42) A guardare il cielo
Non posso dire se Ror avrebbe mai risalito la Cava, potendo. Tuttavia so che lui, sicuramente il più superbo dei nani, dovette toccarne il fondo prima di riconoscere il suo errore, ma lo comprese e ne accettò le conseguenze.
Salii sul dorso del drago, bloccato nella trappola di Ror, mi arrampicai sulle rocce che gli premevano la testa. I macigni crollati uno sull'altro riempivano quel pozzo di gradoni colossali, mi mossi con cautela sulle loro superfici coperte di ghiaia, col timore di sentire lo scricchiolio di un cedimento e poi lo scoppio di un crollo, che prendesse me e abbastanza roccia da coprirmi una volta per tutte.
Tornavo, per la prima volta col ginocchio piegato in salita, il fuoco della battaglia ancora mi bruciava in petto, eppure il pensiero della strada già raffreddava i miei muscoli. La speranza di rivedere il sole trovava il suo posto nei pani di Ror, nel piccone, nell'olio della lanterna e pure in quella pietra fluorescente lasciata da Udorf, ma di fronte a me aspettavano la lunga arrampicata del pozzo, poi la cascata di lava, il pozzo della piattaforma e poi le trappole, i mostri, i laghi sotterranei e infinite altre scalate.
Morire nella bocca del drago mi sarebbe pesato meno, oppure schiacciato da una roccia, sicché mentre ci pensavo la roccia volle esaudirmi. Un tonfo cupo, il rotolare di ghiaia e poi i gradoni scossi a terremoto, presi a correre convinto che sarebbe crollato tutto, saltai da un bordo all'altro, finché osai un salto e invece di atterrare sui piedi atterrò solo la punta del piccone, lei incastrata sul bordo di roccia e io penzolante attaccato al manico, sarei salito se solo il tremare non avesse reso il tutto precario. Attendevo che terminasse quando, alzati gli occhi su per il pozzo, vidi discendere un enorme ragno nero, così grande che posava le zampe da una parete all'altra, puntava in giù, puntava me e quando fu abbastanza vicino alzò le sue due zanne e dalla bocca protese in fuori un lungo tubo pieno di gomiti e peloso, avvicinato a me credetti di vedermelo entrare nella fronte per succhiarmi dall'interno. La cima di quel tubo invece si tramutò in Jajapi e tutto quel mostro si rivelò la propensione di una delle sue parti del corpo.
«Non me ne sono andata, Rododendro.»
«Hai davvero spinto Ror nel pozzo?»
Lei allungò una delle zampe di ragno, me la pose tra le gambe e mi sollevò «Ti ho visto cadere e ho voluto che scendesse a salvarti.»
«Ci è riuscito.» le mostrai la cicatrice sul mio sopracciglio «Ed è morto.» lei chinò lo sguardo «Jajapi, tu sapevi cosa ci fosse in fondo alla cava?»
«Quale risposta ti convincerebbe?»
«In realtà nessuna.»
Tese una mano per carezzarmi, ma non mi toccò, mimò solo il gesto «Sono tornata. Ti concedo il dubbio di dovermi uccidere. Mi sdraierò sul dorso se vuoi e ti mostrerò la gola, ma non ti abbandono.»
«Cos'è, una sorta di istinto predatorio? Un attaccamento morboso alla vittima?»
«Forse lo era, quando ero un mostro, ora invece lo voglio chiamare affetto.» si guardò alle spalle, l'enorme addome di ragno dietro di lei come si trattasse della sua ombra «Sono ancora un mostro forse... ma solo all'esterno.»
«Ah sì? Sicura?»
«Prima una sirena, bella fuori brutta dentro e ora il contrario, bella dentro e brutta fuori.»
«Va bene.» persi la voglia di discutere che il sostegno di quell'arto di ragno cominciava a parermi comodo «Portami su, Jajapi. Scaliamo il pozzo.»
«Ti fidi di me?»
«Vedrai il sole, chissà che aspetto avrai alla luce.»
Sul dorso della sirena Jajapi tornammo su per l'ultimo salto, con la forza delle sue zampe aprimmo un varco nella cascata di lava e su per quel pozzo che ci costò giorni di discesa, risalimmo arrampicandoci, lei con otto zampe, io poggiato sul suo addome, seduto in mezzo allo scricchiolare delle giunture da aracnide.
Dormii e mangiai pane, quella bestia invece spostò roccia, scavò e aprì, si fece strada tra le trappole e le stanze, che salire assieme, tutto sommato si rivelò più facile che scendere.
«È la sconfitta del drago che ci semplifica la strada» diceva lei «La sua oscurità non governa più questo luogo.»
Diverso invece pensavo io, e ci riflettevo, solo una cosa aveva impedito a Jajapi di risalire la cava, il fatto che il suo obbiettivo fosse di sotto, non il potere magico del drago o la maledizione delle pareti. Lo stesso pensavo per me, la chiave della mia salvezza non stava nelle maledizioni esorcizzate ma in quel minimo di fiducia che concedevo a lei.
In due risalivamo quella profondissima tomba, e se scenderci significava morire, nella tentazione e nel male, risalirla poteva soltanto significare qualcosa di buono, chi la risalisse poteva desiderare soltanto la vita, l'impegno, la tenacia. A Jajapi, su per quella Cava, ero costretto a riconoscere qualcosa di buono.
Col fiato sospeso, immersi in acqua gelida, lei a nuotare con la pietra fluorescente tra le zanne, io aggrappato a lei. Passammo il lago sotterraneo e tornai a respirare nel pozzo di Udorf. Uscimmo sulla piazza delle statue, lì trovammo Udorf circondato delle statue sgretolate, saltò in piedi, nel vedere Jajapi, cadde in ginocchio al vedere il segno di Ror sul mio volto.
«È morto.» lo capì subito. Ascoltata la mia storia Udorf mi giurò fedeltà, senza che gliela chiedessi.
«Quali erano le ultime volontà di Ror?» mi domandò.
«Le mie stesse: un solo ordine, salvare tutti i nani. Un solo ordine, Udorf, seguitemi fuori di qui, e raccogliamo tutti i nani.»
Lui abbassò la chiusa dell'elmo sugli occhi «Sono con te.» ci guidò lungo il dedalo dei pozzi e dei ponti, di là si unirono a noi un'altra decina di nani, tutti richiamati dalla voce di Udorf, tutti convinti dal simbolo che portavo sulla fronte. Raggiungemmo Filomeno, il nano invidioso e lo lasciammo lì, da solo e più in basso di tutti prima che si convincesse a seguirci.
«Per un poco sei stato il nano più in profondità, com'era?» gli chiesi.
«Inutile. Comunque, ti seguirò solo per rispetto a Ror.»
E col suo convincersi se ne convinsero altri, quasi tutti quelli che trovammo sulla strada fino a Beedwarf, questi lo trovammo con le gambe pietrificate e gli occhi fissi sulla parete che stava picconando. Lo rianimarono con cibo, acqua e schiaffi, venne con noi solo sotto un mio ordine ufficiale, a mo' di militare, mentre gli indicavo il segno di Ror sul mio volto. Con l'esperienza di tutti quei picconieri le strettoie dell'ultima salita le sfondammo, le aprimmo e le passammo a schiena dritta.
La forza di tutti quei nani, uniti, riduceva a nulla le barriere di quel posto che fino a poco prima indicavo come un inferno senza uscita.
In più di quaranta nani, io e Jajapi, ci trovammo di fronte all'Avaro per eccellenza, quel nano che proteggeva la sua parete di gioielli.
«Levati» gli ordinai «Dobbiamo scavare dietro i tuoi preziosi perché lì c'è l'ultima nostra speranza, l'ultimo desiderio di Ror e il meccanismo di Lologgi per distruggere questo posto maledetto.»
«No!» fece quello, e i quaranta nani lo staccarono di lì con la forza, scavammo tutti assieme nell'oro e nei gioielli, in fondo, accanto a una gemma grande quanto la mia testa trovammo un chiodo piantato nella fessura della roccia «Andate fuori, uscite tutti, battuto questo, crollerà tutto.» misurai la testa del piccone sulla testa del chiodo, sarebbe bastato giusto un colpo «Non tentennate! Non raccogliete quello che non vi serve. Andate fuori e aspettatemi là.»
«Io non esco senza di te.» bisbigliò Jajapi.
Si aggiunsero le voci dei nani «Abbiamo seguito Ror più a fondo di così, non lasceremo te qua da solo.»
«Allora... Allora sarò io il primo a uscire.» mi tremò la mano mentre porgevo il piccone «Uno di voi batterà il chiodo.» lo posai lì accanto «Io vi aspetterò fuori.» non indicai chi lo dovesse picchiare, non dissi quando, né come.
Avevo capito, Cava Inferno non potevo distruggerla io, doveva farlo un nano, di sua volontà, uno qualunque di loro, era quel popolo a dover chiudere la porta su quella storia perché nessuno di loro desiderasse riaprirla.
«Fuori di qui vi attende la vostra vita, l'onore di seguire la volontà di Ror e il futuro dei nani.»
Li lasciai e risalii gli ultimi corridoi fino a che la luce della lanterna non mi sembrò spenta a confronto della luce del sole. Mi trovavo ancora in fondo alla gola ma già mi pareva di sentire una pioggia di raggi lavarmi la testa.
Mi fermai ad aspettare. Guardai l'ingresso nero della grotta e attesi, consapevole che di lì poteva anche non venirne fuori nessuno e tutti loro tornare a scavare, tornare a scendere, tornare a combattersi il bottino, tornare a pietrificarsi e morire.
«Rododendro...» sulla soglia delle ombre Jajapi strisciava contro il muro «Cos'è tutta questa luce?» ridotta alla forma umana, pareva tremare come un arbusto al vento.
«È il sole, Jajapi.»
«Ho paura di bruciare viva... Se in realtà non potessi mai uscire di qui? Se fossi maledetta dalle ombre e tradirle mi uccidesse?»
«Jajapi» le andai incontro e le presi le dita «Tu hai già tradito le ombre, quando mi hai salvato.»
La tirai alla luce, lei prese uno spavento e mi abbracciò, i raggi le illuminavano i capelli, la fronte uscì dal nascondiglio sul mio petto, poco a poco i suoi occhi puntarono la luce, fuori dall'abisso «È grande» sussurrò e con quel sussurro mi parve di vedere la luce entrarle tra le labbra e gettare fuori i fumi dell'ombra annidati al suo interno. Il suo viso splendette, più bello di ogni sirena, bello come quello di un angelo, da quell'episodio non la vidi più trasformare in null'altro di orrido, né di buio, né di oscuro.
Lo sguardo rivolto alla luce, io e Jajapi ci trovavamo abbracciati quando la grotta collassò, un piccolo terremoto, ci stringemmo tra noi dallo spavento e abbassato lo sguardo trovammo lì attorno tutti i nani, usciti, e dalla grotta l'ultimo di loro, con un martello in mano, uscì inseguito da uno sbuffo di polvere e dal crollare del soffitto.
I nani seppellirono quella cava e tutti tornammo a guardare il cielo.
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