?! Torna subito a letto, non ti sei ancora riposato!"
"Chi c'è laggiù!?"
"Sto bene, tu torna a letto idiota!"
Rechet era un po' riluttante all'idea di lasciare la ragazza da sola con uno sconosciuto, ma pensò che forse, sarebbe stata un'ottima idea studiare di più quel luogo misterioso.
"Vediamo quali altre stronzate nasconde questo posto inquietante" pensò mentre entrava da una porta socchiusa.
Sembrava essere un ripostiglio, pieno di polvere e ragnatele.
Rechet si chiedeva da quanto qualcuno non si fosse preso la briga di pulire quella stanza. Ad attirare la sua attenzione, fu uno scrigno di color arancione. Era chiuso a chiave, ma Rechet aveva uno strumento per aprirlo, ebbe bisogno del potere del guanto per tirarlo fuori.
"Ok, vediamo se riesco ancora a farlo"
Strinse il pugno e chiuse gli occhi, la pietra si illuminò per una frazione di secondo, ma cessò subito.
"Oh no, non prendermi in giro dai" ci riprovò più volte, ma senza successo.
"Merda! Questa non ci voleva, ora sono troppo esposto. Senza il guanto non posso andare da nessuna parte"
Il ragazzo sospirò e tornò con lo scrigno in mano nella sua stanza da letto.
Si guardò un po' attorno, notando una scrivania affacciata ad uno specchio.
Mentre si guardava, notò le bendature nuove che si estendevano dal collo al petto. I capelli erano puliti, anche se scompigliati.
"Non dirmi che mi hanno fatto anche il bagno. Uhm?"
Rechet notò un fermacapelli sulla scrivania. "Ma è di Alyiah! Poverina, dev'essere stata davvero in pensiero per me."
Rechet afferrò il fermacapelli, aprendolo in due parti. "Vediamo se le mie abilità di ladro professionista funzionano ancora."
Si sedette sul tavolo e piano piano, si impegnò ad aprire quello scrigno dall'aria misteriosa.
"Aha! Rechet lo scassinatore colpisce ancora!"
Nonostante la polvere sul guscio dello scrigno, l'interno sembra essere rimasto immacolato per tutto quel tempo.
All'interno si trovavano due fotografie, un anello e un bigliettino.
La prima foto ritraeva un vecchio uomo con accanto una giovane donna, dai capelli neri come la pece e le punte bianche come la neve. Si trovavano seduti in piedi, sull'erba fresca ed un faro che faceva da sfondo all'atmosfera mattutina di quella foto.
"Che bella ragazza, sarà sua nipote?"
La seconda invece ritraeva un gufo dagli occhi particolari, simili ad una nebulosa stellare.
"Questo è strano, mai visti gufi con occhi simili. Nel senso, ne ho viste di cose strane. Un ragno con un occhio sul dorso, una libellula grande quanto un'auto e due farfalle giganti che facevano l'amore, ma questo è strano."
Il ragazzo prese in mano l'anello tra l'indice ed il pollice. Aveva un rubino incastonato sulla placcatura in oro e sull'interno c'era scritto un nome: "Patience"
Sul bigliettino invece, una breve frase sembra essere stata scritta con l'inchiostro. "Prenditi cura di lui nonnetto, va bene?"
Non c'è scritto né il mittente e né il destinatario ma sul retro c'è il simbolo di una farfalla blu, accompagnata dalla lettera C.
Appena Rechet richiuse il misterioso scrigno, Alyiah entrò come un fulmine dalla porta.
"Scommetto che non hai sentito una parola del mio discorso sul restare a letto a riposare vero?"
"Alyiah, dove siamo? Cos'è questo posto?"
Alyiah sospirò e rispose: "Prima rimettiamo quello scrigno apposto, poi ti racconterò tutto"
Rechet riportò immediatamente lo scrigno nel ripostiglio e sulle scale a chiocciola, i due cominciarono a parlare.
Alyiah gli raccontò degli attimi seguenti agli eventi della città di Ulma. L'incantesimo di Alyiah riuscì, con successo, a portarli all'isola di Elda. Rechet però rimase gravemente ferito dalle ustioni provocate dal veleno dell'assassina.
Il ragazzo smise di respirare e Alyiah non seppe cosa fare. Fu in quel momento che un uomo anziano dalla folta barba bianca, si avvicinò ad Alyiah con una torcia.
L'uomo riuscì, con l'uso di uno strano siero, a curare le ferite di Rechet e riportarlo dal lato bianco dell'abisso.
È stato lui a riparare il braccio meccanico?" chiese Rechet dubbioso.
"Sì, ci ha messo davvero poco." rispose Alyiah con un lieve sorriso. "Sono felice che tu stia bene, non sai i sensi di colpa se tu fossi morto"
"Non eri tu quella che mi ha maledetto per obbligarmi a seguirla?" disse Rechet prima di venire avvolto dalle braccia della piccola ragazza.
"A questo proposito, la maledizione era una farsa"
"Che cosa!?"
Alyiah prese la sua penna e disegnò il simbolo della maledizione dei vermi sul muro, ma Rechet notò qualcosa di strano. Il ragazzo passò la mano sopra uno dei vermi, realizzando il tranello della ragazza.
"Quei vermi sono fatti di argilla, non sono veri vermi, solo dei fili dall'aspetto bizzarro" spiegò la ragazza.
"Tu sei... pericolosa" disse Rechet disgustato.
"Lo so" Alyiah rimise la penna al suo posto e trascinando Rechet per una mano continuò: "Dai andiamo, devi conoscere quell'uomo anziano"
Mentre scendevano dalle scale, Alyiah porse daltaschino una foto.
"L'ho trovata tra i tuoi vecchi vestiti. A proposito, le tue cose sono giù, leho messe ad asciugare perché eri tutto fradicio."
Il respiro di Rechet si fermò per un attimo, per poi riprendersi afferrandodolcemente la foto.
"Grazie..."
Un attimo di pausa ed Alyiah chiese al ragazzo: "Chi è la ragazza coi capelliviola?"
Rechet rimase immobile, in piedi, sulle scale, mentre la pioggia batteva sullemura della torre. Il suo sguardo si perse nel vuoto e lentamente si sedette suun gradino.
"Era..." Rechet iniziò a scompigliarsi i capelli mentre cercava di mettereinsieme le parole per trarne una frase di senso compiuto.
Alyiah poggiò la sua mano sulla sua spalla e gli chiese: "Era un'amica?"
Rechet sospirò e puntualizzò: "E' stata il mio primo amore. È dura per meparlarne"
Alyiah indietreggiò, preoccupata e continuò: "Non serve che tu me lo racconti.Dai, scendiamo. Fai finta che non ti abbia chiesto nulla, ok?"
Rechet non rispose, rimase invece a guardare per terra, perso nei suoi pensieriche continuavano a turbare la sua tranquillità, se così si può definire.
Dalla porta del piano inferiore, entrò un uomo. Camminava mezzo ingobbito e portavaun bastone da passeggio di metallo con cui si spostava in continuazione.
Portava un paio di occhiali scuri ed i suoi vestiti erano tutti stropicciati.
"Vecchio custode!" esclamò felice Alyiah.
"Sarebbe lui quello che ha aggiustato questo modello di braccio meccanico?"chiese Rechet scettico, dopo essersi ripreso dalla paralisi.
"E' un piacere conoscerti giovanotto, come vanno le ferite?"
Alyiah prese Rechet per una mano, trascinandolo nella sala da pranzo.
Come tutte le altre stanze, i mattoni erano ruvidi e grigi, ma Rechet nonriuscì a non notare la tecnologia contenuta in quella stanza.
Due divani, con una tv attaccata al muro, una cucina dotata di forno ed unfrigorifero.
"Ma in questo mondo non esistono forni" disse Rechet confuso.
"Allora anche tu conosci questi strani aggeggi?" chiese Alyiah stupita.
"Ovvio, è così che la gente cucina il cibo che mangia o meglio, così la gentefaceva prima che inventassero i fabbricatori 3D"
Il vecchio guardò Rechet con un dolce sguardo e prendendogli la mano disse:"Oh, guarda. Allora anche tu sei un visitatore dallo spazio come me"
Rechet tolse velocemente la mano da quella del vecchio e disse: "In che senso"come me"?"
Alyiah aprì la porta per l'esterno. Il rumore della pioggia che batteva sulle finestre cessò. Rimasero solo il vento ed il cinguettio degli uccelli che proclamavano la fine della tempesta.
"Finalmente è finita! Io esco Rechet, faccio un attimo un giro" disse laragazzina correndo verso l'esterno.
"Aspetta, i soldati potrebbero trovarti!"
Il vecchio rassicurò Rechet, al quale disse: "Vivo qui da un bel po' di tempo, voi siete i primi visitatori dopo anni. Non ti preoccupare per lei, siediti prendi un tè, devi riposare. Hai subito delle gravi ferite, è un miracolo che il mio siero abbia annullato l'effetto del veleno."
"Sono ancora un po' stordito. Grazie per il tuo aiuto, vecchio"
Era tipico di Rechet rivolgersi con l'espressione "vecchio" a persone piùanziane, una consuetudine dei giovani del luogo in cui Rechet nacque e crebbe.
I due si sedettero faccia a faccia, ognuno con la propria tazza di tè fra le mani. Rechet batteva il dito sulla tazza, prendendo un sorso dopo l'altro.
A rompere il tombale silenzio, fu il vecchio che avanzò una critica verso iragazzi.
"La bambina mi ha raccontato ciò che è successo. Siete stati molto fortunati ad uscirne vivi, ma non ho compreso molto la storia dell'impero e delle persecuzioni."
"Da quanto non esci da quest'isola, vecchio?"
"Mmh, fammici pensare." Il vecchio tenne il mento fra il pollice e l'indice per poi continuare: "Non me lo ricordo proprio, ma c'è qualcosa che potrebbe aiutarmi a mettere ordine nella mia mente"
Rechet guardò il vecchio con uno sguardo confuso. Decise di seguirlo, per scoprire cosa l'avrebbe aiutato a "riordinare la mente".
Salirono di nuovo le scale, incrociando una porta fatta di uno strano metallo. Rechet notò che non c'erano maniglie sulla porta, ma solo uno scanner attaccato al muro vicino ad essa.
"Vecchio, come fai ad avere questo tipo di tecnologia?"
Il vecchio sorpreso rispose: "Sai molte cose sulla tecnologia spaziale"
"Sono della generazione omega, è ovvio che conosca la tecnologia spaziale"
La porta si aprì, scivolando di lato dentro al muro.
"Allora saprai anche cos'è un diario di bordo" avanzò il vecchio custode.
"Certo che lo so, ma cosa c'entra questo con la domanda che ti ho fatto prima?"
Il vecchio custode del faro entrò nella stanza buia oltre la porta di metallo. Stranamente, il resto del faro sembrava molto di vecchia data, ma l'interno di quella stanza brillava come l'acqua limpida.
Il vecchio custode si sedette ed invitò Rechet a sedersi sulla sedia accanto alla sua.
"Questi diari contengono tutto ciò che ho scritto durante il mio lungo viaggio nello spazio"
"Come sei finito su questo pianeta?"
"Potrei farti la stessa domanda" chiese il vecchio sorridendo.
"Io sono precipitato a seguito di un'avaria. Colpa del motore, ero inseguito da dei brutti ceffi. Lunga storia" replicò Rechet.
Il vecchio strinse con le mani il diario e disse: "Io avevo degli amici molto tempo fa, ma purtroppo persi molti di loro. Sono finito qui per puro caso, avevo bisogno di riflettere. Visto che questo pianeta mi incuriosiva, decisi di insediarmi su quest'isola deserta. Qualche volta qualcuno mi faceva visita, ma ti parlo di molto molto tempo fa"
"Quanto tempo fa? Dalla foto con quella ragazza, lei non è cambiato di una virgola"
Il vecchio sorrise e rispose: "Allora hai visto la foto."
Rechet, preso alla sprovvista, replicò: "Mi scusi, non volevo rovistare, ero solo curioso."
Il vecchio scoppiò a ridere. "Per così poco? Puoi stare tranquillo, non c'è niente di losco che io voglia nascondere. A proposito, da dove hai detto di venire?"
"Da Marley" rispose fieramente Rechet.
"Sono stato a Marley, ma anche sta volta ti parlo di molto tempo fa. Se non sbaglio è stato durante la parata delle fiorde"
Rechet si grattò il capo e disse: "Non so cosa sia questa parata, ma io sono nato nella capitale planetaria. Vengo da un distretto di gente ricca e snob. Quello stile di vita non faceva per me, così sono partito con una ragazza in giro per l'universo."
"E dov'è quella ragazza ora?"
Rechet tirò un lungo sospiro ed il suo sguardo si spense di nuovo nel vuoto, ma questa volta c'era la mano del vecchio a confortarlo.
"Puoi sfogarti con me, si vede dal tuo sguardo che c'è qualcosa che ti turba"
Rechet alzò le spalle e prese un bel respiro. "Si chiamava Lyla. Era una ragazza solare e buona. La mia migliore amica d'infanzia. Purtroppo l'ho uccisa e non riuscirò mai a perdonarmelo"
Il vecchio sorrise e replicò: "Anch'io ho perso alcuni amici a causa di diversi miei errori. Ma sai, il tempo mi ha fatto capire una cosa" Il custode poggiò il diario nell'armadietto e continuò: "Non siamo sempre responsabili delle conseguenze delle nostre azioni, quando il risultato è del tutto opposto a quello previsto. È per questo che continuare a punirsi per un errore commesso in passato è sbagliato. Puoi solo impegnarti a migliorare il futuro"
"E se tutto ciò che fai non fa altro che peggiorare le cose?"
Il vecchio ridacchiò e rispose: "L'obbiettivo delle nostre vite non è la perfezione. È dimostrare all'universo che stiamo cercando di migliorare ogni giorno"
"Uff, di nuovo discorsi su Dio e sull'universo"
"Ad ognuno le sue credenze. In ogni caso, io ad esempio aiuto le balene spaziali ad orientarsi per non finire dentro al campo gravitazionale della stella di questo pianeta"
Rechet continuò a grattarsi il capo, arrogando la fronte, cercando di comprendere ciò che ha appena detto il vecchio. Cercando di azzardare una domanda, a Rechet venne in mente un ricordo delle sue avventure con Lyla.
Si trovavano sulla nave ed un cucciolo di balena spaziale si era separata dal branco, così, per aiutarla, la condussero verso la madre con dei lampi di luces ul retro della navicella.
"Che cosa?!" disse Rechet alzandosi dalla sedia, facendola cadere.
"Questo faro può emettere un raggio di luce percepibile dall'altra parte del sistema. Credo che la madre di quel branco di balene non sia in grado di orientarsi, così ogni mese correggo la loro rotta in modo che non finiscano per bruciarsi. La luna di questo pianeta è magica, così sfrutto la distorsione creata dalla luce magica della luna piena per intensificare il raggio e renderlo molto più preciso. Sfruttare la natura per correggere gli errori di calcolo umani è una cosa ricorrente fra il mio popolo"
"Ma allora questo faro non ha nulla a che fare con la Stella del mattino?"
Dopo diversi attimi di silenzio e lo sguardo confuso, il custode del faro rispose:"Cos'è la Stella del mattino?"
Rechet restò con la bocca aperta e lasciò andare il braccio meccanico, di cui ingranaggi si bloccarono nuovamente.
Il vecchio si precipitò sul braccio del ragazzo esclamando: "Oh no! Fai attenzione con questo congegno. Ci ho messo molto per riaggiustartelo, non vorrei che ti trovassi senza braccio nel bel mezzo del tuo viaggio."
Rechet restò impassibile verso le parole del vecchio. Il suo sguardo si oscurò e l'unica parola che riuscì a dire fu: "Merda"
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