Capitolo 22.
Fui svegliata da un rumore improvviso ma non ne volevo sapere di aprire gli occhi solo per vedere cosa fosse, mi mancava la forza necessaria per farlo. La testa pulsava dal dolore risultando pesante come cemento e la bocca era insipida e con un sapore dolciastro da dare il voltastomaco.
Mi alzai lentamente per andare in bagno ma quando misi a fuoco vidi che la stanza in cui mi trovavo non era il soggiorno di casa mia. Ero leggermente spaventata, non ricordavo niente, non sapevo come ci fossi finita e tanto meno cosa fosse accaduto la sera precedente. Mi sentivo spaesata e più passava il tempo senza le giuste risposte alle mie domande, più avevo paura di trovarmi nella casa di qualche maniaco che mi aveva trovato sul ciglio della strada. Avevo continui conati di vomito che cacciavo indietro con forza.
Non riuscendo più a trattenermi corsi verso una porta color mogano sperando fosse il bagno. La aprii velocemente e fortunatamente trovai quello che stavo cercando. Mi accasciai sul water rigettando tutto quello che avevo bevuto la sera prima.
Una mano mi si posò sulla fronte ma ero troppo debole per svincolare dal suo tocco essendo impaurita.
«Sono io» sussultai al suono di una voce roca e girandomi vidi Jonathan con una maglietta bianca e dei pantaloncini da calcio rossi e blu. Ringraziai il cielo che non si trattasse di un maniaco e sospirai. Ma cosa ci facevo a casa di Jonathan? Forse, sotto sotto, avrei preferito l'idea che stessi con il maniaco che con lui.
«Grazie» mi sciacquai la bocca e il viso svegliandomi del tutto. Jonathan mi fece cenno di tornare sul divano mentre lui scomparve all'interno di un'altra stanza.
«Fortunatamente hai trovato il bagno perché se avessi vomitato sul pavimento ti avrei fatto pulire anche con la lingua» tornò con un bicchiere di acqua e una pastiglia bianca.
«Stronzo»
«Bevi un po' d'acqua e poi prendi la pastiglia senza masticarla.»
«Grazie professore ma so bene come si prende una medicina» risposi portandomi alla bocca la pastiglia e aiutandomi con l'acqua per farla scendere lungo la gola.
Sentii il rumore dell'acqua scorrere segno che Jonathan si era andato a fare una doccia. Approfittai di quei pochi minuti per dare un'occhiata in giro per la casa. Il salotto non era molto grande dato che in un angolo vi era la cucina a vista. Il divano era posto al centro della stanza e un piccolo tavolo basso si trovava di fronte a esso. Sulle pareti vi erano delle mensole con foto e altro ed una in particolare attirò la mia attenzione. Numerosi dischi musicali erano posti ordinatamente su essa secondo un'ordine proprio. Lessi numerosi cantanti e gruppi, stranieri e non, che seguivo particolarmente.
«Hai scoperto qualcosa?» mi chiese comparendo nella stanza facendomi saltare dallo spavento.
«Questi sono tuoi?» gli chiesi indicandogli i dischi.
«E di chi se non altro?»
«Abbiamo gusti simili» pensai ad alta voce ma lui rimase a fissarmi con le braccia incrociate al petto e i capelli bagnati che gli ricadevano sul viso.
«Tra tutti quelli che vedi lì sopra, quale è il tuo preferito in assoluto?» li scrutai uno ad uno prima di decidere.
«Questo» tirai fuori l'album mostrandolo orgogliosa a Jonathan che rimase impassibile.
«Bella scelta» posai il disco al suo posto e lo segui verso quella che scoprii essere la sua stanza.
Me ne pentii immediatamente quando lo vidi sfilarsi la maglietta con fare seducente, lasciando in bella vista il suo corpo marchiato dall'inchiostro nero dei tatuaggi.
«Emh... i-io ora... ti aspetto in cucina...vado» uscii dalla stanza con le guance che mi andavano a fuoco immaginandomi la faccia che potevo aver assunto.
Dopo qualche minuto, in cui non feci altro che guardarmi intorno, finalmente tornò. Si diresse verso il frigorifero e rimase interdetto su cosa prendere mentre spostava lo sguardo da un cibo all'altro posto sullo scaffale.
«Allora» cercai di rompere il ghiaccio mentre lui continuava a stare per i fatti propri. Con un gesto netto chiuse lo sportello mentre teneva due lattine di cola in una mano.
«Cosa è successo ieri?»
Mi scrutò per qualche istante con lo sguardo, mettendomi ancora più a disagio di quanto non lo fossi prima. Non sapevo come muovermi ne come comportarmi e Jonathan sicuramente lo aveva notato ribaltando le carte a suo favore.
«Prima o dopo la festa?» mi chiese lanciandomi una lattina di cola da una parte all'altra del bancone che separava l'angolo cottura dal salotto.
«Ricordo vagamente il gioco, Jason ed Evelin, Marco e...Clara e Thomas» urlai cercando frettolosamente il mio cellulare. Non ero tornata a casa e sicuramente Kayl voleva sapere qualche motivazione valida per il mio non-ritorno.
«Mi sono permesso di scrivere a tuo fratello e ho chiamato Thomas dicendo che avresti dormito nel mio appartamento» disse buttandosi a peso morto sul divano.
«Tu hai preso il mio cellulare?» chiesi accigliata.
«Come se nascondessi qualcosa» rispose prima di avvicinarsi la lattina alle labbra per poi fare piccoli sorsi della bevanda.
«Tu hai preso il mio cellulare?» controllai i contatti recenti e vidi il messaggio inviato la sera precedente da Jonathan per mio fratello.
"Non tornerò a casa questa sera. La passerò con Clara e Thomas. Tranquillo sto bene"
«Ti va bene?» mi chiese.
«Non provarci mai più»
«Non ci saranno altre situazioni»
Il silenzio tornò pesante su di noi e nella stanza si sentiva solo la voce del conduttore del programma a quiz in televisione.
«Posso sapere cosa è successo ieri, prima, dopo e durante la festa se necessario?» gli imposi mettendomi di fronte a lui con le braccia incrociate.
«Fammi pensare allora: hai bevuto, hai giocato con alcuni miei amici... hai bevuto»
«Questo lo hai già detto» sbuffai.
«Era per sottolinearlo» mi sorrise. Stronzo.
«Mi hai anche baciato»
«Cosa?» squittì sconvolta. Non potevo crederci che fosse successo veramente, volevo vedere le prove per potermi convincere.
«Si e devo dire che non pensavo sapessi baciare così sensualmente» ok ero decisamente un fuoco ardente in carne ed ossa.
«Verso la fine della festa, sei uscita nel giardino dove lì hai dato libero sfogo ai sensi di colpa del tuo stomaco»
«È un modo carino per dire che ho vomitato?»
«Apprezza l'impegno. Tornando alla serata: ti ho accompagnata nel mio appartamento dato che Clara e Thomas erano troppo occupati con le loro nuove conquiste. Una volta arrivati siamo andati nella mia stanza e...» lasciò la frase in sospeso solo per mettermi ansia e preoccupazione. Ci era riuscito perfettamente anche in quel momento.
«Continua»
«E hai iniziato a cantare con la tua bellissima voce ogni canzone che ti passava per la testa e poi hai insistito affinché dormissi sul divano ed io nella mia camera.» mi schernì e sembrava si divertisse a vedermi sconvolta.
«O mio Dio» mi sedetti sul divano nascondendo il viso con le mani per l'imbarazzo. Non potevo aver fatto quelle cose, non era da me.
«"O cazzo" esprimerebbe meglio la situazione» rise accartocciando la lattina ormai finita, gesto che lo fece apparire ancora più sexy, più di quanto non lo fosse già. I muscoli del braccio si tesero e il bordo della manica fasciava il suo bicipite fino a stringerlo. Anche se era un perfetto idiota, stronzo, lunatico, menefreghista e scorbutico, dovevo proprio ammetterlo che possedeva un bel fisico da copertina.
«La bevi?» mi chiese riportandomi alla realtà.
«No» bofonchiai nascondendo il viso rosso peperone che mi ritrovavo, tra la stoffa della felpa. Felpa non mia.
«Ieri sera ti ho dato quella per dormire, meglio della tua maglietta sporca» mi spiegò. La felpa mi stava abbastanza grande inoltre aveva un profumo buonissimo; il suo profumo inconfondibile.
Dopo aver chiamato mio fratello per raccontargli cosa fosse accaduto la sera precedente, omettendo molti dettagli, modificando qualche avvenimento e dicendo qualche falsità, Thomas venne nell'appartamento di Jonathan passando il pomeriggio con noi.
In seguito mi aveva raccontato che sua madre Jocelyn non vedeva l'ora di rincontrarmi fissando per la sera stessa una cena. E come si fa a dire di no a quella donna?
Ci preparammo per andare, cosa complicata per me che non avevo vestiti puliti. Così decisi di tenermi i miei jeans e Jonathan mi prestò una sua felpa pulita con ancora il profumo dell'ammorbidente. Un po' mi dispiacque.
Eravamo giunti da poco di fronte casa Matthison e Jonathan aveva una strana espressione in viso, quasi nostalgica e angosciata allo stesso tempo.
«Abby è un piacere rivederti» mi salutò calorosamente abbracciandomi.
«Anche per me lo è»
Mentre Jocelyn terminava di preparare la cena, io mi soffermai a guardare le foto, riposte sui vari mobili di legno, contornate da una cornice argentata.
Erano foto molto vecchie risalenti a quando sia Jonathan che Thomas erano bambini, nessuna ritraeva un periodo recente.
«È bellissima quella foto non è vero?» confermò Jocelyn non appena ci sedemmo tutti a tavola.
«Si mi piace molto» la foto in questione ritraeva un piccolo Thomas che teneva sulle spalle Jonathan. Ai lati dei due bambini vi era un uomo, probabilmente loro padre, che controllava che Jonathan non cadesse dalle spalle del fratello mentre si sbracciava con un grande sorriso sulle labbra.
«Erano bellissimi quei momenti» disse.
«Vero» commentò Thomas con la bocca piena di spaghetti.
«Quell'uomo al lato era mio marito. Era una persona speciale e spettacolare, per non parlare dell'eccezionale padre che era. Però...» esclamò infine lasciando la frase in sospeso.
«Capisco»
«Ha sempre sostenuto i suoi figli per qualsiasi scelta. Come quando Thomas volle entrare nella squadra di basket anche se era troppo basso per poterci provare. Oppure quando Jonathan volle provare la corsa ma non era abbastanza veloce per poter entrare nella squadra della città. Lui era sempre lì a sostenerli e a spronarli»
Thomas sorrise al ricordo invece Jonathan rimase impassibile tenendo gli occhi bassi sul piatto ancora pieno.
«Jonny stravedeva per suo padre peccato che sia accaduto quello che è accaduto» sospirò Jocelyn con gli occhi lucidi. Si vedeva lontano un miglio che cercava di trattenere le lacrime e spingere via quei ricordi. Proprio come facevo io. Jonathan si alzò da tavola sbattendo la forchetta sul piatto lasciando che il rumore di essa rimbombasse nella stanza.
Jocelyn era tremendamente dispiaciuta e cercò sostegno nello sguardo di Thomas.
«Vado da lui» annunciai avendo come risposta un leggero consenso da parte del mio amico che cercò di tranquillizzare la madre.
«Jonathan» lo chiamai per individuare la sua posizione ma poco mi ci volle a trovarlo. Dalla sua stanza semiaperta proveniva l'odore di fumo segno che era entrato nel suo momento di sfogo. Entrai lentamente all'interno della grande stanza dove trovai Jonathan steso sul letto con il braccio pendente dal bordo per tenere lontana la sigaretta accesa dalle coperte.
«Tua madre è dispiaciuta e sai una cosa? Ti capisco» non accennò ad alcuna risposta così continuai con le prime parole che mi venivano in mente.
«Ho perso mia madre quando ero piccola e le cose in famiglia cambiarono drasticamente. Non eravamo più gli stessi, come immagino voi non siate più gli stessi dopo l'accaduto»
«Perché mi stai dicendo queste cose?» mi chiese ed io incrociai il suo sguardo debole e innocente. Sembrava indifeso.
«Perché voglio aiutarti. Per qualche motivo strano e a me sconosciuto, voglio aiutarvi. Sia a te che a Thomas»
«Grazie» non riuscii a sentire bene ma sembrava proprio un ringraziamento quello che aveva pronunciato.
«Come si chiamava tua madre?» mi chiese.
«Rose. E tuo padre?»
«Mark»
«Cosa gli è successo?» chiesi timorosa della risposta.
«Non lo so» sbuffò rigirandosi nel letto dandomi le spalle.
«Non è il caso di tornare a tavola? Tua madre sarà preoccupata e Thomas penserà che ci siamo uccisi se non torniamo da loro»
«Va bene» rise leggermente e con mia sorpresa si alzò dal letto buttando la sigaretta finita all'interno di un posacenere.
Tornammo a tavola e Jocelyn si limitava a guardare il figlio con uno sguardo dispiaciuto e Thomas invece mi lanciava occhiate per sapere cosa fosse successo durante la mia assenza.
La cena continuò senza interruzioni e l'atmosfera era tornata quella di prima.
Jonathan stette tutto il tempo con il cellulare nascosto sotto il tavolo ma era meglio così se volevamo evitare discussioni inutili.
Poco dopo aver letto qualcosa sullo schermo tornò ad avere le sopracciglia corrugate e l'espressione arrabbiata in volto. Anche Thomas aveva intuito qualcosa che non andava e che probabilmente non sarebbe finita bene.
Jonathan si alzò e dalla tasca del suo giubbotto che aveva posato sul divano precedentemente, prese il pacchetto di sigarette estraendone una.
«Dovresti smettere di fumare» lo rimproverò Jocelyn mentre portava il dolce a tavola.
«Mamma per favore»
«Non voglio vederti stare male per colpa di quella cosa. Ascoltami»
«Ho vent'anni e faccio quello che voglio»
«Ma-»
«Niente ma. Lasciami stare» se ne andò ma quella volta non volli intervenire. Thomas si alzò al mio posto e andò verso il fratello rassicurandomi come se avesse capito cosa girava nella mia testa.
«Perché non capisce che voglio farlo solo per il suo bene? Non voglio più vederlo in quelle condizioni»
Aprii bocca per cercare di rassicurare Jocelyn ma mi bloccai non appena si sentirono delle urla dall'altra stanza. Non si riuscivano a distinguere le parole e sia io che Jocelyn ci guardammo preoccupate.
Raggiunsi i due che si tenevano per le spalle uno all'altro.
«Finitela» allontanai Jonathan da Thomas costatando che non si fossero ancora toccati e che fortunatamente fossi arrivata in tempo.
«Abby non perdere tempo con uno stronzo del genere tanto non vuole ascoltare» Thomas uscì dalla stanza lasciandoci soli.
«Si può sapere cosa ti prende questa sera?»
«Non ti intromettere»
«Tua madre si preoccupa per te» gli spiegai ma la rabbia prevalse su di lui facendogli perdere la ragione.
«Pensa alla tua famiglia sfasciata» bofonchiò Jonathan digrignando i denti per la rabbia.
«Jonathan»
«Smettila di intrometterti nella mia vita. Smettila di provare a sistemare i miei problemi pensa ai tuoi piuttosto.»
«Basta» sussurrai subendomi il peso delle sue parole.
«Hai un fratello drogato una donna che hai dovuto accettare come tua madre e un ex alcolizzato in casa. Non credi sia il momento di pensare alla tua famiglia?»
«Sta zitto» ringhiai ad alta voce
verso Jonathan senza però correre il rischio di farmi sentire da Jocelyn. Me ne andai prima che potesse fare qualche altra battuta sul mio conto e mi diressi in veranda, ovvero uno spazio in legno che separava il giardino dalla casa. Quelle parole facevano male anche se rappresentavano la realtà. Facevano così male da lacerarmi lentamente all'interno.
Lasciai che il vento freddo mi penetrasse lungo la spina dorsale senza dargli troppa importanza. Portai gli occhi al cielo ammirando le stelle sopra la mia testa. Le stelle, come la pioggia, mi hanno sempre aiutato a rilassarmi facendo scorrere i pensieri interrottamente senza un ordine preciso.
«Senti volevo-» non serviva girarsi per capire di chi fosse quella voce ed era anche l'ultima che avrei voluto ascoltare.
«Se sei venuto per scusarti, ti risparmio la fatica e torna in casa» lo interruppi non staccando gli occhi dal cielo stellato.
«No preferisco stare qui»
«Perfetto» mi alzai da terra e dopo essermi girata verso la sua direzione lo guardai negli occhi. «Vorrà dire che me ne andrò io» con fermezza e passo deciso lo superai ma prima che potessi varcare la soglia mi bloccò.
Mi tirò a se abbracciandomi come mai nessuno aveva fatto con me però non riuscii a godermelo come invece avrei dovuto, ero ancora arrabbiata per le cose che aveva detto per poterlo perdonare così facilmente.
«Cosa stai facendo?» gli chiesi con tutta la freddezza che potevo permettermi di usare in quella circostanza.
«Niente»
Se quello fosse stato veramente niente allora perché mi sentivo così al settimo cielo?
Passarono interi minuti e noi eravamo ancora abbracciati. Sembrava che nessuno dei due volesse sciogliere quel contatto che ci univa. Ma come ogni cosa, anche quel momento era destinato a finire. Lo avrei dovuto perdonare per quello che aveva detto?
Certo che no. Come faceva a sapere quelle cose sulla mia famiglia? Non lo sapevo. Perché lo avevo abbracciato? Neanche volevo rispondere a questa domanda.
«Mia madre si starà preoccupando» sussurrò rompendo il silenzio piacevole creatosi tra di noi.
«Torniamo dentro» lo seguii all'interno ed era incredibile come riusciva a fare finta che niente fosse successo in poco tempo. Nello stesso istante in cui aveva varcato la soglia, aveva assunto il solito comportamento da duro che usava per mascherare qualsiasi cosa.
Dentro il mio corpo si era scatenato un vortice di emozioni grazie a quel semplice gesto che fu tanto forte da farmi sentire al sicuro. Mi preoccupavano quelle sensazione è ancora di più le mie azioni. Anche se non volevo ammetterlo a me stessa, qualcosa dentro di me stava sperando in un altro momento simile.
Tornai con i piedi per terra e scossi freneticamente la testa come a scacciare quei subdoli pensieri che si erano instaurati per un'illusione di Jonathan. Perché quella era tutta un'illusione giusto?
Andai in cucina evitando di incontrare lo sguardo di Jonathan che voleva far credere di essere concentrato sul programma che stavano trasmettendo in televisione.
Qualcosa stava cambiando tra di noi e magari si stava costruendo un rapporto diverso da quello di odio che avevamo stabilito fin dall'inizio. Magari un rapporto di amicizia...
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