9. Gare e decisioni
Il sole si era ormai alzato sul filo dell'orizzonte, mentre armavamo le barche.
L'aria era frizzante e limpida, ancora fresca dalla notte prima... Sebbene essa fosse stata tutto fuorché leggera. Osservai il profilo di Andrea in controluce, mentre sistemava le vele. I biondi capelli mossi appena da una timida brezza, gli occhi caldi attenti a calibrare i propri gesti e la stesura del tessuto impermeabile che aveva tra le dita. Il mio pensiero corse quasi in automatico a quando mi aveva riaccompagnata a casa.
I miei svegli e sconvolti avevano chiamato Sara per farsi dire se ero da lei e poi tutti miei amici ed ex-compagni delle superiori con una preoccupazione sempre più crescente.
Mia madre aveva le lacrime agli occhi, probabilmente aveva già pianto e stava per iniziare un'altra volta, mentre anche i miei fratellini erano stati svegliati da ciò che era successo. Appena ero rientrata in casa uno strano silenzio era calato tra di noi e Andrea, ancora fermo dietro di me e indeciso se andarsene o restare, era stato il primo a farsi avanti e a rivolgere la parola direttamente a mio padre, che aveva abbassato la cornetta borbottando al commissario di polizia che ero appena tornata.
Io non avevo aperto bocca, mentre mia madre si era avvicinata abbracciandomi in silenzio, per poi chiedermi di portare sopra i gemelli. Lei era rimasta giù a parlare con Andrea e mio padre, che inizialmente aveva rivolto uno sguardo diffidente al ragazzo che aveva riaccompagnato sua figlia dopo tutto quello che era successo.
Avevo messo a letto Liv e Sam, dando un bacio ad entrambi.
- È vero che te ne vuoi andare?
La voce di Sam mi aveva sorpresa, mentre i suoi grandi occhi profondi mi avevano guardata velati un po' dal sonno insieme a quelli identici di Oliver. Ma oltre al sonno vi avevo letto preoccupazione e un velo di tristezza.
Non avevo saputo come rispondergli, perché sì, quello era il mio desiderio, il mio sogno, ma loro erano solo due bambini che mi guardavano con quegli occhioni e non erano ancora in grado di capire totalmente il motivo per cui volessi farlo. Mi era sembrato strano che i miei glielo avessero detto, ma poi avevo capito che forse i bambini si erano svegliati da soli e scendendo avevano udito tutto di nascosto.
- Ecco...- mi ero morsa un labbro, sedendomi sul bordo del letto - Non è che voglio andarmene, ma desidero tanto frequentare una scuola un po'... Lontana, a Genova. Ma questo di certo non cambierà nulla tra di noi. Io verrò da voi ogni fine settimana appena potrò e ci sentiremo tutti i giorni. E poi potreste venirmi a trovare tutte le volte che vorrete!
Oliver e Samuel si erano scambiati un'occhiata, corrugando i loro bei faccini e poi Oliver aveva chiesto con voce un po' rotta:
- È perché non ci vuoi più bene?
Una fitta al cuore mi aveva colpita sentendolo dire così e avevo abbracciato entrambi a me, scuotendo la testa. Avevo avuto fin dall'inizio paura che avessero potuto fraintendere tutto, ma in quel momento sentirli parlare in quel modo mi aveva fatta stare male.
Avevo baciato a entrambi la fronte con affetto:
- Assolutamente no! Io vi vorrò sempre, e dico sempre, bene! Non me ne vado via per voi...
- Mamma e papà ti hanno fatto arrabbiare? Perché se è così ci parliamo noi con loro!
- Esatto! Vedrai che faranno i bravi dopo!
A quella nuova affermazione ero scoppiata a ridere, guardandoli con tenerezza. Erano bellissimi e dolcissimi, mi sarebbero mancari tantissimo.
Li avevo infilati a letto, continuando a ribattere alle loro proteste e ridendo avevo spento la luce. Ma una volta chiusa la porta mi ero sentita triste e sola, relizzando che sarebbe stato davvero difficile rinunciare a tutto quello.
A casa.
Perché sì, volevo essere indipendente e vivere da sola, studiare nel luogo che amavo fin da bambina... Ma sarei riuscita davvero ad abbandonare tutto? A rinunciare alla mia casa?
Perché "casa" non era solo un edificio con delle stanze calde e accoglienti, ma erano le persone che mi volevano bene e che mi amavano dal primo momento in cui ero venuta al mondo. Potevo litigarci tutte le volte che volevo, potevo sbatterci contro la testa e piangere, ma sapevo bene che loro avrebbero fatto qualsiasi cosa per farmi tornare a sorridere, per farmi stare bene.
Perché sì, erano un tantino iperprotettivi e alle volte oppressivi, ma ero davvero pronta a lasciarli? A non sentire più la voce di mia madre che mi obbligava a mettere qualcosa di più"femminile", il trambusto dei gemelli quando giocavano o litigavano e la radio di mio padre, che si accendeva ogni volta che andava nel suo studio per finire di lavorare?
Avevo sospirato, appoggiando per un istante la testa, pesante di tutti questi pensieri e interrogativi, contro la porta e poi mi ero ricordata di Andrea.
Giù da basso.
Da solo.
Con i miei genitori.
Avevo spalancato gli occhi ed ero scesa di tutta fretta, quasi inciampiando sui miei stessi piedi, immaginando i miei infuriati che lo incolpavano di tutto quello che stava succedendo e mia madre blaterare sul fatto che stesse "traviando" la sua povera "bambina indifesa". Se almeno davvero fosse successo qualcosa tra noi oltre quel abbraccio...
Avevo scosso la testa, ricacciando indietro quei pensieri non adatti alla situazione che mi si sarebbe dovuta parare davanti, eppure la sensazione delle sue braccia che mi avevano stretta a sé era ancora così vivida sulla mia pelle...
- Francesca! Elena! Stanno arrivando i bambini con i genitore! Fateli accomodare sulla terrazza, mentre noi finiamo qua! Muovetevi!
La voce di Yuri, sempre pacata e gentile, mi fece tornare al presente, strappandomi dai ricordi tummultuosi della nottata appena passata.
Elena mi passò accanto, sorridendomi, scimmiottando di nascosto un'imitazione di Yuri, che per tutta risposta ci gridò ancora dietro, causando la nostra risata.
Invitammo i nuovi ospiti ad accomodarsi nella piccola terrazza dove avevamo allestito un piccolo buffet e ad attendere l'arrivo del Grande Capo.
Versai da bere degli analcolci, ripensando alla scena che mi si era parata di fronte una volta scesa a salvare Andrea...
- Francy, tutto bene?
La mano di Elena sulla mia spalla mi fece sussultare, rischiando che mi cadesse di mano un bicchiere appena riempito, ma fortunatamente riuscii a mantenere la presa. Mi sbrigai a pulire là dove si era un po' rovesciato sul tavolo, mentre lei mi guardava accigliata con i suoi occhi acuti.
- Sei sicura di stare bene? Sembri davvero... strana...- mormorò titubante, aiutandomi con altri scotex a tamponare quel disastro.
Mi morsi un labbro, annuendo.
Non ne avevo ancora parlato neppure con Sara, seppure mi avesse tartassata di messaggi per sapere se stessi bene e cosa fosse successo una volta tornata a casa.
Ero stata vaga, non me la sentivo ancora di parlarne, soprattutto non con un semplice messaggio, e se la mia migliore amica non lo sapeva ancora di certo non ne avrei parlato con Elena.
Mi sbrigai a rassicurarla un istante prima che Yuri comparisse di fronte a noi e ci mandasse alla raccolta dei bambini per prepararli all'ultima gara di vela di quella meravigliosa e sorprendente estate.
Un'estate che non avrei mai dimenticato.
§§§
- Su su, Marcolino! Cazza quel fiocco! Forzaaa!
Guardare Andrea agitarsi sul gommone era uno spettacolo che mi avrebbe fatta morire dal ridere in qualunque momento, ma quella giornata non era un momento qualunque, anzi, quel intera estate non sarebbe mai potuta essere definita con l'aggettivo "qualunque". Sapere ciò che era successo quella notte mi faceva stringere lo stomaco fino a ridurlo a una nocciolina e non lasciava spazio alle risate o alla gioia che riuscivo a percepire, ma che non afferravo.
Stava per finire tutto.
Tutto.
Ed era doloroso immaginare che non avrei più potuto essere quella di prima e che, in qualche modo, tutto quello che riguardava il mio futuro mi faceva paura. Mi faceva male persino guardare le spalle larghe di Andrea e immaginarlo lontano.
Era doloroso, ma necessario.
Dopo quello che era successo quella notte, Andrea mi aveva aiutata molto e non volevo in alcun modo vivere nel rimpianto.
Non ora che ero vicina a ciò che più desideravo e quel pensiero mi rimase in testa anche dopo che Yuri ebbe fischiati la fine della regata e che i bambini si furono gettati in acqua con gli altri animatori. Dopo aver guardato Andrea voltarsi verso di me, con quel sorriso sornione e così luminoso.
Anche dopo essermi ritrovata tra le sue braccia in acqua.
La mia bocca sorrideva, ma non sapevo identificare ciò che provavo dentro.
Non riuscivo a capire.
E forse Andrea lo comprese prima di me, perché mi strinse di più facendo finta di giocare, mentre i bambini gli si buttavano sulla schiena, rindenti e grondanti d'acqua.
Come sempre Yuri ci richiamò all'ordine, prendendosela soprattutto con Andrea, che era il più grande.
- Vieni, ti rimetto sul gommone...
- Grazie, ma ce la faccio da sola... Piuttosto occupati dei dispersi! - scherzai, tornando a issarmi al sole e riprendendo fiato.
Cercai il mio zaino con dentro gli occhiali da sole e mi sbrigai ad accendere il motore e seguire lentamente Andrea per issare sopra il maggior numero di bambini possibili, immaginai già i volti contratti di alcuni genitori che avrebbero dovuto riportare a casa i figli fradici... Ma faceva caldo, si sarebbero asciugati in fretta.
Istintivamente guardai verso la riva e vidi i miei genitori intimare ai gemelli di fare i bravi, mentre scendevano la strada verso la Lega. Non sapevo come interpretare quella loro apparizione.
Avevano già deciso?
Avrei realizzato il mio sogno, o sarebbe semplicemente rimasto tale?
- Guidi tu o guido io?
Mi riscossi, ritrovandomi davanti il ragazzo biondo che con il suo sorriso aveva riempito le mie giornate, insieme a una decina di bambini fradici e ridenti: - Forse è meglio che guidi tu, io asciugo un po' i bambini...
Annuì, osservandomi e avvicinandosi posò per una frazione di secondi la sua mano sulla mia. I nostri sguardi si incrociarono in silenzio, ma non erano in alcun modo zitti, stavano comunicando tra loro.
Era come se stesse cercando di darmi sicurezza.
La sua sicurezza.
Fu il gesto più dolce che avessi mai ricevuto, una carezza di sostegno appena percettibile, ma che mi scaldò fino in fondo.
Fin dentro al cuore.
E capii che non avrei avuto rimpianti, a prescindere dalla risposta che avrei ottenuto, a prescindere dal fatto che non avrei mai potuto più rivivere un'estate come quella che mi stava scorrendo sotto agli occhi. A prescindere dagli errori appena commessi, o dai silenzi mantenuti ostinatamente anche quando avrei solo voluto urlare.
Nessun rimpianto.
Decisi che avevo lottato e che stavo lottando per ciò che ritenevo essere giusto, non solo per un capriccio, avevo litigato per le scelte di una vita, della mia vita.
Se non l'avessi fatto, sarei finita solo a deludere e a mortificare me stessa.
E questo, questo, non sarei mai riuscita a sopportarlo.
Ed ora ero pronta ad affrontare il momento della verità.
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