43) I nani di Rododendro
Il sole su di me mi distese la schiena, mi riaccese i muscoli, mi concesse la forza di guardare a mento alto quei quarantadue nani che risorsero con me dal loro abisso.
Mi tolsi i calzari per sentire l'erba sotto i piedi, mi levai le vesti, denudato perché quel vento mi fischiasse attraverso, perché la natura viva mi ridesse vita, su quelle colline alte sulla costa più a nord della terra. Le mie ginocchia strette dall'abbraccio delicato di Jajapi, lei coricata ai miei piedi
«Non ci vediamo, Rododendro. Dopo il buio della grotta, tanta potenza ci spaventa, la luce del sole che tu conosci tanto bene ci potrebbe accecare e finire per mandare a perderci in questo mondo che non conosciamo più, che io di persona non ho mai conosciuto.»
«Vi chiedo di chiudere gli occhi, Jajapi, per quel tempo che basti a ripulirvi dall'oscurità, e di fidarvi di me su dove io vi guidi.»
Ogni maschio tra quei nani si piegò sul ginocchio sinistro e giurò fedeltà per il segno che portavo in fronte. Ogni femmina invece assicurò la fedeltà ai loro mariti e che se io li avessi traditi loro li avrebbero vendicati, mi dissero che così funzionasse coi nani e i loro patti, che quelli promettessero e le altre assicurassero le promesse.
«Sarà Jajapi allora» risposi io «che l'assicurerà per me.»
«Rododendro» questa portò le mani al petto «Questo compito appartiene alle mogli.»
«Desideri sostenerlo per me?»
«Sì.»
Le membra indurite di Lologgi schioccarono, la crosta di roccia sopra la sua pelle si crepò, le sue pupille ravvivate quando il lago di fronte a lui prese a calare, fino a prosciugarsi. L'acqua che lo bloccava dentro la caverna, quell'acqua che un nano non poteva sorpassare senza affogare, ora si ritirava lasciando che lui attraversasse il letto del lago.
Diretto fuori, per la galleria dall'altra parte, intravisto il bagliore in fondo al tunnel, trovò stagliato in quella luce un viso, e per un attimo lo confuse per quello di Ror, la barba folta, il segno sul sopracciglio e tutti quei nani dietro di lui, poi si ravvide
«Rododendro...»
«Ti ho liberato Lologgi, ho liberato gli ultimi nani viventi e sigillato Cava Inferno.» gli dissi «Ma il tuo figlioccio, Ror, è rimasto lì.»
«Come?»
«In fondo alla Cava viveva un drago, vederlo ha convinto Ror a distruggerla, ma per riuscirci si è dovuto sacrificare: ha sostenuto il terreno sotto ai nostri piedi, mentre scappavamo.»
«E ti ha lasciato un'eredità» carezzò la cicatrice sul mio sopracciglio «Prima che tu lo chieda ti rispondo di no, non prenderò in carico il destino di questi nani e io mi farò, come loro, al tuo seguito: quella cicatrice dimostra che sei sceso fino a dove solo Ror era arrivato e da lì sei anche tornato.» Lologgi si chinò sul ginocchio sinistro e mentre giurava io gli guardai la barba e le palpebre chiuse e quella testa calva, la sua voce la riconoscevo, famigliare come quella di un padre, il suo corpo invece lo vedevo per la prima volta.
«Jajapi mi sia testimone» risposi al suo giuramento mentre stringevo la mano di lei «che se ho dimostrato di essere degno della tua fedeltà allora lo sarò finché le mie forze me lo consentano.»
La marcia dei nani calò da nord come un terremoto. Seguirono i miei passi su due file sul quale fondo trainavamo due carri, pieni delle corazze, degli attrezzi e di alcuni tesori.
Proprio su questi tesori si centrò il mio primo dilemma da condottiero, condottiero dei nani, questi infatti provenivano proprio da Cava Inferno, raccolti nelle loro tasche mentre scappavano fuori. Per non cadere in errore non pretendevano nulla riguardo quei preziosi ma si rimettevano a me per decidere se poterli possedere oppure doverli disperdere, in quanto maledetti dalla Cava.
Pensarci mi tolse il sonno e trascorremmo alcune giornate in sosta dalla marcia, perché io potessi ritirarmi in disparte e riflettervi su. Infatti non volevo rischiare che, pur sigillata la Cava, con quei tesori avessimo portato via il seme del drago, permettendo che la sua maledizione perdurasse. Certo un dilemma che avevo già affrontato e risolto in altri casi, eppure rinnovato ogni volta.
«Rodo» Jajapi mi accompagnava in queste riflessioni «Io stessa sono stata portata via dalla cava, ma la luce del sole mi ha purificata. Dovresti forse gettarmi via perché ho vissuto nell'oscurità?»
«No!» iniziai a considerare la sua voce come messaggera dei più preziosi suggerimenti «Quello che mi preoccupa è ciò che il drago ha svelato a me e Ror: la maledizione non arrivava dalla Cava, ma dalla tentazione dei nani di caderci dentro. Ho paura che quel tesoro possa far cadere i miei nani anche senza che ci sia un pozzo buio.»
«Ti fidi di un drago?»
«Un drago può dire cose vere e cose false, non le devo escludere a prescindere, l'importante è cosa decida io alla fine.»
«E cosa decidi?»
Decisi di scendere sulla città più a settentrione delle Isole Verdi, l'ultima visitata all'andata, lì dove avevo promesso un tesoro nanico. Davanti al nostro passo le campane batterono l'allarme, le famiglie si barricarono nelle loro case e sulla piazza della chiesa, trovammo la guardia cittadina barricata di fronte alla casa del capomastro.
«Prima di muovere guerra» dichiarò il capomastro dalla finestra sopra al suo portone «il popolo dei nani deve mandare un emissario e un ambasciatore. Altrimenti la pena sarà lo sterminio indiscriminato di un tanto barbaro popolo!»
«Io sono Rododendro del sud» mi feci avanti.
Il capomastro si sporse fin quasi a cadere «Colui che è detto anche Bimbur, cantastorie, cacciatore di nani e ammazzadraghi?»
«Vi avevo promesso di appesantire i vostri forzieri...» i nani portarono avanti il carro dei tesori, io cercai nei loro occhi l'assenso di quel che intendevo fare, di risposta loro levarono i teli che coprivano il tesoro e mostrarono il bagliore di oro e gemme agli occhi increduli degli uomini, tanto curiosi che si levarono gli elmi, aprirono le imposte e uscirono dai ranghi.
«Per saldare la mia promessa con voi, cittadini, questi nani vi donano tutti i loro preziosi. Ma io vi impongo che voi glieli paghiate col triplo del loro peso in ferro e con la concessione di attraversare queste terre.»
Il capomastro corse fuori da casa sua per abbracciarmi «Una dolce imposizione, Rododendro del sud, ti prego di prendere dimora in questa città.»
Rifiutai, partimmo al mattino successivo, il carro scaricato dal tesoro riempito di viveri, ci diedero anche i muli per trainarli e altri due carri su cui portammo il ferro.
Esattamente, il ferro, il ferro al posto di oro e gemme, infatti, sul finir delle mie riflessioni, avevo concluso che l'oro si potesse considerare prezioso di per sé e chiunque potesse scambiarlo, sia il più buono dei nani che il più sordido dei draghi, il ferro invece doveva essere lavorato per diventare prezioso e quindi esigeva al portatore di nobilitarsi prima di poterlo vendere. Solo i valorosi lo avrebbero potuto impreziosire e solo loro trarne profitto.
Così guidavo i miei nani come la morte educa i viventi, chi di loro avesse messo il proprio lavoro nel ferro allora l'avrebbe potuto vendere, tutti gli altri avrebbero provato il morso della povertà.
Uscimmo dalla città per accamparci attorno alla fucina del fabbro Campana, questi mise a disposizione tutto perché i nani e Lologgi producessero qualche manufatto e accrescessero la propria ricchezza, i nani in cambio fecero della sua fucina il laboratorio più famoso e laborioso delle Isole Verdi.
Per quanto Campana piangesse sulle mani del suo padre adottivo, Lologgi, quando decisi di ripartire per il sud nessun nano rimase nella sua fucina. Tutti mi seguirono, fedeli al loro giuramento con la naturalezza dell'alzarsi al mattino.
Marciammo verso il sole, verso l'orizzonte sud, e al tremore del passo dei nani si aggiunse il trambusto delle loro corazze, forgiate con Campana e il battere delle loro armi da guerra, costruite lunghe il doppio della tradizione, Lologgi infatti raccontava che le armi dei nani sfiorassero i muri dei cunicoli e il soffitto, ora che erano a cielo aperto dovevano adattarsi a occuparlo il più possibile.
Sui colli nebbiosi dell'isola scambiammo zappe di ferro battuto per diverse bottiglie di acquavite, una per nano, diedi un solo sorso alla mia, il resto lo lasciai su quei colli, appoggiato alla base di un albero, convinto che girato per la mia strada, un leprecauno di nome Damafelco sarebbe comparso e se la sarebbe scolata in mio onore. Non mi girai per controllare e proseguimmo.
Pescatori increduli ci aiutarono a passare i canali tra le isole dell'arcipelago, convinsi i nani a salire sulle barche soltanto quando mi videro ormai partito per mare e quasi sulla sponda di un'altra isola. Pagammo anche questi, e abbondantemente, tutti loro infatti digerivano a stento la vista dei nani e nei loro occhi, lo riuscivo a leggere, intendevano correre ad avvisare re Buliperr appena la mia compagnia si fosse allontanata.
Per mare infatti li vidi superarci e costeggiare le rive verso sud dove sapevo si trovasse la grande casa di re Buliperr.
«Rododendro» Lologgi conosceva la minaccia forse meglio di me «non a caso ci siamo armati e corazzati. Io non metto in dubbio la direzione del nostro viaggio ma...»
«Sento che il sud contiene un futuro per questo popolo.»
«Spero che non si tratti di un futuro sanguinolento: mille Buliperr morirebbero se entrassero nel mio cunicolo, ma in campo aperto loro posseggono quelle bestie maledette»
«I cavalli?»
«Quando li vedremo arrivare sarà troppo tardi.»
I cavalli dei Buliperr sorsero da dietro un colle, scesi sul campo di fronte a noi si schierarono in fila, dozzine e dozzine, coi loro cavalieri armati di lance e le bestie bardate di ferro. Lologgi ebbe ragione e dietro la cavalleria comparve un assembramento di fanteria, meno armato ma numeroso di dieci volte il nostro. Mi mostrai ai nani per chiamarli al coraggio
«Potranno gli uomini dei Buliperr abbattere questa montagna?»
Udorf per primo sembrava conoscere la risposta, piazzato in prima linea indicava i cavalli con la sua fronte, sembrava poterli investire e ribaltarli sul dorso.
«Rodo» Jajapi mi carezzò le spalle «non voglio chiudere gli occhi su questo mondo, non oggi.»
Filomeno e Beedwarf mi affiancarono, col petto gonfio nelle loro corazze nuove, batterono i pugni sul cuore «Se ti vedessimo partire alla carica, anche contro una colata di lava, ti seguiremmo fin dal primo passo.»
Dall'altro schieramento avanzò un cavaliere senza elmo, alto sul suo cavallo immaginai mi vedesse da lontano, di qualche spanna più alto di tutti quei nani che portavo con me.
Il capitano di quegli uomini, si trattava di lui, dei capelli biondi, una corazza bordata d'oro e un pensiero in mente che fin da lontano riuscivo a vedergli addosso.
«Attacchiamo?» mi domandò Udorf, più fremente di tutti.
«Aspettate, la cosa più importante è la vita del nostro popolo, e siamo tutti qui. Piuttosto ci faremmo catturare senza combattere.»
«Sul serio?»
«Oggi non si può decidere nulla ormai, quel che è fatto è fatto, siamo in balia di quello che abbiamo compiuto in passato.»
Alle mie parole si tapparono le bocche, deglutimmo mentre ognuno di noi pensava a quel che ormai era fatto e si chiedeva di cosa pentirsi e di cosa no.
Mentre pensavo alle mie di azioni, rividi quelle compiute coi fratelli Buliperr, con gli occhi su quel cavaliere che, laggiù, forse pensava alla stessa cosa. Strinsi gli occhi per vederlo meglio, quell'uomo a cavallo sollevò con la mano il proprio mantello e lo agitò sopra la testa. Un mantello logoro ma di colore azzurro, un azzurro tanto vivido da vedersi da distante.
«È il principino Buliperr...»
«Sta correndo verso di noi» mi avvisò Udorf «È solo.»
Il principino ci raggiunse in un attimo e sorrise nel vedermi «Rododendro del sud, sapevo che eri tu, ma i miei uomini non ci hanno creduto fino all'ultimo.»
«Sono condottiero di questi nani, tutto ciò che chiediamo, e che possiamo pagare, è che re Buliperr ci permetta di andarcene a sud, nessun altro nano mai vivrà sulla vostra terra.»
«Non sia mai!» esclamò il principino «Il re Buliperr è qui di fronte a voi.» si posò la mano sul petto «La pira di mio padre è cenere da tempo. Ve ne andrete di qui, ma non prima che il popolo dei Buliperr ricambi i suoi debiti col popolo dei nani.»
«A proposito...» fece Lologgi «...tuo padre mi doveva qualcosa, o forse tuo nonno: leggo la mia firma sull'elsa della tua spada.»
«E questo debito verrà onorato con anelli d'oro e gemme.»
«No.» Lologgi mi guardò mentre diceva a re Buliperr «I nani di Rododendro accetteranno solo ferro.»
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