190830

📍Parigi, Francia

🕓 4:00 AM

🗓 30.08

Jimin aprì la porta della sua stanza d'albergo e sospirò. Aveva ancora un po' di mal di testa per via dell'alcol che aveva bevuto, ma si era trattenuto; era solo un po' brillo. E' stata una bella serata, pensò fra sé. Anche se non aveva i suoi soliti amici, era riuscito a socializzare e a fare nuove conoscenze. Di questo non ne era certo sorpreso, però ormai aveva determinate abitudini e la sua mente era difficile da smuovere, a volte.

Jimin era piuttosto timido quando non conosceva le persone; era un dato di fatto.

Calciò via le scarpe e si sfilò le calze, poi si tolse i vestiti e andò in bagno. Il locale in cui era andato a ballare era pieno di gente; e tutto quel ballare e quell'agitarsi in mezzo alla folla, l'avevano fatto sudare.

Per questo, la sensazione dell'acqua fresca sulla pelle, lo fece rinascere. Si sentì a poco a poco ravvivato, come un fiore che aveva finalmente deciso di sbocciare dopo una lunga stagione secca. Mise la testa sotto il getto dell'acqua e si strofinò i capelli, per essere sicuro che si bagnassero per bene, poi spense l'acqua e prese lo shampoo. Appena aprì il beccuccio del contenitore in plastica, le sue narici inalarono un profumo fresco e allo stesso tempo dolciastro. Era troppo stanco per leggere l'etichetta; benché non fosse in grado di riconoscere una particolare essenza, gli piaceva. Quel profumo gli piaceva.

In una manciata di secondi si levò di dosso la puzza di fumo e di sudore che si sentiva sulla pelle. Rimase ancora qualche minuto a rilassarsi, poi uscì dalla doccia, prendendo un asciugamano, accuratamente ripiegato sulla superficie di un armadietto color mandorla.

Si avvolse l'asciugamano intorno alla vita, prendendone un altro per asciugarsi i capelli, poi si lavò i denti. Era finalmente pronto per andare a letto, ma no, non voleva dormire, non prima di aver fatto una cosa. Si sdraiò sul letto, non curante di avere i capelli ancora umidi e il torso parzialmente bagnato, poi cercò tra i contatti del suo cellulare, sforzandosi di mettere a fuoco le parole scritte sullo schermo. All'inizio non ci riuscì, poi capì che doveva diminuire la luminosità. Ed eccolo, finalmente, il contatto che stava cercando!

A dire il vero, poteva prenderlo direttamente dai 'contatti recenti', o addirittura digitare il numero. L'aveva composto così tante volte, che ormai lo conosceva a memoria. Ma nel suo organismo l'alcol non era stato del tutto riassorbito, così si limitò a toccare l'icona della cornetta verde, sperando di ricevere una risposta.

Era sempre così, quando doveva chiamare: sperava che lei rispondesse, quando in verità lo faceva sempre. In effetti, le sue chiamate avevano sempre ricevuto una risposta.

Più che di una speranza, ormai si trattava di una certezza.

E infatti Jimin vide un viso famigliare apparire solo schermo del suo telefono.

«Ehi, ciao, ti ho svegliata?» Domandò lui preoccupato, osservando l'espressione assonnata della sua interlocutrice.

«No, nient'affatto.» Rispose la ragazza, sbadigliando. Jimin sorrise, era sempre la solita, pensò. Non lo voleva mai fare preoccupare, ma c'era una cosa che non riusciva a fare: mentire. E in quel momento si vedeva palesemente che, fino a pochi minuti prima, lei stava dormendo.

«Dimmi pure, Jimin.» Disse lei, con gli occhi luminosi. Con quella luce non si riusciva bene a distinguerne i colori, forse erano azzurri, forse verdi, o addirittura marroni. Jimin non l'aveva ancora scoperto, perché certi giorni sembravano chiari, altri più scuri. Quella ragazza era un vero enigma.

«Ecco io...» Provò a rispondere Jimin, cercando di mettere in fila una risposta compiuta. Sistemò il cuscino dietro di sé, e guardò lo schermo, poi continuò «Volevo raccontarti di oggi, mi stai iniziando a mancare, sai...» Disse finalmente lui, lasciando la frase in sospeso. Era vero, le mancava da morire; lei le mancava sempre, e sentiva l'esigenza di sentirla, di sentire la sua voce.

«Anche tu mi mancavi, Chim. Mi mancate tutti.» Affermò lei con dolcezza. Jimin fu felice di sentire quelle parole; per un attimo si sentì un po' meno solo, si dimenticò di essere l'unico essere vivente in quella stanza di albergo che avrebbe potuto ospitarne almeno sei, di persone.

In quel momento non era solo, c'era lei, gli stava parlando.

«Ho trovato un locale e sono andato a ballare. Ero con un amico di un mio amico di Parigi — sembra un po' complicata come cosa — ma alla fine è stato divertente. Ho trovato alcune ragazze che parlavano coreano; a una di queste per sbaglio ho dato un pugno in faccia e io, io non ho fatto apposta. Stavo ballando tra la folla, e l'ho colpita per sbaglio, non le ho fatto male, ma se l'è presa. Così, per farmi perdonare, le ho detto di fare lo stesso con me, solo che invece di darmi un pugno, mi ha dato un cricco sulla fronte. Ho pianto dal dolore, ma è stato divertente.»

«Jim, quanto avevi bevuto?» Domandò la ragazza ridendo. Improvvisamente sembrò accorgersi dell'ora tarda, quindi si tappo' la bocca per fare meno rumore. Jimin non potè fare altro che osservarla e sorridere. Quella ragazza lo metteva sempre di buon umore.

«Non tanto, solo qualche drink. Era tutto sotto controllo.» La rassicurò lui, chiudendo gli occhi. Erano stanchi e gli bruciavano, come se avesse ricevuto una manciata di sabbia, mantenendo le palpebre aperte.

«Se vuoi dormire, ci sentiamo in un altro momento.» Disse lei, percependo la sua stanchezza.

«No, no.» Si affrettò a dire lui «A dire il vero ho altro da raccontarti. Sono in vacanza, quindi domani non ho limiti di orario.»

«Va bene. Mi fa piacere che tu ti sia divertito oggi.» Disse sincera lei. Poi rimase in silenzio, aspettando che lui le raccontasse altro. In fondo era per questo che l'aveva videochiamata.

«Oggi avrò camminato per 10 chilometri, o giù di lì. Sono andato a Montmartre; fare tutti quegli scalini è stato peggio di un allenamento di Hobi!» Scherzò Jimin, ridendo.

«Nulla è peggio di un allenamento di Hobi!» Esclamò la ragazza di rimando.

«Già, hai ragione. Comunque sì, è stato molto bello. Sono stato in un paio di negozi e ho preso dei vestiti. Domani ti mando delle foto per farteli vedere, ora non ho la forza di alzarmi dal letto. Dov'ero rimasto? Ah sì, stavo dicendo, che dopo essere stato là, sono tornato verso l'hotel e ho trovato in una piazza un gruppo di giovani che stavano facendo un Contest di danza. Mi sono fermato a guardarli e ho visto la passione nei loro occhi, mentre eseguivano i passi delle loro coreografie. Mi ha ricordato noi, sai, noi sette quando ci allenavamo per il debutto.» Jimin si interruppe. Era sempre bello pensare al passato; cioè, non sempre, ma il più delle volte sì, quando si trattava dei suoi amici.

«Da quello che ho sentito, ti sei divertito molto oggi, Jimin!» Disse lei felice.

«Sì, è stato davvero meraviglioso! Dovresti venire una volta, qui. Anzi, domani. Perché non vieni domani? Potrei venire ad aspettarti all'aeroporto.» Propose lui con entusiasmo.

«Parigi è la mia città preferita. Lo vorrei con tutto il cuore, ma Jimin, non posso, sto studiando. Non posso davvero, mi dispiace.» Lui lo sapeva, ma gliel'aveva proposto comunque, nella speranza che le cose potessero cambiare.

«Sì, beh, me l'avevi detto. Non preoccuparti, ora dovrei lasciarti andare a dormire. Dovrei dormire anche io, ecco io, sì...» Jimin non era riuscito a nascondere la sua delusione. Sapeva che non era possibile che lei venisse a trovarlo, ma si sentiva solo, in quella città così grande. Di solito con lui c'erano Jungkook o Yoongi, o altri suoi amici; in Corea era comunque diverso. Ma lì in Europa, in quella terra straniera, sentiva la solitudine come non mai.

«Ehi, aspetta. Jimin, va tutto bene?» Domandò lei preoccupata. Lo conosceva come il palmo della sua mano, e di certo non lo avrebbe lasciato 'andare a dormire'. Non lo avrebbe lasciato solo.

«Oggi è stato bello, veramente. Ma con la notte, il buio, e le stelle, la stanza vuota, e i corridoi silenziosi, ho avvertito una sensazione di sol-»

«Solitudine» Disse lei, quasi anticipandolo «Vuoi che ti faccia compagnia finché non ti addormenti? Jimin, sai che non sei solo. I tuoi amici ci sono sempre; io ci sono sempre, e lo sai. Siamo tutti qui per te.» A Jimin si scaldò il cuore a sentire quelle parole e, quasi come un riflesso involontario, rispose «Lo stesso vale per me, per noi. Ci siamo sempre.» Ribadì lui, senza esitare.

La ragazza sorrise, Jimin anche. Erano due sorrisi stupendi.

«Vuoi parlarmi di qualcosa?» Domandò Jimin.

La ragazza scosse la testa «Va tutto bene da me; sempre la solita noia mortale. Il posto in cui vivo non è certo interessante quanto Parigi. Sono contenta che tu sia lì. Quella città emana un'energia positiva; fra poche ore ti raggiungerà, ne sono sicura.» Poi lei non disse più niente; Jimin la stava fissando, rimanendo in silenzio, e lei sapeva perché. Come ogni volta, si aspettava che lui pronunciasse quella frase, e, come ogni volta, quella frase arrivò:

«Ti chiami forse Matilde?» Jimin non sapeva ancora il nome della ragazza, benché si conoscessero da tanto, ormai. L'aveva scongiurata di dirglielo, ma lei non aveva voluto; così, ogni volta che si sentivano, gli poneva quella domanda con un nome diverso. Prima o poi avrebbe trovato il suo nome, ne era sicuro.

«No, non mi chiamo Matilde.» Rispose lei senza traccia di esitazione. Jimin debellò mentalmente quel nome. Ne aveva provati già così tanti, eppure nessuno sembrava andare bene.

«Scusa, sai che non voglio essere scortese con te.» Disse lui con garbo.

La ragazza sorrise e disse «Non lo sei stato. Non lo sei mai, Chimchim. Però, ripeto che non ha importanza il mio nome, tanto lo sai: qualunque cosa accada, ci sarò sempre per te.» Lo ripeté lei, ancora una volta; era diventato ormai un mantra.

Le bastò pronunciare quella frase, per far sì che Jimin si addormentasse. Chiuse la chiamata, sentendo i soffici respiri di Jimin.

Anche per quella sera il suo compito era terminato.

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