Capitolo 5.

«È carino» commentò mentre ci dirigemmo verso casa.
«Se lo dici tu»
«Non puoi non ammetterlo.»
«È arrogante ed è molto...» presi una piccola pausa per pensare ad un altro aggettivo.

«Stronzo? So che volevi intendere questo» mi precedette lei.
«Ma non l'ho detto.»
«Ti piace?» a quella domanda la guardai con aria interrogativa. Non capivo il perché. Mi piaceva?
No, che non mi piaceva, io amavo Jason.

«Jason. Ricordi? Il mio ragazzo..» le dissi.
«È un bel ragazzo ammettilo» mi puntò il dito contro e inarcò le sopracciglia.
Prima che potessi aprire bocca e risponderle, il mio sguardo si spostò verso una macchina nera che si era appena fermata accanto al marciapiede.
«Jason» lo vidi arrivare e gli corsi incontro per abbracciarlo.
«Ciao Jason» lo salutò Clara con il sorriso più falso mai visto prima.
Clara non lo sopportava affatto, ha sempre provato un forte odio verso quel ragazzo ma, anche se si percepiva chiaramente, cercava di nasconderlo ai miei occhi.

«Ciao.» ricambiò Jason cercando di essere gentile. «Ti va di uscire sta sera?» mi chiese. Rimasi sorpresa dalla sua proposta dato che non uscivamo molto spesso per via degli impegni. Io ero concentrata sullo studio e anche sul lavoro, lui invece aveva la sua squadra di basket, che gli portava via gran parte dei pomeriggi, e l'officina del padre da controllare.
«Certo» dissi senza pensarci due volte. Mi prese la mano e mi condusse verso la sua auto.

«Ci vediamo domani» mi salutò Clara avviandosi lungo la strada. La salutai e salii in auto allacciando la cintura di sicurezza una volta chiusa la portiera.
«Dove andiamo?»
«Sarà una sorpresa» non ero una grande amante delle sorprese, ma non volevo rivelarglielo rovinando così quell'atmosfera piacevole che si era formata tra di noi.
Prese una stradina non molto trafficata e cercai di capire dove potesse essere diretto.
L'auto si fermò ed io lo guardai con aria interrogativa. Ci eravamo fermati al di sotto di una distesa di erba che si concludeva con un piccolo boschetto. Cosa ci facevamo li?
«Andiamo» mi spronò mentre scese dall'auto. Lo seguì in silenzio e gli presi la mano.

Raggiungemmo un piccolo punto della distesa in cui c'era un parcheggio a spezzare il verde continuo dell'erba.

«Ci vengono molti ragazzi e ho sentito dire che è un posto fantastico» disse infine. Salì sul piccolo muro che divideva quel parcheggio dal vuoto sottostante.
Non soffrivo di vertigini ma mi faceva paura ugualmente. A spezzare quel timore, c'era il paesaggio che ci circondava, che riusciva a trasformare la paura con una sensazione più rilassante.

«Ti piace?» mi chiese indicando il fantastico panorama, stringendomi a se come se avesse paura che cadessi da un momento all'altro.
«È bellissimo. Perché volevi venirci?»
«Perché volevo passare un po' più di tempo con la mia fantastica ragazza» disse posando le sue labbra sulle mie. Mi appoggiai a lui lasciandogli di tanto in tanto dei baci sul collo.

Il tramonto portò via il sole lasciando spazio al buio della notte e alle migliaia di stelle che si potevano osservare.
«Dai andiamo, si è fatto tardi» disse aiutandomi a scendere. Ci avviammo verso la macchina e tornammo a casa con un sorriso stampato sulle labbra.

«Ti amo» disse baciandomi.
«Anche io» lo baciai e lo strinsi in un abbraccio prima di lasciarlo andare.
Entrai in casa e, a mia sorpresa, fui circondata da uno strano silenzio.
«Kayl» lo chiamai. E dalla sua stanza si sentì un mugolio.
«Kayl» continuai. Entrai nella sua stanza e lo vidi andare avanti indietro mentre mangiucchiava il tappo di una penna rigirando di tanto in tanto il foglio che aveva in mano.

«Sono usciti. Dovevano andare da..» alzò gli occhi al cielo come a riportare il ricordo alla mente «Non me lo ricordo» ammise infine.
«Cosa stai facendo?» gli chiesi cercando di trovare posto sul suo letto tra fogli e cartacce.
«Stavo cercando un documento...ma ancora niente»
«che genere di documento?» chiesi e finalmente fece incontrare i nostri sguardi.
«il mio diploma» disse dopo un attimo di riflessione. Mi stava per caso mentendo? Forse questo non lo avrei mai saputo e sarebbe stato tutto inutile chiederglielo.

«Papà lo ha sempre tenuto nel suo studio» gli ricordai prendendo uno dei tanti fogli ammucchiati sul letto.
Appena finì il college, nostro padre provò a offrirgli un posto nella sua agenzia di lavoro, ma con scarsi risultati. Kayl non valutò neanche per un solo secondo la proposta offertagli e preferì rimanere al mio fianco durante le scuole superiori.

«Hai ragione. Grazie sorellina» disse scompigliandomi i capelli.
«Vado nella mia stanza.» annunciai lasciandolo da solo in mezzo a tutto quel disordine. Mi aprì la porta facendomi passare senza neanche alzare gli occhi dal foglio che aveva tra le mani.
Raggiunsi la mia stanza e, una volta posata la borsa sulla sedia, mi feci cadere sul letto sospirando con aria annoiata.

"Io ti dovrò rovinare" quella frase rimbombava nella mia testa. Perché quella frase? Perché era lui il centro dei miei pensieri?
Le cose sembravano essere cambiate da quel primo incontro. Non nei fatti ma bensì dentro di me. Era veramente così o era solo una mia immaginazione?
Chiusi gli occhi e senza accorgermene mi addormentai.

«Non sapete fare niente. Guarda cosa hai fatto Kayl» urlò mio padre.
«Mi dispiace» disse mio fratello senza incrociate i suoi occhi troppo Rossi per via dell'alcol. Mio padre gli si avventò contro facendolo cadere all'indietro.
Iniziò a sferrargli calci e pugni. Kayl giaceva lì, sul pavimento gelato senza muoversi.
«Kayl» lo chiamai.
Iniziò a tossire ma non si muoveva, potevo solo immaginare quanto dolore stesse provando in quel momento.
«Kayl» urlai più forte con voce tremante.

Mi svegliai con il respiro affannoso e la fronte imperlata di sudore. Era stato un incubo, solo un fottutissimo incubo. Provai a convincermi, ma ero troppo scossa per riuscirci da sola.

La porta si aprì all'improvviso e Kayl comparve sulla soglia della porta con la penna ancora tra le mani, segno che stava lavorando ancora su quei fogli.
«Abby. Tranquilla. Ci sono io con te» si avvicinò velocemente al letto stringendomi in un abbraccio rassicurante.

«Ora va tutto bene, non è successo niente» continuò sussurrandomi quelle parole fino a quando non mi calmai.
«Kayl, non andartene» dissi.

«Resterò con te» si mise dentro al mio letto senza sciogliere quell'abbraccio. Mi rilassai e sentii il mio cuore decelerare mano a mano che il tempo passava.

Ebbi quasi paura di richiudere gli occhi, non volevo più rivedere quelle scene come a riviverle.
Il sole sorse picchiettando sul mio viso. Non chiusi occhio per tutta la notte al contrario di Kayl che si era lasciato andare dopo più di due ore di carezze e baci sulla testa.
Qualche ora più tardi avrei avuto la prima lezione e fui costretta ad alzarmi contro tutta la mia volontà.

«Come ti senti?» mi chiese Kayl socchiudendo gli occhi.
«Bene» dissi solamente lasciandolo riposare ancora un po' nel mio letto. Nel frattempo andai al bagno a prepararmi per un altro giorno di università. Mi feci una doccia veloce, mi vestii e mi truccai gli occhi per nascondere le occhiaie violacee del sonno arretrato. Mi applicai dell'ombretto bianco sulla palpebra e una linea di eye-liner per scurire l'occhio. In seguito del correttore e del mascara nero sulle ciglia.

Tornando nella mia stanza, vidi Kayl addormentato con le labbra socchiuse e i capelli spettinati, sembrava un bambino. Risi alla vista e mi avvicinai lasciandogli un bacio sulla guancia e un 'Grazie' sussurrato nell'orecchio.

Arrivai alla prima lezione con dieci minuti di ritardo ma non me ne preoccupai minimante ed entrai. I presenti si girarono verso di me squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Mi scusi per il ritardo» presi posto vicino a Thomas che si meravigliò vedendomi. Forse per il ritardo o forse per il trucco...
«Come ti senti?» bisbigliò.
«Bene» dissi quasi sbuffando.
«Non sembra» possibile che erano visibili ancora tracce della notte insonne? Non era bastato tutto quel trucco? Tempo sprecato per niente...

Passarono così le prime ore tra il
piccolo interrogatorio di Thomas composto dai "Come stai? Come ti senti" e le spiegazione dei prof che sembravano tanto pesanti da farmi rimpiangere la mia scelta di indirizzo scolastico.
«Abby?» Disse Thomas preoccupato.
«Sto bene» sbuffai.
«In realtà stavo per chiederti se mi stessi ascoltando, ma a quanto pare non è così»
«Non ho molta voglia di seguire le lezioni tutto qui» ammisi.

Entrammo nell'ennesima aula dove si sarebbe svolta l'ennesima e noiosissima lezione.

Continuai a scarabocchiare sui fogli bianchi dove invece avrei dovuto prendere appunti.

Si fece presto ora di pranzo e ci sedemmo al nostro solito tavolo e aspettammo che ci raggiunse la ragazza per le ordinazioni. Presi un panino e un dolce per riempirmi lo stomaco, invece Thomas optò per un'insalata mista. Finito di mangiare, andammo a fare una passeggiata per il college prima di andare alla nostra ultima lezione.

«La lezione di chimica mi è risultata molto più semplice probabilmente perché...» notai Jonathan e mi ricordai di quella maledetta frase.
«Abby mi stai ascoltando?» chiese Thomas mettendosi davanti, ma non in modo tale da non farmi vedere Jonathan.
«No, scusami»
«Sei più strana del solito. Ti accompagno a casa?»
«No, non serve grazie.» dissi distogliendo lo sguardo dal gruppo di Jonathan che per un attimo sembrava aver fatto incontrare il nostro sguardo. A quanto pare, ero così stanca da avere le allucinazioni.

«Sono preoccupato» ammise.
«Ti ringrazio ma non serve. Su, andiamo alla prossima lezione» aumentai il passo per evitare le continue domande di Thomas.

Ci aspettava un'intera ora di arte, cosa che mi annoiava molto solo al pensiero. Non fui molto attenta e il Signor Fred se ne accorse e, a differenza degli altri professori, me lo fece notare.
«Signorina Taylor. Data la sua mancata concentrazione la pregherei di uscire dall'aula» disse.
«Ma..»
«La voglio vedere fuori di qui» disse infuriato.

Uscii senza replicare e mi subii gli sguardi di tutti gli studenti proprio come era già successo quella stessa mattina. Tra loro però notai i fantastici occhi grigi di Jonathan e abbassai immediatamente lo sguardo senza alcuna ragione apparente. Aspettai fuori dall'aula, ma il tempo non passava velocemente come avevo sperato.

Diedi un'occhiata all'interno della mia borsa cercando qualcosa per distrarmi. Trovai un pacchetto di Marlboro, appartenenti probabilmente a Kayl. Era sbagliato ciò che stavo per fare, ma avevo bisogno di rilassarmi e di far passere il tempo più velocemente possibile.

Presi una sigaretta e la accesi osservandola prima di portarla alla bocca. Non era la prima volta che fumavo ma non ne ero abituata. Non mi piaceva affatto quel sapore che lasciava e non capivo neanche cosa ci trovassero gli altri.

Dopo neanche due tiri la buttai a terra calpestandola con la pianta del piede. Non si sarebbe ripetuto mai più, mi ripromisi a me stessa, anche se sapevo bene che sarebbe bastato solo un altro attimo di debolezza per riprovarci.

La giornata proseguì molto lentamente, soprattutto quella maledetta ora che stavo passando fuori dall'aula.
Finalmente la campanella mi avvertii della lezione terminata, così aspettai che Thomas uscisse.

Ci salutammo velocemente ed io scappai verso casa. Non vedevo l'ora di arrivare e provare a dormire almeno qualche ora di quel pomeriggio.

Tornai a casa e dopo aver mangiato qualcosa di veloce, andai nella mia stanza per sentire un po' di musica. Mi rilassai completamente tra quelle melodie, concentrandomi su ogni singola nota e strumento che componeva la base musicale della canzone. Per una volta decisi di mettere in secondo piano il testo e lasciar parlare la musica stessa. Forse era proprio così che dovevo fare nella mia vita: Mettere in secondo piano le parole per far parlare i fatti...infondo sono quelli che contano.

Nella mia stanza si sentivano i clacson di qualche macchina, che provenivano da fuori, e i piatti che Kelly stava sistemando.
Per quanto possibile, alzai ancora il volume sovrastando quei rumori con degli altri più piacevoli, isolandomi completamente dal mondo esterno.

Ero solo io in quel momento. Io e la musica che aveva anche la capacità di sovrastare al meglio i pensieri dentro la mia testa.

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