Capitolo 3.

"Non posso crederci, Thomas e Jonathan sono fratelli? Perché me lo ha tenuto nascosto. In fondo siamo amici." pensai.
Jonathan mi squadrò dalla testa ai piedi con quel ghigno che era sempre presente sulle sue labbra.

Odioso.

«Vi conoscete?» ci chiese Joelin curiosa.
«No» disse Jonathan con tono freddo superandomi. Ci guardammo ancora negli occhi e quella volta fui io a perdermi nei suoi, sembrava di vedere i miei. Stanchi e arrabbiati.

Mi sedetti e iniziai a giocherellare con la forchetta sul piatto cercando di scaricare la mia agitazione.
«Abby. Da quanto conosci Thomas?» mi chiese Joelin, notando il silenzio imbarazzante che si stava formando.
«Solo da alcuni giorni, frequentiamo molti corsi insieme.» cercai di spiegare.
«Vivi nella confraternita?» era chiara la sua intenzione di instaurare un discorso e forse era meglio così.

«No, vivo a qualche isolato di distanza.»
«Da sola?» chiese sorpresa.
«No, no.»
«Mamma, smettila con l'interrogatorio» disse Thomas con la bocca piena.
«Sono contento che Thomas abbia trovato una ragazza in gamba quanto te» disse sorridendomi.
«Parlaci della tua famiglia»

«Mamma» la ammonì Thomas.
«Dov'è il bagno?» chiesi cortesemente posando il tovagliolo sul tavolo.
Non amavo parlare della mia famiglia e tanto meno scappare dai problemi, però stare con Jonathan nella stessa stanza stava iniziando ad opprimermi.
«Al piano superiore seconda porta a destra» mi spiegò Joelin.
Mi chiusi in bagno e mi sciacquai il viso. Rimasi qualche minuto lì guardando l'acqua scorrere insieme ai pensieri. Perché Thomas non me lo aveva detto?

«Ci sei?» sussultai all'udire di quella voce e mi affrettai a sistemarmi. Dopo un'ultima occhiata, aprii la porta e davanti mi ritrovai Jonathan.
«Scusa.» lo oltrepassai e scesi le scale per tornare da Thomas.
Finimmo di mangiare tranquillamente per poi aiutare a sistemare. Thomas mi diresse verso la sua camera per iniziare a studiare ma anche per scambiare qualche chiacchiera senza essere disturbati.
«Ti chiedo scusa per mia madre.» disse sedendosi sul letto.

«Non devi scusarti. Voleva solo conoscermi meglio.»
«Ti senti bene?» mi chiese.
«Si. Perché me lo chiedi?»
«Sei pallida»
«Sto bene» mi sedetti sulla sedia vicino la scrivania aspettando che mi raggiungesse. Molte cose odio e, una tra queste, è avere l'attenzione concentrata su di me.

Iniziammo a studiare, come da programma, o almeno ci provammo dato che ogni ragione era buona per distrarsi. Tra distrazioni e risate riuscimmo a finire.
«Finalmente» esultò Thomas facendosi cadere sul letto morbido. Mi stiracchiai inarcando la schiena all'indietro e per poco non caddi a terra.
Thomas se ne accorse e cercò di trattenere una risata con scarsi risultati.

Parlammo a lungo fino a quando i miei occhi si posarono sulla sveglia posizionata sul comodino.

«È ora che vada. Grazie per avermi invitata» mi alzai e Thomas mi seguii verso la porta accompagnandomi nel salotto.
«Grazie Joelin dell'ospitalità.» la salutai cortesemente e mi venne incontro abbracciandomi.
«Scusa Cara, ho esagerato»

«Non ti preoccupare» ricambiai l'abbraccio per poi uscire e incamminarmi verso casa. Le temperature erano basse, quella notte...fin troppo basse. Il vento freddo autunnale soffiava violentemente sul mio viso, facendomi rabbrividire ogni volta. Ma era anche prevedibile vista l'ora. Improvvisamente mi venne in mente Kayl che si sarebbe arrabbiato sicuramente vedendomi arrivare così tardi.

«Bellezza. Vuoi un passaggio?» un ragazzo mi affiancò con la sua moto. Aveva molti tatuaggi sulle mani e sul collo e un piercing sul sopracciglio. Vedendo il suo sguardo irritato capì subito di aver fatto un'espressione delle mie. Disgustata, forse? Oppure da "superiore"?
Non risposi e aumentai il passo.
Avrei dovuto solo svoltare l'angolo e sarei arrivata sana e salva a casa, ma in quel momento sembrava così distante.

«Lasciala in pace» mi girai e vidi Thomas nell'auto blu scuro che si fermò dietro la moto del ragazzo. Dopo qualche scambio di battute non molto delicate, il ragazzo decise di andarsene continuando a maledire Thomas tra se e se.
«Grazie. Ma cosa ci fai qui?»
«Hai dimenticato i tuoi appunti» mi sventolò alcuni fogli che aveva in mano.
«Ti accompagno» aggiunse.
«Non sono mai stata così felice di aver dimenticato gli appunti» sospirai.

Ben presto arrivammo davanti il portone di casa e la cosa che mi preoccupava maggiormente era la reazione di mio fratello.
Anche se ormai sono grande abbastanza da badare a me stessa, lui non ha mai smesso per un secondo di preoccuparsi esageratamente per me. A volte è assillante e anche molto noioso però da un fratello che ti vuole bene, anche questo ci si aspetta.

«E ora chi sentirà mio fratello?» dissi sbuffando.
«Ci vediamo la prossima settimana.» mi salutò mentre scesi dall'auto.
«Okay... Ciao» mi incamminai verso la porta e la aprii delicatamente.

Jet era sul divano e appena mi vide mi fece segno di andare in cucina. Dalla sua espressione intuii immediatamente che si trattava di Kayl... o di mio padre.
«Non voglio i tuoi soldi» si sentì gridare Kayl.
«Accettali. Sono tuo padre devo pur aiutare i miei figli in qualche modo» le mie intuizioni non sbagliarono, confermandomi però che si trattava di entrambi.
«Bevevi per poi sfogare la tua rabbia su di noi. Ti consideri ancora mio padre? Almeno non stai rovinando la vita anche a Kelly e Jet.» Kayl uscì e porse lo sguardo verso di me.

«Kayl» cercai di chiamarlo ma non si girò neanche e andò nella sua stanza sbattendo la porta violentemente.

«Mark, sai benissimo che Abby e Kayl sono arrabbiati e...e sconvolti. Non dovresti insistere così tanto» disse Kelly a mio padre. Avrei voluto ascoltare ancora per sentire la risposta di mio padre però in quel momento mio fratello aveva la precedenza.
«Kayl» bussai ma non rispose. Girai la maniglia e lo vidi seduto sul suo letto con la testa fra le mani.

«Kayl, va tutto bene?» mi sedei al suo fianco, aspettando una risposta.
Ma come poteva stare? Certamente non bene.
«Abby. Io me ne andrò, non voglio più averci a che fare.»
«Ma Kayl...»
«Abby, dovresti farlo anche tu. Perché non vieni con me» non potei credere che lo avesse detto proprio lui, Kayl mio fratello, colui che mi insegnò tutto il contrario di ciò che stava dicendo.

«No, Kayl. Mi hai sempre detto che i problemi vanno affrontati e ora-»
«Lo so, ma Abby dovresti capire»
«Hai paura, lo so, anche io ne ho. In questo momento ho paura di perdere mio fratello.» mi guardò negli occhi con un espressione triste in volto. Le mie parole lo avevano sorpreso e lo potei capire dal suo sguardo.

«Abby...Io-Io non so cosa mi sia preso»
«Ti voglio bene» tagliai corto abbracciandolo. In alcune occasioni un abbraccio vale più di mille parole e questa era una di quelle situazioni.

Rimanemmo abbracciati fino a quando il silenzio creatosi fu interrotto da un mio sbadiglio. Ero stanca, non lo nego, però preferivo godermi questi piccoli momenti invece di andare a dormire per riposarmi.

«È meglio che tu vada a dormire.
Notte, Abby.» disse lasciandomi un bacio sulla guancia.
«Notte anche a te» uscii dalla stanza ma prima di chiudere la porta mi disse:
«E sai? Dovresti comprarti un cellulare» rise.

Ne ero consapevole, non mi serviva solo un cellulare, ma anche un auto. Volevo essere più indipendente e anche più libera di potermi muovere per la città. Ma senza soldi, come avrei potuto?
Appena entrai nella mia stanza, presi il mio computer ed iniziai a cercare qualche lavoro nelle vicinanze.

Facchino...
Postino...
Venditore porta a porta...
Volantinaggio...
Tutti lavori che odio particolarmente. Stavo per spegnere il computer, con le speranze ridotte ormai a zero, fino a quando un annuncio catturò la mia attenzione.
Una caffetteria a cinque chilometri di distanza da casa cercava una cameriera.
Era perfetto, non chiedevano particolari competenze e tanto meno titoli di studio. Non era noioso e monotono e di certo non  mi impediva di raggiungerlo anche a piedi.
Presi il numero di telefono segnato e chiamai immediatamente, non pensando minimamente all'orario.
«Salve, caffetteria NosParis, come possiamo esserle utile?»
«Salve. Ho letto l'annuncio. Cercate ancora personale?»
«Si, ci farebbe molto comodo qualche aiuto in più. Venga domani per una prova e per avere ulteriori informazioni . Grazie per aver chiamato»
«Va benissimo. A domani quindi» chiusi la telefonata e feci un sospiro di sollievo.

Avrei iniziato un lavoro.

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«Che ne pensi?» chiesi a Kayl.
«Penso che... Se ti rende felice io ti appoggerò, comunque vadano le cose.»
«Grazie mille, fratellone» lo abbracciai e montammo in auto.

Anche se gli avevo spiegato dove si trovava, aveva insistito affinché mi accompagnasse. E quando Kayl Taylor dice una cosa non si può controbattere in alcun modo.

Arrivammo davanti la caffetteria avente una grande insegna che copriva la parte alta del piccolo edificio, 'NosParis' così c'era scritto.
«Non scendi?»
«Sono un po' agitata. Che penseranno? E se non gli piaccio? E se non sono abbastanza? No non-» Kayl mi fermò subito tappandomi la bocca con la sua mano enorme.

«Calmati. Sei fantastica. Sii te stessa e andrà tutto bene» scesi e con passo lento raggiunsi la porta. La aprii piano cercando di non attirare l'attenzione ma un campanello suonò. Come pensavo di non attirare l'attenzione? In un café poi...
Le ragazze presenti si girarono verso di me e mi guardarono con un enorme sorriso.

«Benvenuta al NosParis. Dove si racchiude l'atmosfera e il valore di Parigi.» una ragazza mora e alta di avvicinò, accogliendomi calorosamente.

«Sono venuta per l'annuncio.» spiegai
«Bene. Puoi iniziare subito.»
«Cosa? Senza fare un colloquio»
«È questo il colloquio. Devi farci vedere come gestisci le situazioni che ti si presentano e come ti rapporti con i clienti.»
«Okay» risposi non molto convinta.

«Vai a cambiarti. Ti mostrerò cosa dovrai fare» seguii le sue indicazioni indossando un'uniforme composta da una specie di grembiule nero e bianco e uno strano cappellino. Mi sentivo così ridicola.
«Sei bellissima. Ti dona proprio questa divisa» disse la mora.
«Grazie»

«Scusami non mi sono presentata... Io sono Mary. Dirigo questo locale. Ma ti prego, non vedermi come un capo»
«Va bene. Io sono Abby» gli porsi la mano e lei la strinse con grande forza ed energia.
«Piacere di conoscerti.»
«Ti mostro cosa dovrai fare.» tornammo nella sala principale e Mary mi diede un blocchetto dello stesso colore delle divise, ovvero nero e con un piccolo merletto in bianco.
«Per prima cosa dovrai prendere le ordinazioni e in seguito servirai i clienti. Noi abbiamo il compito non solo di accontentare le persone che vengono qui, ma anche di farle sentire a casa e di farle rilassare.
Quindi ricordati di stare calma e di accogliere le persone sempre con il sorriso» mi spiegò Mary.

«Perfetto ora vai» mi spinse delicatamente verso un gruppo di ragazzi per accoglierli, entrati pochi attimi prima.
«Salve, benvenuti al NosParis. Come posso aiutarvi?»
«Vorremo mangiare qualcosa.» disse il primo con la chioma folta e bionda. Lo accompagnai a un tavolo e incrociai lo sguardo di Mary che mi sorrise facendomi un pollice all'insù.

«Cosa posso portarvi?»presi le ordinazioni e poi le diedi alla ragazza dietro il bancone che mi porse i piattini e le tazza su un vassoio. Glieli servii e i ragazzi mi fecero un sorriso a trentadue denti.
Ricambiai timidamente e me ne andai per servire le altre persone che erano appena arrivate.

Il passo era molto frenetico e non era molto facile da mantenere. Ero impacciata ogni tanto e non riuscivo a nascondere quella tensione che avevo. Mano a mano il locale si svuotò lasciandoci un attimo di calma.

«Sei spettacolare Abby. Considera il posto tuo. Ti presento subito le altre» disse entusiasta Mary.
«Lei è Cris. Lei è Wave e lei Holly. La ragazza dietro al bancone è Marty, non che proprietaria del NosParis e mia sorella.» mi presentai ad ognuna di loro che mi accolsero all'instante.

«Il weekend dovrai lavorare solamente la mattina. Durante la settimana lavorerai quattro giorni e il lunedì è il tuo giorno di pausa» mi spiegò gentilmente Mary.
«Ora puoi andare. Ci vediamo domani» feci un saluto generale e mi incamminai, stanca, verso il parcheggio.

Vidi Kayl addormentato nella sua auto e, feci per raggiungerlo, fino a quando sentii una voce familiare.
«Spero che ti piaccia» mi girai e vidi Evelin e Jonathan abbracciati che si avvicinavano verso l'entrata. Mi nascosi sul retro sperando che non mi avessero visto.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi, così uscii allo scoperto, convinta di essermela cavata. Ma una figura mi comparve davanti facendomi cadere.

Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi di Jonathan.
«Non sai stare in piedi, eh?» mi allungò la mano per aiutarmi ma la rifiutai e mi alzai. Mi diede un'occhiata da capo a piedi.
«Non ci credo, tu lavori qui»
«Devo andare a casa» lo superai ma mi afferrò il polso e mi tirò mettendomi con le spalle al muro.

«Non ho finito con te...Sei una cameriera, chi sa cosa ne penseranno gli altri»
«No, non lo dirai.» avevo le lacrime agli occhi ma cercavo di scacciarle via. Perché dovevo farmi vedere debole sempre dalle persone sbagliate?

«Non ne sarei tanto sicuro»
«Ti prego, no. Cosa ti ho fatto?» una lacrima rigò il mio viso ma la asciugai velocemente prima che potesse scendere ancora di più.
Fanculo il mio carattere debole. Ogni volta che le persone toccavano una delle mie tante note dolenti, io cedevo. Non mi importava chi avessi davanti, era più forte di me. Non sono mai stata una ragazza forte...

Mi lasciò il polso ed io me ne andai ma, con la fortuna che avevo, la borsa mi cadde a terra e il contenuto si sparpagliò sul cemento. Mi sedetti e presi le gambe al petto. Aspettando qualcosa, ma non sapendo di preciso cosa.

Mi alzai e cercai di vedere se fosse ancora lì, ma non lo trovai. Raccolsi le mie cose e la mia borsa e andai verso l'auto di Kayl che nel frattempo si era svegliato.
«Come è andato il tuo primo giorno?»
mi chiese.

«Bene» dissi mentre uscimmo dal parcheggio. Appoggiai il gomito sulla portiera e iniziai a osservare le case lungo la strada.
«Continuerai, vero?» mi chiese.
Cosa potevo dirgli. Che non continuavo perché un ragazzo avrebbe rovinato la mia immagine? Come potevo dirgli una cosa del genere, non era da me.
«S-Si. Certo» dissi.

Arrivammo a casa e, dopo aver mangiato, mi chiusi nella mia stanza.
La sera era ormai giunta e la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Prima che potessi chiudere occhio, sentii qualcosa sbattere contro la mia finestra. Mi affacciai cercando di capire cosa fosse stato. Era buio non si vedeva molto, e la luce del lampione che andava e veniva non aiutava molto.

"Sarà stato un ragazzino" pensai...

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