DI CHI SENTE NIENTE E DI CHI SENTE TUTTO (17)



Nina si accorge di un peso sul proprio petto ancor prima di aprire gli occhi.

Il suono del respiro che le si infrange contro i capelli arriva subito dopo, facendole salire un brivido su per la schiena.

Non appena schiude le palpebre scorge le proprie dita strette attorno alle lenzuola familiari del suo letto, la federa a cuoricini del cuscino nel quale è affondato il proprio viso.

Ha solo un momento prima che la realtà le venga sbattuta in faccia, l'arco di tempo sufficiente a farla risvegliare del tutto. In quel momento, con il suono di quel respiro che fa da sottofondo e il braccio poggiato sul suo petto e il calore di un'altra persona accanto, nell'apparente calma di quel mattino, tutto va bene, tutto va come dovrebbe andare.

Così come la scorsa notte è stata la notte più bella della sua vita.

Con i vestiti, e le luci, e gli applausi, e un certo paio di mani che applaudiva in prima fila.

Poi Nina sbatte le palpebre e si muove leggermente, quanto basta però per sentire le membra indolenzite, un leggero dolore alla spalla.

E tutti i ricordi le vengono gettati addosso, lavando via ogni possibilità di continuare a vivere in quel mondo quasi ovattato. Un mondo le cui fondamenta sono ancora salde e che continua a girare nel verso giusto e nel quale avrebbe qualche chance di sopravvivere.

Un mondo, che non è quello con il quale dovrà fare i conti non appena metterà i piedi fuori dal letto.

Si gira a guardare la ragazza sdraiata al suo fianco. Il braccio di Benny la stringe con fare protettivo, come fosse pronta a difenderla da qualsiasi cosa da un momento all'altro. Il suo viso però è disteso, rilassato, i capelli chiari scompigliati vengono illuminati dai raggi di sole che filtrano dalle persiane e formano quasi un'aura attorno al volto, una corona finalmente visibile.

Nina si chiede come affronterà il discorso con lei su ciò che è successo. Sopratutto, non sopporta il pensiero di doverlo affrontare.

Non sopporta che Benny abbia visto quello scempio di rabbia e grida, che abbia visto Max in quello stato, che abbia visto lei in quello stato.
Probabilmente, se li avesse interrotti durante una scopata, non l'avrebbe presa così male. Anzi, sarebbe stato un momento meno intimo.

Benny invece ha catturato un frammento di Nina e Max nella loro forma più vera, ha visto la realtà spiattellata davanti ai suoi occhi: non più la versione filtrata dei racconti di Nina, ma la nuda verità.
Quella che, infondo, lei ha sempre immaginato.

Che da due persone non può venir fuori niente di buono.

Che due persone così, non possono che farsi del male a vicenda.

L'attenzione di Nina corre subito alle proprie braccia, per assicurarsi che almeno non siano in vista i lividi, le prove fisiche del troppo e del mai abbastanza.

Del volersi troppo.

Del non riuscire ad appartenersi mai abbastanza.

Parole, pensieri, che ormai sembrano futili e vuoti nella sua testa.

Nina però, per quanto non ricordi il momento in cui sono tornate a casa, è riuscita ad infilarsi il solito pigiama con le maniche lunghe che tiene sotto il cuscino e ad ha così almeno evitato paranoie che si sarebbero aggiunte a quelle sulla scorsa sera.

E mentre se ne sta lì, tra le lenzuola, rimuginando su ciò che la aspetta, pensa che vorrebbe soltanto scomparire.

Scappare dai discorsi, dalle conseguenze. Scappare persino da quella voglia di controllare il telefono, dando un taglio a quello stupido modo in cui cerca di mentire a se stessa convincendosi di non sperare ardentemente di trovare tra le notifiche un messaggio di scuse di Max. Come se Max sapesse cosa sono, le scuse.

Alla fine decide di alzarsi, lasciando Benny bella che addormentata al suo fianco e respingendo il bisogno di prendere telefono, trascinandosi in cucina per andare a prepararsi un caffè.

Dei suoi genitori non c'è traccia, ma un mazzo di fiori coloratissimi è poggiato sull'isola della cucina. Il biglietto attaccato dice che è da parte loro, che si complimentano con le due ragazze per lo spettacolo che hanno imbastito, che sono fieri di loro, di lei.

Nina tiene stretto il foglietto tra le dita, un ghigno quasi crudele le si disegna sulle labbra. Così, prima ancora di andare a fare il caffè, va alla ricerca di una penna, una matita, qualsiasi cosa possa permetterle di rovinare quell'artificiale gesto d'affetto. Alla fine trova un pennarello nero e senza pensarci troppo scrive sulla parte pulita del biglietto "ho lasciato l'università per mettere su quello spettacolo". E che vano tentativo è stato, si dice mentre prende i fiori e il rinnovato bigliettino e li porta in camera dei suoi. Che occasione sprecata, visto che non è riuscita a godersela neanche un po'.

E' facile, in quella mattina, pensare che forse è stata una mossa stupida mollare tutto per rincorrere un sogno che forse non è neanche ciò che vuole davvero.

Come si fa a sapere se un sogno è quello giusto?

Quando i sogni sono tali proprio perchè irraggiungibili, come ci si dovrebbe sentire nel momento in cui si avverano?

Certamente, non come Nina si sente in quel momento.

Non come si è sentita per tutta la scorsa sera.

Un sogno non dovrebbe essere più forte di un ragazzo qualunque che non si degna di essere al tuo fianco a vederti realizzarlo?

Si.

Max però non è un ragazzo qualunque.

Se fosse ancora in quella favola che si era convinta di vivere, direbbe senza vergognarsene che semplicemente Max è diventato il suo sogno. Ma certe sdolcinatezze vengono perdonate solo a chi è innamorato e corrisposto, a chi ha la fortuna di guardare negli occhi una persona e vederci il proprio mondo e vice versa, con la consapevolezza di poter costruire qualcosa di bello, qualcosa di vero. E Nina questa fortuna non ce l'ha.

E la sua bella favola non è che una triste storia, con un cattivo tanto carismatico e forte e imponente da prendersi tutta la scena.

<<Non ti ho più sentita nel letto>> sente la voce di Benny non appena ritorna in cucina <<Mi sono spaventata>>

La ragazza rossa la guarda con compassione e Nina, davanti a quello sguardo, vorrebbe morire.

Però si limita a scrollare le spalle, muovendosi silenziosa fino a tornare davanti alla macchinetta del caffè e metterci due tazzine anziché una.

Mentre il liquido comincia a scorrere, il suo cervello si spegne completamente.
Il mondo attorno a sè - quel mondo in cui non vorrebbe essere - diventa di nuovo ovattato, lontano, ma in un modo diverso rispetto alla confusione del risveglio. Le immagini che le scorrono davanti appartengono agli occhi di qualcun altro, le sue mani che preparano la colazione rispondono ai suoi comandi ma non sembrano le sue.

E' il problema di chi sente troppo, sente tutto.

Che non esiste una via di mezzo.

E forzarsi a non sentire qualcosa, significa non esserci affatto.

Magari è anche l'unico modo in cui Nina potrebbe affrontare quella giornata.

Dissociata.

Sopravvive alla colazione con Benny, e a tutte le notifiche che si decide a controllare sul telefono dove le fanno i complimenti per la serata, e a Cook che si presenta a casa per pranzo per farle compagnia.

Sopravvive alle occhiate nervose che si scambiano i suoi migliori amici e a sentirli fare programmi per la giornata, con la consapevolezza che il tutto è studiato per non lasciarla sola neanche per un attimo.

Sopravvive al sole e al gelato preso passeggiando sul lungo mare che si costringe a buttare giù nonostante lo stomaco chiuso e alle chiacchiere sull'estate e alle risate forzate e al film che guardano cenando sul divano. I tentativi di parlare di ciò che è successo sono vani e senza pretese.

Sopravvive sopratutto perchè quella continua a sembrarle la vita di qualcun altro.

<<E' successo altre volte?>> le chiede Benny ad un certo punto, con voce sicura ma forzata. La riprova che nessuno stava davvero facendo caso alle immagini del film che si susseguono in televisione.

<<No, mai>> risponde Nina.

Che importa infondo, di ciò che è successo, se niente succederà più.

<<Io te lo dicevo da quando era il fratellastro di Susie, che quello è uno spostato>> si sente in dovere di aggiungere Cook, accompagnato da una faccia stizzita.

Chiunque al mondo, probabilmente, la pensa come Cook.

Anche Nina dovrebbe.

<<Si è fatto sentire?>> domanda l'amica.

La bruna scuote la testa, la frangetta che si sposta da una parte all'altra del viso.

<<Voglio proprio vedere se ne ha il coraggio>>

Nina è convinta che Max non le scriverà, ma la ragione della sua assenza non ha niente a che fare con una carenza di coraggio. Di quello ne ha fin troppo.

Eppure tutto cambia all'improvviso mentre, più tardi, il nome di Max compare davvero sul telefono.

Quello è il momento in cui smette di sopravvivere, e ricomincia a vivere.

Il passaggio non è immediato, eppure il cuore che le si stringe nel petto è qualcosa che sembra finalmente appartenerle.

Il cellulare è poggiato sul cuscino al suo fianco e Nina lo afferra sforzandosi di fingere nonchalance, ma quando alza lo sguardo sulla ragazza sdraiata accanto a lei si rende conto che questa è beatamente preda del sonno. Rannicchiata dalla parte opposta del divano in posizione fetale, le labbra socchiuse, l'espressione imbronciata.

Cook, invece, si è dileguato già da un po' con la scusa di una chiamata e Nina sente la sua voce in lontananza.

La ragazza rimane sorpresa davanti al messaggio di Max.

Non una parola, non un'immagine.

Una posizione.

A primo acchito Nina neanche la riconosce e deve zoommare più volte sulla mappa per rendersi conto, anche con un po' di incredulità, di dove si trova Max in quel momento.

Si guarda attorno nel panico. Se Benny sapesse cosa ha intenzione di fare la fermerebbe all'istante, incatenandola al divano pur di non lasciarla uscire per raggiungerlo. Benny però dorme. E Cook, Cook non sarebbe mai suo complice in questa fuga.

Certamente più corruttibile di Benny, ma non abbastanza menefreghista da lasciarle fare una pazzia del genere, da lasciarla correre dal ragazzo che ventiquattr'ore prima le stava urlando contro, sbattendola contro una macchina.

Forse persino una parte di Nina stessa è riluttante davanti a quell'idea, ma non è grande abbastanza da imporsi, esattamente come né Benny né Cook potrebbero mai davvero impedirle di fare ciò che ha già deciso di fare.

Si alza dal divano lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile.

La sua amica non sembra accorgersi di niente, così Nina si azzarda a muovere i primi passi per il salone. Nel frattempo pensa. Non può uscire così, senza dire niente a nessuno. Uno dei due si accorgerebbe della sua mancanza e comincerebbe subito a cercarla.

Ha bisogno di guadagnare tempo.

Pensa mentre va ad afferrare il casco poggiato sulla cassapanca accanto all'ingresso, nel quale sono sempre conservate le chiavi della Vespa. Si passa una mano tra i capelli disordinati, riflettendo, tra l'altro, sul fatto che solitamente non si farebbe vedere da Max in quello stato, ma non ha tempo per aggiustarsi.

Raccatta portafoglio e sigarette, che per fortuna ha lasciato sul tavolo della cucina, e subito le viene un'idea. Accanto alla macchinetta del caffè c'è un bloc notes.

Ci scarabocchia sopra un sono scesa a comprare le sigarette e in punta di piedi torna davanti al divano per posare il foglietto tra i cuscini, lì dove lei era seduta. Prende un grosso respiro, cercando di catturare ancora una volta la voce di Cook, di assicurarsi che sia ancora appartato in camera sua.

Poi, senza pensarci due volte, senza neanche voler ragionare sull'insensata mossa che sta facendo, esce di casa. Lo stomaco le si attorciglia mentre scende per le scale, il casco incastrato sotto il braccio le batte contro l'anca, le sneakers scricchiolano sugli scalini di marmo.

Quello stato di eccitazione la accompagna per tutto il tempo, le fa tremare le mani mentre mette in moto la Vespa, la fa fremere per tutto il tragitto verso Monaco - Ville. Immagini le scorrono in mente mentre guida distratta, troppo presa dal pensare e ripensare a quello che è successo tra loro in tutto questo tempo, cercando un motivo, uno soltanto, per mettersi davanti a lui e dirgli una volta per tutte che è finita.

Che lei a quel gioco non vuole starci più. Non vuole più sentirsi dipendente da lui, non vuole più rimanerci male per il suo menefreghismo, non vuole sottomettersi ai capricci di un insensibile, violento, manipolatore.

Poi le strade attorno a lei diventano così familiari che potrebbe percorrerle ad occhi chiusi.

Il viale alberato, illuminato con i lampioni dalla luce calda.

La casa abbandonata, che sembra essere nello stesso stato in cui l'hanno lasciata quell'ultima sera prima che tutto cambiasse, con l'erba alta e gli attrezzi gettati contro le mura ricoperte di edera, il cancello alto chiuso da un catenaccio attorcigliato a casaccio.

Nina rallenta fino a fermarsi, parcheggiando la moto davanti alla villa dalle mille leggende che ora non le fa più paura. Ora le lascia soltanto un sapore amaro in bocca, il pensiero di tutto ciò che sarebbe potuto andare diversamente se solo le cose lì dentro fossero andate in un altro modo.

Se avesse fatto di quel Max il suo Max, anziché arrivare a ritrovarsi con questa versione di lui che mai avrebbe creduto sarebbe potuto diventare.

Ricontrolla il cellulare non appena riemerge dalla carrellata di ricordi che quel posto le impone, si assicura che la posizione inviata corrisponda a dove crede di trovare Max. Quando ne ha la conferma si mette a camminare al centro del viale, immerso in una strana quiete.

Un tempo era strano riuscire a sentire il suono della brezza che si infrange tra le foglie, o la risacca del mare non troppo lontano. In tutto il complesso residenziale aleggiava sempre il rimbombo di qualche hit estiva, proveniente dalle casse del giardino di Susie.

Chissà se ha continuato a dare le sue solite feste, si ritrova a pensare Nina. Anche dopo che è cambiato tutto.

Deve persino chiedersi se abita ancora lì, visto che una volta davanti al familiare ingresso della villa di Susie si accorge di non trovare nessuna macchina parcheggiata nel vialetto. Le luci di casa sono spente, le persiane alle finestre sbarrate. Tutt'intorno aleggia un senso di vuoto, di abbandono.

Nina prova a muovere il cancello, ma anche questo è serrato.

Non si aspettava di trovare Susie, ma non credeva neanche di non vedere alcuna traccia del suo passaggio.

Con lo stomaco ancora più arrovellato la ragazza fa un passo indietro rispetto al cancello, lanciando un'ultima occhiata alla facciata principale della villa prima di cominciare a circumnavigarla. C'è una viuzza laterale che la separa dall'abitazione successiva e che porta ad un piccolo parchetto interno, nascosto dalla strada, nel quale si affaccia il retro dei giardini di parte delle ville. Da lì è possibile raggiungere un cancelletto che ha da sempre la serratura rotta e che è sempre stato molto utile per rientrare in casa ad orari improbabili senza essere mai colte sul fatto.

Come se non bastasse l'idea di rivedere Max, essere lì lascia Nina in uno stato quasi d'angoscia.

Quel posto è stato teatro di tutte le estati della sua infanzia, della sua adolescenza.

E' stato il posto dove rifugiarsi quando tutto andava storto, e dove ridere fino all'alba in compagnia dei suoi migliori amici. Il posto in cui si beveva solo the al limone, servito a tutte le ore del giorno dalla mamma di Susie, e si mangiava pain au chocolat come rimedio ad ogni male, preso rigorosamente dalla boulangerie in fondo alla strada. Il posto che sapeva di crema solare, messa però quando era ormai troppo tardi ed erano già diventate paurosamente rosse. Dei long island che Susie faceva servire ad ogni festa. Del pelo sempre bagnato di Trudi, il barobincino più rompiscatole che Nina abbia mai conosciuto.

E di tante altre cose, che Nina non si è mai accorta di quanto le fossero mancate.

Fino a quel momento.

Tutte cose che ha perso per colpa di... Max.

Max, che trova esattamente dove aveva immaginato che fosse.

Dall'altra parte del giardino, oltre la piscina buia, in una zona leggermente illuminata dal lampione esterno.

Seduto sul suo muretto, sul loro muretto.

Perchè quel posto sa anche, e sopratutto, di loro.

A Nina fa male al cuore vederlo lì, con una birra in mano e le braccia incrociate sul petto, quell'aria scontrosa che ha sempre avuto, sin da ragazzino. Tutti hanno sempre avuto paura ad avvicinarsi, persino a dirgli ciao, figuriamoci scambiarci qualche parola. Nina no.

C'è sempre stata una connessione invisibile, qualcosa che spingeva lei verso di lui e vice versa, come fossero i pezzi di un meccanismo che era stato rotto tanto tempo prima e che, quando stavano vicini, ricominciava a funzionare. Si inceppava parecchio ed era pieno di scricchiolii e causava problemi per la maggior parte del tempo, ma ha sempre funzionato in qualche modo. In un modo loro soltanto.

E allo stesso modo, dopo anni, continua a funzionare.

E loro continuano ad attrarsi.

Perchè in un giardino vuoto e dall'aspetto lugubre, circondata dai fantasmi delle risate di Susie e delle battute di Cook, delle vecchie canzoni e dell'odore del mare, Nina sente ancora quella spinta invisibile. Il richiamo del suo centro di gravità.

Un ragazzo poggiato su un muretto di mattoni.

La sua persona preferita al mondo.

Nonostante tutto.

Nonostante tutti.

Quando gli arriva davanti vorrebbe quasi cadere in ginocchio davanti a lui e chiedergli di dimenticare: lo schiaffo, le spinte, gli insulti. Forse persino quelle settimane passate insieme, intense ma sterili.
Dimenticare e ricominciare, in un modo tutto nuovo, tutto loro. Ricominciare da lì, da dove tutto è iniziato.

<<Come ti è venuto in mente questo posto?>> dice invece, con voce tremante.

Max continua a guardare davanti a sè con la mascella serrata.

L'unico segnale che prova il suo essersi reso conto della presenza di Nina è il gesto col quale sfila dallo zaino gettato ai suoi piedi una bottiglia di birra. La stappa con facilità facendo pressione sui mattoni rossi del muretto, poi la passa alla ragazza che nel frattempo si è seduta al suo fianco.

<<Ci vengo spesso>> afferma lui, dopo essersi preso tutto il tempo necessario per riflettere e bere un goccio di birra. <<Quando ho bisogno di stare per conto mio>>

<<Susie non ci vive più?>> domanda quindi Nina, lo sguardo rivolto nella stessa direzione di Max, perso tra i placidi movimenti dell'acqua nella piscina.

<<Non proprio>> risponde, questa volta con più prontezza ma senza perdere quel tono grave che rende la conversazione pesante, seriosa.

Nina deglutisce il groppo che le si è formato in gola, poi prova a buttarlo giù con un sorso di birra, eppure quello sembra sempre riformarsi. Comincia a pensare che le farà compagnia per tutto il tempo in cui saranno lì.

<<La senti ancora?>> chiede, quasi in un sussurro.

Trova improvvisamente assurdo il fatto di non averglielo mai chiesto prima.

Susie, la cosa più simile ad una famiglia che Max abbia mai avuto.

Lui però non sembra intenzionato a rispondere.

Nina se ne rende conto dopo interminabili minuti di silenzio, interrotti soltanto dal suono dei loro respiri e dal vento e dagli anelli di Nina che tintinnano contro la bottiglia di vetro che tiene tra le mani.

<<Hai intenzione di chiedermi scusa?>> azzarda quindi, sentendo una familiare stretta al cuore accompagnare quelle parole. Non ha mai sentito una parola del genere provenire dalle sue labbra, non è mai servita tra loro. Loro che con quel modo di perdonarsi silenzioso, implicito, non hanno mai avuto bisogno di qualcosa di effimero come un vocabolo qualunque.

Eppure, forse, per la prima volta ce ne sarebbe bisogno.

La mezza risata che esce dalle labbra di lui la ferisce come neanche una coltellata nel petto potrebbe mai fare.

Sfacciata, menefreghista.

Crudele.

<<Pensi che ti abbia fatto venire qui per delle scuse?>> domanda, passandosi leggermente la lingua lungo il mezzo sorriso affilato disegnato sulle sue labbra.

L'attimo dopo, per la prima volta da quando sono arrivati, Max si gira a guardarla.

Nina rimane colpita dallo sguardo che aleggia in quegli occhi chiari. Ha provato a nasconderlo sino a quel momento, ma subito le è chiaro.

E' ferito.

Prima che lei possa dire qualsiasi cosa, la mano libera di lui si solleva fino a stringerle il mento tra le dita. Lo fa con precisione e delicatezza, il pollice che crea un arco leggero sulla sua pelle.

La costringe a guardarlo, anche se Nina non vorrebbe comunque fare altro.

<<Non hai bisogno delle mie scuse, Nena>> mormora Max, scandendo ogni parola <<Hai bisogno di sparire dalla mia vita>>

Nina però scuote la testa, per quanto la stretta sul suo viso lo renda possibile.

Lo realizza davvero soltanto in quel momento.

Andar via, voltargli le spalle, metterci una pietra sopra, nonostante gli eventi della scorsa sera, nonostante la sua totale noncuranza, nonostante la sua incapacità di trattarla come si meriterebbe, non sono abbastanza per farla arrendere, non senza lottare.

Ed anche se la guerra sembra persa, Nina non ha intenzione di lasciar perdere quell'ultima battaglia.

<<Tutto ciò è andato ben oltre ciò che potevi sopportare>> continua Max, stringendo un po' più forte, come a rimarcare il concetto. <<E ben presto andrà molto peggio di così>>

Nina non riesce ad impedire a qualche lacrima di lasciare i suoi occhi e cominciare a scenderle lungo il viso, finendo ad incastrarsi lì dove le dita di lui la tengono stretta. Max non si smuove davanti a quella vista, il suo sguardo è già afflitto abbastanza.

<<Puoi per favore smettere per un momento di fingere che tutto questo importi solo a me>> controbatte quindi lei. Avrebbe voluto una voce ferma, convinta, ma ciò è esce è il riflesso di come si sente davanti a quegli occhi, a quella stretta.

Fragile.

<<Tu proprio non vuoi capire>>

Max molla inaspettatamente la presa, tanto che Nina si sbilancia in avanti.

Si alza di scatto dal muretto e fa qualche passo nel prato, getta per terra la bottiglia ormai vuota.

Le sue labbra vibrano in una specie di lamento frustrato, le sue mani finiscono a coprirsi il viso per il tempo di qualche affannoso respiro, poi passano a intrecciarsi tra i capelli.

Allora si gira a guardarla, con una forza tale che Nina si sente piantata sul posto, impossibilitata a muoversi.

<<Te l'ho detto che tutto questo sarebbe andato a finire male>> le grida, quasi come fosse un insulto <<Te l'ho detto che non sono più quello di una volta>> rincara la dose, mentre con una mano la indica <<E sai perchè? Perchè io non sento un cazzo, Nena>>

La risata di prima si ripete, se possibile con un'inflessione ancora più terrificante.

E per la prima volta Nina ha paura della persona che ha davanti. La prima volta in cui realizza davvero che forse Max ha avuto ragione per tutto questo tempo.

<<Io non sento le cose come le altre persone>> continua il ragazzo, fermo davanti a lei <<So di essere vivo solo quando corro, e poi ho questi ... questi momenti in cui mi sento incazzato e non riesco a non assecondare la rabbia. E basta. Gloria e rabbia. Questo è tutto ciò che sento la maggior parte del tempo. Tutto il resto mi annoia, mi lascia indifferente>>

Nina boccheggia, alla ricerca di parole che però sa di non avere.

Le frasi di Max si scolpiscono nella sua testa, andando a colmare come oro colato i vuoti mancanti tra gli spezzoni della loro storia. E' un discorso che Max ha già provato a farle, si rende conto Nina. Quella sera sul balcone. Ma lei l'aveva preso quasi alla leggera.

Non era andato così affondo.

Non le era sembrato così turbato.

<<Magari è solo un momento>> è tutto ciò che riesce malamente ad esprimere la ragazza, dandosi subito dopo della stupida.

<<Prima di ritrovare te non avevo neanche voglia di scopare, chiedi pure alle altre.>> continua invece lui, a ruota libera <<Cristo, Nena, l'anno scorso ho visto un mio collega andare a fuoco e l'unica cosa che riuscivo a pensare era che per colpa sua avrei dovuto aspettare per ricominciare a correre, e neanche sapevo ancora se era vivo o meno. Non puoi immaginare i pensieri tremendi che ho fatto in quel momento, la voglia che avevo di... di...>>

<<Max>> mormora lei, impedendogli di dire cose che probabilmente si pentirebbe di aver condiviso. <<Ne hai parlato con qualcuno?>>

<<Parlarne>> controbatte l'altro, accompagnando la parola con uno schiocco di lingua e un'alzata di occhi al cielo.

<<Con mio padre, sì, con lui ne ho parlato>> aggiunge però subito dopo, gettandosi le mani nelle tasche dei jeans <<Ha detto che è contento, così posso guidare meglio, senza distrazioni>>

Subito anche Nina sente una certa rabbia cominciare a crescerle dentro, rabbia verso la feccia con la quale lui è stato costretto a crescere, la persona che è probabilmente anche responsabile di tutto ciò che Max sta attraversando.

E oltre tutta quella rabbia, Nina sente dolore.

Lei, che sente tutto.

Lei, che quando non vuole sentire qualcosa finisce a dissociarsi totalmente dalla realtà, perchè se non può provare certe cose allora è meglio non provare niente affatto.

Lei, che per lui sente così tanto. Come è possibile che niente di tutto quell'amore gli arrivi?

Come si può restare indifferenti?

<<Parla con me, Max>> sussurra lasciando il muretto per raggiungerlo in mezzo al prato, la voce morbida, piena di tutto ciò che vorrebbe che lui capisse. <<Sfogati con me>>

Nina si rende conto di essere spaventata. No, anzi, terrorizzata.

Non da lui però, né da quello che potrebbe essere capace di farle, ma da tutto ciò che lo affligge. Sopratutto, dalla consapevolezza di non poter fare poi più di tanto per aiutarlo.

<<Tu te ne devi andare>> le ripete però, non lasciandosi avvicinare.

Nina vorrebbe mettersi a gridare dal nervoso mentre le lacrime continuano a scendere dai suoi occhi.

<<Come fai a non capirlo>> esclama, battendo un piede per terra <<Puoi pensare quanto vuoi che starei meglio senza di te, ma non hai idea di quanto io sia felice anche solo di averti accanto. Come quando tornava l'estate e sapevo di poterti ronzare attorno>>

Max fa per dire qualcosa, gli occhi male illuminati che guizzano in quelli di lei e ci rimangono mentre lei gli fa segno di non parlare.

<<Stai provando a interrompere qualcosa che è più forte di noi, che è sempre stato più forte. Siamo fatti per influenzarci la vita a vicenda>>

Questa volta a costringerla a fermarsi è la suoneria del cellulare, un suono così fuori posto da farla spaventare, da farla innervosire tanto che quasi avrebbe voglia di sfilarsi il telefono dalla tasca e buttarlo per terra, calpestarlo fino a distruggerlo.

Dopo un momento di pausa però decide di fregarsene e continuare a parlare.

<<Io ero incazzata con te, ma ho sempre custodito gelosamente tutto ciò che ci siamo detti, tutto ciò che abbiamo vissuto insieme. Mi sei sempre stato accanto, anche dopo anni che non ci sentivamo, anche se non lo sapevi. Tu lo sai che è grazie a te che faccio quello che faccio? Grazie a te che mi sono decisa a scegliere di inseguire un sogno piuttosto che perdere tempo a fare cose che non mi interessavano? Per te. Per il ricordo che avevo di quel ragazzino che conoscevo un tempo e che voleva essere un campione di formula uno. Quel ragazzino che non ha mai neanche pensato di fare altro, per il quale esisteva soltanto quel sogno. Quel ragazzino che sarebbe stato fiero di me, nel sapere anche io mi ero decisa ad inseguire il mio sogno. E che, in realtà, pensavo anche che sarebbe stato fiero di vedermi realizzarlo>>

La puntualizzazione finale non era voluta ma le scappa, indice di una ferita aperta molto più profonda di qualsiasi cicatrice potrebbe mai lasciarle.

<<Rispondi>> è l'unica cosa che si azzarda a dire.

<<Ma hai capito cosa...>>

<<Rispondi al telefono>> taglia corto, visibilmente infastidito.

Nina alza gli occhi al cielo.

Si infila una mano nella tasca posteriore dei jeans e afferra il cellulare, sul cui schermo compare il nome di Cook. L'artiglieria leggera.

Non appena preme il pulsante verde una sfilza di parole indistinguibili le si affollano nell'orecchio, ma lei non ha davvero intenzione di starci appresso.

<<Cook>> lo richiama all'attenzione, sperando che la voce tremante non la tradisca <<Torno a casa tra un po', sto bene, non mi cercate, sto bene, devo risolvere una cosa>>.

Non aspetta di sentire risposta prima di rimettere apposto il telefono, troppo presa dalla conversazione per concentrarsi davvero su qualcosa che sia al di fuori dello scambio di sguardi che continuano a lanciarsi lei e Max per tutto il tempo.

<<Non puoi scegliere chi ti vuole bene Max>> mormora lei, passandosi le mani sulle guance per asciugare i residui delle lacrime che non è riuscita a contenere. Lui osserva quel gesto con attenzione. <<E si dà il caso che io te ne voglia. E chi ti vuole bene non ti abbandona, anche se glie lo chiedi>>

Max gira la testa davanti a quella dichiarazione, offrendo alla vista di Nina il suo profilo affilato, la mascella contratta e le labbra strette. Respira piano mentre Nina ha quasi l'affanno e ogni fiato non porta mai abbastanza aria nei suoi polmoni.

<<E' qui il problema Nena>> risponde a denti stretti, quasi come stesse cercando di contenere una rabbia più grande <<Tu non mi vuoi bene, tu mi ami>>

Nina stringe i pugni e accusa il colpo.

Vorrebbe negare, ma a che pro?

Sarebbe solo una bugia.

<<Anche questo, non è un tuo problema>> afferma quindi.

<<Nina non mi importa di tutte le persone a cui ho fatto del male>> controbatte lui, duro <<Ma se faccio del male a te...>>

Max si passa una mano dietro la nuca, prendendosi il tempo di respirare.

<<Se faccio male a te perdo quell'ultimo briciolo di umanità che mi è rimasto>> afferma continuando ad evitare il suo sguardo, finchè non aggiunge: <<Ma se resti, non posso impedire che accada. Se resti, siamo spacciati entrambi.>>

Nina fa istintivamente un passo in avanti.

<<Se non vuoi farmi del male, non chiedermi di andare via>> mormora, pacata.

Finalmente sente di aver ritrovato la sicurezza che credeva ormai persa e ora che sa con cosa sta combattendo pensa per la prima volta da quando è arrivata in quel giardino che forse non ne uscirà perdente.

<<Anche io sono egoista Max>> continua. La sua camminata lenta la porta sino a posizionarsi a qualche centimetro dal suo petto, sul quale lei poggia, cauta, una mano. Max si scansa subito, ma Nina non si aspettava davvero che sarebbe rimasto <<Quando sono con te, io mi sento forte. Invincibile. Come si sentiva la Nina di un tempo. E non voglio smettere di sentirmi così>>

Cattura così la sua attenzione, facendogli aggrottare le sopracciglia.

Così da vicino, il suo viso sembra più spigoloso del solito.

Non ci aveva pensato, si rende conto Nina. Non credeva possibile che, forse, anche Nina poteva volere qualcosa da lui.

Un'evenienza che certo non sminuisce il suo amore per lui, ma che forse ne rende più tollerabile l'idea.

E non le importa di tutte le volte in cui ha pensato che Max l'avesse trasformata in un mostro senza cuore, nella persona che si sentiva ieri sera. Per la maggior parte del tempo, Nina è più Nina quando sa che Max è nella sua vita.

<<E magari non posso farti sentire tutto ciò che sento, che sento per te>> aggiunge, mentre le sue dita puntano ad accarezzargli gli zigomi sporgenti. Max non si scosta questa volta, il tocco di Nina così leggero da sembrare quasi una moina del vento <<Ma lasciami provare, lascia fare a me. Lascia amare me per tutti e due>>

<<Non sai cosa stai dicendo>> quasi la sbeffeggia lui, schioccando la lingua.

A quel punto, Nina stringe la presa sul suo viso, imitando il modo in cui la teneva stretta lui solo pochi minuti prima.

<<Sei convinto che le relazioni ti annoino, e non metto in dubbio che sia così>> cerca di spiegarsi lei, godendosi il modo in cui lui comincia attentamente a studiarla <<Ma hai mai provato a stare con qualcuno in un modo diverso da ciò che hai provato a fare con me? Senza freni, senza soppesare ogni mossa, senza paura>>

Eppure Nina, in quel momento, di paura ne ha fin troppa.

Il cuore le frantuma le costole, le rimbomba nelle orecchie, ma lei rimane ferma a ricambiare quello sguardo quasi confuso. Lo sguardo di chi sta affrontando, per la prima volta, qualcosa di nuovo.

<<Hai mai provato a stare con qualcuno che ti ama?>> chiede ancora Nina, questa volta facendosi più vicina.

Un lampo sembra guizzare negli occhi di Max, accompagnato da una smorfia che Nina non riesce a decifrare.

Sarà perchè lei conosce la risposta a quella domanda.

Allora Nina lascia andare la presa sul suo viso per portargli le braccia attorno al collo e stringerlo in un abbraccio leggero, in punta di piedi, mentre con le labbra si avvicina al suo orecchio.

E le pare folle pensare che solo la notte prima, tutto ciò che sembravano capaci di fare era odiarsi.
Come potrebbe mai odiarlo, quando lo ama così visceralmente ?

<<Sono tua Max, non combattermi>> sussurra <<Sono tua anche se tu non sarai mai mio, anche se non mi amerai mai come ti amo io. Non mi importa. Lasciami fare. Lasciami esserci. Senza avere paura. Senza...>>

Nina parla veloce, velocissimo, con le lettere che si accavallano l'una sull'altra, ma più veloce di lei è la bocca di Max che cerca all'improvviso la sua.

Le loro labbra si scontrano ed è l'interruzione di cui Nina aveva bisogno. Stringe la presa attorno al collo, lui da una parte le circonda il busto, mentre con la mano libera torna ad afferrarle il viso.

Nina ama quel modo che ha di tenerla stretta, quasi disperato.

Forse ora un po' lo capisce, o forse non lo capirà mai. Forse Max è fatto di così tante sfaccettature che ogni volta che crede di capirlo un po' di più, in realtà perde la sensazione di conoscerlo davvero.

Non le importa poi più di tanto, non quando quasi le gambe le cedono per quel bacio. Ci sono cose più primordiali di capirsi.

E quando lui prova a combattere se stesso, quando prova a combattere lei, tornando sui suoi passi, allontanandosi, lei lo cerca con un po' più di forza, e lui la stringe con un po' più di disperazione. Ogni volta.

<<Siamo già spacciati entrambi>> mormora tra uno scontro di labbra e l'altro, totalmente preda di quel bacio.
Max non risponde, ma sanno entrambi che è quella la vera conclusione di tutto.

Tanto vale provare ad amarsi.

Poi Nina cade davvero. Non per le gambe molli, ma per una pietra che non vede mentre cercava di riportare Max verso il muretto, camminando all'indietro. Lui inciampa a sua volta su di lei, non facendo in tempo a prenderla, ma è solo Nina che finisce per terra.

Max la guarda dall'alto, un ghigno quasi divertito stampato sul volto.

<<Che figura di merda>> esclama lei, coprendosi il viso tra le mani.

<<Dopo quello che mi hai detto sta sera, credi davvero che sia questa la figura di merda?>> controbatte lui con tono scherzoso.

Nina lo sente muoversi, ma si accorge che si è steso al suo fianco solo quando, sbirciando tra le fessure delle dita, non lo trova più sopra di lei ma accanto a lei. Si è fatto indietro abbastanza da arrivare a poggiare la schiena contro il muretto, mentre le gambe lasciate scoperte dai bermuda sono circondate dalla sterpaglia del giardino.

<<Sei la persona più musona che conosco>> afferma Nina prima di imitarlo, strisciando il sedere sull'erba fino a mettersi seduta come lui <<Ti sembra proprio questo il momento di mettersi a fare il simpaticone?>>

<<E' una dote, ridere delle tragedie>> replica.

Il ragazzo allunga un braccio per sfilare altre due birre dallo zaino, Nina invece si sporge per cercare il pacchetto di sigarette e l'accendino.

<<Quindi credi che tutto questo sia una tragedia?>> s'informa lei, afferrando la bottiglia che lui le offre.

<<Certamente la cosa più vicina ad una tragedia che io abbia mai vissuto>> risponde lui, con sarcasmo, cercando lo sguardo di lei nella penombra.

Nina lo contraccambia senza riuscire a trattenere un sorriso.

Max sembra voler dire qualcosa, poi però si limita a far scontrare le due bottiglie di vetro.

<<Raccontami di ieri>> azzarda poi, con fare un po' impacciato.

Nina a quel punto deve guardare altrove, nella vana speranza di contenere il modo imbarazzante in cui gli occhi cominciano a brillarle davanti a quella domanda.

Si sistema meglio con la schiena contro il muretto, poi lascia scivolare di proposito la testa fino a farla finire sulla spalla di lui, così come aveva provato a fare quella sera sul balcone, quando aveva deciso che avrebbe insegnato a Max l'affettività.

Comincia a parlare.

E parlare.

E parlare.

Beve qualche sorso di birra, si accende una sigaretta solo per farsela sfilare di mano dalle dita di lui, per vedere il modo in cui si inumidisce le labbra prima di avvicinarle al filtro, per sentire la scintilla delle loro dita che si sfiorano quando se la ripassano.

E parlano.

E parlano.

Su quel muretto dove si sono sempre sentiti il centro del mondo.

E magari sono, come pensa Nina, le stesse persone di tanti anni fa.

Magari invece, come crede Max, non lo sono affatto.

Sanno entrambi, però, che da quel momento in poi niente sarà più come prima.

Ma sono ancora insieme.

E questo, dovrà pur contare qualcosa.

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