Capitolo 18.

«Oggi si va a fare shopping» annunciai piombando nella stanza di Clara.
«Ma che fai? Lasciami dormire» si lamentò coprendosi il viso con il cuscino.
«Clara sai che ti voglio bene» le dissi ridendo.
«Non ci provare» non la ascoltai e mi vendicai dell'ultima volta ripagandola con la sua stessa moneta.
«Come è il pavimento?»
«Abby Taylor?»
«Si» Risi ancora vedendo la sua espressione assonnata e arrabbiata.
«Vaffanculo»
«Con piacere»

Dopo averla aiutata a rialzarsi dal pavimento e a riordinare la stanza, uscimmo di casa verso il nostro centro commerciale preferito.
Avevamo appena ricevuto il primo stipendio e, da brava persona, decisi di metterne metà da parte per qualche progetto futuro e il resto lo usai per comprarmi un cellulare nuovo.

Girammo i vari negozi e Clara ne svaligiò metà di ognuno di essi.
Ci fermammo anche al reparto tecnologico dove presi il mio cellulare e non badai certo a spese. Presi uno degli ultimi modelli usciti che mi avrebbe permesso di fare tutto dalle foto all'ascoltare la mia musica preferita durante la giornata.

Con alcuni battibecchi, decidemmo di pranzare da Back House sotto mio consiglio. Avevo sentito molto parlare di quel piccolo locale in cui si mangiava molto bene e inoltre aveva una vista mozzafiato che dava direttamente sull' Empire State Building e il Chrysler Building. Ordinammo da mangiare e attendemmo l'arrivo ammirando il panorama sotto di noi. Non sarei mai andata via da quella città se non fosse per il mio animo da avventuriera e la mia voglia di cercare un posto che non mi appartenesse.
New York era troppo grande per una persona come me...

Dopo aver passato un'intera giornata con Clara tornai a casa dove trovai Kayl sul divano mentre guardava la sua serie tv preferita da vero nerd.
Con passo felpato andai dietro di lui che a quanto pare, essendo troppo preso dalla puntata, non mi aveva neanche sentito arrivare.
Gli saltai addosso e lui cacciò fuori un forte urlo spaventato balzando dal divano su cui era comodamente seduto.
«Abby mi hai fatto prendere un infarto. Il mio povero cuoricino» si buttò a peso morto sul divano facendo il melodrammatico.
«Dove sono gli Oscar per questo uomo?» lo schernii applaudendo.

Tornammo alla normalità ed entusiasta gli feci vedere il mio nuovo acquisto. Rimase molto sorpreso e mi aiutò immediatamente ad accenderlo e salvare quelli che erano i contatti e a scaricare nuova musica. Con molta pazienza mi spiegò accuratamente come funzionava e come si facevano le chiamate e inviavano i messaggi.

«Ho capito» annunciai alla fine della sua spiegazione con tanto di dimostrazione.
«Sai mi mancavano» disse sorridendo mentre faceva zapping tra i canali televisivi.
«Cosa?»
«Questi momenti tra di noi. È da tanto che non ci comportiamo più da fratello e sorella» colsi una punta di nostalgia nella sua voce che mi fece stringere lo stomaco in una morsa. Sentivo chiaramente i sensi di colpa che ronzavano nella mia testa.
«Sono successe molte cose e non siamo riusciti a gestirle, io per prima. Mi dispiace di essere stata assente come sorella e di essere corsa a cercarti solo quando avevo bisogno di te»
«Non preoccuparti. Anche io devo scusarmi per averti tagliato fuori sempre di più dalla mia vita, sono stato un vero stupido a permettere ai miei problemi di tagliare il nostro legame» con un braccio mi cinse le spalle e mi fece posare la testa sulla sua spalla.
«Siamo entrambi degli imbecilli» alla mia affermazione rise ed io lo seguii a ruota.
«Purtroppo»

Passammo molto tempo abbracciati e permisi a Kayl di vedersi un'intera puntata della sua serie senza che lo disturbassi.

Finita la trasmissione decisi di scrivere a tutti i contatti, che avevo salvato, per avvisarli del mio nuovo numero.
Per primi scrissi a Clara e a Thomas con cui iniziai a parlare e in seguito scrissi anche a Jason.

"Ciao Jason, questo è il mio numero ci sentiamo domani.
-Abby-" Digitai per poi premere "invio" come mi aveva mostrato Kayl, anche se fino a quel punto ci sarei potuta arrivare benissimo anche da sola.
La risposta non tardò ad arrivare e il cellulare mi avvertì con un piccolo suono acuto che ben presto avrei imparato a detestare.

Da Jason:
"Ciao amore"
"Finalmente hai comprato un cellulare"

"Già"

Da Jason:
"Come stai?"

"Bene" scrissi semplicemente senza aggiungere altro. Ero arrabbiata e non sapevo se fidarmi ancora di lui.

Da Jason:
"Sei ancora arrabbiata con me?"

Lo visualizzai lasciandolo senza risposta e feci per chiudere quando un suono mi avvertì di un secondo messaggio appena arrivato.

Da Jason:
"Piccolina sai bene quanto tengo a te"

"Allora dimostramelo."
"Inizia a dimostrarmelo raccontandomi tutto quello che sta succedendo in questo periodo."

Da Jason:
"Va bene se questo che vuoi. Ma sappi che questa è la prova della tua poca fiducia nei miei confronti"

"Mi dispiace. Ma la mia fiducia ormai è finita da un pezzo." Digitai velocemente iniziando a camminare avanti e indietro lungo il perimetro della mia stanza. Pochi secondi e avrei tirato il telefono appena comprato contro il muro per la rabbia.

Da Jason:
"Non vediamoci più allora"

"Ci stiamo lasciando??" Mi sedetti sulla sedia vicino alla scrivania aspettando una sua risposta.

Da Jason:
"Ci vediamo domani tesoro"

Posai con rabbia il cellulare sulla scrivania e mi allontanai prima che lo potessi lanciare da qualche parte.

In casa non c'era nessuno e ne approfittai per andare nella stanza di mio fratello. Sapevo bene che non avrei dovuto, ma volevo solo rilassarmi e sfogare la rabbia evitando di distruggere qualcosa.
Da sotto il letto tirai fuori una scatola marrone dove Kayl ci custodiva delle sigarette e qualche lattina di birra lontano da nostro padre, per i suoi momenti "no".

Tornai nella mia camera prendendo cellulare e il mio mazzo di chiavi per poi uscire. Anche se l'orologio segnava le quattro di pomeriggio, il sole era pronto a tramontare illuminando ancora per poco i grattaceli della città.
Accesi la sigaretta che avevo preso da Kayl continuando a passeggiare lungo i marciapiedi newyorchesi.
Le persone che giravano ancora per le strade, erano agitate non vedendo l'ora di tornare nelle rispettive case.
Le macchine erano bloccate in mezzo al traffico e, i meno pazienti suonavamo il clacson della propria macchina sperando di risolvere qualcosa.
Sul marciapiede invece, le persone avevano un passo veloce che non aveva niente a che vedere con il mio rilassato, avevano tutti la stessa espressione caratterizzata dalle sopracciglia inarcate e la bocca assottigliata per il nervosismo.
Mi fermai su una panchina poco distante da Tastes e osservai con attenzione ogni singolo particolare che avevo intorno. Mi piaceva scrutare e analizzare il paesaggio e ancor di più amavo farlo con le persone di cui creavo addirittura storie. Mi divertivo a immaginarmi la vita di ogni persona che finiva nel mio raggio visivo.
Come una ragazza appena uscita dal bar che si stringeva tra la stoffa della sua sciarpa rossa che si abbinava perfettamente alle scarpe con il tacco eleganti. Aveva il telefono in una mano e si guardava intorno alla ricerca di un taxi, immaginai. Anche da lontano vidi le sue labbra contornate dal rossetto rosso rivolte all'insù in un grande sorriso e mi immaginai che quel sorriso era dovuto magari dal suo ragazzo che la aspettava a casa per qualche sorpresa.

Oppure un signore anziano che passeggiava lentamente lungo il marciapiede dove poco prima mi trovavo. Aveva un cappello e non riuscii molto bene a capire che espressione avesse. Aveva sicuramente la testa altrove visto che si andò a scontrare con un uomo facendogli cadere la valigetta nera. Si scusò prontamente e dopo una stretta di mano tornò sui suoi passi con la testa china e la schiena leggermente incurvata per il peso degli anni. Provai a immaginarmi a cosa stesse pensando e forse erano solo ricordi del passato di quando era più piccolo o di quando i suoi figli nacquero, o addirittura dei nipoti. All'interno della mia storia era un uomo comune che, dopo anni di lavoro e di sacrifici, era pronto per rintanare in casa dopo la sua solita passeggiata che ripeteva sempre alla stessa ora di ogni giorno. Lo immaginai rientrare in casa, posare il cappello e levarsi il giaccone marrone per poi prepararsi a gustare il suo piatto preferito preparato con affetto dalla moglie.

Le mie storie potevano essere vere come non potevano esserle ed io non lo potevo mai sapere.

Finita la sigaretta presi il cellulare per dare un'occhiata all'ora ma una notifica di un messaggio attirò la mia attenzione.

Da Jason:
"Vediamoci al parco vicino l'istituto verso le sei, vorrei parlare con te."
"Ti amo"

Non gli risposi e anche se non avessi molta voglia mi recai ugualmente al parco dell'istituto. Erano da poco passate le cinque e trenta e secondo il mio programma sarei giunta all'ora precisa come indicata dal messaggio.

Arrivai al parco ma Jason non c'era e neanche la sua macchina parcheggiata vicino. Decisi di aspettare pensando che magari avesse tardato per via del traffico. Più passava il tempo più mi chiedevo cosa mi avesse spinto ad accettare il suo invito, se così si può definire. Avevo voglia anche io di parlare tranquillamente senza correre il rischio di essere disturbati o sentiti. Saremo stati solo io e lui e se quello non fosse stato il momento migliore per chiarirci, non credevo ce ne sarebbero stati altri.

Era passata poco più di un'ora e avevo perso le speranze.

"Sono al parco, tu dove sei?" Digitai aspettando una risposta da parte sua.

Il tempo continuava a passare ed era notte fonda ormai e avevo finito le speranze e la voglia di aspettare.
Più triste e delusa che arrabbiata, me ne andai verso casa.

Se mi fossi vista da lontano avrei inventato una storia su di me, dove lei la protagonista, ragazza troppo innamorata per accorgersene aspettava il suo ragazzo che mai sarebbe arrivato. Ma in realtà non stava aspettando lui, stava soltanto attendendo qualche cambiamento dalla sua vita che la avrebbe resa felice oppure anche solo delle risposte alle sue domande che le avrebbero permesso di andare avanti.
Storia fin troppo perfetta per una persona imperfetta come lei.

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