DELL'AMORE DI MAX (21)



Il ritorno in macchina era stato silenzioso.

Max aveva tenuto gli occhi sulla strada per tutto il tempo, guidando con più fretta del solito. Nina era stata troppo impegnata a tenere insieme i pezzi per prestare davvero attenzione al resto. La sua mente, come un buco nero, aveva risucchiato tutto: parole, pensieri, emozioni.

A malapena era riuscita a tenere gli occhi aperti e si sentiva così stanca che, non fosse stato per la guida caotica di Max, probabilmente sarebbe stata capace di addormentarsi persino lì.

Tuttavia, non era scesa subito, una volta davanti al portone di casa di Cook. Anche Max aveva spento il motore, accostando.

Erano rimasti entrambi in attesa che l'altro dicesse qualcosa, ma c'erano così tante cose di cui parlare e al tempo stesso così poca voglia di farlo e il risultato di quell'equazione perfettamente bilanciata non era stato altro che il silenzio.

<<Quanto?>> alla fine aveva chiesto Nina, solo per liberarsi del peso di quel vuoto.

Quanto le rimane da vivere, sarebbe stato troppo da pronunciare.

<<Poco>>

Max aveva battuto leggermente la mano contro il volante, Nina aveva annuito. L'aveva intuito.

Aveva poi afferrato la maniglia della portiera e messo il primo piede fuori, ma si era decisa a togliersi un ultimo dubbio. Anche per quello, però, sentiva già di avere una risposta.

<<Questa cosa tra voi...>> aveva cominciato, ritrovandosi poi incapace di trovare un modo per dare forma a ciò che le suggeriva l'istinto. <<Non è solo perchè eravate fratellastri>>

Alla fine, si era sentita così sicura di ciò che stava dicendo, che non l'aveva neanche posta come domanda.

Max si era rifiutato di rispondere.

Così Nina era definitivamente scesa dalla macchina, si era chiusa lo sportello alle spalle e aveva cominciato a salire i gradini del palazzo, uno alla volta, aiutandosi con la ringhiera per tirarsi su.

Non aveva sentito il portone sbattere alle sue spalle però e, quando si era girata a controllare, aveva trovato la figura di Max, lì in piedi, nella penombra. Si erano guardati senza riuscire davvero a vedersi negli occhi a vicenda, dovendo accontentarsi della consapevolezza di essere lì, a cercare un modo di chiedere all'altro di continuare a sorreggerlo. Qualcosa che senza saperlo avevano fatto sino a quel momento, e senza la quale sembrava impossibile continuare a vivere.

Eppure, a Nina, era sembrato impossibile anche continuare a respirare la sua stessa aria.

Ma se lui avesse mostrato un briciolo di umanità, se avesse avuto il buon cuore di dire la cosa giusta, di provare a tenerla con se, Nina sarebbe stata disposta a soffocare. Per la prima volta però, fu contenta di doversi rapportare con una persona che, al contrario di ciò che aveva sempre auspicato, non ne era capace.

Non l'aveva visto andar via, semplicemente aveva ripreso a salire le scale, a continuare a sentire niente che non fosse solo un grande vuoto, ed un grande sonno.

Arrivare sul pianerottolo le era sembrata un'impresa, tanto più riuscire ad inserire le chiavi nella toppa, visto come le tremavano le mani, o attraversare l'appartamento fino ad arrivare alla camera da letto, senza nessun appiglio al quale tenersi.

Aveva pensato di poggiarsi sul divano, ma il ricordo di aver dormito lì con Max le aveva fatto salire un conato di vomito.

Il massimo che era riuscita a fare era stato raggiungere la cucina. Lì si era lasciata scivolare contro la parete, sino a terra, ed era rimasta a fissare il muro di fronte, con la pittura arancione e qualche crepa nella vernice all'altezza della sedia che Cook, sbadatamente, ci faceva sempre finire contro.

Alla fine aveva preso il telefono e l'aveva chiamato.

Era notte inoltrata ma, conoscendo Cook, probabilmente sarebbe stato ancora intento a prepararsi per uscire.

<<Amore mio>> l'aveva salutata lui con la sua bella voce squillante e la solita gioia di sentirla.

La gola di Nina si era stretta a tal punto da impedirle di rispondere.

<<Ehi>> aveva ripetuto il ragazzo. In sottofondo, il vociare che Nina aveva inizialmente sentito si era fatto sempre più indistinto. <<Nina?>>

<<Puoi...>> c'aveva provato, fallendo miseramente e ritrovandosi senza il coraggio di continuare.

<<Nina?>>

Sentire il tono apprensivo con il quale Cook aveva pronunciato il suo nome le aveva fatto scendere la prima lacrima. Crepata la diga, il resto era stato impossibile da contenere.

<<Cook puoi tornare a casa, per favore?>>

Nina aveva parlato tutto d'un fiato, poi si era portata una mano contro la bocca per soffocare un lamento. Tutto le faceva male, tutto sembrava trafiggerla.

Aveva provato ad invocare quella condizione di estraniazione dai suoi sentimenti che tanto l'aveva preoccupata nei giorni precedenti, quasi pregando di risvegliare quella Nina asettica, distante, dissociata. Non aveva ottenuto risposta.

Le lacrime ormai erano diventate incontrollabili e i singhiozzi non le avevano dato tregua, peggiorando notevolmente il dolore costante che le procurava il bendaggio al naso.

<<Nina>> aveva provato a richiamarla alla realtà Cook <<Mi stai spaventando>>

<<E' successa una cosa brutta>>

Non avrebbe mai avuto le parole per raccontare tutto ciò che era successo e tutto ciò che aveva scoperto quella sera.

<<Vengo appena posso>> aveva risposto, con la voce allarmata <<Chiamo Benny nel frattempo, ti mando lei>>

<<No, no, ti prego Cook. Benny non deve sapere niente>>

Il solo pensiero di ciò che avrebbe potuto dirle, di ciò che avrebbe potuto fare, l'aveva fatta sussultare.

Cook era rimasto al telefono con lei senza chiederle altro.

Non aveva chiamato Benny.

Anzi, evitare lei è tutto ciò che Nina si impegna a fare nei giorni seguenti, forse l'unica cosa che quasi le è parso quasi come un obiettivo.

D'altro canto, il "vengo appena posso" di Cook si è rivelato ben presto un periodo più lungo di quanto si sarebbe aspettata, per circostanze che non dipendevano da lui.

Così, tra la promessa del suo migliore amico di raggiungerla il prima possibile e la ferrea decisione di non farsi vedere dalla sua migliore amica con un tubero fasciato al posto del naso, Nina si ritrova completamente abbandonata, in compagnia soltanto dei fantasmi di Max e Susie, intenti a girovagare sulla superficie di un mondo crepato.

E un po' diventa un fantasma anche lei, incastrata tra i ricordi di una vita e le domande su un futuro incerto, tra l'insicurezza del non sapere come comportarsi e la voglia di fare qualcosa per risolvere il tutto.

Ma dopo aver pianto tutte le lacrime, dopo aver passato giornate intere senza mettere piede fuori dal letto, dopo essersi rifiutata persino di guardare la vita scorrere fuori dalla finestra, dopo aver ripassato nella testa tutti gli scenari possibili e immaginabili derivanti da qualsiasi sua ipotetica mossa, decide di riprendere a vivere da dove la sua vita sembrava essere stata messa in pausa.

Per questo si trova davanti all'ospedale quel pomeriggio.

E' un venerdì qualunque di una settimana qualunque di un'estate qualunque, eppure Nina è convinta che non arriverà alla fine di quella giornata. Anche se non è lei che sta morendo.

Spera di non attirare l'attenzione di nessuno mentre si fa strada tra i corridoi della struttura, seguendo un precorso diverso rispetto a quello dell'ultima volta. Niente entrata dal pronto soccorso, niente giro di tutti i piani alla ricerca di Max. Una volta arrivata al reparto non le sembra di esserci già stata. Quel luogo assomiglia più a qualcosa che potrebbe aver visto in un sogno rispetto ad un luogo fisico da lei conosciuto.

Si chiede allora se, magari, non sia semplicemente incastrata in un incubo.

Ma in un incubo sarebbe più facile costringersi ad avanzare fino alla stanza di Susie. Nella realtà, ogni passo le costa più di quanto ha da offrire.

Il corridoio è animato, le porte delle stanze aperte. Non ricorda precisamente qual è quella giusta così è costretta a gettare un'occhio in tutte le camere davanti alle quali passa. Non saprebbe dire cosa anima di più gli occhi dei pazienti che incrocia, se la rassegnazione ad un destino segnato o una voglia di vivere invidiabile, la stessa che lei da qualche giorno sembra aver perso.

Sa però, quando incrocia finalmente quelli di Susie, che i suoi non sono più quelli della ragazza che conosceva tanto tempo fa.

Sono gli occhi di qualcuno che ha combattuto una guerra che ha pensato nonostante tutto di vincere, e che forse ancora non hanno accettato una quasi certa sconfitta.

<<Mi domandavo quando saresti venuta>> la saluta Susie, dal letto al centro della stanza con le pareti giallognole. Un'infermiera le sta aggiustando il dosaggio della flebo, un ragazzo le sistema il cuscino dietro la schiena.

Nina si poggia contro lo stipite della porta e incrocia le braccia sul petto, sentendosi improvvisamente spoglia.

<<Torno in un altro momento?>> domanda, imbarazzata, lanciando un'occhiata agli operatori.

<<No, no, è tutta tua>> risponde scherzosa l'infermiera, facendosi scappare un sorriso. Susie le fa una boccaccia e si sistema meglio tra le lenzuola, cercando di nascondere l'immensa fatica che, però, accompagna palesemente i suoi movimenti.

La ragazza fa un cenno alla sua vecchia amica, come chiedendole di raggiungerla, ma Nina rimane piantata contro la porta. Aspetta che tutti lascino la stanza prima di anche solo pensare ad avvicinarsi, e persino quando rimangono sole ci mette del tempo a decidersi a lasciare quel limbo ed oltrepassare la porta.

<<Non ti mangio mica>> la prende in giro Susie, vedendola lì impalata <<Non digerisco gli omogeneizzati, figuriamoci la tua carne>>

<<Tu e i tuoi soliti problemi di stomaco>> risponde Nina, dovendosi schiarire la voce subito dopo. Il suo tentativo di ironizzare, visto il tono con cui le sono uscite le parole, risulta miseramente fallito.

Si dirige a passo incerto verso una sediolina poggiata vicino alla finestra. La camera è piccola ma lo spazio tra il letto e la seduta è sufficiente per permettere a Nina di respirare. A malapena riesce a guardare Susie, starle vicino sarebbe troppo.

<<Odiavi le mie intolleranze allora, figurati come sarebbe difficile portarmi in giro per ristoranti ora>> controbatte l'altra.

Nina continua a non riuscire ad associare quella voce flebile, quel viso scavato, all'uragano che era stata la sua migliore amica. E non riesce a decidersi cosa faccia più male. La consapevolezza che avrebbe dovuto starle accanto per tutto il tempo, vederla cambiare giorno dopo giorno, così non sarebbe così toccata da quell'immagine, o l'idea che quello sarà l'aspetto di Susie che porterà con se per sempre.

<<Perchè non mi hai chiamato?>> le chiede poi Nina, di cuore.

Non avrebbe certo potuto fare niente per cambiare le sue condizioni, ma se l'avesse saputo ci sarebbe stata.

Avrebbe lenito il senso di colpa.

Perchè, egoisticamente, è tutto lì.

Susie muore per una malattia e Nina per il senso di colpa, per non esserle stata accanto, per non avere il tempo di rimediare, per aver buttato tutto all'aria per niente.

<<Non ci parlavamo da anni, perchè chiamarti per darti questa sofferenza?>> risponde Susie,  che forse, negli anni, quella domanda deve essersela posta più volte.

<<Mi sento dannatamente stupida>>

Nina si lascia scappare quella frase prima di nascondersi il viso tra le mani, la frangetta finisce ad aggovigliarsi in mezzo alle dita, i palmi umidi sfregano sulle guance accaldate. Non si era resa conto di star sudando freddo.

<<Lo sei>> afferma la ragazza dal lettino, accompagnata da uno sbuffo che quasi sembra una risata. La bruna allarga le dita quanto basta per riuscire a guardarla senza scoprirsi il volto. <<Max mi ha raccontato di come sono andate le cose quella mattina, che ti sei inventata la storia di Kevin>>

<<E' ciò che ho provato a farti capire per mesi. Tu non mi ascoltavi>>

Pensare che sono passati ormai sei anni dall'ultima volta che hanno affrontato lo stesso agomento fa venire a Nina la pelle d'oca.

<<Se mi avessi detto perchè ti eri inventata quella storia, perchè avevi mentito a Max, che lui ti piaceva, sarebbe stato più facile crederti>> comincia Susie, osservando con attenzione le proprie mani intente ad accarezzare le lenzuola sterili che le avvolgono parte del corpo. <<Ti avrei capito.>>

Il significato intrinseco di quell'ultima frase è palese.

Piuttosto, Nina si chiede come aveva fatto a non accorgersene per tutto quel tempo.

Accecata dal proprio, speciale, rapporto con Max, non si era resa conto di ciò che succedeva ad un palmo dal suo naso.

<<Se mi avessi creduto, un giorno forse sarei riuscita a raccontarti quanto male c'ero rimasta per il comportamento di Max. Ma era troppo presto. Dovevi fidarti di me e basta. Non ti avrei mai tradita.>> risponde Nina, racimolando tutto il buon senso, tutta la razionalità che le è rimasta. <<Forse sei un po' stupida anche tu>> rilancia poi, cercando di scherzare.

Si sfila definitivamente le dita dalla faccia e se le porta in grembro mentre si spalla sulla sediolina, scambiandosi uno sguardo con la sua Susie e quasi, quasi, un sorriso reciproco.

<<Ero gelosa, non ero stupida. E sopratutto, non di Kevin.>> decide allora di sbuffare Susie. Si agita nel letto, provando ad aggiustarsi il cuscino dietro la schiena. <<Odio questo materasso>> borbotta poi.

Ma Nina è focalizzata su altro.

<<Che stai dicendo?>> le chiede infatti.

<<Non fraintendermi, la storia di te con Kevin mi ha fatto imbestialire. Ma non per Kevin. Ero arrabbiata, delusa, perchè mi sentivo pugnalata alle spalle da te.  Andare dietro a Kevin era solo un passatempo, e un ottimo modo per far incazzare Max, sopratutto>>

<<Ma>> pronuncia Nina per lei, a metà strada tra il timore e il bisogno.

<<Ma con il senno di poi e la famosa saggezza che deriva dalla malattia, forse ho reagito male sopratutto perchè ero gelosa>>

Nina aggrotta le sopracciglia.

Aveva smaniato, tutti quegli anni, per conoscere la versione di Max di quelle estati passate insieme. Non si sarebbe mai aspettata che la vera rivelazione sarebbe stata offerta dal punto di vista di Susie.

<<Perchè tu potevi essere "la donna della sua vita">> continua, imitando il vocione di Max e la solita frase con cui era solito prendere in giro Nina <<Io soltanto la sua sorellastra>>

Susie quasi si spezza per lasciare uscire una risata gracchiante.

La risposta che a Nina viene spontaneo offrire la colpisce d'istinto, ed è frutto delle macchinazioni che l'hanno accompagnata in quei giorni solitari. Non rimane sulle sue labbra più del necessario, come se, nonostante il dolore che le provoca ammetterlo, sia peggio non liberarsene.

<<Max, è innamorato di te, vero? Lo è sempre stato.>> dice Nina, e ogni lettera scava un solco nel suo petto.

<<In un modo tutt'altro che semplice, o lineare, accettabile, o...>> azzarda Susie. 

<<E' innamorato di te>> ripete Nina, fermandola.

Chi se ne frega del modo in cui ti ama, vorrebbe dirle. Non ti basta che lo faccia?

Forse Susie afferra il concetto, perchè subito si fa più seria. Chiude la bocca, annuisce.

<<Max ha una percezione distorta dell'amore, ed io, sono l'ennesima cosa distorta della sua vita>>

Ma non per questo a Nina fa meno male.

<<Meritavo di saperlo, Susie. Che stavi male.>> cambia quindi argomento, focalizzandosi sulla cosa che più le fa rabbia piuttosto che sul dolore, sperando che possa tenerla a galla <<E se lo meritava Cook, e se lo meritava Jerry. Persino Kevin, cazzo>>

<<Perchè?>> chiede Susie ma la sua voce, se possibile, si fa ancora più flebile.

La risposta tarda ad arrivare perchè tutta la concentrazione di Nina è focalizzata sul modo stanco con cui la ragazza si sistema tra le coperte. La conversazione, per quanto avesse cercato di mantenere la solita aria di sempre, in realtà l'ha stremata.

<<Perchè potevamo esserci per te>> si decide a mormorare, quasi in un soffio.

<<E vedermi intrappolata qui, a vomitare giorno e notte piuttosto che ad organizzare feste? Mai.>> sbotta l'altra. <<Questa non sono io>>

<<Certo, come se le feste fossero l'unica cosa importante della nostra amicizia>>

<<Stagli vicino Nina>> la interrompe però Susie, come non intenzionata a sprecare l'ultimo sprazzo di energia a parlare dei se, e dei ma. <<O non mi perdonerò mai di averlo lasciato solo>>

<<Andiamo Sus...>>

Nina non vuole credere alla perentorietà con la quale Susie parla della sua morte.

E a ciò che le sta chiedendo.

<<Quando non ci sarò più, avrà solo te>>

E sarò capace di gestirlo? Si chiede.

Sarò capace di fidarmi nuovamente di lui?

Sarò capace di non aver paura?

La ragazza non risponde, nè al discorso di Susie nè ai propri interrogativi.

Si perde per un attimo nella nebbia di pensieri che è stata la sua mente per quei giorni, così tanto che fa fatica a rendersi conto che Susie sta nuovamente parlando.

Inoltre, ormai, più che parlare lei sussurra.

Le chiede di ripetere, poi si costringe ad alzarsi dalla sedia e avvicinarsi. Viene avvolta dal suo nuovo odore, fatto di medicine e disinfettanti, e dalla pelle secca del viso, ma così da vicino, anche se solo in una fugace scintilla, riconosce finalmente i suoi occhi.

<<Io posso essere la ragazza che Max ama, o crede di amare>> sibila Susie, muovendo leggermente le labbra <<E morirò con questa consapevolezza. Ma tu sei la sua Nina. E fa tutta la differenza.>>

La ragazza ha la sensazione che la frase debba continuare in qualche modo, ma non riesce a sentirne il seguito perchè Susie si lascia andare alla stanchezza prima di riuscire a terminarla.

Non ha bisogno, però, di sapere davvero cosa stava per dirle.

In qualche modo lo sa.

Nina non ha bisogno dell'amore di Max, per sapere di essere speciale per lui.

Allora perchè fa così male essere consapevole che per tutti questi anni, non è mai stato rivolto a lei?

E perchè fa così male vedere Susie dormire? Un tempo le piaceva. Ha sempre avuto il respiro pesante ma a Nina dava fastidio, anzi, si addormentava contando i suoi sospiri.

Ora a malapena esce un sibilo dalle sue narici e tutto ciò che riesce a fare è rimanere lì a fissarla, sentendosi totalmente impotente. Le ci vogliono minuti infiniti prima di convincersi a sedersi sul lettino, dalla parte dei piedi. Da lì, poi, le porta una mano sui fianchi coperti dalle lenzuola.

Per la prima volta, Nina si sente impacciata nel lasciare una carezza a qualcuno. Così tiene la mano lì, ferma, cercando e sperando di trasmetterle qualcosa con quel tocco.

E improvvisamente non vuole più abbandonarla.

Hanno passato una vita a proteggersi a vicenda, chissà se ora Nina sarà capace di proteggerla da questo male.

Si chiede anche quante persone abbiano fatto un pensiero del genere davanti ad una persona alla quale volevano bene, per poi doverla comunque salutare per sempre. Non le importa. E non le importa quanto sia stupido. Forse uno deve sperarci per forza. Forse è l'unico modo per fermare i sensi di colpa.

<<Nena>>

La voce di Max la fa sobbalzare.

E' sulla porta, con un'espressione contorta sul viso. Nina non saprebbe dire se è contento di vederla, se è arrabbiato, solo quel solco tra la fronte sembra dire : "sei qui".

Sono qui, vorrebbe rispondere Nina.

Vorrebbe sbattergli in faccia i giorni di inferno che ha passato. Vorrebbe fargli pesare la vergogna che ha provato per quel livido sul naso. Vorrebbe fargli sentire la paura, e l'abbandono.

Ma qualcosa le dice che comunque per lui non sarebbe niente di nuovo.

E Nina quegli occhi che lui si ritrova vorrebbe solo abbracciarli.

Gli occhi, l'unica parte di lui che forse, in quel momento, Max proprio non riesce a comandare e che sembrano quasi lasciar intravedere il modo in cui quella scena gli stia strappando un cuore che neanche sapeva di avere.

Perchè gli occhi davanti alla morte non sanno mentire.

Neanche Max può farlo.

<<Parliamo?>> gli chiede Nina, in un sussurro.

Lui la guarda in silenzio, poi annuisce.

Sembra così assurdo volergli parlare dopo tutto quello che le ha fatto passare, eppure ne ha bisogno.

Nina lascia scivolare lentamente la mano dal fianco di Susie e le lancia un ultimo sguardo prima di scendere dal letto. Max la aspetta nel corridoio, con le mani affondate nelle tasche anteriori dei jeans.

Quando la ragazza lo raggiunge percorrono il corridoio a debita distanza l'uno dall'altro, separati da un muro di dubbi e silenzio. Un muro che per la prima volta, Nina non vuole abbattere.

Non subito, almeno.

Tu sei la sua Nina.

E quanto le costa, essere la sua Nina.

Non prendono l'ascensore ma le scale. Nessuno dei due dirige l'altro eppure si muovono entrambi verso il piano terra e, conseguentemente, dritti alla porta d'ingresso.

Fuori dall'ospedale continua ad esserci quell'ordinario venerdì d'estate che scorre placido sulla baia del Principato.

Qualcuno si gira a guardare Max. Questa volta, lui non si è curato di nascondersi ad occhi indiscreti. A malapena tiene la testa bassa.

Nina si concede una o due occhiate di sfuggita, solo quando è sicura che lui non la stia guardando.

E' chiaro che non dorma da giorni. La barba è sfatta, i capelli sono più lunghi del solito e disordinati. Come piace a Nina.

Si chiede cosa, nello specifico, l'abbia tormentato così come è stata tormentata lei.

Lo schiaffo.

Le bugie.

I suoi occhi, in quel corridoio buio.

Forse tutte e tre.

O forse è solo ciò che Nina vuole vedere.

Magari è stato semplicemente in giro per locali, a bersi qualcosa con Serge, risolvendo i problemi con il suo solito modus operandi: non risolvendoli, sperando che un po' d'indifferenza e qualche bottiglia di champagne siano sufficienti a cancellare tutto.

Eppure qualcosa le dice che non si sta sbagliando.

Max fa per attraversare la strada e raggiungere il mare, ma Nina scorge un piccolo bar poco distante, dal lato dell'ospedale, con dei tavolini all'aperto. Qualcosa di zuccherato da buttar giù potrebbe risultare necessario.

Attira l'attenzione del ragazzo e con un cenno gli chiede di seguirlo.

Lui non si oppone.

I primi momenti sono imbarazzanti, in un modo in cui mai avrebbe pensato potesse sentirsi con Max.

Seduti l'uno di fronte all'altro, davanti ad uno stretto tavolino di legno, Nina ordina una bibita gassata mentre lui fa segno di non volere niente.

Continua a regnare il silenzio.

Nina cerca il pacchetto di sigarette in borsa, poi ringrazia la cameriera che le serve la comanda. Anche se l'idea di buttar giù qualsiasi cosa le fa improvvisamente venire il voltastomaco.

Si costringe a farlo, sentendone il bisogno.

Poi, sul più bello, scoppia a ridere.

<<Cosa?>> le domanda Max, con quel solito tono da sbruffone che finalmente lei riconosce.

E si riconosce un po' anche lei, mentre si decide a guardarlo dritto negli occhi e, addirittura, a sorridergli.

<<Non abbiamo mai fatto niente del genere, io e te>> afferma, battendo leggermente il filtro della sigaretta sulle doghe di legno del tavolo, per compattarla.

Max alza un sopracciglio, senza capire.

<<Questo. La normalità. Non ci siamo mai seduti a tavola, io e te, a prendere un caffè. O a mangiare una cosa. Mi sembra improvvisamente così assurdo>>

Se l'avessero già fatto, Max avrebbe saputo dell'odio che Nina prova nel sedere di fronte alle persone. Così, lei decide di trattarlo come tratterebbe un ragazzo qualunque e fa la sua solita mossa di spostare la sedia attorno al tavolo e sedersi ad angolo con il suo interlocutore, sfruttando uno dei supporti della seduta di lui come appoggio per il proprio piede.

Lui la studia con attenzione, con le labbra leggermente dischiuse, come ci fosse un pensiero, poggiato tra loro, al quale non trova coraggio di dar voce.

Nina si accende la sigaretta e si spalla leggermente sulla sedia, ma è troppo agitata per rimanere in quella posizione e si muove costantemente, pentendosi subito di non aver preferito una passeggiata sul mare.

Il fumo che le riempie la bocca, per quanto effimero, è l'unica cosa con la quale riesce a distrarsi e così si concentra sui suoi moti, assaporandone il sapore sulla lingua, osservando le sue trame quando lascia le sue labbra.

Alla fine Max parla.

Nina lo capisce perchè prima di esprimersi deve schiarirsi leggermente la voce, e questo basta a metterla sull'attenti.

<<Per quello che conta>> esordisce, guardandola attraverso le lunghe ciglia che incorniciano gli occhi stranamente socchiusi <<Sei sempre stata la mia unica chance per provare qualcosa di normale>>

Qulasiasi cosa avesse potuto dire, Nina non sarebbe stata pronta a sentirlo.

Ma questo.

Questo le scava una voragine nel petto.

<<Allora, come ora>> aggiunge.

L'attimo dopo si alza, evidentemente incapace di gestire una conversazione del genere standosene seduto attorno ad un tavolino. E forse è per questo che non ci si sono mai trovati, a bere un caffè in giro per i bar di Monaco. Perchè quello che condividono è sempre troppo per essere affrontato così, come farebbero tutti gli altri.

Nina lo segue con lo sguardo mentre entra all'interno del locale, probabilmente per andare a pagare, e con un solo tiro consuma gran parte della sigaretta rimasta.

Le parole di Max tessono un'ampia tela nella sua testa, fatta di ricordi e sensazioni, di sguardi, di quel qualcosa.

Le persone che avrebbero dovuto amarlo non l'hanno mai amato, hanno fatto di lui una macchina da guerra, e l'unico amore che abbia mai provato l'ha fatto sentire sporco, inadeguato, sbagliato. E poi c'è sempre stata Nina, fuori da ogni categoria, da ogni classificazione, eppure più giusta di tutto il resto.

La sua unica chance di provare qualcosa di normale.

Come se quello che c'è tra loro possa davvero essere definito normale.

Max non torna al tavolo quando esce, piuttosto le sfila davanti e s'incammina verso la strada fino ad attraversarla. Nina osserva la sua schiena ampia, quelle spalle tanto forti da sembrare capaci di tenere i pilastri del mondo.

Si dice che un'altra persona scapperebbe a gambe levate, che tutto ciò che Max ha fatto con lei e per lei era mosso da puro egoismo. Persino quel loro primo bacio, del quale ora ne comprende finalmente la ragione.

La mia unica chance di provare qualcosa di normale.

Se fosse soltanto "la sua Nina", forse scapperebbe.

Ma c'è un particolare che neppure Susie ha considerato.

Quello è anche "il suo Max".

E magari ha sbagliato negli anni a voler dare un nome a quel qualcosa che c'è sempre stato tra loro. Magari, il loro destino è di vivere quel qualcosa, senza doverlo per forza chiamare amore.

Solo due ragazzi che si appartrengono, in un modo che a volte li distrugge ed altre li salva.

Con quella promessa di luce negli occhi Nina lascia il tavolino e cammina lentamente verso di lui, gli occhi fissi sulle onde che la leggera brezza disegna sul retro della sua tshirt chiara. Si ferma un attimo dietro di lui, tentata dal portargli le braccia attorno al busto e scomparire contro la sua schiena, però alla fine gli si mette accanto, sfiorandolo con la propria spalla.

C'è il mare davanti a loro, poco più in basso, che incurante procede nel suo placido ondeggiare. Non un'increspatura, niente che possa rimandare ai tumulti interiori di quella coppia di ragazzi che se ne sta ferma a guardarlo.

<<Sapevo che eri tu, quella sera, quando ci siamo rincontrati>> mormora lui, le parole portate dal vento <<Mi ci è voluta mezza bottiglia di wiskey per decidermi a venire, e sono andato via perchè cominciavo a sentirmi male. Ho abbordato una ragazza e il suo unico ruolo è stato tenermi la testa sul cesso per tutta la notte>>

<<Perchè?>>

<<Perchè Susie, Susie, stava morendo davvero, e io con lei. E d'improvviso spunta questa ragazza, questa Nina, con cui Serge ha un appuntamento, bella, con lo sguardo acceso e piena di vita. Dovevi essere tu e mi sono detto, chissà come mi guardarebbe oggi Nina>>.

<<E come ti ho guardato?>>

<<Come mi hai sempre guardato>> risponde, scrollando le spalle.

Ed è stato abbastanza per andare avanti, continua quella parte di Nina che riesce sempre a leggere tra le righe delle scarne confessioni di Max.

<<Fino alla scorsa sera almeno>> aggiunge poi <<Non volevo farti male>>.

<<Ma ti piace>> afferma Nina, semplicemente <<Farmi male>>

<<Non è qualcosa che controllo>>

<<Ma ti piace>>

<<E comunque non è abbastanza per farti andar via>>

Non serve che Nina risponda.

<<E neanche scoprire di Susie è abbastanza>>

È qualcosa che Max ha sempre fatto, pensa lei. Cercare di metterla davanti all'evidenza, davanti alla persona orribile che sente di essere, quasi per metterla alla prova, per capire quando sarà troppo, quando lei si deciderà a voltargli le spalle.

<<Io non lo so, Max, se c'è qualcosa al mondo che sarebbe abbastanza per convincermi a lasciarti andare>> dice, comprendendo davvero e per la prima volta il peso e la verità di quell'affermazione <<E non è romantico, è terrificante>>

Max fa un piccolo movimento, quasi accennato, ma gli basta per farsi vicino abbastanza perché le loro braccia ora aderiscano.

<<Quindi siamo ancora io e te?>> chiede, con una freddezza che trasuda quasi innocenza.

<<Siamo ancora io e te>>

Quella cosa senza definizione, quel legame primordiale.
Nina decide di fare a sua volta un passo verso di lui è semplicemente piega la testa, finendo col poggiare parte del viso sulla sua spalla. Rimangono però con gli occhi puntati sul mare.

<<Non l'ho mai baciata>> afferma lui dopo poco <<Susie, non l'ho mai baciata>>

<<Importa?>> si ritrova a chiedere Nina.

<<Magari è ciò che salverà la mia anima>>

<<Credi di avere un'anima?>>

<<Io no, ma lei si>>

<<Ci credo anch'io>>

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