190903
📍Venezia, Italia
🕓 9:02 AM
🗓 03.09
Le calli e i vicoli di Venezia erano particolarmente affollati quel giorno. Non che gli altri giorni la situazione fosse diversa, però, trovandosi nel mezzo della calca, le cose sembravano mettersi più male del previsto. Oltre a tutto quel trambusto, c'era anche la sensazione di ansia e anticipazione che colpì la ragazza dritta nel petto. L'ultima volta che era stata in quella città, era stato quando aveva tre anni, e non si ricordava granché.
Allontanatasi dalla stazione dei treni, seguì le indicazioni per raggiungere il luogo dell'incontro, anche se non era molto convinta. Come avrebbe fatto a trovarla? In fin dei conti lei era solo una ragazza come le altre, una persona fra tante altre.
Proprio mentre se lo stava chiedendo, le vibrò il telefono in tasca; il cuore prese a batterle fortissimo. Lesse il messaggio e alzò lo sguardo, per cercare un punto di riferimento, ma di particolare trovò soltanto un lampione a forma di drago, all'incrocio tra due vicoli.
Sempre meglio di niente, pensò fra sé, poi inviò la sua posizione corrente con una breve descrizione annessa; la descrizione del lampione. Non era un gran ché, dopotutto Venezia era decisamente una città fuori dal normale, in teoria non avrebbe fatto fatica a trovare qualche particolare stravagante e insolito. Ma era talmente agitata, che nulla sembrava attirare la sua attenzione; così si fermò, in attesa di una risposta. Le sue gambe tremavano; non era in grado di tenere i piedi attaccati al suolo, perciò si mise a camminare in cerchio, cercando di non allontanarsi troppo dalla posizione di riferimento.
Era completamente immersa nei suoi pensieri, quando sentì un paio di braccia chiudersi attorno alle sue spalle. Stava per gridare, ma successe tutto troppo velocemente: qualcuno la trascinò in uno dei due vicoli in cui si biforcava il vicolo; quello meno affollato.
Spaventata, alzò lo sguardo per incontrare quello di un ragazzo alto almeno quindici centimetri in più di lei. Lui le fece un sorriso, mostrando le sue adorabili fossette.
«Buongiorno! Scusa se ti ho trascinata via così bruscamente. Avevo la sensazione di intralciare tutto quel via-vai e beh... Spero che vada tutto bene!» Esclamò lui un po' imbarazzato.
«Tranquillo Namjoon, va tutto bene. Che bello rivederti!» Disse lei, avvicinandosi per un altro abbraccio. Namjoon la strinse a sé, poi la sollevò e le fece fare un giro, tenendola stretta in vita e facendole solletico, per via della leggera pressione che le stava applicando sulla pelle. La ragazza allora si mise a ridere; le era mancato.
«Comunque non è valido che tu mi possa chiamare con il mio nome! Mi dirai finalmente come ti chiami? Per favore?» Domandò lui con gli occhi dolci. Namjoon non si era ancora arreso. Neanche gli altri lo avevano fatto, ma lui era particolarmente tenace.
«No, Joonie, dopo ti devo parlare di questo argomento. Magari capirai perché, dopo tutto questo tempo, non mi sia ancora presentata con il mio nome.»
Il ragazzo annuì e disse «Sono stanco di provare ad indovinarlo. Potenzialmente ci potrebbero essere infiniti nomi, e io non l'ho indovinato, perciò te ne darò uno, spero che ti piaccia; è impossibile credere che sia il tuo.»
Lei lo guardò con un atteggiamento di sfida, ma era curiosa. Sapeva che Namjoon era dotato di una grande intelligenza, ed era per questo che, ipotizzò lei, non voleva provare ulteriormente ad indovinare. Era semplicemente impossibile, perché il suo nome non era un nome comune.
«Dai, avanti, dimmi a che nome hai pensato.» Replicò lei, sistemandosi il vestito. Era leggero, data la giornata calda; ma non era nemmeno troppo corto, per via del viaggio sui mezzi pubblici. Maniaca dell'igiene com'era, non voleva rischiare di esporre la sua pelle a troppi batteri.
Namjoon sembrò esitare un po', poi disse «E' da molto tempo che ci ho pensato; sei un'Army, quindi potresti essere una delle tante, ma non lo sei. Tutte le Army sono speciali, ma tu ci conosci da prima del nostro debutto; sei diventata un'Army solo dopo, lo sei diventata quando abbiamo pensato al nome 'Army' per i nostri fan. Ci sei sempre stata, e per questo meriti un nome speciale. Ti chiamerò Amy, ti piace?» Domandò lui, alzando un sopracciglio.
La ragazza si mise a ridere, mandando in confusione Namjoon.
«Che c'è? Non dirmi che ho indovinato!»
«No, no, non è il mio nome. Ma 'Amy' contiene due lettere del mio vero nome, quindi possiamo dire che ci sei andato vicino. Mi piace Amy, sarò la vostra Amy, se chiamarmi per nome è una cosa così importante...» Disse lei sincera. Era rimasta colpita da quelle tre lettere, e pensò davvero che sì, da quel momento in poi, in presenza dei ragazzi, si sarebbe chiama Amy, benché non fosse il suo vero nome.
«Sono felice che ti piaccia, inoltre ho indovinato due lettere! Dirò agli altri di chiamarti così, è un nome molto carino! Non credere però che mi sia arreso, prima o poi lo scoprirò davvero, il tuo vero nome!»
Namjoon e Amy uscirono dal vicolo, e presero a camminare. Più il tempo passava, e più le calli si stavano riempiendo di persone. Che strana città, Venezia, pensò dentro di sé Amy. Sembrava così fragile, eppure decine di migliaia di piedi la calpestavano ogni giorno. E se fosse affondata? E se un giorno il peso di quella gente l'avesse fatta affondare nella laguna?
Che strane idee che le stavano passando per la mente; forse era solo quella sensazione quasi di claustrofobia che le stava facendo perdere il contatto con la realtà. Per fortuna c'era Namjoon che camminava accanto a lei, sfiorandole occasionalmente il braccio con il suo. Questo però non le impediva di stare nel suo mondo, infatti ritornò sulla Terra soltanto quando lui si rivolse a lei «Amy, hai sentito? Che cosa vuoi fare, non hai fame?»
Sì, sto morendo di fame, voleva dire lei, ma non era sicura che quella fosse la risposta alla domanda completa, così gli chiese gentilmente di ripetere.
«Ho detto che potremmo andare in un locale a fare colazione. Hai fame?»
«Sì, scusami, tutta questa gente mi mette a disagio. Mi sembra una buona idea andare a fare colazione. Andiamo verso San Marco, troveremo dei bar che faranno al caso nostro. Beh, a dire il vero non lo so, ma sembra che là le persone abbiano più spazio per muoversi, ho il terrore costante di venire spinta in un canale.» Disse lei, indicando uno spiazzo grande in lontananza.
Namjoon ridacchiò e si scambiò di posto con lei, in modo che fosse lui a stare esterno. C'era ancora qualche metro dall'acqua, ma la poteva capire; ognuno aveva le proprie paure e per questo andavano prese sul serio.
Camminarono finché non arrivarono davanti all'insegna di un bar; Caffè Chioggia, si chiamava.
«Va bene qui?» Domandò Namjoon, indicando la struttura con un'ampia insegna in legno.
«Sembra bello. Una mia amica mi aveva consigliato di andare in un posto che si chiamava Flo- qualcosa, ma non ricordo. Sediamoci ad un tavolino qui fuori, verranno a prenderci le ordinazioni.» Rispose Amy convinta. Le sarebbe piaciuto trovare l'altro Caffè, ma aveva troppa fame e temeva di svenire da un momento all'altro.
Amy e Namjoon diedero una rapida occhiata al menù e, dopo aver ordinato — un succo di frutta ACE e un panino salato per lei, un cappuccino e un cornetto per lui — ripresero la conversazione di poco prima.
«Che cosa volermi dire, riguardo al tuo nome?» La incalzò Namjoon. Da quando le aveva anticipato il discorso, era ansioso di saperne di più.
Amy rifletté bene su cosa dire, ma pensò che essere sincera come aveva sempre fatto era la soluzione migliore.
«Come sai, abbiamo poche occasioni per vederci. Io sono qui in Italia e voi in Corea; ci sono sempre stata e intendo esserci sempre — anche in futuro — ma se dovesse succedere qualcosa; se un avvenimento imprevedibile mi dovesse separare da voi, o voi da me — per sempre — e se vi dicessi il mio nome, voi mi potreste cercare. Io non voglio che ciò accada, ma la vita è imprevedibile, non sappiamo a che destino andremo in contro.»
«Parli come Jungkook.» Disse Namjoon per stemperare la tensione.
«Quello che voglio dire, è che vi affezionereste troppo a me, se sapreste il mio nome. Il nome di una persona è la prima cosa che si conosce quando ci si presenta; è il primo passo verso la socializzazione. Fortunatamente per noi, non è stato necessario. Se risparmierà delle sofferenze in futuro, non vedo perché dovrei dirvelo.»
Namjoon aggrottò le sopracciglia, come faceva sempre quando tentava di capire qualcosa. Amy ne era convinta; aveva subito afferrato quello che lei intendeva dire. Se da un giorno all'altro prenderemo strade diverse, sarò io la sola a soffrire, perché loro no, non si meritano di soffrire a causa mia, si ripeté dentro di sé Amy.
In fondo non sapevano nemmeno dove abitasse; non sarebbero mai riusciti a rintracciarla, senza il suo nome. E benché si conoscessero da anni, quello era l'unico tassello fondamentale del puzzle che costituiva la sua Persona.
«Né noi, né te, dovremmo permettere che questo accada. Continui a pensare che tu non sia impronte per noi, ma ti sbagli. Hai salvato la vita a Yoongi e a Jimin; senza di te ora loro...» Namjoon si rabbuiò per un secondo; un cameriere vestito in modo elegante stava reggendo un vassoio con sopra la loro colazione. Stava per porgere la tazza con il cappuccino alla ragazza, ma lei scossi la testa, indicando Namjoon. Oggi era più italiano lui di Amy, in quanto a scelta di cibo.
Quando il cameriere se ne andò, Namjoon prese in mano il cornetto e disse «Non stai pensando di lasciarci, vero? Tu non puoi-»
«Certo che non vi lascerò.» Disse Amy, intervenendo subito «Ve l'ho promesso, come voi l'avete promesso a me. Tuttavia non so cosa potrà accadere in futuro; voglio solo che stiate bene, tutto qui.» Concluse lei, addentando il suo panino.
«Amy, lo sai, stiamo bene ogni volta che sei con noi.» Disse Namjoon senza traccia di esitazione, ma non le lasciò tempo per concludere, perché continuò «Ad ogni modo, rispetto la tua scelta. Sei la mia Amy; mi basta sapere questo.»
Amy sorrise compiaciuta. Era felice che Namjoon avesse compreso le sue motivazioni, inoltre le piaceva da morire vedere i Bangtan scervellarsi per trovare nuovi nomi. Per adesso 'Amy' andava più che bene.
Finalmente Amy e Namjoon fecero colazione, godendosi i raggi del sole di quella giornata di inizio settembre.
«Verrai a trovarci prima della fine delle nostre vacanze? Tra poco è il mio compleanno, saresti il regalo più bello.» Quelle parole di Namjoon la fecero arrossire; con una richiesta del genere sarebbe stato difficile dire di no, tuttavia doveva rifiutare.
«Ho appena dato un esame, ma me ne mancano altri due. Sono uscita oggi, giusto per venirti a salutare e per festeggiare per quello di ieri. Purtroppo non riuscirò a venire per il tuo compleanno, ma appena riprenderò ad andare all'università, proverò a chiedere ai miei amici se sarebbero così gentili da tenermi gli appunti.» Namjoon fece un mezzo sorriso. Non era pienamente soddisfatto, ma quello andava più che bene. Sapeva che Amy aveva tanto da fare.
«Complimenti, allora! E grazie per essere venuta, non te l'ho ancora detto, ma era implicito. Ti lascerò l'onore di scegliere cosa fare oggi. E' già da un paio di giorni che sono qui, è una città bellissima, ma anche Milano mi ha colpito molto.»
Amy lo sapeva. Aveva ricevuto moltissime foto da parte di Namjoon, nei giorni precedenti, e benché fosse occupata a rassicurare Jimin, e a ricordarsi l'orario giusto per fare gli auguri a Jungkook, era riuscita a trovare tempo anche per lui.
«Beh, a dire il vero non saprei. Andiamo a vedere una mostra? Immagino che tu non dica di no.» Disse Amy, ridendo. Conosceva Namjoon; era bellissimo andare a vedere delle mostre con lui. Era una passione che condividevano, quindi non era un peso per nessuno dei due.
Namjoon fece un sorriso trionfante, aveva già in mente dove andare, ma prima doveva chiedere ad Amy di scattargli qualche foto ricordo. Lei accettò con piacere, poi insieme andarono a vedere la mostra. Era arte moderna — non esattamente quella preferita di Amy, che amava di gran lunga di più quella classica — ma era particolare, e anche molto interessante.
Lei e Namjoon passarono la mattinata a scattarsi foto davanti alle immense opere d'arte della mostra, poi trovarono un ristorante in cui mangiare, e nel pomeriggio andarono vicino al lido, cercando di aggirare la folla accorsa in occasione del Festival del Cinema.
Rimasero a fissare l'orizzonte le onde dell'acqua che si increspava, e il sole tramontare. La loro giornata insieme era finita; era tempo di ritornare a casa.
«Mi mancherai, Joonie.» Disse Amy, mentre lui la stava stringendo in un abbraccio. Namjoon aveva gli occhi lucidi; sapeva che si sarebbero rivisiti ancora, ma ogni 'arrivederci' era doloroso.
«Anche tu mi mancherai, Amy. Quando arriverò a casa, i ragazzi mi uccideranno, ora che sanno che ci siamo visti... Quindi vedi di trovare il modo di passare a salutare anche loro. Gli farà bene, vederti.» Disse lui, terminando con un sorriso.
«Certo, farò del mio meglio per venire. E' stato un piacere essere venuta oggi. Hai trascorso una bella vacanza?»
Namjoon annuì. «Bellissima, la gente è stata super cordiale, le Army si sono dimostrate rispettose. E' andato tutto per il meglio.» Concluse lui contento.
«Perfetto, allora cosa aspetti, cosa state aspettando? Venite a fare concerti qui, non si aspetta altro!»
Il ragazzo ridacchiò, poi strinse un'ultima volta Amy, prima di lasciarla andare. «Lo sai che non dipende da me. Faremo il possibile, comunque, te lo prometto.» Disse lui, salutandola con la mano.
«Ciao Amy, a presto.»
«A presto Nam, fai un buon rientro!» Lui si voltò, per tornare verso l'hotel. Era triste perché aveva trascorso una giornata meravigliosa, ma non doveva lasciare prevalere quella emozione, perché aveva anche un motivo per sorridere; forse più di uno, ad essere precisi: Ho un nome e due lettere, pensò dentro di sé, quanto bastava per definire una persona. La mia persona, la mia Amy, si ripeté ancora una volta. Non avrebbe permesso a nessuno di recidere il loro legame; quella ragazza era tutto per i Bangtan.
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