Capitolo 35.

Mi svegliai tardi quella mattina e ancora più tardi presi la decisione di alzarmi.
A passo lento, se sempre il mio modo di camminare di prima mattina potesse essere definito tale, andai in cucina per prepararmi qualcosa da mangiare. Rinunciai ai biscotti e ai dolci che solitamente mi faceva trovare pronti Kelly, limitandomi alla preparazione di un caffè decente.

Qualche minuto più tardi, proprio quando era giunto il momento di togliere la caffetteria dal fornello, la serratura di casa scattò accompagnata da un sospiro.
Sapevo che si trattava di Jet che, avendo finito il suo allenamento mattutino, si rintanava in casa verso quell'ora di tarda mattinata per avere giusto il tempo di riposarsi e di decidere un programma per il resto della giornata.
Kelly e mio padre lavoravano per gran parte delle nostre vacanze scolastiche e solo due settimane prima della fine di esse restavano a casa con noi. Ogni anno era la solita storia ed eravamo costretti a partire con loro verso le Alpi italiane dove si trovava la vecchia casa dei nonni di Kelly. Ancora non eravamo riusciti a ribellarci al classico programma e, sia io che Jet e Kayl, le avevamo provate di tutti i colori.
Mi ricordo ancora quel giorno in cui Jet e mio fratello, dopo numerosi tentativi, rigorosamente falliti, tentarono di sabotare la macchina di nostro padre in modo tale da non farla partire. Ma, la notte in bianco passata a studiarsi le varie componenti di un auto e il piano in se, non bloccò mio padre e la sua voglia di partire verso l'amata penisola.
Gli ci volle poco per capire il problema e ci minacciò anche di farci trascorrere il resto delle vacanze peggio di quanto non lo fosse già per noi, se non gli avessimo riconsegnato il pezzo che serviva per farla ripartire.
Inutile dire che alla fine avevamo ceduto e con musi lunghi ci eravamo seduti sui sedili posteriori.

«Buongiorno» tornai alle prese con il mio caffè, facendo attenzione a non scottarmi mentre lo toglievo dal fornello.
«Svegliata tardi?» chiede Jet sedendosi su una delle sedie presenti in cucina.
«Non avevo voglia di alzarmi. Vuoi un caffè anche tu?»
«Si». Si tolse la giacca pesante posandola sullo schienale della sedia con gesti meccanici. Posò un gomito sul tavolo, iniziando a fissare un punto fisso davanti a lui.
Gli serviva proprio un caffè. Presi una tazza anche per lui riempiendola di caffè toccando quasi l'orlo.
«Ecco a te», gliela posi davanti e sembrò sussultare a quel gesto.
«Grazie»
Si susseguirono attimi di silenzio che non portavano niente di buono. Era strano che Jet non avesse nulla da dire, solitamente era sempre pieno di argomenti da conversazione che ti tenevano occupato per ore e ore senza mai annoiarti.

«Devi dirmi qualcosa?». Esitò nel rispondermi cercando qualche minima via di fuga per sviare dalla domanda. Tamburellava con il piede sul pavimento, producendo un rumore irritante e non smetteva di far saettare il suo sguardo dal mio alla tazza ormai vuota che tenevo tra le mani.

«Hai sentito Kayl?» sospirò prima di portarsi la tazza alle labbra. La sua domanda non fece altro che riportarmi alla mente la discussione che avevamo avuto e mi ripetevo che forse era giunto il momento di comportarsi da persone mature e affrontare la situazione.
«No»
«Passerà le vacanze da un suo amico ma tornerà in tempo per la vacanza in famiglia» borbottò.
Sospirai non capendo perché mio fratello si stesse comportando da vero vigliacco.
Jet andò verso la dispensa da cui prese il pacco di biscotti al cioccolato. «So cosa è successo» sgranai gli occhi «vi ho sentito mentre litigavate» si affrettò ad aggiungere.
«So che ha sbagliato ma devi anche capire che lo ha fatto per il tuo bene»
«Cosa? Spacciare?» chiesi ironica.
«Non parlartene» posò i suoi biscotti sul tavolo dietro di lui estraendone uno «non te ne ha parlato per paura che ti accadesse qualcosa» addentò il biscotto con voracità prendendo un attimo di tempo per mandarlo giù prima di continuare «Ha molta paura di perderti e ti vuole bene, sei la persona più importante della sua vita ricordatelo sempre» uscì dalla stanza lasciandomi con l'amaro in bocca.
Cercai con tutta me stessa di mantenere la calma e di non scatenare la mia rabbia su Jet. Non riuscivo a capire se stesse cercando di proteggerlo e giustificare quello che aveva fatto, o se cercasse di riappacificare il rapporto che si stava mano a mano dissolvendo. In ogni caso il suo tentativo non aveva migliorato la mia decisione.
Non riuscivo più a vedere Kayl come lo ammiravo da bambino, come un faro che guida la barca al porto, come un punto di riferimento da cui puoi solo prendere esempio. Riuscivo solo a vedere un ragazzo che si stava rovinando la vita, immischiandosi in affari fin troppo grandi per lui. Immaginavo Kayl dietro le sbarre o ancora peggio, immaginavo il suo corpo privo di vita in un vicolo abbandonato.
Un brivido mi percorse tutta la spina dorsale fino a farmi oscillare sul posto. Come potevo pensare ad una cosa simile, non sarebbe accaduto niente del genere e Kayl ne sarebbe uscito indenne. O almeno così mi convincevo.

Finii di pulire le stoviglie e le riposi ordinatamente sul ripiano della dispensa. Entrai ed uscii dalle varie stanze in maniera frenetica ordinando qualunque cosa che, secondo me, si trovasse fuori posto, e tutto questo sotto lo sguardo interrogativo di Jet.
Tentavo di tenere occupata la mente in qualche faccenda con l'unico scopo di non pensare a ciò che stava accadendo.

Ben presto si fece pomeriggio e nel frattempo Jet era uscito per recarsi dai suoi amici. Io, invece, avevo programmi ben diversi, il turno al lavoro mi aspettava e stranamente avevo una gran voglia di cominciare.
Arrivata al locale salutai le mie colleghe e andai a cambiarmi, indossando l'abbigliamento lavorativo.

Quel giorno al locale non si prospettava produttivo in quanto la clientela scarseggiava e a tratti eravamo più noi cameriere che tavoli da servire. La situazione era calma e più volte Mary mi consigliò di tornare a casa. Rifiutai ogni volta continuando ad occuparmi delle mie mansioni tra i tavoli e dietro la cassa.

«Si può sapere che ti prende?» mi chiese Clara bloccando i miei movimenti. Erano ore che pulivo tavoli anche se nessuno vi era seduto. Ok, forse stavo esagerando e potevo sembrare una pazza.
«Nulla» risposi continuando il mio lavoro.
La mia risposta fu seguita subito dopo,
da uno sbuffo e in poco tempo mi ritrovai fuori dal locale con una versione irritata di Clara. Teneva le braccia incrociate al petto, picchiettava la suola delle scarpe sulla strada e assunse uno sguardo serio che però mi faceva solo che venire da ridere. Non gli si addiceva per niente quell'espressione.

Il tempo passava e nessuna delle due era intenzionata a parlare per prima ma, conoscendola, per via del suo orgoglio, non avrebbe mai fatto la prima mossa «Allora» iniziai dondolandomi sulle punte. «Perché mi hai portata qui?»
Si susseguirono diversi attimi in cui la vidi tentennare sul da fare. Poco dopo cedette e si rilassò portando le braccia lungo il corpo.
«Stavi dando di matto» si posò sul muro dell'edificio al mio fianco, ridendo leggermente «Davvero, sembravi mia madre quando fa le pulizie di primavera» risi anch'io sedendomi sugli scalini dell'entrata, immaginandomela mentre impazzisce tra il disordine di Clara.
«Volevo fare qualcosa» mi giustificai. Clara si sedette al mio fianco studiandomi attentamente. Stava cercando di capire se stessi mentendo o se nascondessi qualcosa.
«Farò finta di crederci» ma prima che potesse iniziare con l'interrogatorio, sviai il discorso «Come vanno le lezioni?» inizialmente mi guardò con uno sguardo come per dire "ma sei seria?". Effettivamente era una domanda stupida però fu la prima cosa che mi venne in mente per riuscire a spostare la sua attenzione su un altro argomento.
«Vanno molto bene, posso dire di aver dato la maggior parte degli esami per quest'anno, ancora non mi sembra vero»
«E i ragazzi? Strano che tu non me ne abbia parlato. Fino allo scorso anno, parlavi ogni giorno di uno diverso.»
«Non è vero» squittì mettendo il suo fantastico broncio che non era affatto cambiato con il passare degli anni. In quei momenti mi sembrava di rivedere la Clara di soli cinque anni, che amava il rosa e attendeva con ansia il suo principe azzurro con il cavallo bianco.

«Vediamo se mi ricordo» cercai di ricordarmi i nomi di alcuni dei ragazzi di cui mi aveva parlato e che dalle sue descrizioni erano dei modelli usciti direttamente dalla rivista Esquire o Vogue, ma che stranamente diventavano degli stronzi clamorosi nel giro di una settimana.
«Ah si, Mark quel tuo compagno di inglese, moro, alto, addominali scolpiti ma tutto fumo e niente arrosto. Oppure Logan, Tyler, Robert e l'inglese Nicholas. Per non parlare del bellissimo italiano Adriano con quegli occhi da favola ma un carattere da vero stupido.»
«Adriano non è stupido» brontolò, «è solo molto dolce, aiuta sempre gli altri e non si accorge di quanto i suoi compagni lo sfruttino»
«Non la pensavi così dopo la festa di Melissa» continuai inarcando le sopracciglia. Melissa era una sua compagna di corso che avevo avuto modo di conoscere al compleanno di Clara. Mi era sembrata subito una ragazza in gamba e con la testa sulle spalle, i suoi occhi celesti pieni di gioia ti mettevano subito a tuo agio trasmettendoti anche un po' di sicurezza. Era una bella ragazza formosa e per quanto la riuscì a conoscere, era anche una bella persona, in senso caratteriale. Mi stupì che non avesse ancora un ragazzo e non la presi seriamente quando me lo disse, poiché vidi un gruppo di ragazzi osservarla da lontano cercando il momento giusto per chiederle di ballare.
«Si è un vero stupido»
Durante la festa, Clara, che a quel tempo era follemente innamorata del nuovo ragazzo, cercò in tutti i modi di attirare la sua attenzione e di fargli capire quanto le piaceva. Ma tutti i suoi tentativi furono vani poiché il ragazzo in questione, Adriano, fraintese tutto il discorso di Clara pensando che l'innamorata fosse un'altra ragazza di cui per giunta, si era innamorato.

«Impossibile che non ci sia nessuno»
Sospirò e iniziò a parlare sottovoce ma mi risultò difficile comprenderla.
«Se parli così non riesco a sentirti»
«Mi sono innamorata del figlio del preside» esordì arrossendo.
Rimasi interdetta e mi chiesi come era possibile che fosse accaduta una cosa del genere. Clara teneva un buon occhio al riguardo sul grado di parentela e si teneva sempre alla larga dai figli degli insegnanti o cose simili, per paura che potesse influenzare il suo percorso. Odiava essere al centro dell'attenzione e ancora di più raggiungere i suoi obiettivi con l'aiuto di qualcuno.
«Non frequenta il mio istituto e ci siamo incontrati per puro caso al negozio di alimentari dietro casa, strano non è vero?»
«E come fai a sapere che lui è il figlio del preside del tuo instituito?»
«Il mio professore di lettere mi ha chiesto se potevo passare nell'ufficio del preside per conto suo ed io accettai. Il preside non era presente ma la segretaria mi fece accomodare nel suo ufficio dicendomi che sarebbe arrivato a momenti. Il tempo passava ed io mi annoiavo, così iniziai a girovagare nella stanza curiosando tra le cose sulla scrivania e in quel momento vidi una foto in cui era ritratto quello stesso ragazzo»
«Sei proprio sicura che sia quello stesso ragazzo?» le chiesi stringendomi un po' di più tra la stoffa della divisa per via del freddo.
«Almeno che abbia un sosia, credo proprio che sia lui» constatò rabbrividendo anche lei a causa di una ventata di aria gelida.
«Su avanti rientriamo dentro» annuii sollevata e fui contenta di sentire sulla mia pelle il tepore del riscaldamento nel preciso instante in cui superai la soglia.

Continuammo a parlare di questo misterioso ragazzo di cui non conosceva ancora il nome. Sembrava non avere alcun tipo di rintracciamento e la cosa la eccitava maggiormente.

L'ora di chiusura arrivò prima del previsto e tra le chiacchiere tornammo a casa insieme. In quelle cinque ore, ero riuscita a non pensare a niente che riguardasse Kayl e mi dispiaceva ogni minuto di più. Cavolo se mi dispiaceva, come potevo sperare di non pensare a mio fratello? Colui che mi ha sempre aiutato? Colui che mi ha sempre indirizzato sulla giusta strada?

Sarebbe stato il giusto momento per ricambiare tutto ciò che aveva fatto con me, per tutti gli aiuti che mi aveva dato e riportarlo sulla sua strada.

Di impulso presi il cellulare e:
"Mi manca il mio fratellone" e lo inviai tirando su con il naso.

Instagram: @alessia_0253
Twitter: alessia_petfect

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